II
Con la settimanalizzazione si rende eccezionale la quotidianit�, dando 
alla notizia  un carattere  extra-ordinario  e  facendo  diventare 
rilevanti anche  gli  eventi  pi�  banali. 
A  questo  aspetto   ne  �   legato  un  altro ,  ossia  il  sensazionalismo, 
che  non  �  una  tecnica,  bens�  un  modo di concepire  la notizia,  
tale per  cui  si  sente  la  necessit�  di  impressionare  il  lettore  con 
qualsiasi  espediente.  
Questi sono solo alcuni degli elementi (forse quelli di 
condizionamento  pi� "visibile") che hanno inciso molto nell'uso della 
lingua dei giornali negli ultimi vent'anni. Ce ne sono anche altri, fra i 
quali, soprattutto ultimamente, l'influenza sempre pi� presente delle 
nuove tecnologie. 
In quest' analisi ci siamo occupati del cambiamento della lingua 
italiana dal 1976, anno della nascita di "Repubblica", al 1996.  
Nell'arco di questo periodo sono avvenuti nel giornalismo italiano e  
non solo,  mutamenti  radicali  e  molto diversi  fra loro. 
Se gli anni '70  costituiscono un momento  di "snodo" per la carta 
stampata,  che  si  modernizza  ed  inizia  a  servirsi  di  procedimenti 
e metodi nuovi, gli anni '80 sono quelli della "omologazione" dei 
quotidiani, infine gli anni '90  quelli della cosiddetta "comunicazione 
globale", del "cyber spazio", di un mondo in cui le distanze sono 
sempre pi� vicine, anzi in molti casi sono "virtuali". Questi 
cambiamenti determinano conseguenze notevoli sul criterio di 
percezione della realt� e sulla  strutturazione  delle  notizie. 
L'obiettivo dell'analisi  da  me  condotta  �  quello di  registrare  in che 
modo  le  testate  abbiano modificato  il  loro rapporto  di uso e,  
spesso abuso,  della  lingua,  nel  nostro  caso italiana  (anche se sono 
 III
sempre pi� presenti prestiti stranieri, per lo pi� inglesi, ormai quasi  
"italianizzati" ). Per mettere alla luce questo processo si sono presi in 
considerazione due quotidiani  nazionali:  "La Repubblica"  e  il  
"Corriere della sera".  
Si � scelto il giornale di Scalfari perch� fu il primo foglio, che, fra le 
altre numerose novit�, seppe servirsi fin dall'inizio della lingua in 
modo originale: frasi colorite, artifici retorici spesso azzardati, mimesi 
del parlato, registro a volte basso, toni ironici e allusivi-polemici,  
infine  stile  disinvolto  e  leggero. 
Si � scelto il "Corriere", proprio perch� all'antitesi dell'altra testata: 
foglio  della  borghesia  improntato  al  "conservatorismo" delle  
forme, ad uno stile a volte aulico,  in  alcuni  casi  addirittura  
altisonante,  ma comunque sempre  austero  e  pi� pesante  di quello  
di  "Repubblica".    
Quello  che  si  �  voluto  rilevare,  almeno  nelle  intenzioni,  � stato  
osservare come muti  l'uso della lingua in questi due giornali cos� 
diversi fra loro, che per� con il tempo hanno finito per assottigliare le 
loro differenze,  all' inizio notevoli,  e  diventare  simili. 
Dunque  ci  si � proposti di studiare un rapporto sincronico e 
diacronico fra  uso  della  lingua  e  stampa. 
Per far ci� si sono esaminate le due testate dal 1976 al 1996, 
analizzandole a scadenza decennale, per mettere in risalto i 
cambiamenti  maggiori. I due fogli sono stati seguiti dai mesi di 
gennaio  ai mesi  di giugno  contemporaneamente,  in modo  da 
leggerli continuativamente  per sei mesi.   Il  primo  numero  
analizzato � stato quello del 14 gennaio, prima uscita di "Repubblica", 
l'ultimo � stato del 30 giugno 1996, a conclusione di quello che 
 IV
possiamo definire una sorta di ciclo.  
E' stata anche operata una scelta tematica, perch� i giornali sono 
"confezionati" con un pastiche linguistico, basti pensare alle pagine 
sportive, a quelle finanziarie, o alla cosiddetta "terza pagina". Allora 
si �  preferito  fissare  l'attenzione  sulla  politica  e  sulla cronaca.   
La politica � una sezione molto particolare e fa s� che il giornalista 
ricopra un ruolo delicato e spesso non obbiettivo. In questo senso � 
fondamentale il modo in cui si riporta la notizia: il tono, la forma, le 
parole usate,  quelle  aggiunte  e  quelle  omesse.  Inoltre costituisce 
davvero un campo di grande sperimentazione linguistica e di 
creativit� lessicale: metafore, giochi di parole, neologismi occupano 
sempre pi� frequentemente queste pagine.       
La cronaca, invece, � interessante,  perch�  �  un settore meno 
specifico e, anzi, proprio per la sua vastit�, si presta meglio ad essere 
osservata per  lo  scambio  biunivoco  fra la lingua  standard  e  la 
lingua  della stampa. 
Il criterio con cui sono stati scelti gli articoli risponde ad esigenze 
diverse:  mettere in luce ora le differenze, ora le somiglianze fra i due 
fogli.  Per una questione puramente tecnica si sono presi in esame 
nella stesura prima gli articoli del "Corriere" e poi quelli di 
"Repubblica", ma sono stati sempre letti contemporaneamente, al fine 
di sottolineare i mutamenti  reciproci  e  propri  in  ciascuna  delle  
due  testate. 
Il  lavoro  si  divide  in  tre parti,   oltre  ad  una  premessa  di  
carattere  generale, che serve per inserire questa analisi sulla lingua 
dei giornali all'interno di una concezione pi� vasta della teoria della 
comunicazione  e  dei  suoi  effetti  pi�  macroscopici. 
 V
La prima parte riguarda il 1976, data di partenza dell'analisi, 
includendolo per� all'interno degli anni '70, anni davvero cruciali per 
la stampa. E' strutturata in due capitoli: uno sul linguaggio della 
politica, l'altro su quello della cronaca. 
La  seconda  prende  in esame  il 1986,  considerandolo  alla luce 
degli anni '80: anni  della  nascita  di  un  mercato  multimediale. E' a 
sua volta divisa in due capitoli che mettono a confronto le due testate 
e sottolineano le reciproche differenze dal punto di vista linguistico. 
La terza ed ultima parte si occupa del 1996 e delle grandi innovazioni 
che  negli anni '90 la stampa  e tutto il mondo dell'informazione hanno 
subito. Esse hanno determinato, fra gli altri, cambiamenti ulteriori 
anche nel modo di utilizzare la lingua e di rapportarsi  ad essa  e  ai  
lettori. A questo proposito si hanno altri due capitoli. Ne segue poi 
ancora uno (il settimo) sugli errori pi� usuali compiuti dalla stampa, 
sempre naturalmente a livello linguistico, senza scendere nei 
contenuti,  che  spesso  vengono  travisati. E' proprio l'utilizzo 
corretto o scorretto della lingua, infatti, a far scrivere notizie  pi� o 
meno false  o  pi� o meno vere.  
Gli errori presi in esame non sono quelli grammaticali od ortografici, 
ma gli abusi di termini, le ricorrenze eccessive di stilemi, le formule 
fuori luogo, i pleonasmi, insomma tutto quello che, se usato inten-
zionalmente,  pu�  davvero  arrivare  a  modificare  il reale contenuto 
di una  notizia.  E  questo,  a  nostro  avviso,  costituisce   il tipo  di 
errore  pi�  grave  in  assoluto,  dettato  non  dall'ignoranza,  ma  dalle  
velleit� virtuosistiche   di  chi  scrive,  o,  peggio  ancora,  da  
opportunismo  o da  disonest�  professionale. 
 VI
Riguardo alle fonti utilizzate, oltre ovviamente ai giornali, che hanno 
costituito la base essenziale della ricerca, sono stati preziosi anche 
altri strumenti. Fra questi, alcuni sono serviti per contestualizzare 
l'argomento all'interno della storia del giornalismo e all'interno del 
mondo dell'informazione nel suo complesso. Altri, invece, sono stati 
utili come supporto metodologico all'analisi linguistica della carta 
stampata. In modo particolare molti testi di Maurizio Dardano, 
soprattutto  Il linguaggio  dei giornali  italiani, che, pur essendo un 
testo del 1973, �  punto  di  riferimento  indiscusso per  tutti  coloro  
che  affrontano  tematiche  di  questo  tipo.  Anche  Gian  Luigi  
Beccaria, linguista e critico, ci � spesso venuto in aiuto, specialmente 
per far emergere come il giornale sia davvero  teatro delle scelte 
linguistiche pi� disparate e, in alcuni casi, pi� divertenti. Infine, per il 
lavoro di analisi delle scorrettezze nell'uso della lingua da parte dei 
giornali, ci siamo serviti dei testi di Sergio Lepri e Mauro Magni. 
Il metodo utilizzato � basato, sul calco di quello che Dardano ha usato 
considerando la stampa del 1970 e prima, sullo studio della lingua 
esaminata nei titoli, nella struttura espositiva, nello stile, nella 
sintassi, nella morfologia  e  infine  nel  lessico. 
Si � cercato di mettere in luce le tendenze linguistiche pi� comuni di  
ciascun  periodo  analizzando  le pagine  politiche  e  di cronaca  delle  
due  testate.   
 
 
 1
Premessa:   il   rapporto    lingua-media    come    aspetto   di   una 
relazione   pi�   ampia   e   biunivoca   fra   media   e  societ�. 
 
Media e  societ�  sono  tra  loro  in un rapporto di  influenza  
reciproca: determinate  condizioni  contribuiscono  alle  diverse  
modalit�  di  svi- luppo  di  un  medium  e,  a loro volta,  i  media  
influenzano  a   livelli diversi  e  con  effetti  differenti  il  sistema  
sociale  e  gli  individui. 
Moltissime sono le teorie, attinenti al campo della psicologia, della 
psicologia sociale, della sociologia della comunicazione e della 
cultura,  che  si  occupano  di  questo  rapporto.  Esse sono tutte 
distinte  fra  loro,   l'unico   elemento  unificante  �  che  si  basano  su  
concezioni  dell' individuo  e  della  collettivit�  fornite   dalle  scienze  
sociali. 
Propongono  per�  dei modelli  che,  se  presi singolarmente,  non 
sono sufficienti ed esaustivi  per comprendere   le conseguenze  che  i  
mezzi di  comunicazione  apportano  al  sistema  e  viceversa. 
Alcune sono finalizzate a mettere in luce gli effetti diretti e  a breve 
termine, altre,  invece,  riguardano  gli  effetti  indiretti  e  a  lungo  
termine. 
Inoltre,   ne  esistono  certe  fondate  su  falsi  presupposti   e  che  non 
hanno  alcuna  validit�  scientifica.   Fra  queste  c'�,  ad esempio, 
quella denominata del "proiettile magico", o detta anche dell' "ago 
ipodermico",  o  ancora  della "cinghia  di  trasmissione", secondo la 
quale  i messaggi   mediali   vengono  ricevuti   in modo  uniforme  da 
ogni  membro  dell' audience  e  innescano  reazioni  dirette  e  im-
mediate. 
 2
Tale   modello   si   basa   sulla   teoria   dello  stimolo-risposta   e   
non  tiene conto della psicologia delle differenze individuali,  n� di 
possibili variabili intervenienti, che si frappongono tra il messaggio 
(lo stimolo) e  la reazione (la risposta). 
Fu  usato  soprattutto  per  studiare  l'incidenza  e  l'importanza  del 
ruolo dei  mass media  durante  la  prima guerra mondiale, quando le 
comunicazioni di  massa erano un fenomeno socialmente nuovo e 
ancora poco conosciuto. In quel periodo venne impiegata la 
Propaganda  ed,  essendo gestita  con grande abilit� e capacit� di 
coordinamento,  essa  fu  in grado  di persuadere  su larga scala  intere  
popolazioni. 
Oggi  si  danno  a  questi  e  a  fenomeni  analoghi  delle 
interpretazioni  pi�  elaborate  e  meno  ingenue. 
Nel  caso  specifico,  gli  effetti  che  ci  interessano maggiormente 
sono  quelli  che   hanno  una  funzione  rilevante  nella  costruzione  
sociale  del  significato.  I media danno forma ai significati e questo 
ha conseguenze sul comportamento umano:  infatti i simboli e le   
convenzioni   della   lingua  e  dei   diversi   linguaggi  attuano  una 
percezione,  interpretazione  e  azione diversa nei confronti della 
realt�. 
In  questa  sede  ci  occupiamo  della  stampa. 
Lippmann  nel  lontano  1922  nel suo libro "Opinione pubblica" 
aveva sottolineato come  la  stampa  offra  una  propria 
interpretazione degli eventi  secondo  un  particolare  punto di  vista.  
L'autore sosteneva che le  persone  agiscono  non  sulla  base  di  ci�  
che  ha  effettivamente luogo,  bens�  su  quello  che  pensano  sia  la 
situazione  reale  secondo   
 3
le descrizioni fornite loro dalla stampa, cio� significati e 
intepretazioni che spesso corrispondono solo in parte a ci� che � 
veramente accaduto.   
Maxwell e Shaw  negli anni '70  hanno  messo  in  luce  la  funzione 
di agenda-setting  della stampa:  a riguardo ha estrema  rilevanza  
l'atten- zione  attribuita  ai  temi,   che  viene  assegnata,  ad  esempio,  
in  base  ad  un  ordine   gerarchico   preciso   e   ad   una   maggiore   
o   minore  enfasi  nel  riportare  i fatti.   Il  modello da loro  proposto  
non  �  semplicemente descrittivo, ma � potenzialmente significativo 
nella relazione dinamica  tra  stampa,  pubblico  e  politici. 
Ma sono  De Fleur e Timothy Plax  che  ci vengono in aiuto in merito 
a ci� che  ci accingeremo  ad esaminare.  Essi  hanno individuato  per  
la prima volta  le  funzioni  che  i  media  esercitano sul nostro 
linguaggio:  presentano   nuove    parole,    ampliano   i   significati    
gi�   esistenti,   sostituiscono   con  nuove espressioni  altre  pi�   
vecchie,  consolidano  le  convenzioni   e   rinforzano   alcuni   usi
1
. 
I media sono una sorta di mercato dove soggetti diversi entrano in 
concorrenza  per  influenzare  la  nostra  comunicazione.  
Gli  influssi  tendono  a  cambiare  e  a  stabilizzare  il  modo di  
parlare  ( pronuncia,  grammatica,  sintassi )  e  il  vocabolario. 
Cos�  come  � dialettico  il  rapporto media-societ�, tale deve 
intendersi quello tra  lingua,  linguaggi  e  giornali.      
I  giornali  (fissiamo  l'attenzione  sui  quotidiani  e  in particolare sul  
"Corriere della sera" e  su  "La Repubblica")  attingono  dalla  realt�   
e  da  numerosi    fattori    per  esprimere   e   dunque   confezionare   
                                                           
1
 Cfr. MELVIN  DE  FLEUR  -  SANDRA  BALL  ROKEACH,     Teoria   delle 
comunicazioni  di  massa,   Il Mulino,   Bologna 1995. 
 4
le  notizie,   ma  a   loro  volta   influenzano   il  modo  di  parlare ,   
anche quello  della  gente  comune. 
I  media  sono  diventati,   piuttosto   che  strumenti  per  conoscere  la 
realt�,   lo  spazio   simbolico  in  cui   la  realt�,  con  le  sue  
frammen- tazioni   e  contraddizioni  �  resa  visibile  e viene  
percepita  in quanto tale.  
Si  crea,  cio�,  un  effetto  che  Wolff  definisce   bivalente:  ossia  nei 
media   si  rispecchiano  simbolicamente  sia   la  realt�  con  il suo ca- 
rattere  drammatico ed  emotivo,  sia  le sensazioni che la percezione 
di  questa  genera  nel  pubblico  attraverso  i media stessi  
2 
. 
In altre parole,  tutti  i  media  danno  un� immagine  del mondo  
sociale  e  la  questione  si  pone  anche e  soprattutto  in  termini  
etici:  �  legittima  questa  rappresentazione?  
Questo  �   un   problema  vecchio  quasi  quanto  il  giornalismo,  
anzi diremo  che  �  lo  statuto  conoscitivo  dell'informazione  
giornalistica.   
Deve esserci  quella  che Bettetini chiama  verit�  dell'espressione, ma 
soprattutto  deve  esserci   una  verit�  pragmatica
3
 . 
Con  la  prima  si  intende  la  verit�  linguistica  da collegarsi  uni-
camente  alla  semantica  di  una  lingua.  
La  seconda,  invece,  �  legata  ad  un  mondo  extra-linguistico, ossia  
�  relativa  all'intenzionalit�   del  soggetto  enunciatore,  che  non  
solo  pu�   dire   qualcosa  di  vero  o  di  falso,   ma  pu�  compiere  
un  atto  linguistico  vero o falso  ( intendendo  appunto  l'atto  
linguistico  come qualsiasi  altra  azione  dotata  di  una  sua  precisa  
                                                           
2
 Cfr. MARK WOLFF,   Le  discrete  influenze,   saggio  postumo   in   " Problemi 
dell' informazione",   a.XXI,   n.4,   dicembre 1996. 
 5
intenzione e non solo come processo di cifratura e decifratura di un 
messaggio in codice).  
La  comunicazione  ha  anche  una  dimensione perlocutoria,  ossia 
de- termina  con  il  suo  dire  degli  effetti  ben  precisi. 
Per  questo  motivo  �  quanto  mai  necessario  che  ogni tipo di  
infor- mazione  si  attenga  a  delle  responsabilit�  di  tipo  morale. 
Esiste  una  sorta  di  etica  della conversazione,  che  potrebbe  essere 
considerata,  ad esempio, in base  alle categorie di Grice, in 
particolare a  quella  della  "Qualit�"  e  a  quella del  "Modo". 
La  prima  implica  massime  attinenti alla verit�,  o  meglio al 
credere-vero da parte del parlante, fra le quali: "Tenta di dare un 
contributo che sia vero". "Non dire ci� che credi essere falso". "Non 
dire ci� per cui non hai prove adeguate".   La  seconda   si  riferisce  a  
come vengono dette le cose,  rispettando  in modo assoluto  la  
chiarezza,  l'ordine,   la  brevit�  e  risponde  soprattutto  all'  
"imperativo":  "  Sii  ordinato  nel- l' esposizione  
4
 ".   Qualsiasi   
testo    pu�    violare    queste   categorie,   senza   mostrarlo   e   
dunque   ingannare   il  pubblico,  pu�  invece    non    essere   
adeguato   nel   rispettarle ,  ancora  pu�   esplicitare  di   non  
attenersi  a  questi  canoni. 
Facendo alcuni esempi,  potremmo  dire  che  non  si  rispetta, da 
parte del  giornalista,  la  massima  della  Qualit�,  quando  si  dicono  
inten-zionalmente  delle   menzogne,  oppure  quando si scrivono cose 
                                                                                                                                                               
3
 Cfr. GIANFRANCO BETTETINI,  L'occhio in vendita,  Marsilio, Venezia 1991. 
4
 Cfr. HERBERT PAUL GRICE,   Logic  and  conversation,  The  William  James  
Lectures  at Harvard University, 1967,  lez.II,  in  P.COLE   e   J.L.MORGAN ed.,   
Syntax  and  Semantics- Speech Acts ,  Accademic  Press,   New  York  e  London   
1975 ,  pag. 41-58;   trad. it.,   Logica  e  conversazione,    in   M.SBISA'  ( a cura 
di) ,  Gli  atti linguistici,  cit.,  pag. 199-218.  
 6
di  cui non si �  affatto sicuri  o  di cui  non si hanno  prove certe  o  
adeguate. 
Quest'ultimo  tipo di  truffa  informativa avviene frequentemente, per 
il  fatto  di   dover   scrivere   subito   e   in  fretta,   rispondendo  all' 
ansia concorrenziale  di  arrivare   per  primi  sul  mercato. 
Si  pu�  invece  non  adeguarsi  alla  categoria  del   Modo,  quando  la 
"dispositio"  dei   contenuti   �   unicamente  legata  ad  intenti  
persua- sivi  e  non  a criteri  logici-cronologici. 
Paradossalmente   �   sicuramente   pi�  accettabile  dal  punto  di  
vista etico  un  discorso  falso  e  disordinato,  piuttosto  che  uno  
vero  e ordinato,  perch�  il  disordine pu� velare  in parte l'istanza 
persuasiva, costruire  un  enunciatario   incerto  e  generare  un 
comportamento  recettivo pi� critico da parte del lettore.  Invece  
l'ordine,  anche  a livello di  logica,  fa  seguire  "pari,  pari"  ci�  che  
il   giornalista   ha  scritto, perci�  ci  fa  quasi  totalmente  identificare  
con  la sua interpretazione dei fatti,  riducendo  di  molto  il  nostro  
spazio  critico  
5
 . 
Il problema di correttezza del soggetto enunciatore deve tradursi in un 
problema di verit�.  
Deve esistere  un contratto di  "veridicit�"  che  comporta  la  
creazione non tanto di discorsi veri,  quanto di discorsi che producano 
un effetto di  senso  "verit�"  e  che  ricerchino  l'adesione  del  
destinatario.   
                                                           
5
 Cfr. G.BETTETINI,  op.cit. 
 7
Dunque  �  necessario  "progettare"  il proprio recettore potenziale, 
cercare  di  prevedere  il suo  comportamento comunicativo  e  mettere 
in  conto  la  sua   partecipazione  attiva.    
Naturalmente questa costruzione del rapporto di comunicazione, alla 
luce della considerazione effettiva del soggetto enunciatario, � ancora 
pi� difficile quando l'utenza � di massa. In questo caso le istanze di 
verit� vengono quasi completamente subordinate a quelle del 
successo comunicativo, inoltre viene a mancare una conversazione 
empirica e una reale interazione con il pubblico. 
A maggior ragione, ancora pi� complicato � costruire il proprio 
destinatario quando la comunicazione � scritta. Essa si attiene ov-
viamente a dei criteri specifici e distinti rispetto a quella verbale, ma,  
nell'informazione della carta stampata, i canoni non rispondono ad 
esigenze letterarie, anzi, si basano su una sorta di pseudo-dialogo 
senza  feed-back  con  i  lettori. 
Allora  il  problema  si  pone  in questi  termini:  "chi � il lettore-tipo? 
",  "Come bisogna rivolgersi a questo pubblico medio? ".   
Dal momento che non si conosce effettivamente il ricevente del 
messaggio, � ancora pi� urgente adottare principi di correttezza (ad 
esempio le citate categorie di Grice), che, se sono applicabili per un 
atto linguistico fatto in presenza di entrambi i soggetti comunicativi, 
lo sono ancora di pi� per una forma di comunicazione  indiretta  e  
senza  possibilit�  di  un  "ritorno",  almeno  non  immediato.       
L'influenza che i  media,  nel  nostro caso  i  quotidiani,  possono 
avere attraverso  l'uso  della  lingua  nei  confronti  della  societ�  e  
viceversa �   un   fenomeno   davvero  rilevante  e  che  sta  crescendo 
progres-sivamente.   
 8
Questo  si  �   maggiormente  manifestato  ultimamente,   in  quanto  
la  diffusione   dei    giornali   e    il   numero   dei   lettori    ( sebbene   
sia  sempre esiguo )  sono  in  aumento. 
I   quotidiani   italiani   hanno   svolto   per   molto  tempo  (e  in  
parte svolgono  tuttora)  una  funzione educativa,  formativa e non 
meramen- te  informativa
6
  .      
La   lingua   dei   giornali   �   " una   lingua  vicaria  che  diventa  
sup-   porto  o   veicolo   per   altre   lingue,   o   meglio   una   lingua   
codice   che   diventa   veicolo  di   pi�   sottocodici   (...)  �  un   
linguaggio che  non parla,  ma fa parlare,  che d�  la  parola   pi�  che 
essere parola  
7
 
". 
Infatti  �   arduo  parlare  di   un  linguaggio   giornalistico  in  
generale:  non   solo   i   fogli   si  differenziano  gli   uni  dagli  altri,   
ma   al-  l'interno  di  una  stessa  testata  diverse  sono   le  varie  
sezioni. 
Il  trattamento  della  lingua   italiana   e  soprattutto  il modo  di 
usarne e  di  abusarne   cambia   notevolmente.     
A   livello   cronologico   si   possono   distinguere   quattro    periodi:  
il  primo  dopoguerra ,   l'epoca  fascista ,  il  secondo dopoguerra   e    
il  rinnovamento   dopo   il  1960   e   soprattutto   dopo   il  1970.    
In   particolare   �   negli  ultimi  vent'anni   che   si   possono  
registrare  le  maggiori  innovazioni  8  .                       
                                                           
6
 Cfr. CARLO  SORRENTINO,  I  percorsi   della  notizia,  Baskerville,  Bologna 
1995.  
7
 Cfr. ARTEMISIO  MAGISTRALI,   Il  lettore  e   il  suo  doppio,   Pubblicazioni 
ISU-Cattolica,   Milano 1989,   cit. pag. 25. 
8
 Cfr. PIER VINCENZO  MENGALDO,   Il  Novecento,   in  Storia  della  lingua 
italiana,  Il  Mulino,  Bologna 1994.