6
lentamente mentre egli osserva il luogo dove forse la donna è ancora, sdraiata 
nell’erba e senza vita. Oppure sta guardando verso il bosco, nel punto in cui la 
donna è scomparsa alla sua vista, magari fuggendo da lui. 
Antonioni sente che nel dubbio avrebbe dovuto almeno cercare di 
inseguire quell’uomo o avvicinarsi alla scena per sincerarsi di ciò che fosse 
effettivamente accaduto, e invece egli non ha potuto far altro che rimanere 
immobile a fissare la radura anche dopo che l’uomo se n’era definitivamente 
andato. 
L’affinità tra questa scena e quella in cui Hemmings si reca al parco di 
notte e vede il cadavere è rilevata dallo stesso regista: 
succede anche di essere illuminati dalla luna senza che per questo 
la scena diventi idillica. È una scena che mi ricorderebbe quella del 
parco in Blow-Up se il tempo non avesse collocato i due eventi 
all’inverso. Blow-Up allora era di là da venire. E comunque sarebbe 
stata una notte illune, rischiarata da un’insegna al neon. 
Antonioni scrive quindi che la scena gli avrebbe ricordato il film se non 
fosse successa prima. È assai probabile, invece, che proprio il ricordo di 
questa scena abbia in qualche modo influito sulla scelta del soggetto di Blow-
Up e sulla realizzazione delle scene del parco. La stessa reazione del regista è 
inoltre rispecchiata da quella di Hemmings di fronte alle proprie scoperte. Il 
fotografo nel film e il regista nella realtà, sconcertati, si accorgono 
dell’inutilità della loro testimonianza, a causa dell’incertezza estrema di quello 
cui hanno assistito. “Ricordo che un lampo venne a illuminare nel mio 
cervello una certezza. Non c’era nessuna ragione al mondo perché noi fossimo 
in quel posto a quell’ora. …d’istinto io mi ribellavo stando fermo.”
2
 
L’assassinio in Blow-Up avviene in un ‘buco’ della trama, non visto da 
alcun personaggio della storia, né dallo spettatore, come nella suggestiva notte 
raccontata da Antonioni e come molti degli eventi drammatici dei film di 
Antonioni.  
                                                          
2
 Ibidem, p. 128. 
 7
È l’effetto questo della caduta di varie regole della finzione scenica, 
dell’ellissi sintattica e morfologica dell’immagine che provocano la 
partecipazione intellettuale dello spettatore e non lo incalzano con emozioni 
epidermiche. Nel cinema antonioniano, la narrazione cede il passo 
completamente alla visione e Blow-Up in particolare è il centro di un discorso 
che il cineasta svolge sullo sguardo, sul valore del cinema stesso, e quindi, più 
in generale, sulla percezione umana del mondo. 
Antonioni centra il suo lavoro di regista sull’aspetto visivo del film; 
ogni sensazione è trasformata in immagine perché è lo sguardo il mezzo 
principale attraverso il quale Antonioni decide di rapportarsi con il mondo. 
Prova ne sia, tra l’altro, la rarefatta presenza dei dialoghi, conseguenza della 
convinzione che le immagini bastano da sole a comunicare l’idea, mentre il 
sonoro è spesso praticamente assente. 
Lo spazio ha una netta rilevanza rispetto al tempo nel lavoro di 
Antonioni e non a caso in tutti i suoi film uno degli aspetti fondamentali è 
sempre lo spostamento, il viaggio, e molte sequenze ritraggono i protagonisti 
in movimento, in automobile nel caso di Blow-Up o anche a piedi, senza 
nemmeno che lo spostamento abbia una meta definita. 
Ciò su cui si fonda la costruzione dei film di Antonioni non è il nesso 
logico tra inquadratura e inquadratura, ma in realtà un principio estetico. In 
quest’ottica di predilezione della visuale, del rapporto diretto con il dato reale, 
si spiega la scrupolosa ricerca da parte del regista dei luoghi adatti nei quali 
effettuare le riprese ed il costante rifiuto di riprese negli studi e di interventi 
drastici in fase di montaggio. 
Il dato visivo percepito non ha comunque per Antonioni valore 
intrinseco univoco, ma è soggetto ad interpretazione da parte di chi lo 
percepisce. Un oggetto non esiste in assoluto, ma in rapporto all’osservatore. E 
quello che vi è oltre a questo dato è destinato sempre a rimanere velato di 
incertezza. 
 8
I finali dei film sono caratterizzati da una sospensione del senso per 
riflesso della scoperta, al termine della storia, che l’intento di scavare dietro 
l’apparenza, produce la consapevolezza che il reale rimanga anche per lo 
sguardo cinematografico indecifrabile. 
In questo senso, i film di Antonioni sono sempre in qualche misura 
metacinematografici; ma è in Blow-Up che tale discorso si radicalizza: lo 
sguardo, oltre che ad essere elemento stilistico fondante e tema centrale è ora 
anche nucleo dell’analisi prodotta dal film, che giunge ad investire 
l’argomento della crisi semantica dell’arte e addirittura più ampi problemi di 
ordine epistemologico. 
Il fotografo protagonista del film costruisce il significato di ciò che 
vede tramite il suo sguardo. Il significato dello stesso dato fotografato, infatti, 
cambia in relazione al numero di ingrandimenti che se ne ottengono e 
soprattutto con il numero delle volte che si cerca di scoprirne il significato. 
Ogni sguardo infatti non è mai neutrale ma fuorviante, e allora la macchina da 
presa diretta da Antonioni sottolinea in tutti i suoi film una certa distanza dal 
materiale filmato. I suoi film non hanno valore cognitivo ma estetico, non 
cercano di spiegare la realtà ma la descrivono: in questo senso Blow-Up aiuta 
a comprendere tutta la filmografia antonioniana. 
Riteniamo che la strabiliante modernità di Antonioni consista proprio 
nel fatto di aver lasciato la superficie parlare per sé cogliendone l’estetica 
autosufficienza, rendendo così la sua stessa arte più semplice e lasciando lo 
spettatore libero di pensare, di allenare il suo occhio e la sua mente senza la 
pretesa di consegnargli un significato precostituito. 
Nel presente lavoro, il nostro sforzo sarà dapprima concentrato nell’illustrare 
come l’opera di Antonioni in generale e come il singolo film Blow-Up siano 
stati recepiti dalla critica nel tempo, individuando i diversi tipi di approccio 
utilizzati. Vedremo come le opinioni espresse siano in vari modi contrastanti e 
 9
addirittura contraddittorie, per esempio nell’indicare il cinema di Antonioni 
come un cinema impegnato socialmente o formalista, come esso esprima una 
critica all’arte moderna o di questa condivida in pieno i tratti. Scopriremo le 
diverse misure in cui si è parlato di Blow-Up come di un racconto morale; in 
cosa consista secondo i critici la novità linguistica di Antonioni; se egli abbia 
effettivamente qualcosa da insegnare con la sua arte e se la propria arte sia 
investita da quella stessa crisi del significato che cerca di descrivere nella 
società moderna, ancora, se in conseguenza di questa crisi di senso il regista 
decida di rifugiarsi in un estetismo fine a se stesso. La fine del primo capitolo 
sarà dedicata ad una breve rassegna delle differenti interpretazioni date della 
scena finale di Blow-Up. 
Passeremo quindi ad analizzare il ruolo dello spettatore di Blow-Up per 
vedere come la difficoltà di visione di un film di Antonioni possa generare una 
così vasta gamma di interpretazioni tra loro discordanti. Vedremo come, a ben 
guardare, Blow-Up è in un certo senso la presentazione stessa del ruolo dello 
spettatore, poiché la macchina da presa all’interno del film si comporta come 
uno spettatore, apparentemente non raccontando una storia, ma assistendo ad 
alcune situazioni; idea questa suscitata anche dalla particolare struttura e 
tecnica di montaggio del film. Ed è poi soprattutto la scelta di un fotografo 
come protagonista della vicenda che più chiaramente e direttamente illustra 
come lo sguardo sulla realtà sia il tema fondamentale del film. 
Il discorso sullo sguardo aiuta meglio a comprendere quella che è la 
poetica di Antonioni, cui è dedicato il nostro terzo capitolo. L’arte di 
Antonioni si presenta come estremamente innovativa e destabilizzante nei 
confronti del cinema classico e della concezione morale imperante. 
Illustreremo il concetto chiave di dedramatisation per comprenderne lo stile, 
guidato da principi estetici più che da esigenze di narrazione, tanto da 
avvicinare l’opera di Antonioni a quella di importanti personaggi delle arti 
figurative contemporanee non solo per quanto concerne gli aspetti concettuali 
del proprio lavoro, ma anche per la cura con cui egli realizza le sue 
 10
inquadrature quasi come se stesse elaborando immagini che abbiano dignità di 
opere d’arte per se stesse. In questo senso si può parlare nel caso del regista di 
un’arte senza messaggi precostituiti da comunicare e si vede la sua vicinanza 
con il mondo mod descritto nel film. Arriveremo così a capire che il cinema di 
Antonioni valorizza l’irrazionalità nell’arte, perché nulla vi è di certo nel 
mondo. 
Sarà poi la volta dell’analisi del nucleo drammatico del film, incentrato 
sull’idea dell’ingrandimento fotografico che genera, ad ogni ulteriore 
ingrandimento dell’immagine iniziale e ad ogni successivo incontro del 
personaggio con l’immagine risultante una sovrapposizione di significato. 
Vedremo che Antonioni, descrivendo tale fenomeno, rende manifesto il fatto 
che non esiste coerenza nella realtà, ma che è l’essere umano, spettatore degli 
eventi a costruirne una, solitamente derivata dalla forma del pensare e dalle 
convenzioni che si assimilano nel vivere sociale. È questo il senso anche 
dell’ultima sequenza del film, che interpretata in questa maniera rivela tutto il 
suo significato. Risulta facile a questo punto identificare il valore del discorso 
portato avanti dal film di Antonioni e le implicazioni che esso ha per lo stesso 
sguardo cinematografico. 
L’ultimo capitolo sarà dedicato a delineare alcuni punti di contatto tra 
Blow-Up ed il più alto sapere filosofico. In particolare cercheremo di definire 
la misura in cui la visione espressa da Antonioni possa essere definita scettica, 
la sua concezione della conoscenza come ‘circolo vizioso’; tenteremo poi 
un’interpretazione della parabola emotiva del protagonista secondo il concetto 
heideggeriano di ‘calma angoscia’, per concludere presentando l’approccio 
fenomenologico di Antonioni alla realtà, che esprime con la sua arte il ‘ritorno 
alle cose’ di Husserl. 
 11
Capitolo primo 
Antonioni e Blow-Up nella critica 
Blow-Up esce nel 1966, è il film ‘inglese’ di Antonioni e succede ad una serie 
di film, quelli della ‘tetralogia dei sentimenti’, che, girati in pochi anni dal 
1959 al 1965, l’hanno consacrato grande artista agli occhi della critica 
internazionale. Il proprio lavoro, osannato in virtù di un linguaggio 
completamente nuovo dai più, condannato da coloro che vi videro un 
intellettualismo sprezzante ed un pessimismo compiaciuto, lo inseriva fino a 
quel momento nel periodo che i critici definiscono di crisi del Neorealismo, in 
cui le problematiche sociali erano affrontate in maniera più intima. Non erano 
cioè le condizioni d’indigenza materiale ad interessare i registi, ma la miseria 
interiore. 
Per certi aspetti, Blow-Up non si discosta dalla produzione antonioniana 
precedente; per esempio il film costituisce  un ulteriore anello della catena del 
tedium vitae, sulla difficoltà di accettare quello che la vita dà, che è un tema de 
Il grido e de Le amiche oltre che della tetralogia. Vi si respira infatti una certa 
aria di insoddisfazione nonostante l’ambiente effervescente nel quale è 
ambientato e l’esuberante gioventù inglese in mezzo alla quale nasce la 
vicenda. 
Inoltre, le somiglianze con i film precedenti si estendono al motivo 
dell’incomunicabilità, al grigiore dei toni e dell’atmosfera, nonostante esso in 
Blow-Up sia abbondantemente contrastato dai colori brillanti del mondo pop, 
la difficoltà dei protagonisti a rapportarsi con il mondo, la sospensione della 
 12
trama e l’estrema cura delle inquadrature, la raffinatezza delle immagini 
filmate da Antonioni. 
D’altra parte, tuttavia, l’interesse del regista viene a concentrarsi più sul 
rapporto tra individuo e realtà che tra le relazioni tra diversi individui. Inoltre, 
si esplicita in questo modo il discorso sulle possibilità conoscitive del mezzo 
cinematografico. In questo senso, Blow-Up è sia una tappa cruciale del cinema 
di Antonioni sia la cerniera tra il Neorealismo e le proprie indagini 
metacinematografiche ed epistemologiche successive. “Parrà strano dirlo—
scrive Antonioni—ma Blow-Up era un po’ il mio film neorealista sul rapporto 
tra l’individuo e la realtà, anche se aveva una sua componente metafisica 
proprio per quell’astrazione dell’apparenza.”
3
 
Ad un allargamento dei confini tematici dell’opera antonioniana, si 
affianca un deciso cambiamento dei ritmi e delle tecniche di ripresa. La 
macchina da presa abbandona la visuale piatta ed astraente della tetralogia e 
rinnova le proprie preoccupazioni per gli effetti di profondità, poiché l’intero 
film è incentrato sul modo di cogliere con un mezzo bidimensionale la 
profondità del reale. 
Ma ciò che ha sconcertato il pubblico e la maggioranza della critica è 
stata la singolare tecnica narrativa: il fatto che Antonioni abbia voluto 
ricalcare l’impianto del poliziesco così da vicino, salvo poi scardinarne il 
significato, il ritmo frenetico del montaggio, la grande vivacità derivante dalla 
strutturazione delle sequenze ambientate nei luoghi più disparati, 
contribuiscono a delineare uno stile che pochi si sarebbero aspettati dal regista 
dei piani-sequenza e dell’intimismo della tetralogia dei sentimenti. 
Blow-Up non poteva che sorprendere, ed in questo senso si spiega la 
sconcertante varietà e contraddittorietà dei giudizi che la critica ha espresso, 
oltre che riguardo l’attività cinematografica di Antonioni nel suo complesso, 
intorno ad un singolo film come Blow-Up. 
                                                          
3
 Antonioni, Michelangelo, Fare un film è per me vivere. Scritti sul cinema, a cura di Carlo di Carlo e 
Giorgio Tinazzi, Marsilio, Venezia, 1994, p. XXIV. 
 13
1.1. Antonioni impegnato? 
Negli anni ’50 e nei primi anni ’60 la figura di Antonioni è stata il centro di un 
dibattito, a volte molto aspro, intorno all’importanza sociale del suo cinema. 
Erano gli anni del Neorealismo, ovvero quelli della sua crisi, e la domanda che 
i critici si sono più spesso posta è se i film di Antonioni potessero essere 
celebrati o meno come un contributo significativo al movimento che ha 
segnato uno dei più alti momenti di svolta della storia del cinema e se egli 
potesse definirsi un artista socialmente impegnato. 
Molti furono i critici che rigettarono il cinema di Antonioni come 
espressione di un mondo borghese in crisi, come un cinema che si distraeva 
dai problemi della condizione sociale per sviluppare temi intimistici e più 
astratti e tacciarono spesso di calligrafismo la ricerca formale del regista. 
Diametralmente opposto a questa opinione è il parere di coloro che videro in 
Antonioni un ideologo di sinistra. Così Antonioni è stato accusato sia di essere 
un marxista militante, sia di non esserlo.
4
 C’è anche chi, come Sarris, definisce 
Antonioni un ideologo e un manierista e scrive che il regista “has come out in 
the open with a definitive description of his divided sensibility, half Mod, half 
Marxist,” ma si definisce comunque soddisfatto che in Blow-Up non si trovi 
l’ennui dei film precedenti.
5
 
Dopo la realizzazione di Deserto rosso la critica italiana, tranne alcuni 
rari casi, tra i quali soprattutto quello di Lorenzo Cuccu, non è sembrata 
interessarsi molto allo studio dei risultati estetici raggiunti dal cinema 
antonioniano, quasi che con la tetralogia il regista ferrarese avesse raggiunto il 
non plus ultra delle sue potenzialità espressive ed esaurito la sua vena artistica, 
ed è dal mondo anglosassone che ci pare vengano i contributi più interessanti. 
                                                          
4
 Strick, Philip, in Motion, n. 5, marzo 1963, e Aristarco, Giulio, ‘Il cinema italiano dopo Antonioni’, 
in Quaderni del CUC di Milano, n. 6, 1962, citati in Fink, Guido, Giampaolo Bernagozzi, Gian Piero 
Brunetta, Leonardo Quaresima, Giorgio De Vincenti, Michelangelo Antonioni. Identificazione di un 
autore. Gli anni della formazione e la critica su Antonioni, Pratiche Editrice, Parma, 1983, pp. 121 e 
103. 
5
 Sarris, Andrew, ‘No Antoniennui’, in Huss, Roy (ed.), Focus on Blow-Up, Prentice-Hall, 
Englewood Cliffs, N.J., 1971, (pp. 31-35), pp. 32-34. 
 14
Fa notare Tassone che “il fatto che su Antonioni si sia scritto relativamente 
pochissimo dopo l’ubriacatura degli anni Sessanta… ha fatto sì che il 
vocabolario critico e i criteri di analisi e valutazione delle opere siano rimasti 
quelli dei tempi de L’avventura.”
6
 
Interessante da questo punto di vista, dopo le censure subite da 
L’avventura e Il grido, anche la vicenda di Blow-Up: “Prima mondiale a New 
York e Los Angeles, il 18 dicembre e l’anno dopo Palma d’oro a Cannes. In 
Italia il film, sequestrato in ottobre, poco dopo l’uscita, torna in circolazione 
senza censure ottenendo il quinto posto negli incassi stagionali.”
7
 
Dalla metà degli anni ’60 comunque, per quasi tutti i critici diventò 
chiaro che Antonioni era un artista impegnato, si chiarì il suo atteggiamento 
laico e antimoralista, e anche grazie all’intervento nel dibattito di studiosi 
quali Eco e Fink l’attenzione dai temi sociali toccati dall’opera di Antonioni si 
spostò verso una lettura semiologica dei suoi film. 
Eco reimpostò problema dell’impegno sociale di Antonioni in termini 
di semiotica. Secondo lo studioso il regista esprime un modo di vedere ed il 
suo cinema va considerato come ‘montaggio critico degli eventi’, ossia 
intervento cosciente sulla realtà, che si oppone alla visione ‘angusta, 
crepuscolarmente soggettiva, lirico-melanconica’ che la critica sembrava 
scorgere nei suoi film. 
Le cose sono lì. Ma non nel senso di una facile fenomenologia 
travisata metafisicamente. Le cose di Antonioni sono sempre cose 
precise, cariche di implicazioni sociali: nuove costruzioni, oggetti 
tecnici, cantieri, lampioni, aeroporti. Sono quelle, e non altre cose. 
E poche pagine dopo: “Un’opera d’arte che porti a situazione di 
coscienza la natura dei nostri rapporti con gli altri e con le cose, 
                                                          
6
 Tassone, Aldo, citato in Gianetti, David, Invito al cinema di Michelangelo Antonioni, Mursia, 
Milano, 1999, p. 185. 
7
 Gianetti, David, op. cit., Milano, 1999, p. 34. 
 15
smascherandone le superfici ingannevoli, mettendo a nudo certe strutture 
portanti, proprio e solo questa vorrei chiamare un’opera impegnata.”
8
 
Per Fink l’impegno di Antonioni si esplica attraverso una ricerca che 
parte da un fatto apparentemente gratuito e incomprensibile e che è indagine, 
tentativo di capire, di “spiegare l’assurdo: la ‘camera’ si fa strumento di una 
commovente lotta contro gli infingimenti della realtà superficiale e stratificata, 
per trovarsi faccia a faccia, senza più miti e paure, con la vera realtà: anche la 
più squallida.” Fink esprime una visione ottimista riguardo il risultato delle 
indagini antonioniane: i misteri intorno al quale i film si dibattono sono 
finalmente chiariti.
 9
 
Lo stesso atteggiamento assume Samuels, il quale vede in Blow-Up la 
critica mossa da Antonioni a tutti coloro che non riescono a stringere, per così 
dire, un legame significativo con la realtà, che non riescono a carpirne il senso, 
come il personaggio di Hemmings, protagonista del film. Egli è per Samuels 
un inconcludente che Antonioni ha scelto di rappresentare ad emblema della 
paralisi che attanaglia il mondo moderno. A suggello della sua visione, che 
potremmo definire empirista, Samuels afferma: “Because the body vanishes, 
and because the photographer ultimately hears a tennis ball that doesn’t exist, 
some people have thought that Antonioni means us to question the existence 
of the corpse.”
10
 
Lotman è un altro importante critico che ha svolto un ruolo 
fondamentale nel riconoscere in Antonioni il grande spessore morale dello 
sguardo. Secondo il semiologo russo Antonioni tenta in Blow-Up di 
dimostrare la necessità di ricercare l’autentico, che non basta riprodurre la vita 
ma che occorre decifrarla. Lotman distingue nel film un episodio centrale, 
costituito dalle sequenze delle fotografie scattate nel parco, quella dello 
                                                          
8
 Eco, Umberto, Antonioni impegnato, citato in Fink, Guido, Giampaolo Bernagozzi, Gian Piero 
Brunetta, Leonardo Quaresima, Giorgio De Vincenti, Michelangelo Antonioni. Identificazione di un 
autore. Gli anni della formazione e la critica su Antonioni, Pratiche Editrice, Parma, 1983, pp. 76-77. 
9
 Fink, Guido, ‘Tre registi fra ‘lettera’ e ‘spirito’, in Documenti del Centro Universitario 
Cinematografico di Trieste, n. 5, 1965, p. 7, citato in Fink, op. cit., pp. 78-79. 
 16
sviluppo, dell’ingrandimento e della loro analisi, inserito in un contesto 
narrativo che fornisce una descrizione del mondo del protagonista: “un mondo 
di fantasmi” e di immoralità nel quale Hemmings non riesce più a distinguere 
tra realtà e fantasia: “in principio non si accorge di quello che succede, alla 
fine sente quello che non c’è.” L’episodio centrale racchiude il senso più 
profondo del film: la contrapposizione di un cinema per così dire esplicativo, 
che si pone il problema dell’interpretazione, della decifrazione del reale, a un 
cinema che privilegia la pura registrazione dei fatti, la cronaca. “Fatto ancora 
più sorprendente—afferma Lotman—se si ricorda che in passato Antonioni 
era piuttosto vicino alle posizioni di chi sosteneva la validità dello stile 
documentaristico e delle riprese ‘casuali’.” In sostanza, il regista ferrarese 
“dall’idea di ‘cinepresa itinerante’… è passato a quella di film di analisi,” 
recuperando la tradizione di Ejzenštein di un cinema intellettuale che era stata 
abbandonata dal dopoguerra.
11
 
Ma se per Lotman il fotografo rimane prigioniero del suo mondo, 
Fernandez ritiene che alla fine egli abbia compreso a distinguere tra arte e 
realtà, non soffre più del fatto di doversi relazionare ad entità che, come nel 
caso della palla da tennis che finge di raccogliere e lanciare, non può vedere 
né fotografare: Hemmings ha imparato a superare i limiti imposti dal suo 
medium artistico e può finalmente muoversi in un mondo più vasto di quello 
della sua macchina fotografica può comprendere.
12
 
                                                                                                                                                                    
10
 Samuels, Charles Thomas, ‘The Blow-Up: Sorting Things Out’, in Huss, op. cit., (pp. 13-28), pp. 
18-19. 
11
 Lotman, Jurij M., Semiotica del cinema. Problemi di estetica cinematografica, traduzione di Gloria 
Beltrame, Eidzioni del Prisma, Catania, 1994, pp. 167-71. 
12
 Fernandez, Henry, ‘From Cortàzar to Antonioni: Study of an Adaption’, in Huss, op. cit., (pp.163-
67), p. 167. 
 17
1.2. Realtà o finzione: il discorso sull’arte 
Anche per Adelio Ferrero l’impegno e la moralità dello sguardo di Antonioni 
si esplicano nella scelta che Hemmings si trova a compiere tra vita e 
finzione.
13
 John Freccero esprime questo stesso concetto contrapponendo 
Antonioni a Fellini, quelli che nella sua visione sono il maestro, se non della 
verità, almeno del disinganno e il maestro della finzione. Scrive infatti 
Freccero: “Blow-Up is the dramatic refutation of Fellini’s make-believe and its 
bleakness consists in the fact that the only alternatives it offers to the lie are 
the search or silence.”
14
 Blow-Up è un film che si interroga sul confine tra arte 
e illusione, e Freccero individua il punto di contatto tra le due sfere nel corpo 
inanimato che Hemmings tocca nel parco e che poco dopo scompare senza 
lasciare nessuna traccia di sé. Quale sia il limite tra arte e illusione è allora un 
dilemma dal quale si può uscire solamente attraverso due strade: “either to 
deny any point of tangency between illusion and reality and embrace the lie 
with full creative awareness, as does Fellini, or to dramatize the dilemma with 
a surrogate in search of a conclusion, a film about its own impossibility, like 
the dead body which Thomas no sooner touches than it disappears.”
15
 
Il discorso di Antonioni è riflessione sulle possibilità dell’arte pure 
secondo Kinder e Clear, che ravvisano in Blow-Up un distacco del regista 
dall’arte contemporanea. Jean Clair sostiene che in Blow-Up l’arte sia 
mistificazione della realtà, in un mondo dove tutto è incerto l’arte costruisce 
ed amplifica le illusioni: 
Given an absolute indeterminacy of what is real, the only possible 
way to act is to multiply illusion by illusion and willingly to accept 
appearance as reality. The work of art is both the tree that hides the 
forest of reality from us and the screen that shelters us from the 
void of reality.
16
 
                                                          
13
 Ferrero, Adelio, Lo sguardo di Antonioni, a cura di Nuccio Lodato, Azienda Teatrale Alessandrina, 
1995. 
14
 Freccero, John, ‘Blow-Up: from the Word to the Image’, in Huss, op. cit., (pp. 116-128), p. 120. 
15
 Ibidem, p. 122. 
16
 Clair, Jean, ‘The Road to Damascus: Blow-Up’, in Huss, op. cit., (pp. 53-57), p. 56.