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INTRODUZIONE 
 
In questa mia tesi cercherò di confrontare i rischi / opportunità per un piccolo 
investitore che vuole far fruttare il suo capitale optando per un investimento 
verde. Per investimento verde intendo la scelta tra attività reali (energie 
rinnovabili, solare fotovoltaico) ed attività finanziarie (azioni/obbligazioni sui 
titoli azionari legati alle fonti rinnovabili).  
Il settore fotovoltaico presenta oggi tassi di crescita annui costantemente a 
due cifre e recentemente Comuni italiani come Roma, Padova e Grosseto 
sono stati premiati a livello internazionale per lo sviluppo delle energie 
rinnovabili e l’elevata efficienza energetica conseguita. Per contro, dopo gli 
anni d’oro per i produttori di moduli fotovoltaici, oggigiorno assistiamo al 
divario crescente fra produzione e domanda, il quale è aggravato dal drastico 
crollo dei costi unitari dei moduli, dovuto in parte all’innovazione tecnologica, 
in parte al learning by doing, ma in misura altrettanto decisiva alla 
produzione su larga scala.  
Costi in costante riduzione e sovracapacità produttiva stanno facendo 
scendere i prezzi dei moduli a livelli tali da consentire margini di profitti 
estremamente contenuti, quando addirittura le vendite non avvengono 
sottocosto. 
I mercati finanziari, essi medesimi, crescono sempre di più ed il loro valore 
oggi supera di svariate volte l’economia reale. Inoltre il recente sviluppo delle 
telecomunicazioni ha reso possibile alla maggioranza della popolazione 
avere un conto operativo in internet banking dal computer di casa, attraverso 
il quale consultare le quotazioni delle diverse Borse mondiali e rimanere 
aggiornati sull’andamento dei mercati finanziari. 
 Attualmente, a mio avviso, non esistono più investimenti sicuri in quanto da 
una parte le attività reali sono soggette a rischi quali furto, danneggiamento, 
guasto. Inoltre è sempre più facoltà dei “ricchi” la possibilità di sfruttare 
elevati e consistenti capitali e quindi godere di economie di scala più 
efficienti. In riferimento al fotovoltaico ad esempio, i grandi impianti offrono
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maggior efficienza ed efficacia rispetto ad impianti di più piccole dimensioni. 
Parallelamente nei mercati finanziari chi riesce a muovere enormi quantità di 
denaro consegue sostanziali vantaggi rispetto a chi riesce ad acquistare 
duemila o cinquemila Euro in azioni societarie. Alcune operazioni poi, come 
la sottoscrizione di obbligazioni o di nuovo capitale sociale presentano delle 
soglie minime di investimento e si configurano quindi come vere e proprie 
barriere all’ingresso per i risparmiatori.  
Per di più le banche di investimento e gli investitori istituzionali sono favoriti 
in quanto possono accedere a strumenti finanziari più efficienti e sfruttare 
costi di intermediazione minori. Investire in attività finanziarie è rischioso per 
definizione e, considerando le ultime due crisi finanziarie, l’investitore deve 
essere ben consapevole e preparato per non veder diminuire drasticamente i 
suoi risparmi. 
Non per questo secondo me l’investitore medio deve accontentarsi di 
investire esclusivamente in BOT, titoli di Stato ed obbligazioni. Tenendo 
conto del tasso medio inflattivo, intorno al 3%; si dovrebbe cercare di far 
fruttare il proprio capitale con tassi perlomeno superiori al 4.5 / 5% annuo.  
Ciò premesso analizzeremo ora le caratteristiche degli impianti fotovoltaici, 
per poi concentrarci sui mercati finanziari analizzando azioni e obbligazioni 
legate alle energie rinnovabili.
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CAPITOLO 1 
 
1.1 Esternalità e beni pubblici  
 
Vorrei iniziare la trattazione parlando di esternalità e beni pubblici poiché 
sono concetti fondamentali per uno sviluppo ecosostenibile dell’economia nel 
lungo periodo e forse permetteranno alle prossime generazioni un futuro 
ancora ricco di risorse. 
I beni pubblici sono beni per cui non esiste rivalità nel consumo. Assenza di 
rivalità nel consumo significa che un individuo che trae beneficio dal 
consumo di un bene pubblico non riduce i benefici che ne possono trarre altri 
individui. Una volta che il bene è stato prodotto, il fatto che sia consumato da 
una persona in più ha un costo marginale pari a zero. 
Dunque la non rivalità è una delle caratteristiche fondamentali di un bene 
pubblico, l’altra è la non escludibilità, non è possibile o conveniente 
escludere un soggetto dal consumo del bene. 
Classici esempi di beni pubblici sono un parco comunale, una biblioteca. 
Quando alla comunità viene fornito un bene pubblico non escludibile, il 
benessere dell’intera collettività aumenta, un bene pubblico non escludibile è 
un esempio di esternalità positiva. 
Si parla di esternalità quando l’attività di produzione o di consumo di uno o 
più agenti del sistema economico provoca effetti positivi o negativi sull’attività 
di consumo o produzione di un altro soggetto, senza che tali effetti siano 
adeguatamente valorizzati e inclusi nei prezzi, vale a dire regolati attraverso 
il sistema di mercato. 
Gli effetti, in termini d’inquinamento, derivanti dall’emissione di sostanze 
contaminanti nell’atmosfera da parte di un impianto di produzione di acciaio 
non sottoposto ad alcuna restrizione della propria attività emissiva, possono 
essere considerati esternalità negative derivanti dall’attività di produzione. In 
questo caso l’attività dell’acciaieria ha un impatto negativo sulla qualità 
dell’aria e, perciò, sulla salute dei membri della collettività, e manca un
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meccanismo che permetta,  anzi obblighi l’impresa a tener conto di tale costo 
esterno e ad  indennizzare i danneggiati. 
Un esempio classico di esternalità negativa del consumo è il fumo. L’attività 
di consumo che consiste nel fumare può provocare fastidio e danni alla 
salute di soggetti diversi dal fumatore. Il danno a terzi può non essere 
considerato nelle decisioni di consumo del fumatore, così come, per un altro 
esempio di grande attualità, il danno derivante dalle emissioni di polveri sottili 
della propria automobile può non essere considerato nelle decisioni di 
consumo del bene automobile da parte degli automobilisti. 
Analizziamo quindi diverse politiche attuabili per risolvere o limitare questo 
problema. 
Possibili soluzioni per le esternalità:  
1) Assegnare a privati la proprietà della risorsa in gestione. Il teorema di 
Coase afferma che una volta stabilito a chi appartiene una certa risorsa, la 
contrattazione tra le parti coinvolte porterà ad un uso efficiente della risorsa. 
2) Politiche pubbliche. Strumenti amministrativi quali l’approccio “command 
and control”. I diversi governi possono fissare standard di qualità ambientale, 
standard di emissione, standard di prodotto, standard tecnologici. 
Il punto di forza degli strumenti amministrativi è costituito dalla loro efficacia, 
visto che sono precisi e obbligatori. L’efficacia dipende a sua volta dalla 
capacità dell’autorità competente di far applicare le norme e di imporre, in 
caso di mancato rispetto delle stesse, sanzioni commisurate al danno 
ambientale. A volte gli strumenti amministrativi non rappresentano l’opzione 
più efficiente per perseguire gli obiettivi di politica ambientale. In particolare 
nel caso di imposizione di limiti uniformi su soggetti (ad esempio impianti) 
con funzioni di costo marginale ed abbattimento differenti, come si verifica 
spesso quando lo stesso tipo di emissioni proviene da impianti che 
producono beni diversi o quando gli impianti hanno diversa età e diversa 
tecnologia.  
3) Utilizzo di strumenti economici quali: 
- Tasse ambientali: producono un incremento del costo di una determinata
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produzione inquinante. Tale maggior costo si scarica, almeno in parte, sul 
consumatore finale in termini di maggior prezzo del prodotto, servizio 
acquistato; ne deriva una riduzione della domanda del bene, servizio la cui 
produzione è gravata dalla tassa. 
- Sussidi ambientali: attraverso un sistema di sussidi ambientali si incentiva 
l’inquinatore ad abbattere il livello delle proprie emissioni. Quindi l’inquinatore 
riceverà un premio per ogni unità di produzione evitata. 
- Permessi negoziabili: in un sistema di emission trading il legislatore fissa 
l’obiettivo di abbattimento, lo distribuisce inizialmente tra i soggetti cui decide 
di imporre l’abbattimento stesso, attraverso l’assegnazione di titoli 
rappresentativi delle emissioni, e consente loro di scambiare tali titoli. Si 
affidano così al mercato la definitiva allocazione dell’obbligo tra i soggetti e la 
conseguente determinazione del costo unitario dell’emissione; quest’ultimo 
corrisponde al punto di intersezione delle curve di domanda e offerta di titoli 
di emissione. 
Uno schema del tipo appena descritto combina le caratteristiche di uno 
strumento amministrativo (imposizione di un limite certo alle emissioni 
complessive), che garantiscono l’efficacia della politica, con quelle di un 
meccanismo di mercato, che producono un’allocazione efficiente degli sforzi 
di abbattimento. 
Un sistema di permessi negoziabili (emission trading) quale quello descritto è 
definito come sistema di “ cap and trade”;  il legislatore fissa la quantità di 
emissioni desiderata (cap) e distribuisce ai partecipanti allo schema un  
numero di permessi negoziabili (allowance) corrispondenti alla suddetta 
quantità. 
Al termine del periodo di compliance, i partecipanti sono abbligati a restituire 
una quantità di permessi pari alle proprie emissioni. Dati l’obbligo, la 
possibilità di negoziare i titoli ed il prezzo degli stessi (se il mercato funziona 
in concorrenza i partecipanti sono price taker), ciascun operatore è posto di 
fronte alla seguente scelta: ridurre le proprie emissioni oppure acquistare un 
permesso sul mercato. Per ciascuna unità di emissione, la scelta sarà
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effettuata sulla base del proprio costo marginale di abbattimento: se questo è 
maggiore del prezzo del permesso, il partecipante opterà per l’acquisto di un 
titolo sul mercato; se questo è, viceversa, minore del prezzo del permesso , 
per l’operatore sarà conveniente effettuare la riduzione. Gli esempi più 
importanti di sistema cap and trade sono lo schema UE di emission trading 
(EU ETS), ed il sistema di emission trading introdotto dal Protocollo di Kyoto. 
Tornando ad esaminare i beni pubblici, le persone possono avere interesse a 
nascondere le loro reali preferenze e generare situazioni di equilibrio non 
ottimali. Facciamo l’esempio di Carlo e Andrea, due amici che devono 
decidere se acquistare un albero (bene comune) da piantare nel giardino; 
poniamo che il costo sia pari a 150 Euro e che il beneficio sia pari a 100 Euro 
per ciascuno. Ovviamente, l’acquisto da parte di uno solo comporta un 
beneficio netto negativo per chi acquista pari a – 50 (paga 150 per un 
beneficio di 100) ed un beneficio netto positivo pari a 100 per l’altro (che non 
paga niente ed ha una disponibilità del bene pubblico con beneficio pari a 
100). Se poi entrambi decidessero di acquistare ciascuno un albero, vi 
sarebbe un beneficio netto di – 50 per entrambi. Se nessuno dei due decide 
per l’acquisto, rimane un beneficio pari a 0. 
 Notiamo che la strategia “non acquisto” è dominante per entrambi. In 
conclusione, esiste un unico equilibrio: non acquisto per entrambi. Nel gioco 
del free rider, il fatto che un consumatore sia disposto all’acquisto tende a 
ridurre l’incentivo a contribuire per l’altro. 
 
Tabella 1.1, Il dilemma del free rider,fonte:Microeconomia,terza edizione 
 
 ANDREA 
Acquisto Non acquisto 
CARLO Acquisto -50;-50 -50,100 
Non acquisto 100;-50 0;0
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1.2 Bilancio energetico nazionale: 
 
L’Italia è storicamente un paese povero di materie prime e l’importazione di 
energia da paesi esteri influisce notevolmente sul PIL nazionale. In questo 
paragrafo monitorerò le diverse fonti da cui il nostro paese si approvvigiona 
di energia. 
In primo luogo l’energia è essenziale per il funzionamento del sistema 
economico, tanto che una carenza di rifornimenti energetici anche 
temporanea può paralizzare l’economia e colpire seriamente la vita dei 
cittadini, e al tempo stesso l’energia non è facilmente riproducibile ma 
richiede l’accesso a fonti naturali limitate e distribuite nel mondo in modo 
disuguale così da creare preoccupazioni per l’accessibilità presente e futura. 
La combinazione di queste due caratteristiche evidenzia un problema di 
sicurezza delle forniture di cui i governi ovviamente si preoccupano. 
Naturalmente la sicurezza è maggiore in un sistema economico che, a parità 
di reddito, consuma meno energia di un altro; in altre parole l’efficienza 
energetica è anche un fattore di sicurezza. 
Le grandi dimensioni dei costi e soprattutto dei rischi connessi con la ricerca 
e l’estrazione del petrolio e del gas creano mercati mondiali molto concentrati 
(oligopoli), dominati da un ristretto numero di imprese grandissime, di 
dimensioni economiche superiori a quelle di molti Stati. Queste imprese 
hanno un grande potere e non sono pienamente soggette alla disciplina che, 
secondo la teoria economica, un mercato concorrenziale impone all’impresa. 
Ciò vale in termini di prezzo: in un mercato concorrenziale l’impresa è price 
taker, cioè non influisce sul prezzo, mentre in un mercato oligopolistico 
l’impresa segue strategie di prezzo e può essere incline a cercare accordi 
con gli altri oligopolisti. 
Gli Stati si intromettono nei mercati quando vedono i loro interessi in 
pericolo, le imprese influenzano la politica degli Stati per difendere la propria 
libertà d’azione; si sviluppa una naturale alleanza, nei paesi di media
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dimensione come l’Italia, tra lo Stato e le maggiori imprese nazionali; si 
creano situazioni favorevoli al protezionismo che insidia l’efficienza dei  
mercati e riduce il benessere generale. Considerazioni analoghe valgono in 
modo particolare per il settore nucleare, per la dimensione degli investimenti 
richiesti e gli aspetti di sicurezza connessi. 
Inoltre il potere dell’impresa si esercita su terreni diversi da quello dei prezzi: 
per operare dovrà ottenere dal potere politico il diritto di sfruttare risorse 
naturali o di costruire e gestire infrastrutture monopolistiche, ed entrerà 
quindi necessariamente in  relazione con esso. 
In secondo luogo le forme più moderne di energia, l’elettricità ed il gas, sono 
distribuite attraverso reti che presentano una caratteristica particolare: sono 
infrastrutture essenziali (essential facilities), di cui cioè non si può fare a 
meno, ed inoltre sono molto costose da costruire mentre è piccola la 
differenza di costo tra una rete con capacità maggiore e una con capacità 
minore, da cui la conseguenza che non è generalmente economico 
duplicarle (si dice in questo caso che si tratta di monopoli naturali). 
La presenza di infrastrutture essenziali crea sempre posizioni di monopolio o 
di grande potere di mercato e richiede quindi un intervento di regolazione 
pubblica per proteggere i consumatori e per consentire una concorrenza 
corretta tra gli operatori che usano la stessa infrastruttura. 
In terzo luogo l’uso dell’energia produce effetti importanti sull’equilibrio 
dell’ambiente (esternalità). Come per gli altri casi di “fallimenti del mercato” 
si rende necessaria un’azione pubblica correttiva. 
Per le tre ragioni esposte l’energia occupa una posizione speciale nella 
politica economica di tutti i paesi. Anche nei paesi più nettamente orientati 
all’economia di mercato e contrari alla pianificazione statale ed alla proprietà 
pubblica delle imprese, è normale parlare di piani energetici  nazionali; è 
diffusa la presenza di imprese statali o comunque a controllo pubblico o  
legate allo Stato da accordi speciali.