2
apporterà; dall’altro, la consapevolezza degli obblighi imposti dal 
nostro ruolo nell’unificazione del continente”
2
. 
Le autorità polacche, peraltro, hanno dichiarato la loro ferma 
intenzione di utilizzare il periodo precedente all’accesso per 
creare le condizioni che permetteranno al Paese di partecipare in 
termini paritari all’interno dell’U.E.; a tal riguardo, il 
“Comitato per l’integrazione Europea”
3
, nella parte introduttiva 
del documento denominato “Strategia Nazionale per 
l’Integrazione”, ha affermato: ”La nostra comune esperienza 
storica europea mostra che le società che rimangono fuori della 
via maestra della cooperazione economica, vengono lasciate 
dietro... La qualità di membro dell’Unione Europea richiede 
sostanziali aggiustamenti dell’economia e delle leggi. E’ perciò 
necessario intensificare le preparazioni affinchè la Polonia possa 
non solo adempiere alle condizioni formali per l’ammissione 
nell’UE, ma anche guadagnare il maggior vantaggio possibile nel 
periodo prima e dopo l’accesso”. 
Anche l’economista Jersey Hausner
4
, coordinatore dei consiglieri 
del Primo Ministro Grzegorz Kolodko tra il 1994 e il 1997, 
sostiene che il soddisfacimento da parte della Polonia dei criteri 
ai quali l’UE ha subordinato l’accesso, costituisce una 
condizione necessaria ma non sufficiente per una reale 
integrazione con l’Europa. Condividendo l’impostazione del 
Comitato per l’Integrazione Europea, egli ritiene che un 
                                                           
2
 Tratto da AGENDA 2000 [7/1997]; p.10. 
3
 Il Comitato per l’integrazione europea (KIE) ha sostituito nel 1996 l’Ufficio Plenipotenziario 
per l’Integrazione Europea e l’Assistenza estera (che era Stato creato dopo la stipulazione 
dell’Accordo Europeo con l’Unione Europea nel 1991) ed ha il compito di avviare ed 
organizzare tutte le attività che riguardano il processo d’integrazione nell’UE, specie nelle aree 
dell’economia e del sistema normativo. 
4
 Tratto da Friedrich Ebert Foundation [1998]; pp.9-12. 
 3
aggiustamento formale, seppur meticoloso, agli standard dettati 
dall’Unione, non garantirebbe il futuro sviluppo del Paese. 
D’altre parte, fa notare Hausner, sebbene, ufficialmente, le 
condizioni d’accesso siano solamente quelle stabilite dall’UE nel 
1993 a Copenaghen, è molto probabile che l’autonoma decisione 
della Polonia di convergere anche verso i parametri economici di 
Maastricht
5
, avrà un positivo impatto sul corso delle negoziazioni 
e sull’eventuale data d’ammissione
6
. Sembra, infatti, che il grado 
di aggiustamento dell’economica polacca agli standard europei 
stia diventando essenziale per rafforzare la posizione negoziale 
del Paese. In effetti, Saryusz-Wolski
7
, Vice-Rettore del Collegio 
d’Europa di Varsavia, spiega che, all’inizio del processo di 
transizione, l’entusiasmo dei Paesi dell’U.E. verso 
l’allargamento ad Est (provocato dalla fine della Guerra Fredda 
e dalla caduta del Muro di Berlino) era stato imperniato su 
motivazioni politiche e di sicurezza militare; in quel periodo, 
cioè, si riteneva che conservare le barriere e le ineguaglianze 
esistenti tra gli Stati occidentali e quelli centrorientali avrebbe 
inevitabilmente messo in pericolo la stabilità sia politica che 
militare del continente europeo. Con la dissoluzione del Patto di 
Varsavia e, ultimamente, con l’adesione alla NATO di alcuni 
Paesi dell’Est (tra cui la Polonia), tale pericolo è andato via via 
sfumando, riportando l’attenzione dei politici e dell’opinione 
pubblica dell’Unione Europea su considerazioni meramente 
economiche. In particolare, attualmente si teme per gli enormi 
                                                           
5
 I parametri di Maastricht sono quei requisiti di natura economica che gli Stati membri devono 
soddisfare per essere ammessi alla fase dell’Unione Economica e Monetaria. 
6
 Il governo polacco, attraverso il documento di programmazione economica “Euro 2006”, ha 
già definito la strategia che dovrà condurre la Polonia a far parte dell’Unione Economica e 
Monetaria. 
7
 Tratto da Maresceau [1997]; p.276. 
 4
costi finanziari che dovranno essere sostenuti per estendere le 
politiche U.E. (agricola, dei fondi strutturali, dei fondi di 
coesione, ecc.) ai Paesi candidati; questi ultimi, oltre ad essere 
economicamente arretrati, contano, nel complesso, circa 100 
milioni di abitanti (quasi 40 milioni la sola Polonia). Il nuovo 
atteggiamento delle autorità europee ben si evince da una frase 
pronunciata da Hans Van den Broek durante una riunione della 
Commissione Parlamentare congiunta UE-Slovacchia nel giugno 
1996
8
: “Nessun Paese candidato all’Unione Europea può assumere 
che l’allargamento andrà comunque avanti per ragioni 
genericamente politiche”.  
Le perplessità presenti in seno all’U.E. hanno avuto un peso 
decisivo sull’esito dei lavori della Conferenza Intergovernativa 
del 1996. Nelle iniziali intenzioni, questa avrebbe dovuto fissare 
le tappe del processo di allargamento ad Est e, allo stesso tempo, 
affrontare la riforma delle principali istituzioni  dell’Unione 
Europea, assolutamente necessaria per poter operare in modo 
efficiente nella prospettiva di un’Unione allargata; nel concreto, 
la Conferenza, conclusasi nell’ottobre 1997 con la sigla del 
Trattato di Amsterdam, ha evitato di definire chiaramente quando 
i candidati diventeranno Paesi membri, e ha rimandato a tempo 
indeterminato le riforme istituzionali. In altre parole, l’Unione 
Europea starebbe attuando quella che l’economista polacca 
Miriam Paszynski
9
 definisce “option value to waiting”; gli Stati 
dell’UE, cioè, avendo già goduto dei benefici derivanti 
dall’apertura dei mercati dell'Est alle merci occidentali, 
                                                           
8
 Tratto da Maresceau [1997]; p.277. 
9
  Paszynski [1998]; p. 6. 
 5
troverebbero convenienza nel rimandare l’accesso di nuovi Paesi 
fino a quando non si prospetteranno ulteriori e sicuri vantaggi.  
Dall’altra parte, le forze politiche dei Paesi candidati premono 
affinchè siano accelerati i tempi d’accesso; sperano, infatti, di 
riuscire a sfruttare l’iniziale entusiasmo delle popolazioni verso 
l’integrazione europea prima che queste prendano coscienza 
degli enormi sforzi economici e sociali che dovranno essere 
affrontati anche dopo l’ammissione nell’Unione Europea
10
.  
Il governo polacco, in particolare, pur consapevole che il 
processo di globalizzazione dell’economia rende inevitabili la 
modernizzazione e la ristrutturazione del proprio sistema 
produttivo, teme che ulteriori ritardi nell’entrata nell’UE 
faranno perdere ai cittadini la misura dell’importanza 
dell’integrazione del Paese nei traffici economici mondiali. Per 
di più, si afferma esplicitamente nel documento “Strategia 
Nazionale per l’Integrazione”, la Polonia, seppur disposta a 
sopportare i costi per l’adeguamento a regole imposte 
dall’esterno (e, in quanto standardizzate, non negoziabili), si 
aspetta che anche l’Unione mantenga il suo impegno ad 
accollarsi le conseguenze finanziarie che l’adesione di nuovi 
Paesi immancabilmente comporta
11
. 
In conclusione, quindi, si può affermare che, oramai, non si 
tratta più di definire “se”, bensì “quando” la Polonia e gli altri 
Stati candidati diventeranno membri europei. La decisione finale 
dell’UE in merito alla data d’accesso, pur se sottoposta 
formalmente ad una sistematica procedura di sorveglianza delle 
riforme politiche ed economiche in atto nei Paesi candidati, 
                                                           
10
 Cfr. ad esempio Jersey Hausner [1998]. 
11
 The Committee for European Integration [1997]. 
 6
scaturirà, nella pratica, dalla valutazione dei costi economici 
legati all’integrazione; la Polonia, di conseguenza, essendo un 
Paese relativamente popoloso ed economicamente arretrato, 
dovrà concentrarsi sugli aggiustamenti della propria economia: 
solo riducendo al minimo l’impatto sulle politiche finanziarie 
dell’Unione Europea, potrà sperare di ridurre al minimo i tempi 
per la sua integrazione. 
 
 
 
 
 
 
Lo scopo principale che questo lavoro si prefigge è quello 
di esaminare il processo d’integrazione della Polonia 
nell’Unione Europea, dedicando particolare attenzione alle 
politiche ed agli strumenti macroeconomici utilizzati dalle 
autorità centrali per soddisfare sia i criteri d’accesso fissati dal 
Consiglio Europeo di Copenaghen, sia i parametri economici di 
Maastricht in vista dell’annunciata volontà del governo polacco 
di partecipare entro il 2006 all’Unione Economica e Monetaria. 
Il 1° capitolo, avrà ad oggetto il processo di avvicinamento 
della Polonia alle istituzioni dell’Unione Europea avvenuto dopo 
il crollo del regime comunista, nonché l’attuale stato di 
avanzamento del processo integrativo. Verranno anche 
sottolineati alcuni degli atteggiamenti culturali e sociali dei 
polacchi in merito alla prospettiva dell’entrata nell’UE. 
Nel 2° capitolo, dopo aver ripercorso i passaggi 
fondamentali dell’economia polacca dal dopoguerra fino ai primi 
 7
anni ‘90, verrà fornito un quadro complessivo dell’evoluzione dei 
principali indicatori macroeconomici nel periodo 1994-1998. 
Nel 3° capitolo si esamineranno i progressi verso 
l’adeguamento ai criteri di Copenaghen e, soprattutto, ai 
parametri di Maastricht, con particolare attenzione alle politiche 
economiche impiegate dalle autorità centrali. Verranno in questo 
modo messe in evidenza le grandezze economiche su cui si dovrà 
ulteriormente intervenire e quelle che già soddisfano i parametri 
di Maastricht. 
Il 4° capitolo, infine, terrà conto della fondamentale 
influenza dei partiti politici, dei cittadini e dei gruppi d’interesse 
sul proseguimento del processo d’integrazione. 
 
 8
Capitolo 1 
 
1.1 LA POLONIA E L’ORIENTAMENTO VERSO 
         L’EUROPA OCCIDENTALE 
          
L’istituzione della CEE nel 1957 coincise con l’acuirsi della 
Guerra Fredda. La Polonia, inquadrata all’interno del 
COMECON, si allineò alla politica indicata dall’Unione 
Sovietica, opponendosi alla formazione di un’Europa occidentale 
integrata e rifiutando di riconoscerne la competenza 
sovranazionale nel commercio internazionale. La situazione 
iniziò a cambiare negli anni ’80, grazie alla maggiore flessibilità 
mostrata dall’Unione Sovietica nei confronti della CEE e per 
effetto della più ampia libertà concessa ai Paesi del blocco 
sovietico nel perseguimento dei propri interessi. La prima 
conseguenza tangibile di questi cambiamenti ci fu nel giugno 
1988 con la dichiarazione congiunta COMECON - CEE istituente 
relazioni diplomatiche. L’anno successivo i Paesi dell’Europa 
Centrale ed Orientale (PECO) e la Comunità Economica Europea 
stipularono un accordo decennale per il commercio e la 
cooperazione (TCA), che previde il conferimento reciproco dello 
status di nazione più favorita e la graduale abolizione entro il 
1994 delle restrizioni quantitative applicate dalla Comunità alle 
importazioni provenienti dalla Polonia; tuttavia, difficoltà e 
resistenze interne ne impedirono la completa attuazione 
(Wyrzykowska [1994]; p.4).  
 9
Questa prima generazione di accordi passò in secondo piano per 
via delle profonde trasformazioni che stavano avendo luogo in 
quella regione d’Europa. 
Nel luglio del 1989, al summit dei G7 di Parigi fu deciso di 
lanciare un programma d’assistenza a favore di Polonia e 
Ungheria per supportare le radicali riforme politiche ed 
economiche in atto al loro interno; la Comunità, infatti, ritenne 
che l’introduzione in questi Paesi di una stabile democrazia e di 
un sistema economico di mercato, avrebbe avuto successo solo 
attraverso il suo appoggio esterno. 
I G24 (il gruppo dei 24 Paesi occidentali maggiormente 
industrializzati), dal canto loro, chiesero alla Commissione 
Europea di farsi carico del coordinamento degli aiuti e 
dell’assistenza occidentali, fornendo così una prima significativa 
legittimazione al ruolo della Comunità Economica Europea nelle 
relazioni Est-Ovest. 
Poco tempo dopo, così, il Consiglio dei Ministri della CEE 
approvò il lancio del programma proposto denominato PHARE 
(Pologne et Hongrie: Actions pour la Réconversion Economique), 
destinato, fra le altre cose, a fornire a Polonia e Ungheria 
l’assistenza finanziaria e tecnica per lo sviluppo delle imprese 
private e di sistemi economici fondati sul libero mercato. Dopo la 
caduta del Muro di Berlino nel novembre del 1989 e le 
rivoluzioni negli altri PECO, il programma fu esteso a più riprese 
fino a comprendere la Bulgaria, l’allora Cecoslovacchia, la 
Yugoslavia, la Romania e i tre Stati del Baltico. La Comunità, a 
questo punto, si ritrovò totalmente coinvolta nel processo di 
 10
stabilizzazione dell’area centrorientale dell’Europa
12
 (Ministry of 
Foreign Affairs [1998]; pp.36-37).  
Per favorire tale processo, nel febbraio 1991 la Polonia stipulò 
con l’Ungheria e l’allora Cecoslovacchia un trattato di 
cooperazione, denominato “Trattato di Vysehrad”, tramite il 
quale, oltre ad instaurare relazioni preferenziali, s’impegnò ad 
armonizzare con questi Paesi tutte quelle politiche nazionali 
coinvolte nel perseguimento dell’obiettivo dell’integrazione 
nell’UE. Nonostante il valore simbolico che gli fu attribuito, il 
Trattato rimase una semplice e unilaterale dichiarazione di 
intenti
13
 (World Economy Research Institute [1998]; p.182). Ben 
più importante, sostiene Wyrzykowska ([1998]; pp.4-5), fu 
l’accordo di associazione con la Comunità Economica Europea, 
denominato “Accordo Europeo”, che la Polonia (come gli altri 
Paesi del Trattato di Vysehrad) firmò a Bruxelles il 16 dicembre 
1991
14
. Questo conteneva il proposito di istituire entro 10 anni 
delle aree di libero commercio per i prodotti industriali attraverso 
l’abolizione graduale ed asimmetrica
15
 delle tariffe doganali e di 
quasi tutte le barriere commerciali. Il suo significato, tuttavia, 
andò oltre l’aspetto puramente economico: volle offrire un quadro  
di riferimento al dialogo politico tra CEE e Polonia, e fornì  
                                                           
12
 Un ulteriore passo verso tale direzione fu compiuto nell’aprile 1991 con la fondazione della 
Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS), con lo scopo di fornire prestiti e 
assistenza tecnica all’intera regione. 
13
 In effetti, sostiene il World Economy Research Institute, gli Stati del Trattato di Vysehrad 
temettero che la Comunità Europea potesse considerare il Trattato come un autonomo tentativo 
d’integrazione economica del blocco dei Paesi dell’Est. 
14
 La parte commerciale dell’accordo, denominata “Accordo temporaneo”, entrò in vigore il 1° 
marzo 1992, mentre l’intero accordo, dopo esser Stato ratificato dalla Polonia e dall’Unione 
Europea, venne applicato il 1° febbraio 1994. 
15
 La CEE eliminò sin dall’inizio la gran parte delle restrizioni alle importazioni polacche; la 
Polonia, invece, si impegnò a rimuovere le proprie in un momento successivo, secondo i 
termini fissati nell’accordo.  
 11
l’assistenza tecnica e finanziaria per favorire un graduale 
avvicinamento di quest’ultima all’area della Comunità (Stawarska 
[1998]; p.3). 
Nel corso delle negoziazioni dell’accordo, la Polonia manifestò 
apertamente l’intenzione di aderire alla Comunità e insistette 
affinchè la CEE indicasse l’ipotetica data di un eventuale 
accesso. Le istituzioni comunitarie non tennero conto delle 
pressioni polacche e, come unica concessione, riconobbero, nel 
preambolo dell’accordo, che “l’obiettivo ultimo” della Polonia 
era quello di diventare membro della Comunità. Tale 
affermazione non impegnò la CEE ad accettare la proposta di 
adesione della Polonia, ma costituì la base per i successivi 
sviluppi
16
.  
Si accese a tal riguardo un dibattito in seno alla Comunità. Da un 
lato, vi era il gruppo di Paesi membri secondo i quali 
l’allargamento ad un largo numero di Paesi relativamente 
arretrati, con differenti culture e tradizioni politiche, avrebbe 
determinato un rallentamento dello sviluppo della Comunità verso 
il rafforzamento istituzionale e la moneta unica. Dall’altro, vi 
erano coloro che consideravano imperative altre questioni, quali 
la stabilizzazione delle giovani democrazie dei Paesi 
centrorientali e l’ampliamento dei mercati ad Est in vista della 
sfida della globalizzazione (Ministry of Foreign Affairs [1998]; 
pp.37-38). 
Il dibattito fu parzialmente risolto al Consiglio europeo di 
Copenaghen nel giugno 1993, in occasione del quale i membri 
dell’Unione dichiararono in modo esplicito l’obiettivo  
                                                           
16
 Cfr. ad esempio Stawarska [1997]; p.6. 
 12
dell’ampliamento ai PECO e ai Paesi del Baltico. L’Unione 
Europea
17
, asserisce Kahl ([1997]; p.169)
18
, pur dimostrandosi 
riluttante a fissare chiari criteri e un calendario relativi alle fasi 
del processo d’integrazione, stabilì che: 
“Tutti i Paesi associati dell’Europa centrale e orientale che lo 
desiderano, diventeranno membri dell’Unione. L’adesione avverrà non 
appena il Paese sarà in grado di assumere gli obblighi che essa 
comporta soddisfacendo le seguenti condizioni economiche e 
politiche: 
1. il raggiungimento di una stabilità istituzionale tale da garantire il 
rispetto della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti 
dell’uomo, nonché il rispetto e la tutela delle minoranze; 
2. l’introduzione di un’economia di mercato funzionante e in grado di 
far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato 
all’interno dell’Unione; 
3. la possibilità di adempiere agli obblighi inerenti all’adesione, 
compresi gli obiettivi dell’unione politica, economica e 
monetaria”. 
Si aggiunse che, nell’interesse generale dell’Unione e dei Paesi 
candidati, sarebbe stato importante tener conto altresì delle 
capacità dell’Unione di assorbire nuovi membri senza frenare il 
processo d’integrazione europea (AGENDA 2000 [7/1997]; p.9). 
Nell’aprile 1994, il governo polacco presentò formalmente 
all’Unione Europea la richiesta di adesione della Polonia. 
A questo punto, però, nonostante il ritmo che precedentemente il 
Consiglio di Copenaghen era riuscito ad imprimere al processo 
d’integrazione, i ritardi nell’attuazione degli accordi europei, le  
                                                           
17
 Nel 1992 la Comunità Economica Europea fu trasformata in Unione Europea attraverso la  
conclusione tra gli Stati membri del Trattato di Maastricht. 
18
 Tratto da Journal of European Integration [Winter/Spring 1997]. 
 13
inaspettate difficoltà nella ratifica del Trattato sull’Unione 
Europea (TUE) e i negoziati per l’accesso di Austria, Finlandia e 
Svezia, frenarono tra il 1993 e il 1994 la corsa dell’UE verso 
l’allargamento.  
Nel periodo successivo, gli ulteriori impulsi dell’Unione al 
processo di allargamento verso Est coincisero con i vari summit 
europei. Nel giugno del 1994, così, il Consiglio Europeo di Corfù 
invitò formalmente la Commissione a fare specifiche proposte per 
l’ulteriore avanzamento degli accordi europei e delle decisioni 
prese al Consiglio di Copenaghen. 
Sulla base di questa richiesta, l’organo comunitario produsse 
diversi documenti che divennero la base per la “Strategia di 
preadesione”, adottata dal Consiglio di Essen del dicembre 1994. 
La strategia fu centrata sull’approssimazione del sistema 
legislativo polacco alle norme del mercato unico europeo. 
L’elemento di grande novità
19
 fu la decisione di darle attuazione 
attraverso un “Dialogo Strutturato” tra i Paesi associati (cioè i 
PECO e i Paesi del Baltico) e l’UE, così da fornire un quadro di 
riferimento per la discussione delle questioni di comune 
interesse
20
, e incoraggiare la fiducia reciproca tra gli Stati (Kahl 
[1997]; p.169).  
Nel corso dei colloqui di Essen, peraltro, si discusse delle 
minacce pendenti sull’intero iter integrativo, derivanti, da un 
lato, dalle difficoltà legate al processo di allineamento dei 
sistemi legislativi e amministrativi dei PECO a quelli 
dell’Unione, e, dall’altro, dall’estensione ai Paesi candidati della 
                                                           
19
 Cfr. ad esempio Ministry of Foreign Affairs ([1998]; p.38). 
20
 Il Dialogo Strutturato doveva riguardare tutti i Paesi candidati e i Paesi membri dell’UE, e 
consisteva in una serie di meeting per discutere su questioni d’interesse comune; tra queste 
 14
politica agricola comune (PAC). Per via di tali difficoltà, il 
Consiglio Europeo chiese alla Commissione di preparare, per la 
prima metà del 1995, un “Libro bianco” sul mercato interno
21
, 
contenente le linee guida per l’adeguamento al mercato unico 
europeo, e finalizzato ad agevolare i Governi e i Parlamenti dei 
Paesi candidati nel lavoro di adeguamento dei propri sistemi 
normativi (Stawarska [1997]; p.7); il Consiglio chiese pure che 
fosse redatto, per la fine del ’95, un documento relativo al 
potenziale impatto dell’allargamento dell’UE sulla politica 
agricola comune (Ministry of Foreign Affairs [1998]; p.38). 
Nel dicembre 1995, il Consiglio europeo di Madrid, dopo aver 
ricevuto la candidatura della Polonia (oltre a quelle di Bulgaria, 
Rep. Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria), affermò 
che le decisioni necessarie per l’avvio dei negoziati sarebbero 
state prese nei sei mesi successivi alla conclusione della 
Conferenza Intergovernativa (CIG), prevista per l’inizio del 
1998, e tenendo conto dei risultati di quest’ultima. Invitò, quindi, 
la Commissione Europea a presentare i propri pareri (“avis”) 
sulle varie candidature il più rapidamente possibile dopo la CIG; 
chiese pure che fosse iniziata un’analisi approfondita del sistema 
di finanziamento dell’Unione Europea per poter presentare, 
subito dopo la conclusione della CIG, una comunicazione sul 
futuro quadro finanziario dell’Unione a partire dal 31 dicembre 
1999, tenendo conto della prospettiva dell’ampliamento 
(Maresceau [1997]; p.244).  
                                                                                                                                                         
rientravano l’ambiente, i trasporti, la giustizia e gli affari esteri (Ministry of Foreign Affairs 
[1998]; p.38). 
21
 Libro Bianco. Preparazione dei PECO per l’integrazione nel mercato interno dell’Unione. 
Commissione delle Comunità europee, Bruxelles, maggio 1995. 
 15
Per espletare questi compiti, la Commissione preparò un 
“questionnaire”, che fu inviato nell’aprile 1996 a tutti i Paesi 
candidati. Le risposte date avrebbero permesso alla Commissione 
di valutare, in primo luogo, in che misura il sistema normativo 
degli Stati aspiranti fosse stato adeguato all’acquis 
communautaire
22
, e, in secondo luogo, di avere un quadro sul 
livello di sviluppo economico e politico da questi raggiunto 
(Stawarska [1997]; p.9).  
Intanto, nella prima metà del 1996, durante la presidenza italiana, 
la Conferenza intergovernativa avviò i suoi lavori . Il suo 
obiettivo era quello di introdurre modificazioni ed emendamenti 
al Trattato di Maastricht al fine di rafforzare l’Unione politica e 
preparare l’allargamento ad Est. Relativamente a quest’ultima 
questione, si evidenziò la necessità di una profonda riforma delle 
istituzioni dell’Unione e del loro funzionamento. In effetti, alla 
conclusione dei lavori della CIG, avvenuta nell’ottobre 1997 con 
la sigla del Trattato di Amsterdam (soprannominato “Maastricht 
2”), il Consiglio Europeo stabilì che: “Almeno un anno prima che 
l’Unione conti oltre 20 membri, sarà convocata una nuova 
Conferenza intergovernativa nell’intento di risolvere i problemi 
istituzionali legati all’ampliamento, in particolare la 
ponderazione dei voti e la composizione della Commissione” 
(tratto da Stawarska [1997]; p.8). 
                                                           
22
 Kosterna ([1998]; p.9) spiega che l’acquis communautaire include: 
• i principi e gli obiettivi politici dei Trattati di fondazione e i successivi emendamenti, 
• le leggi adottate per perseguire i fini dei Trattati e le sentenze della Corte di Giustizia, 
• le dichiarazioni e le risoluzioni adottate nell’ambito della Comunità, 
• gli accordi internazionali e gli accordi conclusi dagli Stati membri fra di loro, relativi alle 
attività della Comunità. 
Secondo alcune stime, conclude Kosterna, l’acquis consisterebbe in circa 15.000 pagine.