6 
 
INTRODUZIONE 
 
Negli ultimi decenni, il continuo processo scientifico-tecnologico ha affiancato 
e favorito notevolmente lo sviluppo delle conoscenze e delle competenze in 
ambito sanitario. 
Nonostante il continuo progresso, alcuni ambiti mostrano ancora alcune 
problematiche, fra queste spicca il reperimento di un accesso vascolare in 
situazioni di emergenza-urgenza, intra ed extra-ospedaliere. 
Negli Stati Uniti ogni anno ci sono 5 milioni di pazienti ai quali non si riesce a 
reperire un accesso vascolare ed altri 7 milioni di casi nei quali reperire un 
accesso intraosseo risulta particolarmente difficile. 
Il reperimento di un accesso vascolare e la sua successiva gestione sono il pane 
quotidiano della professione infermieristica e parte integrante del processo 
assistenziale, diventando una tecnica salvavita in situazioni di emergenza-
urgenza. 
Lo sviluppo tecnologico ci ha fornito una serie di supporti atti a facilitare tale 
tecnica come ad esempio la guida ecografica, i dispositivi a infrarossi per 
evidenziare i vasi venosi, fino ai dispositivi con indicatore sonoro (VEID: vein 
entry indicator device). 
Nonostante questo enorme aiuto della tecnologia, il tasso di successo della 
tecnica non riesce a coprire le innumerevoli varietà di casi che possono 
verificarsi in situazioni di emergenza. 
Esiste un ulteriore dispositivo che permette di reperire accessi vascolari e che 
riesce in tutti quei casi in cui il classico accesso intravenoso fallisce: l’accesso 
intraosseo (IO).
7 
 
La fisiologia vascolare intraossea è stata scoperta oltre un secolo fa, come la 
sua tecnica di reperimento, ed i dispositivi che permettono tale tecnica sono 
ormai riconosciuti in tutto il mondo, ma nonostante tutto non viene 
sufficientemente presa in considerazione in alcuni stati, come ad esempio 
l’Italia, che tutt’ora si identifica come uno dei paesi più sviluppati dal punto di 
vista sanitario, ed i quali professionisti in ambito sanitario, dai medici agli 
infermieri, vengono notevolmente stimati soprattutto oltre i confini nazionali. 
Tutto questo accade fondamentalmente perché scarse sono le conoscenze a 
riguardo, nonostante il ripetersi di situazioni di emergenza/urgenza in cui tale 
tecnica potrebbe risultare di vitale necessità.
8 
 
CAPITOLO1: CONCETTI GENERALI SUL SOCCORSO IN 
EMERGENZA/URGENZA 
 
Le prime tre fasi del soccorso, per qualsiasi tipologia di paziente, si identificano 
sempre con: 
A:Airways 
B:Breathing 
C:Circulation 
Questa suddivisione riguarda sia le emergenze extra-ospedaliere, quelle 
intraospedaliere ed i casi di emergenza all’interno di un’unità operativa. 
Tramite le suddette fasi si procede rispettivamente al controllo della pervietà 
delle vie aeree, alla valutazione del respiro ed al controllo della corretta 
circolazione.  
Queste prime fasi sono cruciali nel processo di primo soccorso ed è necessario 
che venga svolta nel minor tempo possibile, tanto da essersi meritata 
l’appellativo di “Golden Hour”. 
1.1 Concetto di Golden Hour 
Il chirurgo R. Adams Cowley a tal proposito, nel 2007 afferma: “Vi è una 
golden hour tra la vita e la morte. Se si è stati traumatizzati in modo critico si 
hanno meno di 60 minuti per sopravvivere. Forse si potrà non morire in quel 
momento, l’evento mortale potrebbe verificarsi da 2-3 giorni fino a 2 settimane 
più tardi, ma qualcosa è successo nel delicato equilibrio dell’organismo che 
ormai è irreparabile”.
9 
 
Il successo nel trattamento di un evento traumatico dipende innanzitutto alla 
gestione del fattore tempo; gli interventi di emergenza da eseguire devono 
essere eseguiti nella cosiddetta “ora d’oro”, che rappresenta una sorta di conto 
alla rovescia, che parte dall’esatto momento in cui si è verificato l’evento 
traumatico. 
Un intervento mirato, effettuato nelle prime ore dopo il trauma, aumenta 
notevolmente le probabilità di sopravvivenza. 
La mortalità conseguente al trauma si presenta secondo un “andamento tri-
modale”, una distribuzione su tre picchi. 
1° Picco - Morte immediata 
Casi in cui la morte è istantanea o subentra entro pochi minuti dall’evento 
traumatico; E’ dovuta ad un danno che si propaga ad organi vitali come cuore 
ed encefalo. Nella maggior parte dei casi, tali lesioni risultano irrecuperabili. 
2° Picco – Morte precoce 
Consiste nell’intervallo di tempo che intercorre tra l’evento traumatico fino ad 
alcune ore successive. La mortalità in questo caso è dovuta ad un eventuale 
danno secondario portato per esempio da emorragie intercorse, che generano 
per esempio ipossia, ipoperfusione o ischemia. 
3° Picco – Morte tardiva 
Si sviluppa nei giorni seguenti all’evento traumatico e segue principalmente 
complicanze settiche. Questi casi di morte possono essere facilmente evitati 
migliorando gli interventi di soccorso sul territorio e l’assistenza 
intraospedaliera.
10 
 
 
 
Nel grafico viene riportata la mortalità dei pazienti in relazione al tempo 
trascorso dal momento del trauma. Per comprendere l’importanza del fattore 
tempo, della suddetta “Golden Hour”, basta notare che nell’80% dei casi di 
decesso si collocano nelle fasi precoci.  Altra considerazione che può essere 
tratta è che, escludendo le lesioni a carico del SNC e del cuore, le cause 
principali di decesso sono l’asfissia ed il dissanguamento, due patologie che 
con un adeguata preparazione possono essere facilmente affrontate.  
 
Sulla base di questo concetto si decise di minimizzare le tempistiche di 
trasporto dei pazienti verso la struttura ospedaliera (Scoop and run) per poi 
invece ridurre al massimo il tempo privo di trattamenti (Therapy free interval), 
considerando utile agire sul posto, iniziando il trattamento in loco e anche 
durante il tragitto, all’interno dei mezzi di soccorso. 
 
IMMEDIATA: Lesioni 
SNC, cuore e grossi 
vasi, asfissia
PRECOCE: 
Dissanguamento
TARDIVA: 
Sepsi
0
10
20
30
40
50
60
1 ora 4 ore 1 giorno 1-2 settimane
Andamento trimodale della mortalità per 
trauma
11 
 
1.2 “C” Valutazione del circolo ed interventi mirati 
Dopo la valutazione della pervietà delle vie aeree e del respiro, si passa al 
controllo della funzionalità del circolo. 
Durante questa fase si procede al reperimento del polso radiale, che talvolta 
può risultare talmente debole da non essere percepito o addirittura assente, 
come in caso di shock ipovolemico, e quindi potrebbe essere necessario 
apprezzare il polso carotideo, sicuramente più affidabile e più facile da reperire. 
Contemporaneamente si controllano eventuali emorragie esterne visibili, 
tramite la semplice compressione della ferita stessa. 
Uno degli interventi fondamentali da attuare in questa fase è il reperimento di 
un accesso vascolare, per permettere di infondere liquidi, emazie o farmaci 
salvavita. 
Il dispositivo utilizzato abitualmente per reperire un accesso intravenoso è il 
catetere venoso periferico (CVP) che risulta la tecnica con minor rischio di 
complicanze e ben tollerata dai pazienti, ma che in caso di emergenza si rivela 
spesso non adeguata, poco efficace e troppo dispendiosa in termini di tempo, 
specialmente in molti pazienti definiti come “difficili”, come obesi, 
ipovolemici, pediatrici, anziani, tossicodipendenti, in terapia con 
chemioterapici... 
La tempistica necessaria volta al reperimento di un accesso intravenoso è 
stimata tra i 2,5 ed i 12 minuti, e può in particolari casi protrarsi fino ed oltre i 
20/25 minuti. Il tasso di fallimento nel reperire l’accesso va dal 10% al 40% ad 
ogni tentativo.
12 
 
L’inserimento di un catetere venoso periferico con l’ausilio di una guida 
ecografica rende sicuramente la tecnica più rapida ma necessita innanzitutto 
di specifiche competenze in possesso dell’operatore e spesso della presenza 
di 2 operatori, e per questo la suddetta tecnica non viene da molti ritenuta 
migliore rispetto a quella classica. 
 
Il catetere venoso centrale (CVC), che viene inserito in una vena di grosso 
calibro (giugulare interna, succlavia o femorale) permette a farmaci e fluidi 
di raggiungere direttamente la giunzione atrio-cavale e quindi di immettersi 
immediatamente nel circolo sistemico. 
D’altro canto però, il CVC necessita di personale esperto per essere reperito, 
della preparazione e di un controllo radiografico per garantirne la corretta 
inserzione, per non parlare del costo (notevolmente più alto del CVP), delle 
tempistiche necessarie all’inserimento e soprattutto delle possibili 
complicanze, assolutamente non sottovalutabili, come: trombosi venosa, 
lesione di arterie circostanti, infezione, PNX.
13 
 
Oltre a queste due tipologie di accesso vascolare, ne esiste una terza, con 
raccomandazione di livello A: 
 Necessità di un notevole risparmio di tempo rispetto ad un normale 
accesso venoso centrale o periferico e dovrebbe essere preso 
istantaneamente in considerazione se ci troviamo di fronte ad un 
possibile accesso venoso difficile. 
 Il dolore riferito dai volontari durante dei test e dai pazienti stessi è 
stato valutato come medio-basso. 
 
E’ l’accesso intraosseo.  
 
 
 
 
Level A recommendation High 
 Reflects a high degree of clinical certainty. 
 Based on availability of high quality level I, II and/or III evidence 
available using Meinyk & Fineout-Overholt grading system 
(Melnik & Fineout-Overholt 2005) 
 Based on consistent and good quality evidence; has relevance and 
applicability to emergency nursing practice 
 Is beneficial