6 
 
Introduzione 
 
Una letteratura presuppone sempre un contesto socio-politico-culturale di 
provenienza,  che è necessario conoscere per un approccio sentito e consapevole. 
La letteratura ispano-americana nasce dall’incontro di due mondi totalmente 
differenti e, fino al 1492, sconosciuti l’uno all’altro: quello europeo e quello 
indigeno.                                                                                                                   
Con la scoperta dell’America e la conquista che ne seguì, la realtà umana e sociale 
del mondo indigeno venne sopraffatta, attraverso una serie di imposizioni che ne 
sotterrarono la specificità e la cultura; ma, fortunatamente, non del tutto. 
Il presente lavoro intende offrire uno studio sull’indio andino dalla sua scoperta 
fino alla nascita della corrente letteraria indigenista.  
Nel primo capitolo, dopo aver enunciato le premesse storiche che portarono, 
successivamente, l’ignaro Colombo a scoprire il Nuovo Mondo, vengono 
approfonditi i motivi personali che lo condussero all’impresa. La scoperta 
dell’America fu, soprattutto, scoperta di nuovi esseri umani;  ma esso non fu un 
incontro alla pari. Lo studio intende sottolineare la reazione di Colombo, 
provocata dall’incontro con l’“altro”, premessa ideologica della successiva opera 
di assoggettamento da parte degli europei. Verrà, altresì, analizzata la figura del 
più grande conquistador oltreoceano, Hernán Cortés, vittorioso sul grande Impero 
azteco di Moctezuma, focalizzando l’attenzione sulla strategia di conquista 
attuata, basata sul suo peculiare approccio con l’“altro”. Gli europei si trovarono 
dinanzi ad un territorio immenso e diversificato, popolato, non solo da numerosi  
gruppi etnici, eterogenei tra loro, ma anche da vasti imperi edificati dalle civiltà 
precolombiane; la tesi si focalizza sulla zona andina, dove sorse il maestoso 
Impero degli Inca, frutto di lunghe storie di trasformazioni interne, migrazioni e 
contatti interculturali. Prima di analizzare l’Impero incaico, il lavoro intende 
offrire un excursus storico e mitologico sulle maggiori civiltà che lo precedettero: 
partendo dai primi insediamenti, ripercorrendo le civiltà dei Chavín, Nazca, 
Moche, Tiahuanaco e Chimú, fino ad arrivare al regno più vasto oltreoceano, il
7 
 
Tahuantinsuyu, “la terra delle regioni”, descrivendone il mito, le tradizioni e 
soprattutto la sua organizzazione politica e sociale. 
In nome della loro “presunta” supremazia intellettuale e religiosa, gli spagnoli 
distrussero e sottomisero le popolazioni autoctone; nel secondo capitolo della tesi 
vengono analizzate le figure di tre personaggi che si sono schierati, in tempi e 
modi diversi, “dalla parte del vinti”. Il primo protagonista è il frate domenicano 
Bartolomé de Las Casas che, da encomendero, divenne il difensore degli indios 
per antonomasia, poiché, trascorse la sua esistenza denunciando le barbarie e gli 
abusi commessi dagli spagnoli, come documentato nei suoi scritti; lo studio 
propone un’analisi sull’evoluzione del pensiero del frate.  
Il secondo personaggio analizzato è Álvar Núñez Cabeza de Vaca, il quale, partito 
dalla Spagna verso il Nuovo Mondo in cerca di fortuna, si trovò, fortuitamente, 
costretto alla convivenza con diversi popoli autoctoni, convivenza che rivelò al 
naufrago non poche sorprese, testimoniate nel suo racconto Naufragios. 
Il terzo personaggio studiato è relazionato alla zona andina; trattasi di Felipe 
Guamán Poma de Ayala, appartenente alla prima generazione di indigeni nata 
dopo la conquista spagnola, estremamente legato alla storia dei suoi antenati. 
Poma de Ayala è un caso emblematico, in quanto si servì degli strumenti culturali 
dei “vincitori”,  in particolar modo la lingua e la religione cristiana, per tentare di 
riscattare la storia dei “vinti”, denunciando lo sfruttamento e le ingiustizie subite 
dalla sua gente e auspicandosi un governo migliore, fondato sulla convivenza tra 
fede cristiana e memoria andina. Dalla sua maestosa opera Nueva corónica y buen 
gobierno, lo studio propone la sezione relativa alla conquista del regno del Perù. 
Il terzo capitolo presenta un resoconto della storia politica e sociale del Perù, dalla 
sua conquista (1532) fino alla Guerra del Pacifico (1879-1884), focalizzando 
l’attenzione sull’evolversi della questione indigena nel corso della storia. Il 
capitolo, che si apre con le conseguenze della destrutturazione del mondo incaico 
e i primi tentativi di rivolta da parte degli indios, passa poi ad analizzare la nuova 
struttura socio-economica creatasi a seguito dell’instaurazione del vicereame del 
Perù. Durante il XVII secolo il sistema coloniale spagnolo subì una grave crisi, 
conseguente all’indebolimento del potere centrale in Spagna; ne approfittò,
8 
 
oltreoceano, la borghesia media, con l’aumento degli abusi ai danni degli indios 
peruviani. 
Durante il XVIII secolo, i sovrani della dinastia Borbone, attuarono una serie di 
misure amministrative ed economiche, le cosiddette “riforme borboniche” che, 
oltreoceano, provocarono il malcontento sia della classe creola che di quella  
indigena, manifestato nel susseguirsi di numerose rivolte. Lo studio offre un 
approfondimento su quella che è considerata la rivolta indigena più rilevante 
dell’epoca, ovvero  la “gran rebelión” di Túpac Amaru II. 
Il terzo capitolo si conclude con gli avvenimenti successivi al raggiungimento 
dell’indipendenza. I primi sessant’anni furono segnati dal fallimento dei 
cambiamenti economici e sociali auspicatisi, causato dal succedersi al governo di 
Caudillos, impegnati a difendere i propri interessi e non quelli della nazione. 
Attraverso le testimonianze di illustri storici peruviani, emerge una realtà sempre 
più profondamente divisa al suo interno: da una parte la costa, sede creola e in via 
di sviluppo, dall’altra la sierra andina, la zona rurale abitata dagli indios, dove 
perdura il sistema feudale. La sconfitta della Guerra del Pacifico, che vide le forze 
alleate di Perù e Bolivia scontrarsi con il Cile, mise in evidenza, in maniera 
concreta, la realtà complessiva di una nazione la cui componente nativa era 
totalmente esclusa. Da lì in poi, il dibattito politico e sociale avrà come argomento 
principale la “questione indigena” e la possibile assimilazione dell’etnia autoctona 
all’interno della società peruviana.  
Il quarto ed ultimo capitolo analizza la corrente dell’indigenismo, che si sviluppò, 
in Perù, dagli inizi del XX secolo in poi. Verranno esaminate le riflessioni critiche 
e le proposte di risoluzione al problema indigeno, dei maggiori esponenti del 
movimento. L’indigenismo, nato come dibattito politico e intellettuale, diventò, 
successivamente, una vera e propria corrente artistica e letteraria. La letteratura, in 
piena rottura con i modelli europei, diventa espressione della ricerca di una 
propria identità, ricerca che implica la rivalutazione del passato precolombiano e 
del suo diretto erede, l’indio, che è lì, presente nella realtà peruviana come “ferita” 
non risolta. In Perù, dopo la fase romantica, dove nei romanzi traspare la figura 
dell’indio come “il buon selvaggio”, con una visione “esterna” e stereotipata, si 
passa ad una visione “interna” e concreta, grazie ad autori profondamenti radicati
9 
 
nella realtà indigena. Lo studio propone un’indagine sulla vita, il pensiero e le 
peculiarità letterarie del maggiore rappresentante della letteratura indigenista: José 
María Arguedas.  
Il lavoro termina con l’approfondimento sul suo capolavoro, il romanzo Los ríos 
profundos, il cui giovane protagonista, Ernesto, alter-ego dell’autore, vive il 
dramma giovanile causato dalla consapevolezza di essere un bianco, che sente, 
però, di appartenere totalmente all’universo indigeno.
10 
 
CAPITOLO I 
 
SCOPERTA E CONQUISTA DEL NUOVO MONDO: SULLE 
TRACCE DELLE ANTICHE CIVILTÀ ANDINE 
 
1.1 L’Europa alla vigilia della scoperta 
La vicenda della cosiddetta scoperta dell’America rappresenta un avvenimento 
centrale nella storia dell’umanità; da quel momento, infatti, la storia del mondo 
cambiò radicalmente. Non a caso gli storici reputano il 1492 lo spartiacque tra la 
fine del Medioevo e l’inizio dell’Età moderna. 
Ma quali sono gli eventi e i fattori che portarono a tale scoperta?  
Nel 1453 d. C. i turchi Ottomani conquistarono Costantinopoli, con la 
conseguente caduta dell’Impero Romano d’Oriente e la loro avanzata nel 
Mediterraneo orientale. In questo modo furono messe in crisi le tradizionali rotte 
commerciali degli europei verso Est, volte in particolare alla ricerca di spezie e 
tessuti pregiati. Gli Ottomani, divenuti gli unici intermediari tra Europa ed Asia, 
stabilirono pesanti imposte sui prodotti ed i mercati dei paesi atlantici si trovarono 
costretti a spostare ad Occidente i propri traffici. A ciò va aggiunto che l’aumento 
demografico che interessò l’Europa dalla seconda metà del XV sec. comportò una 
notevole crescita dei consumi, con la conseguente ricerca di nuovi scambi 
commerciali. Questi fattori spinsero gli europei ad avviare quel lento processo che 
avrebbe portato al superamento della politica incentrata sul mar Mediterraneo e 
alla sua sostituzione con una politica estesa al commercio atlantico.  
Inizialmente l’esplorazione della costa atlantica del continente africano, aveva 
come obiettivo quello di porre fine al monopolio arabo del commercio dell’oro 
africano; a partire dalla metà del XV secolo, invece, si iniziò a vagliare l’ipotesi di 
raggiungere i porti orientali circumnavigando il continente. Quello di definire una 
rotta marittima diretta tra Europa ed Asia diventò così un obiettivo costante della 
marina europea. 
Il profondo rinnovamento culturale, dovuto all’affermazione dell’Umanesimo e in 
particolare alla riscoperta dei classici, consentì il recupero di conoscenze e ipotesi
11 
 
geografiche note ai popoli antichi, ma cadute nell’oblio in età medioevale, tra cui 
quella relativa alla sfericità della Terra. Un esempio chiarificatore è fornito 
dall'esperienza di Claudio Tolomeo, uno scienziato di origine egiziana, vissuto nel 
II secolo d. C. In pieno Umanesimo, venne riscoperta la sua opera maggiore, 
intitolata Geografia
1
, che mostrò ai colti dell'epoca come le conoscenze 
geografiche degli antichi fossero assai più approfondite di quelle possedute 
nell'Europa del Medioevo. Inoltre, l'opera tolemaica ebbe l'indubbio merito di 
fornire una serie di tecniche, che diedero impulso alla cartografia, ovvero alla 
rappresentazione della superficie terrestre. Quest'ultima, infatti, poteva essere 
inclusa entro un reticolo di meridiani e paralleli, che avrebbero fornito le 
indicazioni relative alla longitudine e alla latitudine (figura 1.1). 
Figura 1.1 – Mappa tolemaica 
 
Nello stesso periodo si assistette al miglioramento delle tecniche e degli strumenti 
della navigazione, oltre al perfezionamento delle carte nautiche; nel campo delle 
costruzioni nacque la caravella, imbarcazione dalle modeste dimensioni, 
                                                           
1
 L’opera, risalente al II sec. d. C., venne ritrovata intorno al 1300 dallo studioso bizantino 
Massimo Planude. Nel 1406, fu tradotta in latino da Jacopo d’Angelo e, sulla base dei dati scritti 
da Tolomeo, furono elaborate  diverse carte con la conseguente rinascita della cartografia.
12 
 
particolarmente maneggevole e rapida, protagonista delle esplorazioni del ‘400 e 
del ‘500. Importantissima si rivelò l'introduzione della bussola, del sestante
2
 e di 
altri numerosi strumenti, che risultarono fondamentali nel tracciare le rotte 
nautiche, soprattutto in oceano aperto. 
Altro fattore fondamentale fu la formazione dei primi Stati assoluti che, data la 
necessità di assicurarsi le opportune risorse per finanziare i propri eserciti e gli 
apparati burocratici, diedero un contributo importante all’espansione commerciale 
marittima.  
 
Ma solo gli Stati assoluti erano in grado di programmare spedizioni esplorative i 
cui risultati non erano immediatamente remunerativi, pur richiedendo massicci  
investimenti di capitale. Dietro le scoperte geografiche affiorava ancora una volta 
la politica mercantilistica delle grandi monarchie, la volontà di garantire la 
ricchezza e la sicurezza interne con una politica di potenza e di conquista, di cui i 
viaggi erano le precise promesse
3
. 
 
Promotori delle prime grandi esplorazioni geografiche furono due nuove realtà 
statuali: il Portogallo, con la dinastia reale degli Aviz, particolarmente favorevole 
all’espansione marittima, soprattutto grazie all’opera di Enrico il Navigatore, e la 
Spagna, dopo la fine della Reconquista
4
, con la caduta di Granada e il 
compimento dell’unificazione territoriale. 
 
1.2 Cristoforo Colombo e i motivi del viaggio 
In questo scenario storico si inserì la figura di Cristoforo Colombo, nato a Genova 
nel 1451, marinaio già a quattordici anni, che aveva maturato durante i suoi 
numerosi viaggi una grande esperienza. Egli, come gli scienziati del tempo, era 
convinto della sfericità della Terra ed era a conoscenza della mappa elaborata nel 
1474 dal geografo italiano Paolo Toscanelli, la quale indicava la rotta da seguire 
per raggiungere le Indie navigando verso Ovest
5
. 
                                                           
2
 Il sestante è uno strumento ottico per la misurazione dell’altezza degli astri sull’orizzonte, usato 
soprattutto nella navigazione astronomica. 
3
 G. Ricuperati, Manuale di storia moderna, Utet, Torino, 2012, pp. 47-48. 
4
 Per Reconquista si intende l’arco di tempo, compreso tra la metà del  ‘700 e il 1492, in cui 
avvenne la riconquista dei territori occupati dai musulmani nella penisola iberica ad opera dei 
sovrani cristiani. 
5
 G. Ricuperati, op. cit., p. 48.