4
nel 1913 collaborò a “Il Resto del Carlino” dapprima come inviato 
all’estero (andò a Vienna, Berlino e Berna), in seguito come 
corrispondente politico da Roma: in questo periodo lavorò con Dino 
Grandi, allora giovane redattore. 
Nel 1913, a 23 anni, pubblicò il suo primo libro Introduzione alla vita 
beata di G.A. Fichte. L’11 dicembre 1914 discusse la tesi, in 
letteratura francese, su Honoré De Balzac intitolata Preparazione e 
Genesi de “La Comédie Humaine.  
Meno di un anno dopo il giovane Nello Quilici fu chiamato alle armi; 
venne arruolato con il grado di sottotenente di artiglieria e fu subito 
destinato nella zona del Carso, ma non vi rimase a lungo: pochi mesi 
più tardi, nel 1916, ebbe un lungo periodo di licenza a causa della 
nascita del primogenito Vanni, avuto dal matrimonio con Virginia 
Cucchi. Fra la fine del 1916 e l’inizio del 1917 fu richiamato alle 
armi: lo provano, nell’archivio di famiglia, le cartoline di guerra che 
ricevette dalla moglie e dagli amici indirizzate prima a Mantova e poi  
a Messina. 
Finita la guerra, Quilici ritornò al mestiere di giornalista e dal 1919 
fino al 1920 (anno in cui perse la moglie colpita dalla letale febbre 
“spagnola”) fu a Zurigo, come corrispondente del “Resto del Carlino” 
e del “Tempo”. 
Nel 1921 fu chiamato alla direzione del “Resto del Carlino”, che era 
già entrato nell’orbita fascista; a quanto pare
1
, lo fu pure Quilici che 
                                          
1
 Questo afferma il volume Quilici (Ferrara 1941, p.254), uscito per celebrare lo studioso 
morto con Balbo l’anno precedente. 
 5
ricevette la tessera del partito nazionale fascista nel 1921 dalla 
Federazione dei fasci di Bologna, anche se l’iscrizione fu formalizzata 
a Ferrara solo l’11 ottobre 1925.  
L’incarico di direttore fu ricoperto per due anni, fino a quando fu 
costretto alle dimissioni in seguito ad un imbarazzante duello con il 
commissario politico di Bologna Gino Baroncini. Alla fine dello 
stesso anno si trasferì a Roma per ricoprire l’incarico di caporedattore 
del “Corriere Italiano”, ma il giornale ebbe vita breve a causa del 
coinvolgimento del suo direttore, Filippelli, nell’omicidio Matteotti, e 
dello stesso Nello Quilici, che ospitò la macchina del delitto nel suo 
garage. In seguito, al processo, fu giudicato estraneo ai fatti. 
Nel 1925, in conseguenza di un incontro con Balbo, il ras di Ferrara 
che Quilici aveva già avuto modo di conoscere nell’assedio di 
Bologna del 1921 ad opera dei fascisti, partecipò all’avventura del 
“Corriere Padano”, quotidiano fondato dallo stesso Balbo nel quale 
Quilici ricoprì inizialmente  l’incarico di caporedattore, per 
diventarne, poi, nell’ottobre dello stesso anno il direttore fino al 1940. 
Il periodo ferrarese fu quello più fecondo, in cui raggiunse l’apice 
della carriera come giornalista, ma anche come scrittore, storico e 
insegnante. 
Inoltre, nel 1928, aveva sposato Emma Buzzacchi, una giovane artista 
originaria di Mantova (era nata a Bedole il 28 agosto 1903); nel 1930 
la coppia ebbe un figlio: Folco; cinque anni dopo nacque Vieri. 
Quanto alla vena letteraria di Nello Quilici, i primi dieci anni della sua 
permanenza a Ferrara furono ricchi di soddisfazioni: nel 1928 scrisse 
l’introduzione dell’opera firmata da Umberto Klinger, segretario del 
 6
P.N.F. di Ferrara, intitolata L’altra sponda - Note d’una crociera 
adriatica. 
In quello stesso anno fu tra i fondatori del “Comitato dell’Ottava 
d’oro”, una associazione che si prefiggeva di riscoprire e divulgare le 
opere di Ariosto attraverso un programma di letture pubbliche che 
furono tenute in presenza del Re Vittorio Emanuele III; Quilici stesso 
partecipò al ciclo di letture tenendone una sulle figure di “Fiordiligi e 
Brandimarte” (tutti gli interventi furono pubblicati nel libro L’Ottava 
d’oro nel 1930). 
Nel 1928 Quilici fu tra gli autori dell’opera Cor Cordium, in memoria 
di Enrico Vanni, in cui furono raccolte le testimonianze, i telegrammi 
di cordoglio e quant’altro potesse contribuire al ricordo di Enrico 
Vanni, un collega e amico di vecchia data del direttore del “Corriere 
Padano”. 
Nel 1929 fu nominato professore ordinario della cattedra di “Storia 
politica moderna” nell’Università di Ferrara, un ruolo che ricoprì per 
dieci anni (nell’anno accademico 1938 - 1939 fu anche professore di 
“Storia e dottrina del fascismo” nell’Università di Padova); nel 1930 
fu stampato il suo primo studio sul Risorgimento pubblicato sulla 
rivista “Cultura”: un saggio sui Reazionari italiani del 1830 - 1840, 
prima prova del crescente interesse di Quilici per le problematiche 
legate alle origini storiche e sociali dell’Italia fascista. 
Nello stesso anno pubblicò i suoi saggi su Machiavelli e Guicciardini, 
considerati intesi come pionieri intellettuali dell’Italia borghese. 
L’impegno nello studio del Risorgimento si fece più forte in Quilici a 
partire dalla fondazione, nello stesso anno, della rivista “Nuovi 
 7
Problemi di Politica, Storia ed Economia”, nella quale lo studioso 
pubblicò a puntate gran parte delle sue opere più celebri. 
Infatti, proprio a partire dal 1930 fu dato alle stampe, in tre parti, il 
saggio Borghesia italiana, pubblicato integralmente nel 1932. 
Nello stesso anno Quilici tenne un discorso come prolusione all’anno 
accademico 1932 - 1933 intitolato L’Enigma di Adua, che divenne un 
libro nello stesso anno. 
 Nel 1933 lo scrittore continuò i suoi saggi sul periodo postunitario: 
fra il 1933 e il 1934 apparvero i saggi del ciclo Fine di secolo. Quattro 
dei quali riguardarono lo scandalo della Banca Romana (riuniti 
nell’opera, edita nel 1935, Fine di secolo - Banca Romana).  
Nel 1933 fondò, inoltre, la “Rivista di Ferrara”, una pubblicazione, 
stampata con carta di lusso, dedicata all’arte e alla storia di Ferrara; 
l’esperimento editoriale ebbe però vita breve a causa dei 
provvedimenti autarchici del regime per il risparmio delle materie 
prime, come appunto la carta. 
Il 1934 fu sicuramente l’anno più proficuo per lo scrittore che ebbe 
anche la sua consacrazione come insegnante: fu infatti giudicato 
maturo in un concorso universitario di storia moderna e 
contemporanea presso l’Università di Perugia
2
, la cui giuria era 
composta dagli storici più noti di allora, in primis Gioacchino Volpe. 
                                          
2
 “Fervido ingegno, poligrafo brillante, colto, fecondo, il Quilici ha fondato quei “Nuovi 
Problemi” che agitano idee e nobiltà di propositi degni di maggiori riviste” 
(Cfr. AA.VV., Quilici,cit.,p.256) 
 8
Risalgono a quell’anno Giornale, un’opera che conteneva gli articoli 
scritti sul “Corriere Padano” da Nello Quilici dal 1925 al 1934, 
Aviatoria, un tributo all’aviazione e ai suoi eroi e Otto saggi,  una 
raccolta di studi su alcune figure storiche fra le quali Verri e Alfieri. 
Sempre nel 1934 furono date alle stampe l’opera America 1934, frutto 
del viaggio di Quilici negli Stati Uniti a  seguito di Balbo per la 
Crociera del Decennale (partecipò alle quattro crociere dell’aviazione 
organizzate da Italo Balbo: Mediterraneo occidentale e orientale del 
1928 e del 1929 e la prima e seconda Crociera Atlantica nel 1930 e nel 
1933) e Spirito e forme del giornalismo fascista, una difesa dei valori 
della stampa fascista che Quilici aveva già esposto in un discorso 
tenuto all’Università di Colonia. 
Nel 1935, infine, Nello Quilici scrisse una monografia sul ruolo di 
Ferrara in guerra: L’Interventismo ferrarese. 
A partire dal 1936 diminuirono le opere del giornalista che si dedicò 
maggiormente al suo lavoro di direttore e all’insegnamento, a questi 
impegni aggiunse interventi alla radio. L’anno seguente scrisse 
Spagna, uno studio sulle origini e le cause della guerra civile 
spagnola. 
L’opera fu pubblicata prima su “Nuovi Problemi” poi, l’anno 
seguente, sui quaderni dell’Istituto di cultura fascista. 
Nel 1938 fu la volta di Pareto nella quale tentava una sintesi fra i 
concetti di monopolio e libertà, ma il 1938 fu anche l’anno dello 
scritto più discusso di Nello Quilici: La difesa della razza apparso 
sulla rivista “Nuova Antologia” nel mese di settembre; egli difese ed 
interpretò il problema del razzismo e dell’antisemitismo mettendolo in 
 9
relazione alle esigenze del fascismo e alla realtà sociale italiana. A La 
difesa della razza, seguirono un paio di articoli sul “Corriere Padano” 
in cui Quilici volle mettere in rilievo i motivi politici dei 
provvedimenti del Gran Consiglio Fascista sulla questione razziale. 
Nel 1939 Quilici affiancò alle tematiche storiche e politiche quelle 
artistiche: uscirono in quell’anno il volume Mito di Ferrara, dedicato 
agli affreschi di Achille Funi, e l’opera Prospettive ideali e storiche 
della guerra.  
Il suo ultimo lavoro risale al 1940: Itinerario della Libia classica, uno 
studio sulle bellezze archeologiche della Tripolitania, che Quilici 
visitò ininterrottamente dal 1933, per il suo lavoro di giornalista, e di 
collaboratore del governatore della Libia, Italo Balbo. 
Nel corso dei quindici anni passati alla direzione del “Corriere 
Padano” Nello Quilici dimostrò di essere un giornalista incisivo: quasi 
quotidianamente, il giornale ferrarese ospitò i suoi fondi talvolta di 
piena adesione al regime, altre volte più critici verso i provvedimenti 
di natura economica e politica. 
Più di una volta (di certo nel 1934 e nel 1939) il giornale fu 
sequestrato, e ricevette moniti, “diplomatici” ma anche minacciosi, 
dalle autorità di Roma.  
E’ sufficiente ricordare la polemica sull’ebraismo, nel 1934, fra il 
giornale di Quilici e il “Tevere”, diretto dall’estremista Telesio 
Interlandi che accusò il direttore del “Corriere Padano” di essere 
filosemita e, ancora, l’attacco pesantissimo di Quilici, nel 1939, alla 
politica filotedesca del regime di Mussolini. 
 10
Nel 1940, due giorni dopo l’ingresso in guerra dell’Italia, Nello 
Quilici si recò sul fronte libico come capitano di complemento 
dell’Aeronautica. Il 28 giugno 1940 l’aereo sul quale il giornalista si 
trovava insieme con Italo Balbo e con altri collaboratori del 
governatore
3
, fu abbattuto, per sbaglio, dalla contraerea italiana nel 
cielo di Tobruk
4
: nell’incidente morirono tutti. 
                                          
3
 L’ S 79 aveva un equipaggio di cinque persone; il Maresciallo dell’aria fece salire ben nove 
persone, fra questi il nipote di Balbo, Lino, il cognato Cino Florio, Caretti, federale di Tripoli, 
il maggiore Brunelli e Nello Quilici. Facevano invece parte dell’equipaggio lo stesso Italo 
Balbo, al posto di pilotaggio, il maggiore pilota Frailich, il suo aiutante di volo, il capitano 
motorista Capannini e il maresciallo marconista Berti  
4
 Si è scritto molto sulla morte di Balbo e sembra ormai assodato che l’S79 fu abbattuto per 
sbaglio. 
La prova consiste in una relazione, scritta per Mussolini, dal generale di brigata aerea Egisto 
Perino, il 1° luglio 1940: 
“Il 28 giugno, dopo aver conferito col Maresciallo Balbo, in Derna, circa le esigenze dei 
reparti e delle basi, fui invitato a colazione alla sua mensa. Erano presenti: il generale Tellera, 
il generale Porro, il generale Silvestri, il console Garetti, il tenente colonnello Sorrentino, il 
maggiore Frailich, il capitano Brunelli, il capitano Quilici, il tenente Lino Balbo. 
Pervenuta comunicazione dal comando delle truppe del settore Est della rioccupazione di 
alcuni terreni prossimi al confine, tra i quali quello dell’aereoporto di manovra di Sidi Azeis, 
il Maresciallo Balbo, che già da alcuni giorni aveva dimostrato desiderio di recarsi in quella 
località, decise  immediatamente di portarcisi in volo, con l’intenzione principale di passare 
in rivista la Divisione Libica - che aveva effettuato la rioccupazione - e tenere a rapporto agli 
ufficiali di quei reparti. 
I presenti - tutti - interpellati, manifestarono il desiderio di far parte della spedizione al 
seguito del Maresciallo. Seduta stante, S.E. Balbo impartì questi ordini: 
“Il generale Silvestri si rechi subito a Sidi Azeis con scorta di cinque apparecchi da caccia per 
avverttire i reparti libici dell’ispezione che fra qualche ora sarebbe stata loro passata dal 
Governatore. Lo stesso generale Silvestri, partendo con un apparecchio Ghibli dall’aeroporto 
di Tobruk, dia ordine ad altri cinque caccia di restare pronti a decollare dalle 17.15 in poi, per 
 
 11
                                                                                                                   
fare scorta a due apparecchi S 79 che, transitando su Tobruk, si sarebbero recati a Sidi 
Azeis”. 
I due S 79 erano quelli rispettivamente asseganati alle persone del Maresciallo Balbo  e del 
Generale Porro. 
Il Maresciallo, prima di lasciare la mensa, dette appuntamento per le 16,45 all’aereoporto di 
Derna dal quale sarebbe partito alle 17. Egli stesso stabilì la suddivisione dei presenti tra i due 
S 79 e decise che isul suo velivolo, oltre al maggiore Frailich e agli specialisti, avrebbero 
dovuto prendere posto: il console Garetti, il Capitano Brunelli, il capitano Quilici, il tenente 
Lino Balbo e il tenente Gino Florio, mentre i rimanenti vennero destinati all’S79 del generale 
porro, sul quale, oltre al sottoscritto, al capitano Leardi e agli specialisti, salirono il generale 
Tellera, il tenente colonnello Sorrentino e il capitano Goldoni. 
Partiti dall’aeroporto di Derna alle 17, gli apparecchi diressero in sezione, ravvicinati, 
sull’aeroporto di Tobruk per rilevare i cinque caccia che dovevano scortarli. 
Appena giunti in prossimità di detto aeroporto (a quota  poco superiore ai 1000 metri ) ci 
accorgemmo che sull’aeroporto stesso stavano cadendo delle bombe i cui effetti già si 
dimostravano palesi, risultando che due degli apparecchi a terra erano in fiamme. 
L’aereo del Maresciallo non deviò dalla rotta e transitò alla stessa quota sul campo che, in 
quell’istante, era bersaglio dell’offensiva nemica. Due o tre bombe caddero ancora. 
Nessuno di noi, pur sforzandosi di farlo, riuscì a scorgere gli apparecchi inglesi che 
bombardavano. Essi dovevano essere ad altissima a quota, in numero non grande a calcolare 
dal non rilevante numero di bombe da essi sganciate (circa 50). Quasi sulla verticale 
dell’aeroporto, fummo investiti da una centralissima salva di artiglieria - sparavano le batterie 
costiere e quelle di una R. Nave della baia di Tobruk  - e da proiettili traccianti da  mitragliera 
da 20 millimetri. 
Istintivamente gli apparecchi, disunendosi dalla formazione, scapparono in direzione opposta: 
noi verso il mare, l’apparecchio di Balbo, alla nostra destra, verso terra. Intanto, il tiro già 
aggiustato delle batterie continuava. 
Vedemmo l’aereo del Maresciallo scivolare repentinamente su un’ala e quindi precipitare 
verso il suolo dove, dopo l’urto, si incendiava. Anche il nostro velivolo era stato in varie parti 
colpito da schegge e da proiettili di mitragliatrice. Consigliammo perciò al generale Porro a 
dirigersi per l’atterraggio verso il più prossimo aeroporto onde toglierci da una posizione 
sempre più pericolosa. Poco dopo atterrammo nel campo di El Gazala da dove subito, in 
automobile raggiungemmo Tobruk. 
 
 12
Della sua esperienza libica, Quilici lasciò una testimonianza nel  
Diario di guerra tenuto dal 12 al 21 giugno 1940. Il giorno dopo gli fu 
conferita alla memoria, dal regime fascista, la medaglia d'argento al 
valore militare e l’Accademia d’Italia, nella quale, da qualche mese, 
Quilici aspirava ad entrare con l’aiuto di Balbo e Federzoni, gli 
conferì l’encomio solenne. 
                                                                                                                   
Sul posto fu constatato che l’apparecchio del Maresciallo Balbo, colpito in pieno da un 
proiettile di artiglieria, era caduto in scivolata incendiandosi all’urto. Tutti i componenti 
dell’equipaggio erano deceduti all’istante. 
La sera stessa, il generale Porro partì per partecipare la notizia ai familiari del Maresciallo 
Balbo che si trovavano a Cirene. Lo scrivente, rientrato nella notte a El Gazala, proseguì il 
mattino seguente la missione di cui era stato incaricato” 
(A.C.S., segreteria particolare del Duce, carteggio riservato, .  
 13
 
CAPITOLO II 
LA FORMAZIONE GIOVANILE  
 
 
Quilici e Balzac: il risveglio della borghesia 
 
Tre sono i momenti caratterizzanti la formazione giovanile di Nello 
Quilici:  la passione per il giornalismo, che lo portò a giungere 
rapidamente alla direzione di un quotidiano, la propensione per gli 
studi di carattere sociologico e politico, e, infine, il sorgere di una 
radicata convinzione politica che, negli anni a ridosso del primo 
conflitto mondiale si riconobbe nel nazionalismo che voleva creare la 
nuova Italia e la nuova borghesia. 
La sua tesi di laurea, per esempio, discussa nel dicembre del 1914
1
,  
analizzò la Preparazione e genesi della Comédie Humaine di Honoré 
De Balzac, uno scrittore che, attraverso le sue opere si presentava 
anche nelle vesti di sociologo, sia per le razionali esigenze del periodo 
in cui lo stesso scrisse La Comédie Humaine  sia per una vocazione 
personale dello scrittore verso lo studio scientifico del “gruppo”
2
. 
Per Nello Quilici,  Balzac fu probabilmente un maestro: nello  scrittore 
francese il giovane studente e  giornalista trovò lo spunto per lo studio 
della società e, in particolare, della borghesia. 
                                          
1
 N. Quilici, Preparazione e genesi della Comédie Humaine, tesi di laurea discussa 
all’Università di Bologna nel dicembre 1914.  
2
 Balzac visse e sviluppò la sua letteratura quando, durante  la “monarchia borghese” di Luigi 
Filippo (1830 - 1848), la borghesia francese stava attraversando il  suo momento d’oro. 
 
 14
Balzac si rivelò addirittura determinante per la formazione di Quilici, 
il quale non esitò  a dedicare  nell’introduzione della sua tesi, parole di 
elogio all’opera e, soprattutto, allo scrittore d’oltralpe:  
 
Questo saggio si limita alla preparazione e genesi della Comédie 
Humaine in Balzac, cioè è un primo capitolo di uno studio completo 
sull’opera letteraria e umana del grande romanziere. 
Ha l’intento di contribuire ad una documentazione possibilmente 
esatta e dettagliata della particolarità storiche che contribuirono a 
rendere alla Comédie Humaine la sua complessa concretezza di 
epopea della borghesia moderna (...) Balzac è la coscienza riflessa 
della borghesia 
3
. 
 
Nei primi anni del ‘900 il ruolo della borghesia fu messo in pericolo 
dal socialismo che sembrò a molti l’ancora di salvezza per creare una 
alternativa alla classe politica al potere, "dedita all’inerzia ed ai 
conflitti di potere" 
4
, e per spogliarsi della "formazione umanitarista" 
5
. 
A seguito di un periodo in cui il socialismo e la crescita del 
proletariato organizzato (insieme al clericalismo e alla mobilitazione 
dei cattolici), “rimetteva in discussione l’egemonia della borghesia 
laica e patriottica”
6
, nacquero alcuni movimenti, espressione degli 
ambienti borghesi, tesi alla riscoperta della nazione
7
, e, 
                                                                                                                   
Dalle opere di Balzac emerge il progressivo ruolo della borghesia nella società francese 
3
 Ibidem, p. 6  
4
Cfr. la prefazione di G. Titta Rosa all’opera di N. Quilici, La borghesia italiana, origine, 
sviluppo e insufficienza, Milano 1942, p.5. 
5
 Cfr M. Missiroli, La Monarchia Socialista,  Bologna, 1915, p. 85. 
6
 E. Gentile, La Grande Italia, Milano, 1997, p.. 88. 
7
 “Il progetto politico nazionalista si risolveva nella proposizione di un regime autoritario, 
 
 15
conseguentemente, alla lotta al socialismo, considerato essenzialmente 
“antinazionale”. 
Secondo Gioacchino Volpe, il periodo fu  caratterizzato da un forte 
sentimento di "nazionalismo liberale" 
8
.  Movimenti come “L’Alba” e 
“L’Idea Liberale”
9
 proponevano l’iniziativa delle libere forze 
nazionali a scapito di quelle dello "Stato, irretito dai partiti" 
10
. Era la 
riscossa della nuova borghesia che riscopriva il suo ruolo chiave nella 
storia italiana. 
Araldi della “nuova” cultura borghese erano anche Gaetano Mosca e 
Vilfredo Pareto, il primo con la teoria della classe politica, il secondo 
con la   teoria delle elites
11
. 
                                                                                                                   
che, come è stato osservato, si distaccava dall’autoritarismo dei liberali conservatori, ma che 
al tempo stesso non voleva porsi come strumento di eversione dell’ordinamento esistente, 
sibbene come suo potenziamento”  F. Perfetti, Il movimento nazionalista in Italia (1903 - 
1914),  Roma,1990, p. 171. 
8
 Ibidem  
9
 Il primo numero del settimanale uscì a Roma il 1 marzo 1911 edito dalla “Casa Editrice 
Nazionale”. L’articolo di presentazione, firmato da Francesco Coppola, Enrico Corradini, 
Giulio de Frenzi, Roberto Forges Davanzati, Maurizio Maraviglia - sottolineava in apertura 
come il movimento nazionalista “pur chiaritosi nel sentimento dei molti seguaci” risultasse 
ancora “non tanto nei suoi principi, quanto nei suoi modi e nei suoi fini, cioè nell’azione, 
incerto ed insicuro” (ibidem) 
10
 Ivi, p. 88. 
11
 “Con l’andare del tempo, infatti, l’antigiolittismo nazionalista assunse connotati ben precisi 
differenziandosi notevolmente da quello per esempio dei vociani e dei salveminiani che 
avversavano il “regime” giolittiano non tanto come avveniva per i nazionalisti - sulla base di 
pregiudiziali antidemocratiche ed antiliberali quanto piuttosto sulla base di una critica di tipo 
moralistico o virtuistico (per usare il linguaggio paretiano) alle modalità di gestione della 
politica che lo facevano apparire un sistema di governo corrotto da una prassi antidemocratica 
 
 16
La diffusione del nuovo nazionalismo non sempre convergente con il 
liberalismo
12
 non fu solo dettato dalla politica, ma anche dalla 
filosofia: il rinnovamento filosofico fu di matrice idealistica e 
interpreti centrali furono Benedetto Croce e Giovanni Gentile che, 
insieme ai gruppi culturali, artistici (si pensi ai futuristi) e alle riviste 
come “la Voce”, vollero dare inizio alla “rivoluzione italiana
” 13
, vale a 
dire alla creazione di un’Italia cosciente della propria forza e del 
proprio ruolo in ambito europeo. Un nazionalismo “ispirato da una 
rinnovata fede nel mito della Grande Italia. L’Italianismo era il credo 
laico delle nuove generazioni, le quali si consideravano la nuova 
aristocrazia dello spirito e del carattere, destinata a guidare l’Italia alla 
conquista della modernità”
14
. 
La guerra italo-turca del 1912 fu l'occasione per prendere coscienza 
della "forza dell’Italia e del patriottismo" 
15
: dal 1910 fiorirono 
                                                                                                                   
ed illiberale” (F. Perfetti, op. cit, p. 16) 
12
Si veda l’episodio, citato da Perfetti,  che vede protagonista il nazionalista Corradini ed il 
gruppo dei giovani liberali, che, per mano di un loro esponente, Aldemiro Campodonico 
cercò una alleanza programmatica con la rivista di Corradini. Infatti Perfetti spiega che: “tra 
nazionalisti e giovani liberali esistevano invero affinità e differenze ed il rapporto fra i due 
gruppi rimase improntato ad una ambiguità di fondo sino al momento della scelta ufficiale 
antiliberale ed antiliberista del nazionalismo... Il terreno unificante i due movimenti era da 
rintracciarsi nel comune programma di riorganizzazione della borghesia italiana, che per 
Borelli e per i suoi avrebbe dovuto essere realizzata sulle basi “di un liberalismo conservatore 
più efficiente e moderno di quello che il “partito” dei moderati aveva in appannaggio al fine 
di contrastare il passo al pericolo socialista” ( F. Perfetti, op, cit  p. 35) 
13
 E. Gentile, op. cit., p. 92. 
14
 Ibidem, p.98. 
15
 P. Arcari, La Coscienza Nazionale in Italia, Milano, 1911, p.85 
 17
numerosi giornali patriottici, mentre  decine di giovani intellettuali  
decisero di associarsi per dare maggiore risalto alle loro ideologie 
politiche, e diffonderle attraverso propri organi di informazione. A 
questo filone si può far risalire il pensiero di molte riviste del periodo, 
tra cui La “Critica” di Croce, Il “Leonardo”
16
 di Papini (1903) , “Il 
Regno”
17
 di Corradini (1903), “L'Anima” di Amendola e “La Voce”  
di Prezzolini, fondata nel 1908, dopo la chiusura del “Leonardo”. 
Di tutte le riviste citate, la “Voce” fu quella che ebbe maggiore fama:  
fu ideata da coloro che vedevano nel nuovo nazionalismo una diversa 
fonte di retorica,  sostituendo agli ideali politici quelli etici
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 “Nel Leonardo l’anticonformismo e l’antiaccademismo, frutto di ribellismo scapigliato, si 
univano ad una curiosità intellettuale nei confronti di nuovi indirizzi speculativi, in 
particolare il pragmatismo jamesoniano e l’intuizionismo bergsoniano, e si risolvevano in un 
aristocraticismo estetizzante, in un idealismo magico ed in un tentativo di liricizzare la 
filosofia: sul piano pratico tutto ciò si traduceva in posizioni che privilegiavano 
l’individualismo ed il solipsismo e rifiutavano il socialismo riformatore e turatiano” (F. 
Perfetti, Op. cit. , p.24.) 
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  “In quelle pagine non è difficile rintracciare alcuni motivi ricorrenti nel nazionalismo 
politico propriamente detto: certo classicismo e culto per il mito di Roma, certi temi di critica 
al parlamentarismo che riprendevano e rinverdivano una tradizione autoctona della destra 
nazionale liberale della fine dell’800, certa opposizione al socialismo e al materialismo, certe 
inclinazioni verso l’espansionismo anche militare” (F. Perfetti, Op. cit., p.31.) 
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 “La Voce può essere considerata il risultato del travaglio ideologico di Prezzolini e di 
Papini, che da nazionalisti convinti quali che erano avvenne dopo la chiusura del Leonardo 
un “profondo rivolgimento di idee che li spinse a considerare i valori etici ed ideali come 
assai più importanti per la vita degli italiani del brutale successo della forza, il miglioramento 
interno come più urgente di ogni ricerca di conquista esterna, il moto socialista e democratico 
con un senso di maggiore ed equanime storicità” (F. Perfetti, Op. cit. , p.43.)