5 
INTRODUZIONE 
 
 
Il pericolo maggiore insito nell’uso della parola storia risiede nel suo duplice 
significato: per un verso infatti la storia designa la conoscenza di una materia, 
ovvero la realtà fenomenica della vita umana nei suoi diversi aspetti; per altro 
verso invece la storia si riferisce alla materia di questa conoscenza, intesa come
6 
aspetto particolare della medesima realtà fenomenica che costituisce l’oggetto 
della ricerca. Ma la storia, sia che venga interpretata e rappresentata come storia 
dei particolarismi, nel senso di fondare la conoscenza oggettiva sui miti e sulle 
cronache, percependo i primi, come strumenti rivelatori di una logica delle 
forme e come indicatori dei tratti comuni nelle strutture della comunicazione, ed 
utilizzando le seconde, in quanto derivate da fonti scritte o dalla tradizione 
verbale, per attestare la veridicità degli avvenimenti salienti (politici, 
diplomatici, militari) delle varie epoche, non può in alcun caso prescindere, 
anche quando venisse inquadrata come un unicum concettuale (cioè la Storia 
che designa e studia l’universalità della condizione umana nel suo perenne 
originarsi e mutarsi di civiltà), da un bisogno di conoscenza storico- sociologica 
quale immanente necessità dell’uomo di memorizzare il suo passato, non però 
come banale registrazione mnemonica di fatti irripetibili, ma come costruzione 
del suo futuro. E in questa concezione della storia analizzata come un 
continuum, tra un passato preistorico ed un futuro futuribile, di storia generale, 
di storia particolare, di pseudo-storie, di narrazioni e di cronache in cui si 
inserisce il principio ineludibile dello spirito dell’uomo che tutto domina e da 
cui la storia stessa si origina e si determina, si riscoprono anche storie non 
scientifiche le quali comunque svolgono la funzione pratica di liberare l’umanità 
da uno stato soggettivo primitivo ed oggettivamente limitato della conoscenza. 
In conseguenza di ciò, negando l’idea di una storia universale nel tempo e nello 
spazio, che si distinguerebbe da una storia speciale, in quanto circoscritta ad 
alcuni caratteristici accadimenti d’irrefutabile certezza o a singoli personaggi 
dotati di una comprovata abilità politica, religiosa o sociale, assume grande 
rilievo il concetto di historia-storia. Ovvero, ciò che non è conoscibile 
semplicemente studiando la generalità degli eventi passati, ma anche mediante 
un’approfondita e rigorosa indagine sulle dinamiche settoriali delle società 
umane. Si potrebbe tentare dunque di estrapolare dal concetto di historia-storia 
quello di historia-postae, efficace dinamica settoriale dell’attività umana ed
7 
affermare che quest’ultima, la storia della posta, anche se storia non sempre 
corroborata da rigorosa certezza scientifica, non costituisce un vuoto contenitore 
burocratico in cui accumulare concetti, regolamenti, atti amministrativi e fatti 
organizzativi relativi all’istituzione della posta (qui intesa nell’accezione di 
scambio  sistematicamente  organizzato  della corrispondenza epistolare tra gli 
individui e/o gli stati). Anzi, la storia della posta, proprio in virtù della 
negazione di una storia universale che non significa comunque negare la 
conoscenza dell’universale nella storia, rappresenta un evento semplice, ma nel 
contempo una forma essenziale, cioè una materia storica pienamente fondata 
sulla sintesi della conoscenza della storia che si manifesta inscindibile tra 
individualità ed universalità delle azioni umane. Ecco perché la storia della 
posta, strutturalmente costituita dall’organizzazione postale e simbolicamente 
rappresentata dallo strumento del francobollo, ha consentito di comprendere, 
oltre gli ambiti teorici dell’antropologia e della sociologia, le interazioni umane 
individuali e collettive che compongono il fenomeno storico della 
comunicazione. Sic et simpliciter la posta e il francobollo hanno svolto una 
funzione di supporto tramite cui gli individui, i gruppi organizzati ed infine gli 
stati hanno compreso che meno si aveva coscienza e consapevolezza del proprio 
passato e più si manifestava una parziale e confusa interpretazione del proprio 
presente: cioè la historia-postae ha dimostrato che l’uomo nel corso della Storia 
ha sempre mirato all’interazione soggettiva, allo scambio delle conoscenze e al 
rapporto sociale con i suoi simili. Ma soprattutto, la posta prima e il francobollo 
poi, hanno rappresentato e rappresentano nel sistema delle relazioni 
internazionali, sia tra gli individui e sia tra gli stati, il fondamento innovativo 
tecnico che ha consentito ai vari soggetti individuali e nazionali di comunicare i 
loro obbiettivi e le loro volontà di politica internazionale in maniera più certa ed 
immediata. Tutto ciò sarebbe però privo di significato se non si partisse dalla 
convinzione che l’organizzazione della posta e lo strumento del francobollo non 
vanno relegati in subordine rispetto ad altri approcci sistemici della conoscenza,
8 
né, addirittura del tutto trascurati, dato che l’individuo che li pone in essere per 
proprio conto o per esigenze di stato, sostanzia in essi la certa comunicazione 
delle proprie emozioni, della propria visione ed interpretazione del mondo. 
Valori questi che nella posta e nel francobollo si tramutano per il mittente ed il 
destinatario in intenti di sinergia tra le diverse forze internazionali, di 
cooperazione tra le realtà economico-sociali, di disponibilità al relazioniamo 
cultural-religioso o di affermazione della propria più violenta volontà: abbattere 
l’avversario per renderlo incapace d’opporre qualsiasi resistenza, cioè la guerra. 
                   
Cartolina postale delle Forze Armate viaggiata il 30 Ottobre 1942
9 
1° CAPITOLO 
 
 
L’origine delle comunicazioni postali: Cina, Persia, Egitto 
e Grecia 
 
“Dovete sapere che per tutte le strade del vasto impero cinese, il messaggero del 
Gran Khan, che parta da Cambaluc
1
 e cavalchi per venticinque miglia, trova al 
termine di quel tratto una posta di cavalli
2
. Ed ivi il messaggero trova un 
grandissimo e bellissimo palagio destinato ai messaggeri del Gran Khan […].  
 
Francobollo commemorativo emesso il 15 Marzo 1996 – Soggetto raffigurante l’incontro tra Mrco Polo e il 
Gran Khan 
 
E se le strade attraversano luoghi impervi e montuosi senza case né alberghi, 
anche in quei luoghi il Gran Signore ha fatto costruire delle poste […]. In tal 
maniera possono andare da qualunque parte i messaggeri del Gran Khan […]. E 
certo è quella la più gran prova di magnificenza e di grandezza che abbia mai 
                                            
1
 L’odierna Pechino, Marco Polo, Il Milione, ed. Adelphi, Milano, 1994, p. 156. 
2
 Il luogo era chiamato Janb, Antonio Bandini Buti, Storia della posta e del francobollo, ed. La Lanterna, 
Milano, 1943, p. 2.
10 
dato in tutti i tempi, un imperatore ed un re, un uomo in genere di questa terra 
poiché […] sono più di duecentomila i cavalli che si tengono in quelle poste 
esclusivamente per i suoi messaggeri. Tra una posta e l’altra ogni tre miglia c’è 
un casale (una quarantina di case), ove stanno uomini, che fanno essi pure il 
mestiere di messaggero del Gran Khan: non però a cavallo, ma a piedi […] 
portando una gran cintura, tutta piena, intorno intorno, di sonagli, per essere 
sentiti, quando corrono da molto lontano […]. A ciascuna di queste poste di tre 
miglia è assegnato uno scrivano, che nota il giorno e l’ora in cui un corriere 
arriva, e similmente il giorno e l’ora in cui parte l’altro. E così si fa in tutte le 
poste. […] Nei casi di massima urgenza, quando occorre informare il Gran 
Signore della ribellione di qualche terra o di qualche barone, o portargli qualche 
notizia a lui necessaria, i messaggeri a cavallo possono fare duecento od anche 
duecentocinquanta miglia in un giorno. Se sono in due, partono dal luogo ove si 
trovano su due buoni cavalli, […] si fasciano tutto il ventre e si bendano il capo, 
quindi si lanciano alla corsa più sfrenata […]. Quando arrivano vicino alla 
nuova posta, suonano una specie di corno […] perché preparino i cavalli. E tanto 
corrono, che giungono alla fine delle prime venticinque miglia, e quivi trovano 
due altri cavalli apparecchiati, freschi, riposati e veloci. Saltano in sella 
immanenti, senza riposarsi né punto né poco; ed una volta in sella, riprendono 
all’istante il cammino a tutta corsa; e non cessano di correre finché non siano 
giunti alla posta seguente. Quivi trovano pronti altri cavalli; […] e si mettono in 
viaggio. In cotal modo questi messaggeri fanno anche duecentocinquanta miglia 
per portare novelle al Gran Signore. […] Se si tratta di caso molto grave, 
cavalcano anche la notte, e se non isplende la luna, quelli della posta li 
precedono coi lumi correndo fino alla posta successiva […]. Questi messaggeri 
sono molto apprezzati”. Così nel XIII secolo, Marco Polo (1254-1324) nella sua 
opera detta “Il Milione”, mostrava ammirazione per quei servizi di Posta che 
erano la derivazione della remota organizzazione postale introdotta nell’antica 
Cina nel 4.000 a.C. dagli Xia, la prima delle “tre dinastie ereditarie”, per
11 
trasmettere le volontà del sovrano in tutti gli angoli del regno. Tale 
organizzazione della Posta, poi estesa dalla dinastia degli Shang ai rapporti con 
gli stati vassalli, venne infine utilizzata dalla terza dinastia, gli Zhou, formulatori 
della concezione del Mandato Celeste
3
, come strumento per assoggettare in 
modo sempre più verticistico l’apparato politico-istituzionale di ciascuna 
provincia. 
Nella storia delle antiche Poste, i Persiani meritano un posto d’onore per 
l’efficiente organizzazione di trasmissione delle notizie creata da Ciro (558-528 
a.C.) e poi perfezionata da Dario
4
 (549-485 a.C.) il quale la rese più funzionale 
ai fini dell’investigazione e della dominazione politica. Tale servizio, che veniva 
espletato mediante i messi a cavallo (angari
5
 o astanidi), i quali, dopo la giornata 
di viaggio trovavano nelle stazioni di cambio i cavalli sellati affinché il decreto 
reale potesse giungere in breve tempo nelle diverse parti dell’impero, si 
svolgeva lungo le linee postali. La più importante e la più lunga era la Via Reale 
che collegava Sardis a Susa (sede invernale degli imperatori persiani) 
attraversando Ancyra, Melitene, Arteba e Calonne. Questa strada, da cui si 
dipartivano le vie postali laterali e che si inoltrava fin nei punti più reconditi del 
deserto collegando le varie oasi, si estendeva per 337 miglia e si componeva di 
111 stazioni di posta. In seguito poi, così come in Grecia i corrieri si passavano 
la fiaccola l’un l’altro durante le feste celebrate in onore del dio Vulcano, allo 
stesso modo Serse (519-465 a.C.), figlio di Dario, applicò ai territori del suo 
impero il metodo cinese del sistema dei messaggeri a catena per trasmettere le 
                                            
 
3
 Gli Zhou sostennero che il cielo avesse conferito loro il potere precedentemente detenuto dagli Shang. E in 
base a questa concezione i re Zhou assunsero il titolo di “Figli del Cielo”, che sarebbe stato tramandato a tutti i 
successivi sovrani dell’Impero di Mezzo., Paolo Santangelo, Storia della Cina.. “Dalle origini ai nostri giorni”, 
Newton Compton Editori, Roma, 1994, pp. 10-11. 
 
4
 Erodoto (484-430a.C. circa) nella sua opera Historie dà testimonianza di una singolare notizia postale 
pervenuta a Dario. Egli racconta che gli Sciiti inviarono a Dario un  uccello, un topo, una rana e cinque frecce 
per attestargli che se i suoi soldati non fossero fuggiti con la rapidità di un uccello, o non si fossero nascosti 
come un topo od una rana, sarebbero morti a colpi di frecce., Antonio Bandini Buti, op. cit., p. 16.                                                                                                        
5
 Il termine Angaria o Aggaria deriva dalla radice sanscrita Ag che significa andare., Ottorino Pianigiani, 
Vocabolario etimologico della lingua italiana, ed. Sonzogno, Milano, 1936.
12 
notizie. E di tale sistema egli si avvalse nel 480 a.C. per comunicare alla città di 
Susa che la flotta persiana era stata sconfitta da Temistocle nelle acque di 
Salamina.  
Invece in Egitto, sin dai tempi dell’Antico Regno (2649-2152 a.C.), la 
trasmissione delle corrispondenze veniva effettuata tramite colombi viaggiatori 
legando al collo di ciascun volatile un piccolo astuccio d’argento, detto pataca, 
contenente i messaggi che venivano recapitati sulle torri postali denominate 
berid
6
 le quali si ergevano lungo le strade principali ogni 48 chilometri. Un 
servizio veramente organizzato della corrispondenza, introdotto dalla XIX 
dinastia dei faraoni ramessidi per diffondere con certezza in tutte le province del 
regno editti e decreti mediante corrieri a cavallo, si ebbe soltanto a partire dal 
1291 a.C. 
 
Tipico corriere egiziano del 1500 a.C. recante una missiva al faraone 
 
                                            
6
  Il termine berid è stato mantenuto nella lingua araba e significa appunto posta., Luigi Clavari – Severino Attilj, 
La vita della posta nella leggenda, nella storia e nell’attività umana, Editori Laterza, Bari, 1905, p. 26.
13 
Le successive dinastie consolidarono il servizio postale, tanto da instaurare 
costanti rapporti epistolari con i sovrani di molti regni limitrofi, come è 
testimoniato dai documenti di Amarna, ossia delle tavolette di argilla, rinvenuti 
ad Akhetaton
7
 nel 1887 e noti come “Le lettere di Amarna” che consentirono 
agli egittologi di ricostruire le relazioni diplomatiche intrattenute dall’Egitto con 
le altre civiltà e di comprendere in quali difficoltà (pericolo di assalto dei 
predoni lungo le strade e penuria d’acqua in particolare) dovevano districarsi le 
comunicazioni postali tra il 1550 e il 1291 a.C. sotto il predominio della XVIII 
dinastia. Le lettere di Amarna, che, come si è detto, constano di tavolette 
d’argilla (circa 400) incise in caratteri cuneiformi e recano la corrispondenza 
diplomatica redatta durante i regni di Amenohotep III (1387-1350 a.C.) e 
Tutankhamon (1333-1323 a.C.) evidenziano che la maggior parte delle relazioni 
epistolari dei faraoni erano intrattenute con i sovrani dei territori sottomessi 
quali Gerusalemme, Tiro, Sidone, Damasco, Biblo ed altresì con i sovrani dei 
regni indipendenti di Babilonia, Assiria, Mitanni, Hatti, Azawa, e di Alashiya a 
Cipro. L’introduzione di una maggiore regolarità nell’esercizio dell’attività 
epistolare e quindi nell’espletamento dei servizi postali fu conseguenza del fatto 
che l’Egitto godeva durante il periodo amarniano, che si colloca nel Nuovo 
Regno (1550-1070 a.C.), di una grande prosperità mai raggiunta in precedenza 
imperniata sulla supremazia politica e culturale nel mondo mediterraneo a 
seguito delle riforme amministrative e religiose introdotte da Akhenaton (1350-
1333 a.C.)
8
. Ciò nonostante non si verificò un reale sviluppo del servizio postale 
poiché permasero per molti secoli gli ostacoli climatici e territoriali che ne 
                                            
 
7
 La città di Akhetaton, l’odierna Tell-el-Amarna, fu costruita per volontà del faraone Amenohotep IV in seguito 
all’introduzione della riforma religiosa per onorare il suo dio personale Aton (Disco Solare) e suo “Padre 
celeste” a scapito del dio Amon (Re degli dei) e del potente clero. Amenohotep IV assunse il nome di Akhenaton 
(Colui che giova ad Aton) e trasferì la corte da Tebe ad Akhetaton., Maria Cristina Guidotti - Valeria Cortese, 
Antico Egitto, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2004, p. 113. 
8
 Le date indicate accanto ai nomi di Amenohotep III, Tutankhamon ed Akhenaton si riferiscono ai rispettivi 
periodi di regno., (N. d. A.).
14 
limitarono l’operatività, finché con l’avvento al potere di Tolomeo I (366-283 
a.C.), al fine di individuare una soluzione adeguata all’annoso problema di 
garantire maggior sicurezza al trasporto della corrispondenza ufficiale, fu 
istituito un servizio di diligenze che distribuiva in tutto il regno del Nilo 
epistolai e culistoi che erano entrambi plichi, contenenti rispettivamente lettere 
ed atti di notevole dimensione. Da questo momento in poi le Poste egiziane, 
ispirandosi al modello persiano, furono strutturate in una più articolata 
organizzazione di uomini e mezzi che prevedeva: la registrazione dei corrieri in 
transito nelle stazioni di posta; i bibliaforoi, funzionari addetti al recapito della 
corrispondenza nei vari distretti; gli efodi, che erano guardie la cui mansione 
consisteva nel sorvegliare la corrispondenza giacente nei depositi delle stazioni 
di posta; ed infine fu creata la figura dell’orografos, una sorta di scriba, il quale 
doveva segnare sul papiro l’orario in cui gli epistolai e i culistoi transitavano 
nelle stazioni di posta di tutto l’Egitto. Così strutturato, il servizio postale 
egiziano, disciplinato direttamente dal faraone, permise a costui di ricevere ogni 
mattina messaggi da tutte le parti del regno in modo da poterlo amministrare con 
la piena consapevolezza delle problematiche da risolvere e dei bisogni della 
popolazione e che grazie alle celeri e sistematiche comunicazioni poteva 
affrontare con la più saggia competenza. 
 Per quel che riguarda la civiltà greca, in alcune opere di Aristofane (445-385 
a.C.), di  Demostene (384-322 a.C.), di Eschilo (525-455 a.C.), di Euripide (484-
406 a.C.), di Platone (427-347 a.C.), di Plutarco (50-120 d.C.), di Senofonte 
(430-354 a.C.) e di Sofocle (497-406 a.C.), sono rintracciabili testimonianze 
sull’organizzazione del mondo ellenico relativamente al servizio di Posta, il 
cosiddetto Angarion, che nel IV secolo a.C. cominciò ad essere organizzato in 
una forma simile a quella persiana. Non si pervenne comunque ad un efficiente 
ed unitaria struttura di trasporto postale in quanto, a causa dell’impervia 
topografia e della frammentaria organizzazione politica, non v’era la necessità di 
percorrere vasti territori. E la conseguenza della farraginosa eterogeneità
15 
morfologica e politica divenne un paradosso per ciò che concerne le Poste, nel 
senso che i servizi postali dell’antica Grecia non raggiunsero mai quel livello di 
efficienza qualitativa paragonabile all’efficienza artistica e culturale che invece 
contraddistinse le molteplici civiltà dell’Ellade. Nonostante queste carenze 
strutturali, l’Angarion, prevalentemente utilizzato per esigenze di governo, si 
caratterizzò per la rapidità con cui, pur nei ristretti ambiti spaziali di ciascun 
territorio, ordini, messaggi e comunicazioni militari giungevano a destinazione. 
Furono cioè sempre impiegati mezzi e metodi estremamente veloci nella 
trasmissione delle informazioni poiché la variegata composizione politico-
militare della società ellenica richiedeva rapidità nelle scelte, nelle decisioni e 
nell’azione. Dapprima infatti si impiegarono i cani e le lepri per l’invio dei 
messaggi e poi, verso il XII secolo a.C. si ricorse alla trasmissione di segnali 
ottici
9
 da un’isola all’altra. Però questo metodo, basato sull’invio dei bagliori di 
luce sulle acque e che si può considerare l’antesignano del telegrafo, aveva un 
limite poiché non consentiva di mantenere la segretezza delle notizie trasmesse. 
Allora dal V secolo a.C. si cominciò ad arruolare dei messi speciali detti 
agnelos
10
 o emerodromi
11
, i quali riuscivano a compiere ogni viaggio postale, 
date le brevi distanze, in un solo giorno. Poi nel 336 a.C., Enea (IV secolo a.C.), 
il famoso stratega militare detto il Tattico, inventò un metodo di trasmissione 
telegrafica, più elaborato del precedente, che consisteva nell’utilizzare un vaso 
di bronzo forato alla base e munito di galleggiante verticale che scendeva man 
mano che l’acqua si consumava. L’operatore alzava una torcia e nel medesimo 
istante stappava il vaso. Il galleggiante aveva delle tacche incise, le quali 
corrispondevano ciascuna ad una frase da trasmettere, ed una volta raggiunto il 
livello desiderato, che indicava l’effettuazione dell’invio, l’operatore abbassava 
                                            
9
  Il segnale, costituito dall’intenso bagliore scaturito da una torcia in legno di pino cosparso di pece, viaggiava di 
vetta in vetta e come risposta dell’avvenuta ricezione si dava fuoco a cespugli di erba secca., Dimitri 
Kandaouroff, La posta.. “Una storia affascinante”, ed. Vallecchi, Firenze, 1974, p. 15. 
10
 Dal greco agneloo, annunciatore., Antonio Bandini Buti, op. cit., p. 22. 
11
 Dal greco emera, giorno, e dromoon, corriere, poiché le brevi distanze permettevano di compiere il viaggio in 
un solo giorno., Antonio Bandini Buti, op. cit., p. 23.
16 
la torcia. Tutte le stazioni postali usavano lo stesso sistema ed il segnale si 
ripeteva finché perveniva al destinatario.  
 
Enea il Tattico accanto ad una delle stazioni di posta del sistema di segnalazioni 
 
Questo artificioso metodo telegrafico di trasmissione dei messaggi costituì 
l’ultimo tentativo dell’ingegno ellenico di elaborare strumenti di comunicazione 
che apportassero un più congruo sviluppo al servizio postale e quindi una 
maggior coesione delle civiltà greche. Comunque, nel 150 a.C., un ulteriore 
tentativo di migliorare le comunicazioni fu attuato dallo storico Polibio (208-120
17 
a.C.) il quale si avvalse di un sistema di trasmissione di torce disposte in due file 
verticali cosicché le differenti combinazioni del numero di torce di ciascuna fila 
corrispondevano a numeri e lettere diversi, ma non c’era più tempo, il “vento di 
Roma” si approssimava inesorabilmente al mar Egeo. 
 
Il Cursus publicus: l’organizzazione delle Poste 
dell’impero di Roma 
 
L’organizzazione degli scambi della corrispondenza nella Roma delle origini 
non era dissimile da quella delle civiltà precedenti o contemporanee. Infatti i 
messaggi, detti epistulae
12
, venivano affidati ai portalettere (tabellarii), i quali, 
dopo averli sistemati in una borsa di cuoio, raggiungevano, a cavallo, il 
destinatario. Questo semplice sistema di comunicazioni postali rimase invariato 
fino al VI secolo a.C., quando, sconfitti definitivamente gli Etruschi, Roma 
introdusse la repubblica, ed espandendo le proprie mire di gestione del territorio 
italico, soggiogò gli Equi, i Volsci, i Sanniti e la potente colonia della Magna 
Grecia, Taranto. La frontiera, che ormai tendeva sempre più ad allontanarsi 
dall’Urbe, rendeva impellente la necessità di protezione dei territori conquistati, 
di una maggiore rapidità nelle comunicazioni e di una possente capacità 
logistica, nel senso di assembrare ed effettuare veloci spostamenti di truppe 
ovunque fosse indispensabile per la difesa del popolo di Roma. Si cominciò così 
a costruire le grandi vie consolari le quali costituirono il “ponte” con cui Roma 
interagiva con gli altri popoli. Strumento strategico di tale unione fu la Posta 
allorché, incrementandosi gli spostamenti, i commerci e le comunicazioni, i 
tabellarii furono dotati di carri a due e a quattro ruote per il trasporto delle merci 
                                            
12
 I messaggi, le epistulae appunto, venivano scritti su tavolette di legno ricoperte di cera (dette tabulae o 
tabellae, donde il nome di tabellarius, ii) sulle quali si scriveva con gli stili di legno, di metallo o di osso, che 
avevano un’estremità acuminata e l’altra appiattita per la spianatura della cera (cioè la cancellazione di quanto 
scritto)., Giuseppina Pisani Sartorio, Vita e costumi dei Romani antichi,”Mezzi di trasporto e traffico”, ed. 
Quasar, Roma, 1994, p. 48.
18 
e delle corrispondenze. Contemporaneamente le tabulae o tabellae furono 
sostituite dalla carta di papiro
13
. Però il servizio postale romano ricevette un 
forte impulso per la creazione di un efficiente sistema di comunicazioni soltanto 
con Gaio Giulio Cesare (100-44 a.C.) il quale istituì un servizio di corrieri “a 
staffetta”  identico  a quello che scoprì essere già in uso in Gallia. Il servizio 
postale ideato dai romani era detto Cursus publicus e la sua vigilanza era 
affidata al Prefetto del Pretorio che era competente anche per le strade, i granai e 
le zecche. C’erano poi gli Amministratori dei trasporti, i quali, con l’ausilio di 
speciali agenti (agentes in rebus) e degli ispettori generali (praefecti 
vehiculorum) verificavano il corretto funzionamento del servizio. Il Cursus 
publicus era di due categorie: celere o lento, a seconda del tempo che impiegava 
per giungere a destinazione. Il primo si effettuava con carri a due ruote (cisium), 
che, trainati da veloci cavalli detti veredi, potevano percorrere fino a 40 
chilometri in un solo giorno oppure veniva impiegato un carro a quattro ruote 
(rheda) se si doveva trasportare più di una persona; il secondo invece si svolgeva 
su carri detti birula o clabula trascinati da buoi o da muli e serviva per 
trasportare merci pesanti, foraggi, viveri ed armamenti per l’esercito. Un’altra 
delle caratteristiche dell’organizzazione del Cursus publicus era la distribuzione 
delle stazioni di posta posizionate sulle grandi strade: le mansiones
14
 e le 
mutationes. Nelle mansiones, situate ogni 40 chilometri, stazionavano gli 
abitanti dei dintorni in attesa dei convogli, mentre le mutationes, collocate a 
distanze intermedie di 5 chilometri,  erano adibite a luogo per il cambio dei 
cavalli,  di rimesse per i carri, di deposito per i foraggi e di locali per il 
pernottamento gratuito dei funzionari della repubblica.  
                                            
13
 Il papiro veniva piegato e poi legato con una corda  che veniva sigillata con il mastice o con la cera formando 
in tal modo un piccolo libro (libello)., Antonio Bandini Buti, op. cit., p. 28. 
14
 Le mansiones erano dirette da un capostazione, detto praepositus o manceps, il quale coordinava il lavoro 
degli addetti alla cura dei carri lussuosi (carpentarii), degli stallieri, del veterinario e di coloro i quali si 
occupavano dei bagagli (bastagarii)., Luigi Clavari – Severino Attilj, op. cit., p. 20.