Introduzione 
IV 
inferenze dirette di tipo statistico. In questo cammino si vedrà che sebbene un 
argomento enumerativo, come tutti gli argomenti induttivi, non possa mai portare 
ad una conclusione necessaria, può essere reso più forte costruendo le premesse 
con un metodo statistico. Ciò consentirà di conferire alla conclusione un grado di 
probabilità maggiore. 
 Nel secondo capitolo si cerca invece di stabilire qual è il ruolo del calcolo 
delle probabilità all’interno del ragionamento induttivo, ovvero il nesso fra 
induzione e calcolo delle probabilità. In particolare si vedrà come l’argomento 
enumerativo semplice si rinnova con il calcolo delle probabilità. Il percorso si 
snoda lungo un excursus storico sulle diverse concezioni della probabilità e sul 
loro rapporto con l’induzione esaminato attraverso il pensiero di alcuni 
autorevoli esponenti per ogni concezione, come P. S. Laplace per la concezione 
classica, R. von Mises e H. Reichenbach per la concezione frequentista, F. 
Ramsey e B. De Finetti per quella soggettivista, e infine L. Wittgenstein, J.M. 
Keynes, R. Carnap e J. Hintikka per quella logicista. L’assiomatizzazione del 
calcolo delle probabilità è esposto analizzando gli assiomi di Kolmogorov. Per la 
sua importanza all’interno del calcolo delle probabilità e nel procedimento 
induttivo per enumerazione si è trattato anche il teorema di Bayes.  
 Nel terzo capitolo si traccia una breve storia della Statistica dalle origini 
fino a circa la metà dell’Ottocento, attraverso l’esposizione di alcuni autori come 
J. Graunt, J. Bernoulli, Th. Bayes, P.S. de Laplace e L. J. Quételet. Si metterà in 
luce come le leggi statistiche che inizialmente si limitavano a descrivere delle 
regolarità su larga scala, si stavano gradatamente trasformando in leggi della 
natura e della società che riguardavano cause e verità soggiacenti.  
 Nel quarto capitolo ed ultimo capitolo si prendono in esame le 
congiunzioni fra induzione, probabilità e statistica, attraverso l’analisi dei 
contributi di alcuni fra i maggiori autori del Novecento, fra i quali R. A. Fisher, 
J. Neyman, E. Pearson e A. Wald. Con lo studio di questi autori e di alcune 
metodologie statistiche di inferenza si cercherà di mettere in luce il ragionamento 
statistico che caratterizza l’argomento enumerativo, sia per l’inferenza diretta che 
Introduzione 
V 
riguarda la formazione del campione, sia per quella indiretta che ci consente di 
estendere le proprietà statistiche su di esso determinate alla popolazione da cui è 
stato tratto.  
1 
1. L’INDUZIONE E I SUOI PROBLEMI 
 
 
“Induction is the glory of science but the scandal of philosophy”. 
(L’induzione è la gloria della scienza ma lo scandalo della filosofia) 
 
C.D. Broad
1
 
 
 
1.1    Il ragionamento induttivo 
 
A partire da Aristotele fino almeno all’Ottocento si è sostenuto che “un 
ragionamento induttivo inferisce dal particolare al generale, a differenza di quello 
deduttivo, che procede dal generale al particolare”
2
. In breve, da “A è un corvo 
nero, B è un corvo nero, …., R è un corvo nero, si passa all’enunciato tutti i corvi 
sono neri”
3
. Ma, come molti autori fanno notare, “in realtà questa è una 
definizione impropria, se non errata. Vi sono, infatti, induzioni con premesse 
generali, o con conclusioni particolari, e deduzioni con premesse particolari o 
con conclusioni generali”
4
. 
Per questo motivo appare più opportuno fondare la differenza fra 
argomenti deduttivi e induttivi sulla forza delle relazione fra le premesse e la 
conclusione dell’argomento, ovvero sul tipo di nesso inferenziale esistente tra 
                                                          
1
 C.D. Broad, Ethics and the History of Philosophy,  Humanities Press,  New York, 1952, p. 143. 
2
 G. Boniolo, P. Vidali, Filosofia della Scienza, Bruno Mondadori,  Milano, 1999,  p. 222. 
3
 M.G. Sandrini, Logica della ricerca, Carocci editore, Roma, 1998,  p. 11.   
4
 Esempio di induzione con premesse generali: ”Tutte le mosche sono insetti e hanno sei zampe, 
tutte le api sono insetti e hanno sei zampe, tutte le farfalle sono insetti e hanno sei zampe. Quindi 
probabilmente tutti gli insetti hanno sei zampe”. Esempio di induzione con conclusioni 
particolari: “Mario giocava a rugby e si è infortunato alla gamba, Luigi giocava a rugby e si è 
infortunato al ginocchio, Pietro giocava a rugby e si è infortunato alla schiena. Quindi, anch’io, 
che gioco a rugby, probabilmente incorrerò in un infortunio”. Esempio di deduzione con premesse 
particolari: “Se Socrate è un uomo, allora Socrate è mortale. Socrate è un uomo. Quindi, Socrate è 
mortale”. Esempio di deduzione con conclusioni generali: “Tutti i mammiferi sono mortali, tutti 
gli uomini sono mammiferi. Quindi, tutti gli uomini sono mortali”. Esempi tratti da G. Boniolo, P. 
Vidali, Filosofia della Scienza, cit.,  p. 222. 
1. L’induzione e i suoi problemi 
2 
premesse e conclusioni. In questo modo possiamo mettere in luce la vera 
diversità fra gli argomenti deduttivi e quelli induttivi: “[…] un argomento 
deduttivo è quello secondo cui la conclusione segue dalle premesse con necessità 
assoluta, questa necessità non essendo questione di grado, né dipendendo in 
alcun modo da qualunque altra cosa possa verificarsi; in netto contrasto, un 
argomento induttivo è quello secondo cui la conclusione segue dalle premesse 
solo con un certo grado di probabilità, questa probabilità essendo questione di 
grado e dipendendo da quant’altro possa verificarsi.” 
5
.  
Pertanto nel ragionamento induttivo a premesse vere corrispondono 
conclusioni solo probabilmente vere, mai certe. Differentemente dall’argomento 
deduttivo, in quello induttivo le conclusioni possono risultare false anche se le 
premesse sono vere. Ciò accade perché la conclusione non è inclusa nelle 
premesse e presenta quindi un contenuto informativo diverso o maggiore di 
quello presente nelle premesse. Le premesse di un argomento induttivo “[….] 
non implicano logicamente, ma sostengono o confermano o corroborano la 
conclusione”
6
, senza includerla. Esse possono essere considerate come ragioni o 
fatti concreti che permettono di sostenere la conclusione in modo più o meno 
forte. La perdita di certezza nella conclusione è compensata dall’ampliamento 
delle conoscenze rispetto a quanto contenuto nelle premesse e quindi la 
“possibilità di scoprire e prevedere fatti nuovi in base a quelli vecchi”
7
: 
un’esigenza imprescindibile per l’uomo, che ha necessità di collegare singole e 
isolate esperienze in generalizzazioni che gli consentano di spiegare i fenomeni e 
di compiere previsioni. 
 
                                                          
5
 M. Copi, C. Cohen, Introduzione alla logica, Il Mulino, Bologna, 1997 [1961],  p. 75. 
6
 M. Pera, Hume, Kant e l’induzione, Il Mulino, Bologna, 1982,  p. 22. 
7
 B. Skyrms, Introduzione alla logica induttiva, il Mulino,  Bologna, 1974 [1966],  p. 24.  
1. L’induzione e i suoi problemi 
3 
1.2  I problemi dell’inferenza induttiva 
 
I problemi sollevati dalle inferenze induttive, o come diceva Hume, da 
tutti gli “argomenti ricavati dall’esperienza”, si possono ricondurre ad almeno tre 
questioni principali: il problema filosofico, il problema logico e il problema 
metodologico. 
 
1.2.1 Il problema filosofico dell’induzione 
 
Il problema filosofico dell’induzione è il problema della “giustificazione 
o fondamento dei procedimenti induttivi che di fatto si impiegano nei casi della 
vita quotidiana e nella ricerca scientifica”
8
. “Sembra dunque evidente che, 
quando noi trasferiamo il passato al futuro, in relazione alla determinazione 
dell’effetto che risulterà da qualche causa, trasferiamo tutti i vari avvenimenti, 
nella stessa proporzione in cui ci si sono manifestati nel passato […]. Provate a 
render ragione di quest’operazione della mente, facendo ricorso a qualcuno dei 
sistemi invalsi di filosofia; non tarderete ad accorgervi della difficoltà”
9
. 
 Hume ha chiaramente individuato il problema e lo ha espresso nel 
dilemma “come dai casi passati, di cui abbiamo avuto esperienza, passiamo ad 
una conclusione che va di là da essi?”. In altri termini, si è razionalmente 
giustificati nel ragionare da casi ripetuti di cui si sia avuta esperienza a casi di cui 
non si sia avuta esperienza?. E’ questo quello che comunemente viene chiamato 
il problema dell’induzione e Hume è noto per averlo sollevato, anche se in realtà 
il filosofo inglese non ha mai usato questa espressione e ha posto in realtà più di 
una questione in merito alla giustificazione della conoscenza empirica. Hume 
non si interroga sul fatto che l’induzione sia effettivamente usata nella vita 
dell’uomo comune e nella ricerca scientifica, ma piuttosto si chiede le ragioni per 
                                                          
8
 R. Carnap, Analiticità, Significanza, Induzione, A. Meotti e M. Mondadori (a c. di), Bologna, 
1971. 
9
 D. Hume, Ricerca sull’intelletto umano, in Id., Opere filosofiche, Laterza, Bari, 1971, vol. II, pp. 
78-79.  
1. L’induzione e i suoi problemi 
4 
cui si considerano vere certe assunzioni che sono alla base del ragionamento 
induttivo.  
Prima fa tutti l’uniformità e la regolarità della natura: “La medesima 
causa produce sempre il medesimo effetto, e il medesimo effetto proviene 
sempre dalla medesima causa”
10
. Quindi il fondamento teorico della convinzione 
che non esistono eventi incausati: “Si ammette da tutti che nulla esiste senza una 
causa della sua esistenza e che il caso, quando si esamini con rigore, è una parola 
puramente negativa e non significa alcun reale potere che esista in qualche parte 
della natura”
11
.  
Hume cerca inoltre la forza teorica del convincimento che l’esperienza 
passata sia una guida per le inferenze induttive poiché, com’egli dice: “Nessuno 
che non sia un pazzo o un mentecatto avrà mai la pretesa di porre in discussione 
l’autorità dell’esperienza, o di rigettare questa grande guida della vita umana”
12
. 
Come sappiamo, l’analisi condusse Hume allo scetticismo, al non trovare alcun 
fondamento razionale all’induzione e quindi a concludere che le inferenze 
induttive che compiamo sono spiegabili solo in termini di credenza e abitudine: 
“In tutti i ragionamenti dall’esperienza c’è un passo compiuto dalla mente che 
non è sorretto da alcun ragionamento o processo dell’intelletto”.
13
 E dunque, 
“tutte le inferenze dall’esperienza, […] sono effetti di consuetudine, non di 
ragionamento”
14
. Ma, posto che le inferenze induttive hanno un ruolo rilevante 
sia nel contesto della scoperta sia in quello della conferma delle ipotesi, se non è 
possibile provare che il ragionamento induttivo avviene su base razionale, qual è 
allora il fondamento di razionalità della conoscenza e della scienza?. In ciò 
consiste la sfida scettica di Hume.  
                                                          
10
 D. Hume, Trattato sulla natura umana, in Id., Opere filosofiche, cit., vol. I, p. 188.  
11
 D. Hume, Ricerca sull’intelletto umano,  in Id., Opere filosofiche, cit.,  vol. II, p. 101. 
12
 Ibidem, p. 42. 
13
 Ibidem, p. 47.  
14
 Ibidem, p. 49.  
 
1. L’induzione e i suoi problemi 
5 
Si sono tentate molte vie per rispondere alla sfida scettica di Hume, ma a 
tutt’oggi il problema resta insoluto, tanto che alcuni autori scrivono che essa è lo 
scandalo della filosofia. Tuttavia, se scindiamo in due questioni distinte il 
problema della giustificazione dell’induzione, una che riguarda la procedura 
induttiva basata sul presupposto dell’uniformità della natura e l’altra che si 
occupa dei metodi induttivi, ovvero del grado di uniformità della natura, vediamo 
che è possibile salvaguardare la razionalità delle nostre inferenze induttive pur 
lasciando aperta la possibilità all’errore.  
E’ Kant che, attraverso la giustificazione trascendentale del principio 
d’induzione, effettuerà il tentativo più forte di giustificazione del ragionamento 
induttivo. Tuttavia, nemmeno la spiegazione kantiana riuscirà a giustificare un 
metodo induttivo specifico. L’argomento a cui Kant si appella per giustificare il 
principio di induzione attiene all’uniformità della natura: “Bisogna 
necessariamente presupporre ed ammettere una tale unità, perché altrimenti non 
si troverebbe una generale connessione delle conoscenze empiriche da formarne 
un’esperienza totale […]. Senza questa supposizione non avremmo alcun ordine 
della natura secondo leggi empiriche e per conseguenza non vi sarebbe nessuna 
guida per l’esperienza e la ricerca in tanta varietà di leggi stesse […]. Senza ciò, 
noi non possiamo, con l’uso del nostro intelletto, estendere la nostra esperienza 
ed acquistar conoscenza”
15
.  
In breve, per il filosofo prussiano, la supposizione del principio di 
uniformità della natura è condizione necessaria a priori della conoscenza 
empirica, poiché, se ciò non fosse, nessuna conoscenza sarebbe possibile. 
Negarlo significherebbe non tanto l’impossibilità di trarre dall’evidenza dei fatti 
una qualche conclusione, ma l’impossibilità di trarre qualsiasi conclusione, 
giacché in un universo privo di uniformità e relazioni tutto è lasciato al caso.   
L’argomento di Kant è stato criticato in modo serrato da molti autori (A.J. 
Ayer, W. Salmon, G.H. von Wright), ma le loro obiezioni si basano su un 
                                                          
15
 I. Kant, Critica del Giudizio, Bari, Laterza, 1963, Intr, V,  pp. 23, 25-26, 27. 
 
1. L’induzione e i suoi problemi 
6 
assunto non corretto: ossia che Kant, attraverso la dimostrazione del principio di 
uniformità della natura, volesse giustificare l’inferenza induttiva, cioè usare tale 
principio come garanzia della verità delle conclusioni induttive, cosa di cui non 
vi è traccia nei suoi scritti. La giustificazione trascendentale di Kant deve essere 
ricondotta entro i limiti in cui il suo autore l’ha trattata: essa giustifica, nel senso 
che rende legittima o possibile la generale procedura induttiva consistente 
nell’assumere l’esperienza come guida, ma non anche giustifica nel senso di 
rendere valide le specifiche regole (o metodi) d’induzione compatibili con la 
procedura e quindi vere le conclusioni delle singole inferenze induttive effettuate 
nel rispetto di tali regole. Il principio di uniformità autorizza a proiettare, ma non 
garantisce alcuna delle proiezioni fatte. Esso non consente la trasformazione 
delle singole induzioni in argomenti logicamente conclusivi e perciò, in questo 
senso, che è il senso ristretto e impossibile di Hume, non costituisce una 
“giustificazione” affatto. D’altra parte, Kant ha dotato di veste razionale la 
procedura induttiva, e sebbene la questione della giustificazione del 
ragionamento induttivo rimanga a tutt’oggi irrisolta, egli ha cercato di dare una 
risposta al problema filosofico dell’induzione e ha reso legittima l’intera classe 
dei metodi induttivi, pur senza poterne giustificare nessuno in modo specifico.  
Rimanendo nell’ambito del problema dell’induzione così come è stato 
formulato da Hume, tutto ciò che si è riusciti a provare, anche in tempi recenti, è 
la legittimità della procedura induttiva e a giustificare l’esistenza di un continuo 
di metodi induttivi, non anche la correttezza di un unico metodo induttivo
16
. Sotto 
questo aspetto, lo scandalo dell’induzione continua. 
                                                          
16
 R. Carnap ha formulato un teorema che esprime una matrice generatrice di una classe infinita di 
metodi induttivi. In tale teorema è presente il parametro λ, indice delle considerazioni  a priori 
esclusivamente logiche ed è pertanto una misura del grado di uniformità della natura. Poiché per 
ogni valore di λ è possibile individuare un diverso metodo induttivo, i metodi induttivi sono 
infiniti, e Carnap non dice  quale valore di λ è necessario scegliere. Carnap dice: “Una decisione 
non si può giudicare vera o falsa ma solo più o meno adeguata, cioè idonea ad un certo scopo. 
[…] la decisione [….]  resta un problema pratico, […] analogo alla scelta di uno strumento per un 
certo tipo di lavoro”, R. Carnap  Il continuo dei metodi induttivi, in Id., Analiticità, Significanza, 
Induzione, cit., p. 428. Essendo il parametro λ arbitrario e indeterminato, non è possibile stabilire 
 
1. L’induzione e i suoi problemi 
7 
Nel corso del novecento, un modo per aggirare il problema humeano è 
stato quello di giustificare il legittimo ricorso all’induzione seguendo una via 
pragmatica, seguita ad esempio da H. Reichenbach, che avverte: “l’inferenza 
induttiva non serve a stabilire la verità di un enunciato, ma a compiere una 
scommessa su di esso, utile a compiere il passo più favorevole per raggiungere il 
nostro scopo”
17
. E continua: “nella scienza non esiste l’alternativa vero o falso, 
esiste invece una scala continua di valori di verità i cui limiti irraggiungibili sono 
la verità e la falsità”
18
. 
 Rinunciando al postulato che la conoscenza debba essere dimostrata 
come vera (presente invece in Hume) e svincolandosi dall’idea di causalità 
(anch’essa presente in Hume) per affidarsi ad una interpretazione di tipo 
frequentista della probabilità
19
 e ad assunzioni rispetto al futuro piuttosto che ad 
affermazioni
20
, egli pensa di aver risolto il problema della fondatezza del 
ragionamento induttivo. In realtà, la questione ritorna nel momento in cui egli si 
chiede: “Perché siamo giustificati nell’inferire che la frequenza relativa osservata 
in una sequenza di eventi sarà conservata in una futura continuazione della 
                                                          
l’affidabilità di nessun metodo induttivo, e così il problema di individuare le corrette inferenze 
induttive appare di nuovo senza soluzione.  
17
 H. Reichenbach, Le basi logiche del calcolo probabilistico, in Pasquinelli (a c. di), 1969, 
[1932-1933],  p. 478. 
18
 H. Reichenbach, Causalità e probabilità, in Id. L’analisi filosofica della conoscenza scientifica, 
Marsilio Editori, Padova, 1968 [1930],  p. 104. 
19
 Secondo Reichenbach, le probabilità esprimono frequenze relative di eventi ripetuti: “esse sono 
derivate dalle frequenze osservate nel passato e coinvolgono l’assunzione che le stesse frequenze 
varranno approssimativamente per il futuro”. Il grado di probabilità è perciò “una questione di 
esperienza, non di ragione”. H. Reichenbach, La nascita della filosofia scientifica,  trad. it. D. 
Parisi e A. Pasquinelli, Bologna, Il Mulino, 1961, p. 228. 
20
 Per un’introduzione al pensiero di H. Reichenbach e per la differenza fra assunzioni e 
affermazioni vedi M.G. Sandrini, Induzione Probabilità Verità: una critica epistemologica dei 
metodi statistici e della logica induttiva: da Laplace a Carnap e Hintikka, clusf,  Firenze, 1976. 
Per l’analisi e le critiche alla giustificazione del metodo dell’induzione diretta di Reichenbach 
vedi il testo di M. Pera, Hume, Kant e l’induzione, cit., pp. 140-154. Per alcune importanti 
considerazioni sulla regola diretta di Reichenbach sviluppate da W. Salmon vedi il testo di C. 
Pizzi, Teorie della probabilità e teorie della causa, Cooperativa Libraria Universitaria, Bologna, 
1983, pp. 74-78. 
1. L’induzione e i suoi problemi 
8 
sequenza?”
21
, il che equivale a chiedersi quale sia la giustificazione del principio 
d’induzione.   
La risposta di Reichenbach è, appunto, di tipo pragmatico: “non possiamo 
farne a meno”. E così,  “malgrado tutto, la conclusione cui Reichenbach giunge 
concorda con le conclusioni dell’analisi di Hume: non abbiamo nessuna 
giustificazione razionale da fornire alle nostre induzioni. Resta solo il fatto che 
non possiamo fare a meno di farne”
22
. 
Un tipo diverso di riflessione attorno all’induzione, collocabile sempre 
nell’ambito di una giustificazione pragmatica dell’induzione, ma dotato di 
rilevanti aspetti innovativi, è condotto dal filosofo americano N. Goodman, che 
di fronte al problema di giustificare la validità dei giudizi futuri e di un’inferenza 
induttiva piuttosto che di un’altra, così si esprime: “Il trattamento tipico, a questo 
proposito, inizia insistendo sulla necessità di trovare un modo di giustificare le 
previsioni, passa poi ad argomentare che a tale scopo occorre una qualche 
altisonante legge universale dell’Uniformità della Natura, quindi segue la 
domanda su come questo stesso principio universale sia giustificabile. A questo 
punto,  se l’autore è già esausto, conclude che il principio va accettato come 
un’assunzione di cui non si può fare a meno; ma se ha ancora energia ed è 
ingegnoso, si getta a escogitare qualche giustificazione sottile del principio 
stesso. Ma un’invenzione del genere ben difficilmente può essere davvero 
soddisfacente. E l’orientamento più comodo, consistente nell’accettare 
un’assunzione non convalidata e perfino dubbia, molto più impegnativa delle 
previsioni che facciamo, sembra un modo strano e poco economico di 
giustificarle”
23
. 
                                                          
21
 H. Reichenbach, Causalità e probabilità, in Id. L’analisi filosofica della conoscenza scientifica, 
cit.,  p. 101. 
22
 M.G. Sandrini, Induzione Probabilità Verità, cit., p. 23. 
23
 N. Goodman, Fatti, ipotesi e previsioni, Laterza, Roma-Bari, 1985 [1954],  p. 72.   
23
 Ibidem, pp. 73-74. 
23
 C. Pizzi, Teorie della probabilità e teorie della causa, cit.,  p. 63. 
 
1. L’induzione e i suoi problemi 
9 
Per Goodman l’inferenza induttiva diventata previsione e pertanto il 
problema dell’induzione diventa quello di giustificare le nostre previsioni. Il 
termine stesso “giustificare” ha per lui un senso diverso rispetto a quello classico 
che è quello di trovare un fondamento dell’inferenza induttiva. Infatti, esponendo 
cosa si debba intendere per giustificazione di un’inferenza, egli dice: “Come 
viene giustificata una deduzione? Semplicemente dimostrando che è conforme 
alle regole generali dell’inferenza deduttiva. Un’argomentazione conforme alle 
regole è giustificata, ossia valida, anche se la sua conclusione è falsa. 
Un’argomentazione che infrange una regola è sbagliata, anche nel caso che la 
conclusione sia vera. Per giudicare una conclusione deduttiva non si richiede 
perciò che i fatti di cui tratta siano noti. Quando poi è stato dimostrato che 
un’argomentazione deduttiva è conforme alle regole d’inferenza logica, la si 
considera di solito giustificata senza chiedersi che cosa giustifica le regole. 
Analogamente, il compito principale nella giustificazione di un’inferenza 
induttiva è quello di mostrare che essa è conforme alle regole generali 
dell’induzione. Una volta ammesso tutto ciò, abbiamo già fatto un bel passo 
avanti verso la chiarificazione del nostro problema”
24
.  
In questo modo Goodman elude il problema di sapere che cosa giustifica 
l’induzione: “il problema di giustificare l’induzione [per Goodman] non è 
diverso da quello di giustificare la deduzione, e ciò che giustifica la deduzione è 
l’adeguamento alle regole dell’inferenza deduttiva”
25
. 
Asserendo che giustificare significa “dimostrare che è conforme alle 
regole”, semplicemente (e abilmente) Goodman dissolve il problema filosofico 
dell’induzione spostandolo su quello metodologico. Per Goodman, la questione 
di come si determina la validità delle regole non si risolve supponendo la loro 
autoevidenza o ricercandone le basi nella mente umana, ma piuttosto in un 
rapporto virtuoso tra regole e pratiche di controllo delle inferenze: “[…] I 
principi d’inferenza deduttiva vanno giustificati in base alla loro conformità alla 
                                                          
24
 N. Goodman, Fatti, ipotesi e previsioni,  cit., pp. 73-74. 
25
 C. Pizzi, Teorie della probabilità e teorie della causa, cit., p. 63. 
1. L’induzione e i suoi problemi 
10 
pratica deduttiva accettata. La loro validità dipende dall’accordo con le 
particolari inferenze deduttive che in effetti produciamo e approviamo. Se una 
regola produce inferenze inaccettabili, la cancelliamo considerandola invalida. 
[…] Le regole e le singole inferenze sono del pari giustificate per il fatto di 
essere messe in accordo le une con le altre. Una regola viene emendata se 
produce un’inferenza che non siamo disposti ad accettare; un’inferenza viene 
respinta se viola una regola che non siamo disposti ad emendare. Il processo di 
giustificazione è un procedimento delicato, che consiste nel produrre 
aggiustamenti reciproci tra regole e inferenze accettate; e la sola giustificazione 
necessaria per le une e per le altre sta nell’accordo raggiunto. Tutto ciò vale allo 
stesso modo per l’induzione”
26
. 
Così, giustificazione e pratica dell’induzione non sono più due ambiti 
separati (come lo erano da Hume in poi), ma sono uno dipendente dall’altro.   
Goodman non si chiede come si arriva a fare previsioni, ma come si 
giunge a classificarle in valide e invalide. Quand’è che un enunciato può essere 
usato per prevedere casi non ancora esaminati?. Benché Goodman non risolva la 
questione in modo definitivo, la soluzione proposta offe spunti interessanti: “Il 
problema di quali sono gli enunciati confermabili si traduce semplicemente nel 
problema equivalente di quali sono i predicati proiettabili dai casi conosciuti a 
quelli sconosciuti”
27
. 
Il problema dell’induzione si trasforma in quello della proiettabilità. Per 
Goodman un’ipotesi è proiettabile se è sostenuta da casi positivi che la 
confermano, se è inviolata, cioè non stati rilevati casi negativi che l’inficiano, se 
è inesaurita, nel senso che ci sono ancora casi imprecisati che si suppone la 
confermino. Il fatto che un’ipotesi sia proiettabile non implica che poi sia 
effettivamente proiettata. Ciò è ovvio quando le regole di Goodman vengono 
infrante, un po’ meno quando ci troviamo di fronte a due ipotesi legittimamente 
                                                          
26
 N. Goodman, Fatti, ipotesi e previsioni, cit.,  pp. 74-75.  
27
 N. Goodman, The Problem of Counterfactual Conditionals, in “Journal of Philosofy”, 1947, n. 
44, pp. 113-128; rist. in Fatti, ipotesi e previsioni, cit., p. 32. 
1. L’induzione e i suoi problemi 
11 
proiettabili ma non compatibili fra loro. L’esempio portato da Goodman è quello 
ormai famoso del paradosso dei “diamanti blerdi”
28
, forse “la versione più 
sofisticata che oggi si può formulare del problema dell’induzione”
29
, con il quale 
il filosofo americano mostra che vi possono essere due predizioni contraddittorie 
ambedue ben confermate dalle prove. In questo caso, che cos’è che ci fa 
proiettare un’ipotesi piuttosto che l’altra?. Secondo Goodman, “Per avere una 
risposta credo si debba consultare la documentazione relativa alle proiezioni dei 
due predicati effettuate nel passato”
30
. Predicati che storicamente hanno un gran 
numero di occorrenze all’interno di ipotesi proiettate sono più trincerati 
(radicati) rispetto a quelli che vantano minori occorrenze. Infatti, una delle 
regole che Goodman richiede perché la proiezione sia corretta è che essa va 
esclusa se è in conflitto con la proiezione di un predicato molto meglio 
rafforzato. 
Dunque, “se due ipotesi contraddittorie hanno lo stesso numero di 
osservazioni a loro favore, e nessuna contro, e c’è solamente una differenza fra il 
radicamento [trinceramento] di un predicato che occorre in una e il radicamento 
di un predicato che occorre nell’altra, allora l’ipotesi con il predicato meglio 
radicato [trincerato] è proiettabile e l’altra no”
31
. In questo modo Goodman 
distingue pragmaticamente tra regole induttive valide e invalide. 
Benché le regole di inferenza induttiva di Goodman siano apparse a molti 
insufficienti, l’analisi del filosofo americano è di grande rilievo sia per 
l’importanza che attribuisce al linguaggio e al contesto storico nello stabilire ciò 
che è o non è proiettabile, come si evince dalla seguente affermazione, “Così la 
linea di demarcazione tra previsioni (o induzioni o proiezioni) valide e invalide 
viene tracciata in base a come il mondo è, ed è stato, descritto e previsto in 
                                                          
28
 Per la formulazione completa del paradosso consulta N. Goodman, Fatti, ipotesi e previsioni, 
cit., pp. 85-86.  
29
 C. Pizzi, Teorie della probabilità e teorie della causa, cit., p. 62. 
30
 N. Goodman, Fatti, ipotesi e previsioni, cit.,  p. 108.  
31
 L. J. Cohen, Introduzione alla filosofia dell’induzione e della probabilità, Giuffrè editore, 
Milano, 1998 [1989],  p.  234.   
1. L’induzione e i suoi problemi 
12 
parole”
32
, sia per aver messo in evidenza il legame fra giustificazione e pratica 
dell’induzione.  
 
1.2.2 Il problema metodologico 
 
Il problema metodologico consiste nello stabilire il ruolo delle inferenze 
induttive nelle pratiche scientifiche. H. Reichenbach ha suggerito di prendere in 
esame il problema metodologico all’interno di due ambiti diversi: quello della 
scoperta scientifica e quello della giustificazione. Nell’ambito della scoperta 
“l’induzione è quell’inferenza che permette di passare dalla conoscenza di N casi 
osservati alla conoscenza della struttura nomologica che governa il 
comportamento di questi e degli infiniti casi analoghi. Nell’ambito della 
giustificazione l’induzione è quell’inferenza che, data una legge ritenuta valida 
per N casi osservati, ci consenta di affermare che essa varrà anche per il prossimo 
caso dello stesso tipo”
33
. 
La distinzione mira a tracciare una linea di demarcazione fra il momento 
della scoperta, ritenuto da alcuni autori essenzialmente frutto della creatività 
individuale e quello della giustificazione delle ipotesi, giudicato più adatto ad 
essere trattato razionalmente. 
Per affrontare meglio i problemi riscontrati nella giustificazione 
dell’induzione come metodologia della scoperta, Ch. S. Peirce ha introdotto il 
concetto di abduzione: “L’abduzione è il processo di formazione d’ipotesi 
esplicative. E’ l’unica operazione logica che introduce una nuova idea, in quanto 
l’induzione non fa che determinare un valore e la deduzione sviluppa 
semplicemente le conseguenze necessarie di una pura ipotesi. La deduzione trova 
che qualcosa che deve essere; l’induzione mostra che qualcosa è realmente 
                                                          
32
 N. Goodman, Fatti, ipotesi e previsioni, cit.,  p. 139.  
33
 G. Boniolo, P. Vidali, Filosofia della scienza, cit.,  p. 232.