2
giudiziaria, dove è emersa sempre più forte quella esigenza di effettività della 
giustizia, di cui uno degli aspetti più salienti è appunto che nessuna delle parti in 
giudizio possa avvantaggiarsi nei tempi occorrenti per la definizione della 
controversia, giungendo sino al paradossale risultato di sfruttare quel tempo per 
vanificare la sentenza, rendendola inutile. 
 È la ben nota esigenza – come sottolinea un’autorevole dottrina
1
 - di arrivare alla 
conclusione del processo “re adhuc integra”. 
Il potere del Giudice Amministrativo di sospendere l’atto impugnato è venuto così a 
costituire un elemento essenziale della tutela giurisdizionale del privato nei 
confronti degli atti della Pubblica Amministrazione. 
La tutela cautelare trova la sua giustificazione genetica nella necessità, spesso 
ineludibile, di assicurare ed anticipare gli effetti dei provvedimenti che con il 
processo vengono richiesti al giudice
2
. 
La sua  ratio, quindi, si fonda sull’esigenza di anticipare una efficace e pertanto 
tempestiva
3
 tutela del ricorrente prima della decisione nel merito della causa. 
L’affermazione di un generale principio di pienezza ed effettività della tutela 
giurisdizionale ha trovato in dottrina  e giurisprudenza sempre più consenso e trae il 
suo fondamento da una naturale esigenza di giustizia, prima ed ancor più che nelle 
statuizioni del diritto positivo. 
Non a torto, il Chiovenda, come anche  ha sottolineato il Calamandrei
4
, ha 
affermato  che la necessità di servirsi del processo per ottenere ragione, non deve 
tornare a danno di chi ha ragione. 
                                                 
1
 E. M. BARBIERI, Aspetti particolari della tutela cautelare nel processo amministrativo prima del 
ricorso e dopo la sentenza, in Rass. Giur. Energia Elettrica 2005, Milano, Giuffrè Editore. 
2
 V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, Utet, 2003 pag.  698. 
3
 M. NIGRO, La legge istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali (Prime considerazioni con 
particolare riguardo alle norme sulla procedura), in Cons. St. 1972, II, pag. 138. 
4
 Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, Cedam, 1936, pag. 20.  
 3
In dottrina e giurisprudenza sin dall’inizio ed in crescendo, specie a partire dagli 
anni Settanta, si è sviluppato sulla tutela cautelare, e particolarmente sulla sua 
funzione, un ampio e fecondo dibattito, che, come verrà analizzato nel corso di 
questa tesi, ha plasmato ed integrato un istituto, all’origine incompleto e spesso non 
sufficiente nei risultati. 
Come autorevolmente osservato
5
, sin dagli anni Settanta “il processo 
amministrativo mostra (…) di essere il tipico processo in cui l’esigenza di certezza, 
cioè l’esigenza di una soluzione rapida della lite, deve prevalere sull’esigenza di 
giustizia, cioè dell’adozione di una soluzione perfetta”, per la coincidenza 
dell’interesse del ricorrente al pronto ristabilimento della legalità violata con 
l’interesse dell’amministrazione alla sollecita eliminazione di situazioni di 
incertezza.  
Di questa esigenza di celerità si è rivelato garante – spesso come decisivo ed unico 
rimedio – l’istituto della sospensiva, cioè quello strumento processuale che 
attribuisce al giudice amministrativo, in presenza del pericolo di danni gravi e 
irreparabili (art. 21 l. 1034/1971 e in precedenza “di gravi ragioni” l. 5992/1889 ed 
ancora oggi alla luce delle evoluzioni normative successive) la facoltà di 
sospendere l’esecuzione del provvedimento impugnato. 
 Sin dall’origine, quindi la concessione della c.d. sospensiva aveva l’effetto di 
paralizzare l’atto amministrativo, congelandone gli ulteriori effetti rispetto a quelli 
ormai prodotti, ma solo fino al momento della pronuncia di merito che definiva il 
giudizio; con la conseguenza dell’automatica caducazione nel caso di sentenza di 
                                                 
5
 E. M. BARBIERI, Sulla sospensione dei provvedimenti negativi della pubblica amministrazione, 
estratto da Rivista di diritto processuale, Padova,  Cedam, 1980, pag. 291 e ss. 
 4
rigetto del ricorso e nel caso di accoglimento dell’assorbimento di tali effetti nella 
sentenza che li produrrà per forza propria
6
.  
Quindi, questa forma di tutela  è apparsa per molto tempo, in tutta evidenza, 
strumentale rispetto alla decisione nel merito. 
Pertanto, il giudice, anche per il dilatarsi dei tempi occorrenti per la definizione del 
ricorso, con lo strumento cautelare previene il rischio che una sentenza di 
accoglimento, laddove gli effetti del provvedimento si siano ormai consolidati, si 
riveli inutiliter data. 
La funzione della sospensione del provvedimento impugnato, alla luce delle 
considerazioni sopra esposte, è stata  definita da autorevole dottrina
7
 come “quella 
di stabilire una posizione di eguaglianza processuale delle parti davanti al giudice 
amministrativo”. 
Proprio l’indagine sulla  funzione  del giudizio cautelare e la sua collocazione 
incidentale nel giudizio principale hanno formato oggetto negli anni di ampio 
dibattito, in un sistema quale quello del processo amministrativo ove la disciplina 
dei mezzi con cui attuare questa forma di tutela è sempre stata contraddistinta 
dall’estrema esiguità di disposizioni normative. 
Dall’originario semplice istituto, nel tempo sino a quella che potremmo definire una 
seconda e nuova fase dello stesso, che ha inizio con la legge 205/2000, lo strumento 
si è affinato, giungendo a nuove forme di tutela ante causam, quali l’emanazione 
del provvedimento presidenziale “inaudita altera parte” e la sua funzione ha mutato 
l’originaria  connotazione strumentale, giungendo ad assumere aspetti più variegati, 
tanto che oggi ampio è il dibattito su di una sua natura anche anticipatoria.  
                                                 
6
 G. PALEOLOGO, Il giudizio cautelare amministrativo, Padova, Cedam, 1971, pag. 120 e ss.; G. 
FALZONE, L’inibitoria giudiziale dell’operatività degli atti giuridici con particolare riguardo agli 
atti amministrativi, Milano, Giuffrè, 1967; U. GARGIULO, La sospensione dell’atto amministrativo 
da parte del Consiglio di Stato, Napoli, Novene, 1948. 
7
 E. M. BARBIERI, La sospensione del provvedimento impugnato davanti al giudice amministrativo 
di primo grado, Il Foro Amministrativo, 1986, pag. 988. 
 5
Nel lungo percorso che in seguito esamineremo, il diritto pretorio ha giocato un 
ruolo fondamentale ed ha contribuito, insieme alle poche disposizione legislative 
dedicate ed ai principi costituzionali e comunitari, a costruire un vero e proprio 
sistema, che dal 1889 ad oggi, pur configurando un assetto complessivo più 
tratteggiato che definito (quantomeno sino all’emanazione della l. 205/2000), ha 
cercato di dare sempre più adeguate risposte alle molteplici e  diverse necessità dei 
ricorrenti. 
 
 
2. Le origini. 
 
L’istituto della sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato è stato 
introdotto nel nostro ordinamento con l’istituzione della IV Sezione del Consiglio 
di Stato, ad opera dell’articolo 12 della legge 31/3/1889 n. 5992. 
 Disponeva la norma: “I ricorsi in via contenziosa non hanno effetto sospensivo. 
Tuttavia l’esecuzione dell’atto o del provvedimento può esser sospesa per gravi 
ragioni, con decreto motivato della IV Sezione sopra istanza del ricorrente”. 
Prima di allora gli strumenti di tutela del cittadino erano pressoché inesistenti e si 
limitavano per lo più ai ricorsi amministrativi.  
Neppure nel periodo seguito all’invasione napoleonica, caratterizzato dal 
contenzioso amministrativo, erano stati offerti al cittadino veri e propri strumenti di 
tutela giurisdizionale. 
 Si riteneva, infatti, che il contenzioso dovesse offrire la garanzia di un giudizio 
espresso da “amministratori diversi da quelli che avevano agito
8
”, che tuttavia erano 
amministratori e non giudici. 
                                                 
8
 U. RATTAZZI, Relazione precedente tra le leggi del 30 ottobre 1859, Torino, 1864, pag. 26. 
 6
Questa disposizione pose il primo tassello di un mosaico poi costruito gradualmente 
nel lungo percorso successivo. 
 Nacque così un controllo giurisdizionale imperniato sull’atto amministrativo, sub 
iudice, con la conseguenza che per molto tempo la tutela cautelare è stata 
identificata con la sospensione dell’atto impugnato. 
La dottrina di inizio secolo vide nella sospensione dell’atto impugnato un esercizio 
di “facoltà eccezionale” che contraddiceva il principio fondamentale 
dell’esecutività dell’atto amministrativo nonostante l’impugnazione
9
 e tale opinione 
trovò la sua conferma nel dettato dell’articolo 12 sopra citato, che rimase immutato 
sino al 1971.  
Con questa formulazione sembrò che l’originario Legislatore volesse sottolineare 
che era “regola di diritto comune il diniego della sospensione e…l’eccezione su 
ricorso della parte interessata poteva esser decretata dal Consiglio di Stato
10
”. 
Al Legislatore del 1889 premeva quindi sottolineare non tanto la possibilità per il 
Consiglio di Stato di sospendere ai fini cautelari gli effetti dell’atto, quanto invece 
la forza imperativa dell’atto stesso, la presunzione di legittimità ad esso connaturata 
o, specularmente, la piena efficacia dell’atto illegittimo per tutto il tempo necessario 
a pronunciarne l’annullamento
11
. 
                                                 
9
 Vedi U. BORSI, L’esecutorietà degli atti amministrativi, in Studi senesi, 1901 – 1902, ora in Studi 
di diritto pubblico, Padova, 1976, spec. 115; E. BONAUDI, Della sospensione degli atti 
amministrativi, Torino, Bocca, 1908, pag. 79; M. ANDREIS, Tutela sommaria e tutela cautelare nel 
processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 1996, pag. 3. 
10
 La citazione è tratta dai lavori parlamentari; non quelli della legge istitutiva della IV Sezione del 
Consiglio di Stato, bensì quelli, successivi di un anno, relativi alla riforma delle I.P.A.B. (relazione 
dell’Ufficio centrale del Senato 10 aprile 1890, in O. LUCHINI, Le istituzioni pubbliche di 
beneficenza nella legislazione italiana, Firenze, Barbera, 1894, pag. 910). Fu proprio in tale sede, 
infatti che, in occasione della discussione sull’art. 81, introduttivo di un’importante ipotesi di 
sospensione ope legis dell’esecuzione dell’atto impugnato, il Parlamento affrontò (probabilmente per 
la prima volta) le finalità dell’istituto. 
Durante la seduta del 10 aprile 1888, nel presentare alla Camera il disegno di legge per l’istituzione 
della IV Sezione, il Presidente Crispi con la sua relazione metteva in rilievo che “gli atti 
amministrativi toccando al pubblico interesse, non devono esser sospesi per semplice ricorso di 
privati cittadini. Da qui la ragione dell’art.12” (il brano è riportato in G. PALEOLOGO, Il giudizio 
cautelare amministrativo, Padova, Cedam, 1971, pag. 27). 
11
 Vedi M. ANDREIS, op. cit.,  pag. 4. 
 7
Pertanto, sia nel Testo Unico sul Consiglio di Stato che nella successiva legge n. 
1034/1971 istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali, la tutela cautelare 
presentava una rigidissima configurazione. 
 Era riferita alla mera esecuzione dell’atto impugnato, tratteggiata  con brevi parole 
e disciplinata in modo tale che il giudice poteva disporne la sospensione se 
dall’esecuzione dello stesso fosse derivato al ricorrente “un danno grave e 
irreparabile”. 
Per decenni si ritenne, di conseguenza, che nessun provvedimento già eseguito 
potesse essere sospeso e, parimenti, si negò la possibilità di sospendere un atto i cui 
effetti erano essenzialmente giuridici: in entrambi i casi, la sospensione 
dell’esecuzione – si riteneva – avrebbe potuto avere effetti equivalenti 
all’annullamento dell’atto impugnato.  
La scheletrica disposizione del 1889 è rimasta pressochè immutata per circa un 
secolo e racchiusa in una semplice proposizione: il giudice amministrativo sospende 
l’esecuzione del provvedimento amministrativo quando il ricorrente alleghi danni 
gravi e irreparabili. 
Analogo discorso può farsi anche per le disposizioni che regolano il procedimento: 
è prevista la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione sia nel ricorso 
che con autonoma istanza, anch’essa da notificarsi a tutte le parti, le quali possono 
entro dieci giorni depositare memorie. Il giudice pronuncia nella prima camera di 
consiglio, trascorso il termine di dieci giorni, che il Presidente può abbreviare. 
Queste norme sull’esercizio del potere cautelare e sul procedimento configuravano 
l’esatta manifestazione dell’idea che il legislatore aveva dell’esecuzione del 
 8
provvedimento impugnato: un incidente del processo amministrativo a carattere 
eventuale e di rara applicazione
12
. 
Con l’istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali, con la già citata legge 
1034/1971, che ha lasciato sostanzialmente immutato l’impianto e la formulazione 
del dettato normativo, limitandosi a sostituire le “gravi ragioni” con i “danni gravi e 
irreparabili”, venne liberata una domanda di giustizia
13
 che per molti anni era 
rimasta priva di sbocchi, essendo il rimedio del ricorso al Consiglio di Stato spesso 
assai costoso e troppo lontano. 
Contemporaneamente iniziò per la Pubblica Amministrazione un’era di grandi 
riforme sia negli assetti - a cominciare dall’istituzione delle Regioni e all’attuazione 
del loro ordinamento - sia nei principi.  
Inoltre, la moltiplicazione dei centri di potere, il prepotere dei gruppi e dei centri 
rappresentativi di interessi organizzati, la politicizzazione diffusa spesso 
contribuirono ad accentuare il momento prevaricatore del potere e spingere l’azione 
amministrativa verso l’arbitrio
14
. 
Tutto ciò comportò ancor più, una forte domanda di giustizia ed un notevole 
incremento del contenzioso, che ben presto rese impossibile definire in tempi 
ragionevoli il giudizio.  
Di conseguenza, in breve, il momento cautelare da incidente del processo ne 
divenne un istituto principe
15
, in grado di dare soddisfazione all’interesse del 
ricorrente, senza attendere una sentenza, che comunque sarebbe giunta troppo tardi. 
                                                 
12
 F. BENVENUTI, Relazione in sintesi, in Il giudizio cautelare amministrativo (aspetti e 
prospettive) in Atti della giornata di studio tenuta a Brescia il 4/5/1985, Roma, 1987, pag. 82. 
L’autore ha sottolineato come nei manuali di Giustizia Amministrativa di un tempo si “parlava 
dell’incidente di sospensione, e probabilmente i nostri professori e maestri se avessimo parlato del 
giudizio di sospensione, ci avrebbero censurato largamente”. 
13
 E. M. BARBIERI, Sulla strumentalità del processo cautelare amministrativo in Il foro 
Amministrativo, 1987, pag. 3170. 
14
 E. M. BARBIERI, La sospensione del provvedimento impugnato davanti al giudice 
amministrativo di primo grado, Il foro Amministrativo, 1986, cit. 
15
 E. FOLLIERI, La cautela tipica e la sua evoluzione, in Studi per il centenario della IV Sezione, 
Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1989. 
 9
Il dettato normativo nella sua essenziale formulazione e nei suoi limiti si rivelò ben 
presto insufficiente per dare risposte alle multiformi esigenze dei cittadini nei 
rapporti con la Pubblica Amministrazione che si manifestavano, nel tempo in 
crescendo, in un sistema di rapporti, con le stesse Pubbliche Amministrazioni, 
sempre più complesso ed oggetto di profonde evoluzioni in ragione di importanti 
riforme normative.  
Si intensificò così, in dottrina e in giurisprudenza, quell’ampio dibattito iniziato 
negli anni Sessanta ed il c.d. diritto pretorio, che tanta rilevanza ha assunto nel 
corso degli anni, diede avvio ad una profonda trasformazione dell’istituto, che oggi 
alla luce della comune esperienza nel processo amministrativo, non meno che in 
quello civile, ha fatto si che il giudizio cautelare rappresenti una delle forme più 
vitali e feconde. Con ciò superando quelle configurazioni da parte della dottrina di 
inizio secolo
16
 (che oggi appaiono remote e non solo per la loro datazione) del 
rimedio della sospensione dell’atto impugnato come esercizio di “facoltà 
eccezionale” che contraddice il principio fondamentale di esecutività dell’atto 
amministrativo nonostante l’impugnazione. 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
16
 U. BORSI, L’esecutorietà degli atti amministrativi, in Studi senesi 1901 – 1902, ora in Studi di 
diritto pubblico, Padova, Cedam, 1976, pag. 115; E. BONAUDI, Della sospensione degli atti 
amministrativi, Torino, Bocca, 1908, pag. 78. 
 10
3. Le fonti normative. 
 
a) Il modello originario ed i suoi primi tentativi 
legislativi della sua integrazione. 
 
Le disposizioni normative alla base dell’istituto sono state, nel corso del secolo 
scorso, poche e piuttosto scarne ed i modesti tentativi legislativi di rinnovamento 
dell’istituto sino all’agosto del 2000, con la legge n. 205, hanno dati risultati non 
sempre soddisfacenti. 
Come già abbiamo visto, la prima norma attributiva del potere di sospensione in 
sede giurisdizionale trova la sua formulazione nell’art. 12 della legge istitutiva della 
IV Sezione del Consiglio di Stato. 
Con questa disposizione il legislatore non volle attribuire effetto sospensivo al 
ricorso giurisdizionale
17
, salvo che in casi eccezionali, come ad esempio i ricorsi 
proposti avverso un provvedimento definitivo che avesse ordinato il 
raggruppamento o la trasformazione degli Istituti Pubblici di Beneficenza, oppure la 
trasformazione di Opere pie o la riforma degli Statuti
18
. Venne previsto però il 
potere del giudice di disporre, “con decreto motivato”, la sospensione 
dell’esecuzione dell’atto o del provvedimento, su istanza del ricorrente e se 
sussistenti “gravi ragioni”.  
                                                 
17
 Art. 12, comma 1, l. n. 5992/1889; art. 33, comma 1, r.d. 2 giugno 1889, n. 6166, di approvazione 
del testo unico della legge sul Consiglio di Stato. Pertanto l'amministrazione poteva dar esecuzione 
ai provvedimenti anche in presenza di un ricorso giurisdizionale, ciò veniva giustificato con 
l'esecutorietà degli atti amministrativi. Si riteneva “(...) conforme ai principi teorici” perché un 
ricorso, cioè un atto di parte, non poteva impedire l'esecuzione di un “atto di autorità” anche perché 
ciò sarebbe stato “(...) politicamente dannoso per ragioni così evidenti che non occorre spiegarle”, V. 
E. ORLANDO, La giustizia amministrativa, in Trattato Orlando, III, Milano, Società Editrice 
Libraria, 1901, pag. 1008; O. RANELLETTI, Le guarentigie della giustizia nella pubblica 
amministrazione, V ed., Milano, Giuffrè, 1937, pag. 475. 
18
 Art. 81, ultimo comma; art. 92, ultimo comma; art. 93, ultimo comma, legge 17 luglio 1890 n. 
6972. 
 11
Il fatto che i ricorsi proposti al Consiglio di Stato non avessero immediato effetto 
sospensivo trovava la sua giustificazione, per l’originario legislatore, nella 
considerazione che essi venivano proposti una volta esperiti i rimedi gerarchici
19
 
con la conseguenza che le ragioni del ricorrente, per il fatto di aver già proposto un 
ricorso gerarchico, poi respinto, erano ritenute in linea generale meno rilevanti 
rispetto a quelle dell’amministrazione, che proprio in virtù di queste considerazioni 
veniva considerata “…assistita da buon diritto nel vedere eseguito senza ritardi il 
suo provvedimento
20
”. 
Una tutela cautelare limitata, nella previsione normativa, alla mera sospensione del 
provvedimento trovava quindi una parziale spiegazione nel fatto che il rimedio 
giurisdizionale così configurato era stato concepito nitidamente dall’originario 
legislatore come rimedio di tipo impugnatorio e quindi cassatorio dell’atto 
amministrativo ritenuto illegittimo
21
.   
Tale giustificazione appariva meno convincente - ed anche su questo s’innescò un 
ampio dibattito – laddove il legislatore aveva introdotto anche una competenza di 
merito, limitata ad alcune materie tassativamente indicate
22
. Con essa era stato 
attribuito al giudice un potere più ampio di quello esercitato con l’annullamento, 
poiché egli avrebbe potuto disporre “la sostituzione della decisione assunta 
dall’amministrazione e formalizzata nell’atto impugnato”. 
La rigida tutela cautelare dell’originario modello, a fronte di questa più ampia sfera 
di potere del giudice amministrativo, apparve ben presto inadeguata ma nessun 
rimedio normativo venne approntato per superare il problema.  
                                                 
19
 Art. 28 r.d. 6166/1889; art. 4 l. 62/1907; art. 26, reg. Proc. Cons. St. 
20
 E. BONAUDI, Della sospensione degli atti amministrativi, cit. 
21
 Cfr. M. ROSSI SANCHINI, La tutela cautelare, in Trattato di Diritto Amministrativo a cura di S. 
CASSESE, Milano, Giuffrè, 2003. 
22
 Art. 4 l. 5992/1889; art. 25 r.d. n. 6166/1989; art. 23 r..d. n. 642/1907. 
 12
Inizialmente le pronunce del giudice amministrativo si dimostrarono assai parche 
nella concessione dei provvedimenti cautelari. Ciò era dovuto non soltanto ai limiti 
normativi, ma anche ad un’interpretazione dottrinaria che, in aderenza con i tempi e 
con il contesto politico e sociale dell’epoca, piuttosto restrittiva, riteneva di dover 
valutare la sussistenza o meno delle “gravi ragioni” con esclusivo riferimento al 
pubblico interesse, sino al punto che dette ragioni erano equiparate al danno grave 
che l’amministrazione avrebbe potuto subire in mancanza della sospensione nelle 
more del giudizio. 
Come vedremo nel paragrafo dedicato alle evoluzioni giurisprudenziali, lentamente 
e gradualmente nel tempo questa “forma mentis” è andata attenuandosi . 
Il Consiglio di Stato iniziò a manifestare maggiori attenzioni alle ragioni dei 
ricorrenti, tanto da affermare in alcune pronunce, ai fini della sospensione del 
provvedimento amministrativo impugnato, la necessità della valutazione del 
pregiudizio derivante al ricorrente dall’esecuzione del provvedimento stesso o, 
tutt’al più, l’indispensabile bilanciamento tra la lesione del ricorrente ed il 
pregiudizio derivante all’amministrazione dalla sospensione del provvedimento 
stesso
23
.  
Con il regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2840
24
, che attribuì al giudice 
amministrativo una competenza esclusiva, nelle materie indicate nel suo articolo 8, 
e tra queste il rapporto di impiego (ove sarebbe stato estremamente difficile 
distinguere le posizioni di interesse legittimo e quelle di diritto soggettivo), parve 
                                                 
23
 Cons. St. Sez. IV, 22 ottobre 1932, n. 355, in Foro Amministrativo 1932, I, pag. 301; Cons. St. 
Sez. IV, 12 novembre 1932, in Foro Amministrativo 1932, I, pag. 302 e ss.; Cons. reg. sic. 21 agosto 
1962, n. 312, in Cons. St. 1962, I, pag. 1462 che ha ritenuto opportuno il licenziamento di un 
sanitario ospedaliero la cui attività è apparsa di grave pregiudizio per l’amministrazione dal 
momento che il dipendente non aveva superato il periodo di prova previsto.  
24
 Recante “Modificazioni all’ordinamento del Consiglio di Stato e della giunta provinciale 
amministrativa in sede giurisdizionale”. 
 13
introdursi per l’istituto della tutela cautelare una diversa articolazione ed una sua 
maggiore estensione.  
Poiché però non vennero contemporaneamente attribuiti al giudice amministrativo 
poteri corrispondenti a quelli di cui era dotato il giudice ordinario l’occasione venne 
mancata.  
Alcuni autori
25
 hanno argutamente sottolineato che “non furono i diritti soggettivi a 
plasmare e conformare la struttura del processo amministrativo ma, all’opposto, fu 
quest’ultimo a condizionare e rendere meno piena la tutela dei primi. 
 
 
b) Dalla cautela nominata a quella atipica. 
L’inadeguatezza del modello originario e le ragioni a 
fondamento del percorso innovativo. 
 
Come abbiamo visto dal modello originario per molto tempo è  derivata una tutela 
cautelate fondata sulla mera sospensione dell’esecuzione dell’atto – solo  ed unico 
rimedio per paralizzare l’esecutività dell’attività della Pubblica Amministrazione, 
nelle more della sentenza di annullamento dell’atto a conclusione del giudizio  di 
merito. 
In perfetta aderenza con una concezione prettamente conservativa della tutela 
cautelare e coerente con il solo modello demolitorio dell’atto, l’istituto non poteva 
che rivelarsi ben presto asfittico e troppo limitato. 
L’esigenza di un potenziamento di un così esiguo limitato strumentario cautelare 
nel processo amministrativo (a fronte dei ben diversi poteri del giudice nel processo 
                                                 
25
 Cfr. M. ROSSI SANCHINI, op. cit. pag. 4493. 
 14
civile) si è progressivamente manifestata in conseguenza delle profonde e radicali 
trasformazioni che hanno  permeato la giustizia amministrativa in senso lato. 
Tali modificazioni traevano origine dalla sempre maggiore e più pregnante 
attribuzione al giudice amministrativo del compito di tutelare posizioni soggettive 
diverse dai tradizionali interessi legittimi, a connotazione oppositiva. 
Due importanti fattori sono stati le fondamentali spinte propulsive di questo 
percorso evolutivo nell’intero sistema della giustizia amministrative e di 
conseguenza, anche, come sua logica conseguenza della fase cautelare del processo. 
 Da un lato, il radicale mutamento  della stessa conformazione del processo 
amministrativo, delle sue finalità ontologiche e quindi, della portata e degli effetti 
delle decisioni adottabili dal giudice amministrativo va necessariamente ricondotto 
al progressivo e profondo mutamento nei rapporti tra i cittadini e la Pubblica 
Amministrazione: il forte incremento delle occasioni di interferenza della Pubblica 
Amministrazione nei rapporti economici e sociali, la sempre maggiore assunzione 
da parte della stessa del ruolo di regolazione di attività proprie dei privati o di vera e 
propria  erogazione di servizi e prestazioni  tipiche del  c.d. “stato di benessere”
26
 
hanno comportato il capovolgimento della prospettiva secondo la quale quel che 
l’amministrazione poteva togliere ere sentito più meritevole di tutela di quel che 
l’amministrazione poteva dare
27
.  
Di conseguenza, i provvedimenti oggetto di impugnazione innanzi al giudice 
amministrativo  non sono stati soltanto più quelli che incidevano significativamente 
su  preesistenti situazioni di vantaggio dei privati, ma anche e sempre con maggiore 
frequenza, quelli lesivi di situazioni di aspettativa vantate dai privati stessi a fronte 
                                                 
26
 A. ROMANO, Tutela cautelare nel processo amministrativo e giurisdizione di merito, in Foro It., 
1985, vol. I, 2493. Sul punto cfr. M. ANDREIS, Tutela sommaria e tutela cautelare nel processo 
amministrativo, Milano, Giuffrè, 1996, pag. 22 e ss. 
27
 E. M. BARBIERI, ult. Op. cit. 
 15
della potestà amministrativa di adottare atti potenzialmente favorevoli, come 
autorizzazioni ,concessioni, ammissioni approvazioni. 
Muta quindi, la consistenza della posizione soggettiva di cui si invoca la tutela 
giurisdizionale, destinata sempre più spesso a presentarsi non più come interesse 
legittimo oppositivo, inteso a conservare una preesistente posizione sostanziale 
dalle aggressioni provvedimentali della Pubblica Amministrazione, ma, piuttosto, di 
tipo pretensivo, ovvero diretto a conseguire quell’ampliamento della sfera giuridica 
o di azione,in prima battuta precluso per effetto dell’atto negativo adottato 
dall’amministrazione. 
Come appare evidente, la tutela meramente demolitoria  dinnanzi ad un atto 
negativo si appalesa priva di una effettiva capacità di soddisfare l’interesse 
pretensivo
28
, in assenza di ulteriori prescrizioni, che, destinate a connotare la 
decisione giurisdizionale, siano utili a sortire un effetto conformativo rispetto alla 
successiva riedizione del potere amministrativo
29
. 
Ne discende, come logica conseguenza di tale potenziamento del contenuto e degli 
effetti della decisione di merito, la necessità di assicurare un corrispondente 
adeguamento delle tipologie e dello stesso grado di incisività  delle misure 
cautelari. In difetto di questo rafforzamento  la stessa tutela cautelare delle posizioni 
soggettive a carattere pretensivo verrebbe a perdere effettività e potrebbe vedere 
vanificati i propri effetti. 
                                                 
28
 Per la distinzione tra interessi oppositivi e pretensivi, destinata a sostituire quella tra interessi 
statici e dinamici, cfr. M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, Il Mulino, 1983,  pag. 146 e 
ss. 
29
 Cfr. V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 1994, 127; M. 
CLARICH, La giustizia amministrativa, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto 
amministrativo, Milano, Giuffrè, 2000, pag. 1773, il quale pone in luce la crisi della visione 
tradizionale del processo amministrativo nel quale campeggia in primo piano l’atto amministrativo e 
l’affermarsi, quindi, di una nuova concezione del processo volto alla conformazione del modo di 
esercizio del potere ed alla disciplina dell'assetto degli interessi e del rapporto giuridico tra cittadino 
e pubblica amministrazione.