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Introduzione 
 
Questo lavoro ha la finalità di esaminare una particolare forma di associazionismo tra 
enti locali, che sta investendo sempre più realtà amministrative locali negli ultimi tempi, 
ovvero l’Unione di comuni. 
Introducendo nell’ordinamento giuridico italiano le Unioni di comuni, il legislatore ha 
inteso dare risposta al problema della ridotta dimensione demografica e territoriale di 
molti comuni italiani e della conseguente inadeguatezza degli apparati e dei mezzi 
necessari per svolgere tutte le funzioni loro assegnate. 
Il presente scritto nasce dalla riflessione sulle possibilità di rispondere ad un’esigenza 
informativa proveniente sia dal mondo delle amministrazioni locali, come più volte 
sottolineato dalla fondazione ANCI Lombardia, sia da livelli governativi più elevati, che 
hanno il compito di coordinare le politiche locali, come Regione Lombardia. 
Inoltre, il problema dell’incapacità dei piccoli governi locali italiani negli ultimi anni di 
affrontare una lunga serie di mutamenti, come l’aumento dei servizi di welfare o il 
processo di urbanizzazione, è sentito personalmente, in quanto vivo in un comune, 
Monte Marenzo, che conta solamente 2.000 abitanti. 
Sono numerosi gli studi condotti dagli esperti delle varie discipline sociali che hanno 
elencato vantaggi e svantaggi del decentramento delle funzioni amministrative ed hanno 
cercato di fornire una giustificazione all’esist enza di più livelli di governo. Nel primo 
capitolo si cercherà di dare una sintesi delle principali teorie economiche che hanno 
cercato di affrontare questi problemi, a partire dal teorema del decentramento di Oates, 
dal modello di Tiebout e dalla teoria dei club di Buchanan.  
Nel secondo capitolo si vuole focalizzare l’attenzione sulla figura del comune, 
delineando brevemente la sua storia e le principali caratteristiche attuali, e su altre forme 
di associazionismo intercomunale, che hanno preceduto e hanno diversi punti in 
comune con le Unioni, ovvero le Comunità Montane e i Consorzi di comuni. Infine, si 
descrive brevemente come il problema dei piccoli comuni sia stato affrontato in Europa 
e, nello specifico, da Paesi come la Francia, la Spagna e la Germania.
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Nel terzo capitolo si affronta la normativa che disciplina le Unioni di comuni, 
caratterizzata da una sequenza di modifiche disciplinari realizzate con cadenza periodica 
a partire dal 1990, e l’ analisi dei contributi statali e regionali a favore delle Unioni. 
Nel quarto capitolo si è cercato di fornire una descrizione il più possibile completa delle 
Unioni di comuni in Lombardia.  
I dati utilizzati sono stati resi disponibili dal Ministero dell’Interno, da Ancitel e 
Cittalia, oltre che da una verifica degli statuti delle Unioni di comuni.  
Il capitolo si apre con un’analisi sulla diffusione del fenomeno, focalizzando 
l’attenzione anche sull’espansione della popolazione e del numero di comuni coinvolti. 
In seguito, si è voluta fornire una fotografia esaustiva sulla situazione attuale delle 
Unioni di comuni in Lombardia, in particolare ci si è soffermati sulla distribuzione 
territoriale, la composizione, le caratteristiche demografiche e territoriali delle Unioni e 
infine si è introdotto un confronto tra il caso della Lombardia e le altre regioni italiane. 
Nel quinto capitolo si analizzano le entrate delle Unioni di comuni in Lombardia, 
mettendone in risalto i meccanismi di finanziamento, la dinamica e le diverse tipologie 
di entrata, e si studia il grado dell’ autonomia delle Unioni nei confronti dei comuni 
associati.  
Nel sesto capitolo si affronta l’analisi della spesa corrente delle Unioni, descrivendo la 
dinamica della spesa corrente pro capite durante il periodo 2005-2012, i diversi pesi 
relativi delle funzioni di spesa all’interno dei bilanci delle stesse e infine si è stimata la 
variazione della spesa corrente pro capite sul territorio dovuta alla nascita di un’Unione, 
per le principali funzioni di spesa gestite in modo associato. 
Nel settimo e ultimo capitolo sono riportate le osservazioni conclusive e i principali 
risultati ottenuti nella tesi.
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Capitolo I - Teorie economiche sulla dimensione ottimale dei governi locali 
 
Nella maggior parte dei Paesi il governo centrale è affiancato dai governi decentrati e, 
come mostra la tabella 1, la divisione territoriale dei poteri ha diverse forme nelle 
diverse nazioni.  
Tabella 1 - I principali livelli sub-nazionali di governo in alcuni Paesi. 
 
Forma di 
governo 
Livello base Livello intermedio 
Regione o stato 
federato 
Belgio 
Monarchia 
parlamentare 
federale 
Communes/ 
Gemeenten 
589 
Provinces/ 
Provincies 
10 Regions 3 
Canada 
Monarchia 
costituzionale 
federale 
Municipalities 
 
3.700  - - 
Provinces e 
Territories 
10 +3 
Francia 
Repubblica 
Semipresidenzial
e 
Communes 36.783 Département 100 Regions 26 
Germania 
Repubblica 
parlamentare 
federale 
Gemeinden 12.302 Kreise 408 Lander 16 
Italia 
Repubblica 
parlamentare 
Comuni 8.057 Province 110 Regioni 21 
Lussemburgo 
Monarchia 
costituzionale 
Communes 106 - - - - 
Polonia 
Repubblica 
parlamentare 
Gminy 2.479 
 ontee e 
città con 
status di 
contea 
379 Voivodati 6 
Spagna 
Monarchia 
parlamentare 
Municipios 8.112 Provincias 43 
Comunità 
autonome 
17 
U.S.A. 
Repubblica 
presidenziale 
federale 
Municipalities 19.429 Counties 3.141 States 50 
Svizzera 
Repubblica 
federale 
direttoriale 
Cantoni 23+3 - - Municipalità 2.516 
Fonte: Elaborazione dell’autore su dati di Bobbio (2002) e Istat (2014). 
Sono altrettanto varie le funzioni che svolgono i diversi centri di governo locale e, come 
riportato nella tabella 2, per i Paesi appartenenti all’Unione Europea, i pesi di queste 
funzioni nei bilanci sono molto differenti.
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Tabella 2 - Spesa dei governi locali per le principali funzioni (COFOG), in percentuale alla 
spesa totale dei governi locali, nel 2012. 
  Servizi 
pubblici 
generali 
Servizi 
economici 
Salute Istruzione 
Protezione 
sociale 
Altre 
funzioni
1
 
Austria 16 12 19 18 20 15 
Belgio 18 11 1 19 22 29 
Danimarca 4 4 22 10 55 5 
Estonia 8 13 18 35 8 18 
Finlandia 14 7 30 17 25 7 
Francia 16 13 1 15 18 37 
Germania 18 13 2 16 33 18 
Grecia 35 17 0 2 19 27 
Irlanda 6 20 0 23 18 33 
Italia 14 13 48 7 5 13 
Lussemburgo 25 14 0 17 9 35 
Paesi Bassi 8 17 2 29 15 29 
Polonia 11 16 14 29 13 17 
Portogallo 32 17 6 12 7 26 
Regno Unito 9 7 0 27 30 27 
Rep. Ceca 13 22 3 32 6 24 
Slovacchia 10 11 0 30 30 19 
Slovenia 10 11 11 37 11 20 
Spagna 36 16 1 4 9 34 
Svezia 12 6 27 21 27 7 
Ungheria 20 14 8 28 13 17 
Media UE 16 13 10 20 19 22 
Fonte: elaborazione dell’autore su dati OCSE (2014). 
 
Sono numerosi gli studi condotti dagli esperti delle varie discipline sociali che hanno 
elencato vantaggi e svantaggi del decentramento delle funzioni amministrative ed hanno 
cercato di fornire una giustificazione all’esistenza di più livelli di governo. In questo 
primo capitolo si cercherà di dare una sintesi delle principali teorie economiche che 
                                                           
1
 Per altre funzioni, seguendo la classificazione COFOG, si intende: difesa, ordine pubblico e sicurezza, 
abitazioni e assetto territoriale, protezione ambientale e intrattenimento-cultura-religione.
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hanno cercato di affrontare questi problemi, a partire dal teorema del decentramento di 
Oates, dal modello di Tiebout e dalla teoria dei club di Buchanan.  
1.1 Teorema del decentramento di Oates 
Nella letteratura corrente, il primo nocciolo fondamentale della teoria economica del 
federalismo è individuato nel teorema del decentramento di Oates (1972), anche se 
cronologicamente giunge sedici anni dopo il contributo di Tiebout (1956) e sette anni 
dopo la teoria dei club di Buchanan (1965) (Russo, 2005).  
Nel suo “Fiscal Federalism”, Oates propone alcune importanti riflessioni sulla teoria 
tradizionale del federalismo fiscale, di cui sarà approfondita in particolare 
l’assegnazione delle funzioni ai diversi livelli di governo e il benessere generato dal 
decentramento fiscale. 
Al governo centrale Oates attribuisce in maniera esclusiva diversi compiti, come la 
stabilizzazione macroeconomica, la ridistribuzione del reddito ai meno abbienti e la 
produzione di alcuni beni pubblici nazionali, come la difesa dei confini. La 
giustificazione di quest’affermazione trova ragione in quanto i governi centrali 
possiedono determinati strumenti, come la politica monetaria o dei cambi, che i governi 
locali non hanno a loro disposizione. 
Le amministrazioni locali diventano protagoniste nella produzione di beni e servizi 
pubblici, quando il consumo di questi beni è limitato al loro territorio.  
Oates (1972) cerca di dimostrare come la produzione a livello decentrato sia più vicina 
alle preferenze dei cittadini rispetto ad una produzione centralizzata e per questo 
aumenta il benessere di tutta la società. In particolare in presenza di preferenze 
territorialmente differenziate è sempre preferibile il decentramento dell’offerta .  
Le ipotesi del modello sono diverse e alcune di esse sono definite dall’autore stesso 
“molto restrittive”.  
La prima semplificazione che propone l’autore è che un govern o di tipo centralizzato, 
ad esempio quello del Decumano Nord (DN), sia in grado di produrre un unico livello 
di output del bene pubblico richiesto dalla popolazione in modo omogeneo su tutto il 
territorio, quindi per avere una differenzazione occorre introdurre un sistema di governo 
decentralizzato.
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Oates rileva che in presenza di una situazione di perfetta informazione sarebbe molto 
facile per il governo centrale produrre a livello decentralizzato diverse quantità del 
bene, massimizzando così il benessere di tutta la società. Tuttavia è plausibile esistano 
alcune imperfezioni dal punto di vista informativo, queste sono tuttavia ritenute minori 
per i governi locali, in quanto più vicini e meglio capaci di interpretare i bisogni dei 
cittadini e di definire i costi di produzione del bene pubblico. 
Inoltre in molte nazioni sono presenti forti pressioni politiche o vincoli costituzionali, 
che limitano la capacità di un governo di produrre uno stesso bene in modi diversi 
sull’intero territorio nazionale . 
Le giurisdizioni locali sono composte in modo tale da contenere al loro interno persone 
che hanno preferenze omogenee riguardo tutte le politiche locali e in particolar modo la 
preferenza di produzione dell’ipotetico bene I, in modo tale che esista solo una curva di 
domanda per ciascuna comunità.  
La collettività dell’intera nazione viene supposta essere divisa in due gruppi di persone, 
che formano due giurisdizioni completamente separate, per ipotesi: Acquaviva (A) e 
Borgo Maggiore (B). 
Con questa supposizione perciò si assume la scarsa mobilità dei cittadini nel territorio 
nazionale, a contrario di quanto precedentemente ipotizzato da Tiebout (1956).  
Il bene I non produce effetti positivi né negativi al di fuori dei confini delle giurisdizioni 
in cui è fornito, ovvero non crea esternalità di alcun tipo.  
È supposto sussistere anche il principio di corrispondenza: il bene o servizio pubblico è 
prodotto da un unico livello amministrativo, la giurisdizione o il governo centrale. 
Il processo per produrre il bene I avviene in condizioni di rendimenti di scala costanti in 
tutte le giurisdizioni, quindi anche a livello centrale non si hanno risparmi dovuti alla 
produzione su larga scala.  
Produrre con rendimenti di scala costanti, significa che l'output varia nella stessa 
proporzione degli inputs e che i costi marginali di produzione sono pari ai costi medi. 
Se ad esempio la giurisdizione A raddoppia i fattori di produzione del bene I, anche la 
produzione dello stesso bene raddoppia, così come se tutti i fattori produttivi vengono 
dimezzati, anche l'output si dimezza.