6
costituiscono nell’unità della forma che le dà identità, sia nel senso 
che vincola ciascuna rappresentazione, cioè ciascuna determinazione, 
a tutte le altre. Inoltre la relazione struttura la rappresentazione perché 
la vincola a ciò di cui è rappresentazione, al rappresentato. La 
rappresentazione è rappresentazione nell’inviare ad altro da sé, 
nell’essere segno di qualcos’altro. L’identità può porsi in forma 
determinata solo in virtù del limite che la connota e che la riferisce al 
diverso. La rappresentazione può venire intesa come medio tra il 
soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto. Se per “oggetto” 
intendiamo l’insieme indistinto di radiazioni e segnali che ci giungono 
dall’esterno, allora la rappresentazione è esattamente la 
configurazione ordinata di tale flusso, esito di un processo di 
discriminazione e  sistematizzazione dello stimolo. Pertanto la 
rappresentazione è fortemente collegata al concetto di cognizione. La 
cognizione  è l’insieme delle funzioni tramite le quali l’organismo 
riceve informazioni dall’ambiente, le analizza e le trasforma per poi 
riutilizzarle nell’agire. Diversamente dalla conoscenza ha un fine 
eminentemente pratico o adattivo, costituendosi più come mezzo che 
come fine. 
 
 7
2. Rappresentazioni e regole 
 
Diego Marconi afferma che “le rappresentazioni sono intese come 
oggetti mentali interni, manipolabili da regole”
2
.  
Pertanto le rappresentazioni devono essere elaborabili e per essere 
elaborabili devono essere discriminate, cioè distinte le une dalle altre. 
Le proprietà che consentono di distinguerle sono le proprietà formali. 
Nella macchina di Touring
3
, ad esempio, le rappresentazioni sono 
simboli scritti su un nastro e, come tali, sono leggibili da un cursore . 
Esse, insomma, hanno proprietà formali a cui le regole 
dell’elaboratore sono sensibili; tali proprietà formali, inoltre, sono 
definite  proprietà sintattiche, perché le regole sono sensibili solo ad 
esse, a prescindere dal campo semantico di applicazione dei segni. 
La questione ora si sposta sul significato dei simboli.  
L’elaborazione, in effetti, si configura come un processo automatico 
che manipola rappresentazioni seguendo regole, preoccupandosi più 
dell’aspetto sintattico, cioè del rapporto dei segni tra di loro, che di 
quello semantico, cioè del rapporto tra i segni e i rispettivi significati. 
Pessa e Penna ci fanno notare che “i simboli non fanno altro che 
rimandare ad altri simboli e la loro connessione con eventi esterni è 
possibile solo grazie all’intervento di un essere umano che 
concretamente interagisca con l’ambiente circostante”
4
. 
                                                 
                     
2
 D. Marconi Filosofia e scienza cognitiva, Laterza, Roma-Bari 2001, p.52. 
 
3
 Per una adeguata descrizione della macchina di Touring si rinvia a G. Bara, Scienza cognitiva. 
Un   approccio evolutivo alla simulazione della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1994. 
 
4
 E. Pessa, M. Pietronilla Penna, Manuale di scienza cognitiva. Intelligenza artificiale classica e 
psicologia  cognitiva, Laterza,Roma-Bari 2000, p. 17. 
 8
Pertanto, parlando di rappresentazioni nei processi cognitivi umani, è 
possibile distinguere tre livelli: “Il primo livello viene definito ‘infra-
semantico’ ed è quello dell’analisi del segnale, i meccanismi di 
elaborazione appartenenti a questo livello sono automatismi, 
caratterizzati da una funzione di trasferimento: l’informazione in 
entrata è il segnale fisico; l’informazione in uscita, che è il risultato 
dell’elaborazione, è una codifica, detta ‘sensoriale0’, si che il livello 
infra-semantico è di natura cognitiva, ma totalmente inconscia e 
appartiene ai sistemi neuro-biologici. 
Il secondo livello è quello semantico dell’identificazione degli oggetti 
fisici o simbolici[…] questo secondo livello costituisce quello nel 
quale si configura la programmazione del movimento.[…] I 
meccanismi di elaborazione consentono così di delineare una prima 
forma di linguaggio basato sull’attivazione o eliminazione di ipotesi 
possibili.[…] E’ l’inizio della dimensione semantica, che troverà 
compiuta espressione nel terzo livello, il quale viene definito appunto 
livello semantico della elaborazione dei significati e delle decisioni in 
azione […] E’ in questo livello che si pone l’interpretazione cosciente, 
cioè l’integrazione dei significati, ai quali il sistema cognitivo ha 
accesso, attraverso l’identificazione di parole, oggetti, azioni. Tale 
risultato si pone, da un lato, in forma di meccanismi automatici, 
dunque in gran parte inconsci, dall’altro, in forma di 
concettualizzazioni e di interpretazioni coscienti ”
5
. 
 
                                                 
5
 A. Stella, Cognizione e coscienza, Guerini scientifica, Milano 2004, pp.51-52. 
 9
3. Gli Agenti Intelligenti 
 
Le forme del conoscere risultano non altro che rappresentazioni e il 
simbolo viene assunto come la rappresentazione elementare: la forma 
cognitiva basale. Così come in fisica, attraverso il procedere analitico, 
si è giunti a scomporre anche l’atomo, altrettanto l’analisi, condotta 
sul simbolo, ha portato ad individuare un livello più profondo, quello 
subsimbolico. “In definitiva i processi cognitivi, secondo l’approccio 
subsimbolico, vanno considerati come coincidenti con particolari 
configurazioni di microcaratteristiche, ciascuna delle quali 
rappresenta un oggetto che giustamente si può denotare come 
‘subsimbolico’. Il modo più efficace per descrivere una tale situazione 
è quello di far ricorso alle cosiddette reti neurali. Con questo nome si 
designano dei sistemi, di natura molto generale, costituiti da unità e da 
interconnessioni tra le unità.”
6
 
Ma che cos’è, precisamente, una rete neurale? “Una rete neurale è una 
struttura firmata da un certo numero di unità collegate tra loro e da 
connessioni. Attraverso le connessioni un’unità influenza fisicamente 
le altre unità con cui è collegata .[…] Ogni connessione ha un suo 
‘peso’ quantitativo che determina quanto un’unità influenza il livello 
di attivazione di un’altra unità con cui è collegata”
7
. 
La mente umana, però,  non sembra possa più risolversi nella 
semplice elaborazione dei simboli in quanto le risposte fornite dalle 
simulazioni dell’intelligenza artificiale mostrano una scarsissima 
plasticità nei confronti del mondo, il che rende difficoltoso pensare 
                                                 
6
 E. Pessa, M. Pietronilla Penna, Manuale di scienza cognitiva, cit., pp. 18-19. 
7
 D. Parisi, Mente. I nuovi modelli della Vita Artificiale,il Mulino, Bologna 1999, pp.80-81. 
 10
che questi sistemi possano rappresentare anche soltanto una 
semplificazione dei nostri comportamenti. 
Eleonora Bilotta definisce così la costruzione di sistemi intelligenti 
basati sul comportamento: “La tecnologia negli ultimi decenni è 
migliorata utilizzando due tipi di modelli di descrizione dei fenomeni, 
sviluppando modelli computazionali, o descrizioni orientate al 
processo, in termini di un insieme di strutture di dati ed algoritmi.[…] 
Sviluppando modelli artificiali si può costruire uno strumento fisico 
(o artefatto) il cui comportamento reale dia origine  a fenomeni 
comparabili con i fenomeni naturali in circostanze simili.[…] Le 
realizzazioni del primo tipo di modelli possono essere semplicemente 
simulazioni.[…] Costruire sistemi usando i modelli artificiali vuol 
dire invece mettere insieme una serie di componenti fisiche (un corpo 
fisico di uccello, con tutte le sue parti) e si potrebbe essere soddisfatti 
di tale artefatto solo se fosse capace di volare realmente. Un sistema 
artificiale non può sfuggire al confronto con un ambiente reale 
complesso e, per queste ragioni, è più difficile da costruire.[…] 
Questa metodologia evidenzia che sono stati individuati gli elementi 
di base dell’approccio basato sul comportamento in Intelligenza 
Artificiale: lo studio del comportamento intelligente e la metodologia 
di costruzione dei sistemi artificiali. Il terzo elemento è l’orientamento 
biologico di tale tipo di approccio.”
8
  
Quindi se l’Intelligenza Artificiale classica riduceva il comportamento 
umano a conoscenza, di contro l’approccio basato sul comportamento 
definisce l’intelligenza come il comportamento che fornisce al sistema 
la possibilità di autopreservarsi e di adattarsi. 
                                                 
8
 E. Bilotta, Dalla Scienza Cognitiva agli Agenti Intelligenti, Edizioni Memoria, Cosenza 1999, pp. 
85-86. 
 11
4. La concezione funzionalista 
 
La concezione funzionalista descrive i processi psicologici in forma di 
processi funzionali, interpretandoli come relazioni tra elementi, a loro 
volta interpretati come simboli. 
 I simboli, però, hanno bisogno di regole per connettersi tra di loro e 
queste regole, nel loro insieme, sono dette sintassi. La sintassi altro 
non è che una forma di calcolo e fa della non ambiguità la sua 
caratteristica principale. 
Secondo questo modello di indagine, la psiche è un insieme di 
funzioni elementari che vengono computate a iniziare dall’alternativa 
basale, quella tra lo stato 0 e lo stato1, o tra acceso/spento, o tra vero/ 
falso, secondo una logica binaria semplice. Questo tipo di logica 
permette la scelta tra due possibilità equiprobabili, configurando il bit 
o quantità elementare di informazione: ogni bit è un’informazione che 
consente di sciogliere un’alternativa. 
Il convincimento di chi sostiene questa concezione mette sullo stesso 
piano il cervello e il calcolatore, in quanto il primo, come il secondo, 
ha come funzioni fondamentali quelle di ricevere, manipolare e 
trasmettere informazioni. La sola differenza è che nel cervello tali 
funzioni avvengono su base biologica anziché elettronica. 
Così come l’hardware vale come l’equivalente del cervello altrettanto 
il software, cioè il programma che viene dato al calcolatore, è 
l’equivalente dei processi psichici, andando ad eseguire algoritmi, in 
funzione dell’ottenimento di un obiettivo. 
L’obiezione principale rivolta a questo tipo di concezione riguarda 
l’eccessivo riduzionismo nei confronti della mente, assunta solo per il 
 12
suo aspetto sintattico o computazionale. Così si ignora del tutto la 
dimensione semantica, cioè quella del significato e quindi quella che 
ha validità qualitativa, per così dire. 
La concezione funzionalista, pertanto, valorizza l’aspetto funzionale 
della mente, secondo il quale ogni processo psichico è esprimibile 
come una funzione computazionale, godendo di una relativa 
indipendenza rispetto al substrato materiale che la realizza. 
In poche parole tale tesi consente lo “svincolamento concettuale delle 
computazioni dalle loro realizzazioni fisiche”
9
. 
L’aspetto sul quale si deve puntare l’attenzione è quello delle 
disgiunzioni binarie, in quanto la struttura formale del processo ( nel 
nostro caso quello cognitivo) è una relazione disgiuntiva. Ogni 
processo cognitivo si costituisce in forza dell’alternativa. La relazione 
di conseguenza logica stessa si fonda sull’alternativa, sulla relazione 
disgiuntiva. Si può quindi dire che ogni nesso logico è la risposta a 
una domanda implicita. Il nesso che vincola B ad A si pone a muovere 
dalla possibilità che A si vincoli a non B, piuttosto che a B, possibilità 
esclusa poi dal porsi del nesso tra A e B. 
Tutto questo vale però a condizione di considerare, come regola 
basale del calcolo proposizionale, quella dell’assunzione. Non si può 
dedurre senza assumere; senza una premessa non si può pervenire ad 
alcuna conclusione. Nel calcolo proposizionale la premessa che vige 
in ogni schema deduttivo è una proposizione condizionale del tipo: se 
P, allora Q. Ma la deduzione, che consente di pervenire alla 
conclusione Q, si pone solo a condizione che sia data la relazione tra P 
e Q. Ma tale relazione si pone escludendo quella tra P e non Q. 
                                                 
9
 D. Marconi, Filosofia e scienza cognitiva, cit. , p. 11.  
 13
Questa considerazione consente di comprendere come l’informazione 
è ciò che permette di sciogliere l’alternativa, di eliminare il dubbio. 
Solo così si può intendere il processo cognitivo: come un insieme di 
passi logici che si susseguono e ognuno dei quali pone una relazione 
eliminando una disgiunzione. 
 
 14
5. Linguaggi artificiali 
 
Abbiamo già visto qual è l’elemento di differenza fondamentale tra la 
comunicazione intersoggettiva, quindi umana, e la computazione che 
è espressa mediante i linguaggi artificiali: l’ordine dei significati, cioè 
il valore che ha l’interpretazione per l’uomo. L’uomo è capace e sente 
il bisogno di configurare, oltre al rapporto sintattico, anche quello 
semantico, cioè del significato 
Pertanto, il segnale diventa segno e i soli bit, se non riempiti di 
significato dall’intelligenza umana, non bastano a dare senso alla 
comunicazione. 
È proprio il riferimento al significato l’aspetto più problematico del 
linguaggio, non essendo possibile configurare un linguaggio che 
ponga riferimenti univoci tra segni e significati.  
Un linguaggio di questo tipo sarebbe ideale e non ci sarebbe bisogno 
di interpretazione in quanto non si porrebbe la relazione tra significati 
e simboli 
Con ciò si intende dire che non si può assolutizzare l’aspetto formale , 
o sintattico, del linguaggio in quanto le stesse “forme” si pongono 
solo perché fanno riferimento a dei “contenuti”, dai quali si può bene 
prescindere se si fa riferimento alla correttezza formale delle 
espressioni, ma non si può certamente prescindere in senso assoluto, 
per non perdere il valore fondante del linguaggio: comunicare 
significati. 
 
 15
6. I processi cognitivi come calcoli e algoritmi 
 
Diego Marconi afferma che il processo cognitivo è comunemente 
inteso come “qualcosa di simile a un calcolo, in cui si opera su certi 
dati secondo certe regole”
10
, le quali regole, a detta dei sostenitori 
della natura computazionale della cognizione, non sono di solito 
consce. 
Come abbiamo già detto gli elementi essenziali che configurano un 
processo cognitivo sono due: il suo esercitarsi su rappresentazioni e il 
suo procedere secondo regole. 
Chomsky lascia intendere che una rappresentazione è una 
configurazione determinata di rapporti determinati
11
 e le 
rappresentazioni descrivono una struttura gerarchica che consente il 
disporsi delle stesse a livelli differenziati. 
Searle invece, pur affermando la rilevanza del binomio regole-
rappresentazioni, invita a non tralasciare l’aspetto intenzionale , per 
non ritrovarsi di fronte soltanto a processi meccanici, che escludono la 
coscienza della mente. 
Per procedere nella nostra indagine è però necessario precisare i 
concetti di calcolo e algoritmo. Generalmente con l’espressione 
“algoritmo” si intende un processo di calcolo, ma anche l’espressione 
formale di un evento biologico. Queste espressioni formali, lo dice il 
nome stesso, sono la forma di calcolo del rapporto tra eventi, 
considerati non per le loro qualità intrinseche, ma per il loro 
                                                 
10
 D. Marconi. Filosofia e scienza cognitiva, cit. , p.8. 
11
Per un approfondimento, rinviamo, in particolare, a  N. Chomsky, Linguaggio e problemi della 
conoscenza, il Mulino, Bologna 1998. 
 16
rapportarsi reciproco, definendo il variare di certi eventi al variare di 
certi altri eventi. 
Queste espressioni formali sono dette “funzioni”, da cui 
“funzionalismo”. 
Ogni volta che si parla di funzione, algoritmo e computazione si fa 
sempre riferimento al rapporto sintattico tra dati, che prende in 
considerazione gli eventi come forme o come grandezze e non come 
contenuti. 
Si può dire quindi che le forme godono di una relativa indipendenza 
rispetto ai contenuti, relativa in quanto la forma non si pone se non 
come riferimento al suo contenuto, così come il segno al suo 
significato. 
Per riassumere si può dire che la forma descrive la cosa come 
elemento di un sistema più ampio; il contenuto la descrive come 
sistema essa stessa. 
Per quanto riguarda il concetto di calcolo, Leibniz afferma che “il 
calcolo o operazione consiste nella produzione di relazioni compiuta 
mediante trasposizione di formule , effettuate secondo determinate 
leggi”
12
. 
Perciò, è importante il concetto di relazione , come medio tra due 
estremi, come passaggio, riferimento e connessione tra due identità. 
Quindi relazione indica il valore dinamico, e non statico, della mente, 
che non può venire inteso come una res o uno status, ma come un 
processo cognitivo: una funzione che origina funzioni, appunto
13
. 
Il concetto di calcolo vale anche come metodo o procedimento 
deduttivo utile per effettuare inferenze svincolate dai dati di fatto, dal 
                                                 
12
 G. W. Leibniz, Scritti filosofici, Utet, Torino 1967-68, II, p. 204. 
13
 Cfr. A. Stella, Cognizione e coscienza, cit. ,p. 100. 
 17
momento che definiscono  i procedimenti sia della matematica che 
della logica. 
Chi parlò per la prima volta di logica formale fu Aristotele con il 
sillogismo, che incentra l’attenzione sulle firme logiche del 
ragionamento piuttosto che sui suoi contenuti; forme che, se valide, 
valgono per qualsiasi altro sillogismo dello stesso aspetto. 
Numerosissimi studiosi si sono occupati di logica di logica e calcolo 
logico, tuttavia quello che potremmo definire il valore logico 
fondamentale è la relazione, esprimente sia il rapporto che sussiste 
nelle cose che quello che sussiste fra le cose, rapporto misurabile e 
calcolabile. 
Giuseppe Gerolamo Saccheri nella sua Logica demonstrativa del 1697 
afferma che “vale l’inferenza da una verità a un’altra , ovvero da un 
termine all’altro, quando si da una connessione necessaria tra l’uno e 
l’altro, ovvero quando l’uno non può stare senza l’altro”
14
 
Si intende così come tutto il problema della deduzione si incentri sulla 
relazione di conseguenza logica, che a sua volta si incentra sulla 
“necessità” che la caratterizza, legata alle regole in cui si effettua la 
deduzione: il vincolo tra antecedente e conseguente deve essere 
universale e necessario. 
Se, come abbiamo detto, l’operazione è una relazione posta secondo 
regole, è ora d’obbligo riflettere sui concetti di regola e legge. 
 
                                                 
14
 G. G. Sacchieri, Logica demonstrativa, I, IV, 61-62. 
 18
7. Regole e leggi 
 
Parlando di processo cognitivo abbiamo già precisato come esso valga 
come elaborazione di informazioni secondo regole. Prima di andare 
avanti si deve però procedere alla tematizzazione del concetto di 
“regola”, finora solo assunto. 
Nella “Critica della ragion pura”
15
 Kant intende la regola come forma 
mediante cui si pone l’unificazione dei fenomeni e se questa regola 
non può venire posta, essendo intrinsecamente necessaria, si parla di 
“legge”. La convinzione di Kant è che l’unità dell’esperienza e le 
connessioni tra fenomeni sono imposte dalla struttura a priori del 
soggetto, cioè dalla appercezione pura. Regole e leggi servono a 
esprimere la razionalità del mondo; secondo Kant introdotta dalla 
stessa attività dell’intelletto. La regola nei confronti del processo ha 
valore prescrittivo: indica come esso debba svolgersi. 
Riprendendo Kant, si può dire che la regola ha valore convenzionale e 
si configura organizzando un sistema di eventi: indicandone il 
“metodo”. La legge invece ha un valore oggettivo, necessario, 
esprimendo la relazionalità intrinseca tra dati diversi, valendo così 
come formula dello stato delle cose.  
Sintetizzando, si può dire che la regola attiene a un procedimento, la 
legge a una struttura. Quindi la regola si occupa del problema della 
correttezza, la legge di quello della verità. 
Questa distinzione tra regola e legge vale in ambito logico-formale, 
ma fatica a trovare traduzione nell’ambito della scienza cognitiva. 
Nell’ambito della logica la legge è il principio che definisce le regole 
                                                 
15
 I. Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 1977, vol. II, p. 661. 
 19
dell’inferenza corretta: indica come si deve pensare per pensare 
correttamente. Nell’ambito della psicologia invece, la legge spiega i 
fenomeni in senso causale, occupandosi di come si produce il 
fenomeno del pensiero, cercando cioè di spiegarlo in termini di 
processi biologico-materiali. Perciò, si dice che la psicologia tende a 
naturalizzare la mente. 
Da qui la polemica degli antipsicologisti Frege, Husserl e Russell, 
sostenitori del fatto che i principi non vengono desunti dalla natura, 
ma è la natura che si configura avendo il principio come proprio 
fondamento ideale. Per sapere se un ragionamento è valido o un 
giudizio corretto ci si deve rifare a norme , regole o criteri non 
analizzabili in termini relativi all’ambiente bilogico o sociale o in base 
alle capacità psicologiche degli individui. 
C’è però da precisare che le stesse regole della logica formale 
derivano dall’esperienza. Quindi un legame empirico è comunque 
necessario, nonostante l’intento sarebbe quello di individuare norme 
pure a priori. Perciò la formalizzazione è semplicemente la messa in 
forma di giudizi osservabili. 
Come nelle diatribe tra sintattico e semantico o tra forma e materia, 
anche in questa tra logica formale e psicologia la verità sta nel mezzo, 
cioè le due concezioni sono le due facce della stessa medaglia: i 
processi formalizzati hanno bisogno di stati materiali per aver 
qualcosa da formalizzare, appunto e gli stati materiali necessitano di 
espressioni formali per venire conosciuti. Come abbiamo già detto 
materia e forma sono allo stesso tempo relativamente indipendenti e 
relativamente dipendenti.