1. Introduzione
Chi, nel visitare la zona storica della città di Cagliari chiamata “Castello” o nel 
seguirne un itinerario artistico, non si è mai imbattuto nelle superbe torri di epoca pisana 
che dominano il territorio circostante il colle su cui sorgono? La possanza monumentale 
che le contraddistingue, dovuta alle rilevanti dimensioni e all’eccellente fattura 
architettonica, messa in risalto dall’ottima posizione strategica in altura, che le rende 
perciò osservabili anche da grandi distanze, è divenuta un vero e proprio simbolo della 
stessa città. Del resto, la prima immagine rappresentativa della città di Cagliari fu 
proprio un castello a tre torri, con la torre centrale più alta, merlata alla guelfa, tutt’ora 
osservabile negli stemmi scolpiti a rilievo presenti nelle facciate delle due rimanenti 
torri pisane, a conferma della loro importanza simbolica. L’orgoglio pisano, che si 
concretizzava nell’edificazione delle poderose torri con finalità difensive ma assurte 
subito ad immagine suggestiva di potenza e bellezza, si autocelebrava utilizzando i 
baluardi difensivi come simbolo stesso della città. Questa prospettiva simbolica 
permane tutt’oggi perché quest’antica insegna pisana è l’attuale soggetto dello stemma 
della città di Cagliari, capoluogo della Sardegna.
Affascinante aspetto quello della simbologia; soprattutto se è inerente ad un 
periodo storico come quello medioevale, che esercita sempre una forte attrattiva. In 
quest'epoca in cui fermentano i germi della nuova rinascita culturale che sarà 
l’Umanesimo, la particolare forma mentis dei contemporanei, caratterizzata dalle 
conoscenze in tutti i campi ancora fortemente strutturate sul pensiero aristotelico e della 
filosofia classica, la fortissima influenza della religione cristiana su tutti gli aspetti della 
vita del tempo, il contatto con la civiltà e la tradizione bizantina e mediorientale 
facilitata dal ripristino dei traffici marittimi sulle coste del Levante mediterraneo, le 
suggestioni chimeriche che idealizzavano il lontano Oriente avvolgendolo di un alone 
fantastico e misterioso di cui, solo in seguito, grazie all’allargamento dei traffici 
commerciali verso Est si incominciò gradualmente ad avere una conoscenza più 
oggettiva ed articolata, tutto ciò concorreva a fomentare complesse e fitte correlazioni 
simboliche, tipiche del periodo storico analizzato, in svariati ambiti, come quello 
letterario, filosofico, esegetico, artistico, architettonico.
Sono questi ultimi aspetti, quelli della simbologia in ambito artistico-
architettonico, alla base di questo lavoro, e in particolare relazione ai monumenti-
simbolo della città di Cagliari. Questo lavoro si incentra principalmente sui vari aspetti 
simbolici correlati ad una singola torre, la Torre dell’Elefante, e più specificatamente, al 
suo simbolo scultoreo. Si tratta del grazioso “elefantino” di marmo bianco, posto su una 
mensola litica, che decora il lato sud-ovest del baluardo, simbolo connotativo della torre 
omonima.
Questo lavoro ha proprio la finalità di cercare di individuare le cause che hanno 
contribuito a far nascere quel “bisogno”, insito in un contesto tipicamente medioevale, 
di connotare simbolicamente opere edificate dall’uomo, solitamente di grandi 
dimensioni, e in particolare le costruzioni di carattere difensivo, approfondendo le 
modalità di sviluppo di questo particolare “trend”, senza dubbio compreso 
3
nell’elaborazione delle categorie mentali medioevali, potenziate dalle interrelazioni 
culturali, religiose, artistiche che si instaurarono tra i diversi popoli del Mediterraneo 
per tutto il Medioevo.  
Iniziando questo percorso si cercherà, anche se in modo sintetico, di 
approfondire le influenze artistiche, filosofiche, religiose che l’Oriente, fin dall’epoca 
antica, e il vicino mondo islamico, a partire dal secolo VII-VIII, hanno esercitato sulle 
produzioni culturali europee e italiane. È ovvio che in quest’ambito specifico sarà 
impossibile affrontare tutti gli aspetti dell’“influsso orientale” che ha sempre suscitato 
grande fascino nell’elaborazione culturale occidentale. Perciò gli approfondimenti 
saranno funzionali ad un discorso che cercherà di mettere in luce gli aspetti descritti 
riguardanti la simbologia accostata agli edifici di grande mole e in particolare alle opere 
difensive. 
Nello specifico, si approfondiranno gli apporti culturali, artistici e stilistici che 
Pisa ha mutuato dall’Oriente arrivando all’elaborazione di un particolare linguaggio 
artistico ricco di riferimenti simbolici, poi diffuso in tutti i territori a lei soggetti.
Il soffermarsi sulle influenze di matrice prettamente orientale ha origine da un 
semplice fatto oggettivo. Innanzitutto…l’elefante. 
L’habitat naturale di questo grosso pachiderma non è sicuramente la penisola italiana o 
l'Europa. Esso è originario di territori africani e indiani. Ed è questo fatto che deve far 
riflettere, per quanto attiene a questo lavoro, sulla scelta di denominare una via (o 
“ruga”), una porta d’accesso di Castel di Castro di Cagliari e una torre della sua cortina 
difensiva col nome di un animale di cui si aveva notizia solo da fonti che lo 
descrivevano in modo impreciso o in modo fantastico, o al massimo, nel secolo XIII 
alla corte di Federico II, quando si era potuto osservare un esemplare in carne ed ossa 
proveniente dall’Oriente: si tratta dell’elefante regalato all’imperatore dal sultano 
d’Egitto, che aveva colpito moltissimo l’immaginazione di coloro che lo avevano potuto 
ammirare. Effettivamente solo nei territori africani e orientali, tra cui la lontana ed 
affascinante India, quest’animale era comune ed utilizzato per svariati scopi: da mezzo 
di trasporto, a “fornitore” di avorio, a mezzo bellico di carattere offensivo.
È proprio la mancanza di un riscontro diretto e la conseguente elaborazione 
mentale immaginaria di un qualcosa che, per la stragrande maggioranza della 
popolazione europea ed in particolare italiana e, nel nostro caso, pisana, non fu mai 
vista o che era più o meno nota solo attraverso imprecise mediazioni orali, scritte o, 
raramente, visive, che determina quel processo di mitizzazione tipico dell’epoca antica e 
medioevale. Questo processo mentale si verifica con tutti gli animali di cui si conosceva 
poco o niente; esaltando certe caratteristiche di una specie o dando origine ad una 
confusione tra animale e animale, a volte si arrivava alla “creazione” di veri e propri 
animali fantastici o mostri, come si può riscontrare nei vari bestiari medievali. Sempre 
in ambito di fauna fantastica, notevole è inoltre in periodo medievale l’acquisizione 
dell’elaborazione mitica, ellenica e classica, solitamente snaturata nella sua essenza 
attraverso l’interpretatio christiana, che mutuava il valore mitico originario adattandolo 
ad un contesto in sintonia con la società corrente basata sul cristianesimo.
Dal periodo ellenico si aveva conoscenza dell’elefante, e lo stesso Alessandro 
Magno fu fortemente impressionato alla vista di questi grossi animali utilizzati come 
vere e proprie macchine da guerra dalle popolazioni indigene nella sua campagna 
d’India. Sulla groppa dell’elefante veniva sistemata una sorta di torretta di legno nel cui 
interno e nella cui sommità si disponevano gli arcieri. 
L’elefante si ritrova anche nell’antico gioco degli scacchi, importato in Europa 
dagli arabi. Infatti in principio il pezzo della torre era rappresentato da un elefante 
sormontato da una torre. Questo particolare è molto interessante perché è la stessa 
4
macchina bellica offensiva che viene utilizzata dalle popolazioni indiane. E può risultare 
del tutto normale il “passaggio” da una reale applicazione di un sistema militare di 
carattere offensivo ad una “rappresentazione” di tipo ludico, ma con connotati 
fortemente strategici e tattici come quelli insiti nel gioco degli scacchi.
Questo lavoro si soffermerà in ultima analisi sulla particolare “trasmigrazione 
simbolica” che è insita nella torre dell’Elefante di Castel di Castro e curerà gli aspetti 
che hanno portato ad utilizzare un simbolo di forza e possanza come l’elefante a 
connotare per semplice induzione anche la torre omonima. Ma avrà anche il compito di 
osservare che questa “trasmigrazione” non avviene solo a livello delle singole torri, ma 
sembra “allargarsi” all’intera struttura urbanistica di Castel di Castro.
Nella prima parte di questo lavoro, in cui si passa da una sorta di “introduzione” 
ad un discorso più specifico inerente l’oggetto di questo lavoro, che verrà sviluppato 
organicamente in più fasi, si cercherà inizialmente di mettere in luce l’importanza del 
contatto di Pisa con il mondo musulmano, con l’Oriente bizantino e siriano e con il 
prestigio imperiale. Gli aspetti peculiari di queste realtà influenzarono fortemente le 
scelte politiche ed economiche, ma soprattutto quelle culturali ed artistiche, della città 
toscana, ed è da questa commistione di influenze che si vuole partire per sviluppare un 
discorso in cui si darà risalto alla formidabile elaborazione culturale pisana che 
coinvolse anche i territori soggetti al Comune toscano. 
Attraverso un percorso che tende sempre più allo specifico, si cercherà 
successivamente di mettere a fuoco le modalità che hanno permesso il “contatto” tra la 
Repubblica marinara pisana e la Sardegna a partire dal secolo XI, origine di quella 
diffusione di novità culturali, politiche, artistiche che hanno consentito ad una terra 
come la Sardegna di uscire da un isolamento plurisecolare che, anche se non in senso 
assoluto, permaneva da circa quattrocento anni. Ma se questo isolamento ebbe il merito 
di far sì che da un apparato politico e culturale di matrice tipicamente bizantina 
dipendente dalla madrepatria orientale radicato sin dal VI secolo si formasse una realtà 
statuale autoctona con caratteristiche organizzative originali che in seguito geminò in 
quattro veri e propri stati, i giudicati, tra loro indipendenti, il “contatto” con realtà 
politiche oltremarine come Pisa determinò un’apertura dell’Isola a novità in campo 
culturale, artistico, di organizzazione territoriale e sociale, che l’inserì in un circuito 
“latino” che incominciava ad espandersi in tutto il Mediterraneo. Questa apertura fu 
però gradualmente la causa dell’invadenza degli “ospiti” oltremarini che arrivò a 
destabilizzare l’autonomia dell’assetto politico ed organizzativo giudicale e, infine, a 
provocare la fine di fatto dei giudicati stessi attraverso l’occupazione coatta dei territori 
sardi. La storia di Castel di Castro di Calari si inserisce in questo contesto storico e 
l’importanza strategica dello scalo marittimo sardo in ambito mediterraneo determina il 
forte interesse della Madrepatria per l’efficienza del suo funzionamento istituzionale ed 
economico, considerando l’insediamento come emanazione politica del Comune 
toscano e perciò come proprietà da valorizzare in senso artistico-architettonico e da 
difendere attraverso la possente cinta muraria e le superbe torri del XIV secolo. 
Nei capitoli successivi alla prima parte si cercherà di dimostrare come gli “echi” 
dell’elaborazione culturale del lontano mondo orientale e musulmano e l’influenza 
dell’aulicità federiciana nelle manifestazioni artistiche e intellettuali, che vennero fatti 
propri anche da quella pisana, siano potuti arrivare, tramite Pisa, in Sardegna. 
L’interesse verterà sulle modalità del supposto sincretismo culturale che si è venuto a 
creare e che ha generato un linguaggio simbolico utilizzato per identificare la torre 
dell’Elefante, le altre torri difensive di Castel di Castro, la loro particolare posizione 
nello spazio, la loro interrelazione e quella con gli edifici sacri circostanti; inoltre questa 
5
interrelazione sembra estendersi all’intero assetto urbanistico di matrice pisana, 
identificandola simbolicamente nello spazio.
Mentre la prima parte ha la funzione di approfondire gli aspetti storici, politici 
ed artistici riguardanti Pisa, la Sardegna ed in particolare Castel di Castro e le 
caratteristiche architettoniche della torre dell’Elefante, la seconda parte verterà sulla 
ricerca dell’origine del linguaggio simbolico inerente l’oggetto di questo lavoro. Se può 
apparire relativamente semplice l’inquadramento storico-artistico sopraddetto, per via 
della vasta letteratura e degli studi specifici riguardanti tali aspetti sulla Sardegna 
medioevale, molto più impegnativo risulta l’approfondimento della seconda parte, in cui 
la difficile, in qualche caso addirittura criptata, comprensione del linguaggio dei simboli 
medioevali, nel caso specifico circoscritti e pertinenti la torre dell’Elefante, è resa ancor 
più intricata dalle trasformazioni oggettive di natura culturale che in un dato luogo si 
sono avvicendate nel tempo e dalle contaminazioni delle civiltà “esterne” che, attraverso 
gli interscambi, le acquisizioni e le permutazioni significative, rendono la prospettiva 
cognitiva di un determinato soggetto ancor più ricca e di complessa comprensione. 
Il significato di un simbolo che un determinato popolo o gruppo sociale ha scelto 
per identificare un determinato concetto può variare, trasformarsi, adattarsi nel tempo 
alle situazioni storiche, ambientali, culturali. 
Il valore simbolico è variabile e mutevole, come l’importanza ad esso relativa. 
Può essere, nello specifico, il caso della simbologia concernente la torre in oggetto e la 
sua scultura decorativa. In un periodo culturalmente complesso come quello 
medioevale, le modalità costruttive, le caratteristiche e le dimensioni della sua struttura 
architettonica, il suo esatto orientamento, la sua idealizzazione in rapporto al suo 
elemento decorativo non potevano essere casuali, avevano uno specifico significato, una 
grande importanza ed un forte impatto nell’immaginario della popolazione pisana (e dei 
suoi nemici, per via del carattere bellico della torre); ma a distanza di oltre settecento 
anni dalla sua edificazione questo significato ha perso terreno perché è variato il 
contesto storico e culturale in cui fu pensata e costruita e la sua valenza significativa 
non è più, ai nostri occhi, sostanziale come allora.
L’identificazione e la comprensione del significato simbolico (o significati…) 
che la torre dell’Elefante di Cagliari ha avuto in un contesto culturale variegato come 
quello medioevale appare perciò di particolare importanza al fine di approfondirne le 
modalità e gli intendimenti costruttivi fortemente collegati agli stessi aspetti simbolici 
che la connotano. Significati che, come si è detto, per ragioni diverse, si sono obliati col 
tempo e il loro recupero appare sicuramente un tentativo audace, perché irto di non 
poche difficoltà interpretative. Ma è un tentativo doveroso perché potrebbe 
rappresentare un piccolo tassello da aggiungere alla comprensione del passato che ci 
riguarda, che riguarda la storia della nostra Isola, della città di Cagliari e delle sue 
splendide torri medioevali; in particolare della torre dell’Elefante e della sua importanza 
non solo come baluardo difensivo in sé e per sé, ma come elemento rappresentativo e 
simbolico dell’immaginario collettivo del periodo; emblema di cui, ai giorni nostri, solo 
in modo superficiale si riesce a percepire l’affascinante complessità interpretativa.
6
2. Pisa e la Sardegna nel Medioevo
2.1 Pisa, l’Impero, il Mediterraneo e le “vie dell’Oriente”
Iniziando questo percorso che si propone di far luce sull’origine e l’evoluzione 
formale di un determinato linguaggio artistico e architettonico carico di riferimenti 
simbolici di un particolare popolo come quello pisano che, in un dato tempo ha lasciato 
le sue “orme” anche nella nostra Isola, ovviamente delimitandolo agli aspetti che più 
interessano l’oggetto di questo studio, sarà utile a riguardo approfondire gli sviluppi non 
solo artistici, ma anche sociali e politici riguardanti il periodo più florido della 
Repubblica marinara che va dal XI alla fine del XIII secolo, per ottenere una visione più 
completa ed esaustiva della materia da trattare.
Questo linguaggio artistico, come tutti quelli delle varie epoche e dei vari popoli, 
non nasce dal nulla e non è solamente un prodotto autoctono. Esso, oltre a vantare una 
tradizione gloriosa come quella classica, è anche il risultato indiretto dell’incontro di 
svariati contatti politici, sociali, culturali ed artistici delle varie popolazioni che nel 
florido periodo medioevale in questione hanno arricchito gli stilemi e la sensibilità 
artistica del popolo pisano.
Tralasciando momentaneamente il discorso sugli aspetti peculiari che 
caratterizzano il trend artistico pisano, in questo capitolo si metterà in evidenza ciò che 
portò Pisa ad avere un peso non indifferente sulle vicende storiche che investirono tutto 
il Mediterraneo. Sarà proprio questa posizione preminente di carattere economico e 
commerciale in ambito mediterraneo che produrrà, in un secondo momento, anche un 
arricchimento del linguaggio artistico, dovuto all’inevitabile contatto con le tradizioni 
delle popolazioni differenti, e che porterà Pisa, per un determinato periodo della storia 
dell’arte, a divenire punto di riferimento delle arti visive e architettoniche in Italia.
Pisa, come quasi tutte le città del nord e del centro della penisola italiana, subì, 
dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, le invasioni barbariche con tutte le 
conseguenze politiche e amministrative che ne conseguirono. Se i Longobardi 
lasciarono tracce non indifferenti del loro passaggio, furono sicuramente i Franchi a 
creare, con la trasformazione dei ducati longobardi in marchesati, una nuova struttura 
che diede vita alla Marca di Tuscia o della Toscana con la dinastia dei Canossa al 
potere, mentre i dromones pisani percorrevano il Mediterraneo occidentale insieme alle 
flotte franche. A Pisa le attività marittime avevano portato gli abitanti a distaccarsi 
sempre più dai grandi feudatari; erano stati gli armatori, i mercanti e i maiores nobiles a 
creare un’associazione privata a tutela degli interessi propri, la quale costituirà il primo 
nucleo dell’autonomia cittadina. La prima organizzazione giuridica dei cives fu il 
Commune colloquium civitatis o Parlamentum. Ed è alla fine dell’XI secolo che il 
Comune pisano si era reso sempre più autonomo, come risulta da un documento senza 
precisa datazione ma collocabile tra il 1080 ed il 1085, redatto in lingua sarda e diretto 
dal Giudice di Torres, Mariano de Lacon, al vescovo Gerardo, al “vicecomite” Ugo e ai 
consoli cittadini. In esso si tratta di esenzioni daziarie, di amministrazione della 
giustizia e di protezione dei traffici pisani in Sardegna. Con la menzione del Consolato 
7
nel documento citato, la data 1080-1085 si può considerare come quella ufficiale di 
costituzione del libero Comune pisano. Antecedentemente a questa data non si hanno 
notizie del Consolato, ma quasi sicuramente, esistendo il “consorzio” dei cives, la città 
godeva di una larga autonomia che è provata da alcuni fatti precedenti come quando nel 
1070 i Pisani si erano ritirati, dimostrando così la loro indipendenza, dalle trattative in 
corso, che si svolgevano alla presenza dei marchesi di Toscana presso Viterbo, per 
concordare gli aiuti da portare al papa Gregorio VII contro i Normanni. A ciò si 
aggiungono le più importanti imprese marittime contro i Saraceni, le quali provano, 
senza alcun dubbio, che i maggiorenti della città agivano, anche se da privati cittadini, 
alquanto indipendentemente dal potere comitale
1
.
Nei decenni in cui lottava con i musulmani nel Mediterraneo occidentale, Pisa 
nello stesso tempo tentava di scalzare gradualmente i diritti di sovranità imperiali e 
comitali per raggiungere l’autonomia amministrativa prima e la completa indipendenza 
dopo. Già la Chiesa si era dimostrata riconoscente per le imprese antisaracene; infatti, 
Gregorio VII aveva concesso nel 1075 il suo beneplacito alle esistenti “Consuetudini 
del mare”, prime norme giuridiche alla navigazione. Importante segno distensivo e di 
amicizia tra Pisa e l’Impero fu il Diploma concesso dall’imperatore Enrico IV nel luglio 
del 1081, in occasione della visita della città, e implicito riconoscimento della sua 
autonomia attraverso la proprietà, le consuetudini, la libertà dei traffici e l’esenzione 
dalle tasse del mercato. L’imperatore concesse inoltre l’elezione dei dodici uomini per 
la gestione del potere da parte dell’organizzazione giuridica dei cives e autorizzò il lodo 
dei magistrati incaricati alla nomina del marchese di Toscana o del vicario imperiale. 
Era un riconoscimento teso a creare un partito pisano filoimperiale ma che era destinato 
a segnare l’inizio di una vita comunale più libera e tendente al raggiungimento 
dell’indipendenza politica. Certamente l’Impero vantava ancora dei diritti di sovranità 
ma, di fatto, la esercitava piuttosto blandamente, rendendola in quel tempo piuttosto 
inesistente
2
.
In questo clima parzialmente liberale si arrivò ad una notevole evoluzione 
giuridica, basata sulle antiche leggi longobarde e romane, che portò all’elaborazione 
intorno al 1160 del Costitutum usus e del Costitutum legis, per giungere in pochi anni 
alla redazione del Codice Civile pisano.
Con l’ascesa di Federico I di Svevia detto il Barbarossa, Pisa, in virtù della 
fedeltà mostrata verso l’imperatore nelle lotte verificatesi nei territori italiani tra i 
Comuni e l’Impero, ottenne grandi vantaggi. La politica del Barbarossa era tesa 
all’affermazione della renovatio imperii, ossia la volontà di restaurare l’autorità 
imperiale di fronte alle palesi usurpazioni che il pontefice e i Comuni di tutta la penisola 
avevano perpetrato nel tempo, ed è ovvio che da queste contrastanti posizioni nacquero 
complesse lotte politiche. Inoltre il progetto federiciano di conquista dell’Italia 
meridionale normanna apriva nuove prospettive di affermazione commerciale per i 
Pisani, la cui flotta era indispensabile al successo dell’impresa. Il 6 aprile 1162 il 
sovrano rilasciava ai Pisani un Diploma che sanzionava il riconoscimento della piena 
giurisdizione civile e criminale. Pisa era ormai una potenza soggetta all’Impero ma 
libera entro il suo Stato che venne assicurato militarmente, almeno nei possessi del 
litorale e dell’entroterra toscani, dove i grandi feudatari dovettero riconoscere l’autorità 
della Repubblica
3
.
Agli inizi del XIII secolo si determinò a Pisa il trapasso dal governo consolare a 
quello podestarile. Alla nuova magistratura del podestà fu affidato il compito di 
1
 Benvenuti 1989: 38-39.
2
 ivi: 44-46.
3
 ivi: 83-84.
8
dirimere le dispute sorte tra i membri dell’aristocrazia consolare cittadina, soprattutto 
degli Upezzinghi, i Visconti e i Gherardesca delle varie consorterie sempre presenti nel 
consolato e sedenti in senato; tra questi ultimi, perché più vicini all’Impero, venne 
nominato il primo Podestà con formula Potestas et Consul. Anche le forze sociali si 
erano meglio organizzate, disciplinando le corporazioni industriali, commerciali e 
artigiane; le diverse arti e mestieri si raggrupparono nella Corporazione dei mercanti che 
ebbero i propri consoli (Consules mercatorum Pisanorum), comprendenti i merciai, gli 
speziali e i pellicciai. Erano sorti anche i Consules artis lanae con rilevante posizione 
nell’ordinamento corporativo. Ma con lo sviluppo dei commerci marittimi gli operatori 
del settore avevano costituito l’ordo maris seguito dalla Curia maris, le quali poi 
saranno meglio regolati dal Breve curiae maris del 1215-1220 e più ancora dai Brevia 
del 1305 e 1345
4
.
Lo stretto legame politico esistente tra Pisa e l’Impero si mantenne saldo nel 
tempo. L’imperatore Federico II concesse con il Diploma del 20 novembre 1220 i 
vecchi privilegi già elargiti dagli Svevi, assicurando inoltre la piena giurisdizione sul 
contado e il possesso della costa tirrenica da Civitavecchia a Portovenere. La presenza 
nella penisola di Federico II, che intendeva seguire la politica della renovatio imperii 
dei suoi predecessori, riaccese ben presto la rivalità tra i Comuni e l’Impero. In Toscana 
il particolarismo comunale accentuò i dissidi tra Pisa ghibellina e Firenze guelfa, 
portandole a scontri armati nei rispettivi contadi, dove intervennero pure le altre città 
fedeli alla politica anti-imperiale della Chiesa. La morte del sovrano nel 1250 contribuì 
a rendere critiche le condizioni politiche interne del Comune pisano, sempre turbato 
dalle lotte per il potere tra le famiglie nobili. Questi torbidi causarono un rivolgimento 
istituzionale che si svolse tra il 1250 e il 1260 e portò all’istituzione del Consiglio degli 
Anziani e alla nomina del Capitano del popolo. I conflitti interni tra le varie famiglie 
nobili della città però non si placarono. I nemici esterni (Firenze, Lucca, Genova e le 
altre città guelfe) approfittarono della situazione precaria del Comune toscano e ben 
presto la politica antipisana ebbe l’adesione anche del giudice di Gallura Giovanni 
Visconti e del conte Ugolino della Gherardesca di Donoratico. Ma il conflitto maggiore 
di quegli anni fu combattuto contro Genova; un conflitto iniziato più di un secolo prima 
e destinato a protrarsi sino alla battaglia decisiva della Meloria del 1284 che vide Pisa 
duramente sconfitta e che segnò la progressiva decadenza della Repubblica toscana
5
.
Questa è in sintesi lo sviluppo politico, giuridico e commerciale delle istituzioni 
pisane sino al periodo storico inerente a questo lavoro. Ma questo trend di sviluppo 
riguardava anche agli altri territori italiani e mediterranei.
Nel periodo compreso tra l’XI e il XII secolo, in cui si giungeva alla piena 
maturità organizzativa delle entità statuali come l’Impero ed il Papato e incominciava a 
nascere la consapevolezza politica dei gruppi sociali delle città, soprattutto italiane, si 
verificò una sorta di accelerazione delle varie attività che coinvolgevano tutti gli aspetti 
della vita delle popolazioni europee e mediterranee. Le attività commerciali e mercantili 
riacquistavano vigore dopo il lungo periodo di torpore dei secoli precedenti in cui le 
varie invasioni barbariche e la più recente espansione musulmana sulle rotte marittime 
avevano limitato gli scambi economici tra i vari territori europei e mediterranei.
Il nascente Comune pisano perseguì questa scelta di allargare gli orizzonti 
commerciali puntando sulla fiducia nelle proprie forze e nella sua indole orgogliosa, 
dando luogo ad un movimento di espansione economica che coinvolgeva tutta la 
popolazione e che concorreva all’aumento del prestigio e del potere del Comune stesso. 
Queste intenzioni sono probabilmente alla base della volontà pisana di trarre beneficio 
4
 ivi: 88.
5
 ivi: 90-97.
9
dalle immense opportunità che potevano derivare dall’espansione del controllo delle 
rotte mediterranee.
Fin dagli inizi del secolo VII, su testimonianza di Gregorio Magno, esisteva in 
Pisa una flotta già nota per la sua efficienza, confermando una certa autonomia e libertà 
di movimento dai Longobardi che occupavano il territorio toscano
6
. Ma è dal X secolo 
che Pisa si fa iniziatrice di quel mirabile sforzo che occupò le varie nazioni europee a 
riappropriarsi dei territori cristiani occupati dagli arabi a partire dal secolo VII e delle 
rotte marittime che più facilmente collegavano i territori costieri del Mediterraneo e che 
erano rese pericolose dalla minaccia saracena.
La spedizione in Calabria (970), la presa di Reggio (1005), la sconfitta di 
Mughaid in Sardegna (1016), la spedizione di Bona (1034) e quella di Palermo (1063), 
la conquista di al-Mahdia (1087) e delle Baleari (1113-15) sono le principali tappe di un 
rapido riacquisto del controllo cristiano dei territori caduti nelle mani arabe e segno 
dello sviluppo della potenza pisana sul mare
7
.
Di notevole importanza, ai fini di un discorso artistico, fu soprattutto l’impresa 
di Palermo del 1063 perché il ricco bottino derivante dai saccheggi arrecati alle navi 
saracene stanziate nel porto palermitano permise l’inizio della costruzione della 
cattedrale, dedicata a Santa Maria Assunta. Allo scopo di tutelare i loro interessi nel sud 
della penisola, i Pisani avevano già preso contatto con i Normanni che, prima guidati da 
Roberto detto il Guiscardo e poi da Ruggero d’Altavilla, avevano già occupato gran 
parte delle regioni meridionali. L’intento normanno di occupare anche la Sicilia 
musulmana ottenne l’appoggio di Pisa. L’attacco del 1063 non produsse l’occupazione 
della città, a causa dell’accanita difesa saracena, ma fruttò a Pisa l’acquisto di tante 
ricchezze di provenienza araba
8
.
Le spedizioni erano il risultato della ferrea volontà di Pisa di trarre beneficio dal 
controllo del Mediterraneo, “luogo” di incontro di culture differenti e principale 
“mezzo” di diffusione e sviluppo del commercio che doveva soddisfare le richieste di 
un mercato sempre più esteso ed esigente.
Era però inevitabile che questa politica di espansione commerciale alla fine 
venisse a scontrarsi con gli interessi simili delle altre Repubbliche Marinare, Venezia, 
Genova e Amalfi, in special modo quelle concorrenti che si affacciavano nel Mar 
Tirreno.
Venezia e Amalfi, che avevano fatto parte dell’impero romano d’Oriente e che si 
erano rese indipendenti molto presto in modo progressivo, non avevano comunque 
tagliato il cordone ombelicale con la ex madrepatria. Già dal primo Medioevo si erano 
inserite attivamente nei circuiti commerciali di Costantinopoli e in quelli arabi, 
divenendo l’una una sorta di passaggio obbligatorio delle merci orientali nell’area 
padana; l’altra anche un luogo terminale cristiano del mondo islamico a cui apparteneva 
la vicina Sicilia, conquistata nel IX secolo.
Amalfi, entrata nell’orbita normanna nel 1131, ancora nei primi decenni del XII 
secolo frequentava con i suoi mercanti e le sue navi i porti di Costantinopoli e 
dell’Egitto. Il suo declino commerciale iniziò nel 1133, in concomitanza col contrasto 
tra il papa Innocenzo II, appoggiato politicamente da Pisa, e il re normanno Ruggero, 
che aveva dato sostegno all’antipapa. Pisa riuscì ad assoggettare Amalfi, Ischia, 
Sorrento e Salerno attraverso le spedizioni navali del 1135 e 1137
9
.
6
 Rossi-Sabatini 1935: 1. 
7
 ivi: 4.
8
 Benvenuti 1989: 43-44.
9
 Tangheroni 2003: 139-140.
10