2
A tal fine si è confrontato anche l'atteggiamento di persone che non facevano 
parte di nessun gruppo religioso e che si dichiaravano atei o credenti ma non 
praticanti. 
 Si é fatto riferimento ad un modello interazionista considerando, quindi, 
l'individuo non come passivo ma in continua interazione con altri esseri per lui 
importanti e con i diversi contesti nei quali si trova ad interagire. 
 
 
        
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CAPITOLO PRIMO 
ASPETTI METATEORICI 
       
"Per avere una mente ci vogliono 
due cervelli in  interazione”       
(G. H. Mead,1966) 
1.1 L'interazionismo simbolico 
 
 "L interazionismo, definito come la più sociologica delle psicologie sociali, 
poggia su alcune premesse fondamentali: a) la persona è il prodotto di 
un'interazione; b) il Sé è possibile soltanto per un essere che diventa oggetto di se 
stesso, caratteristica ottenibile solo nella società e per mezzo del linguaggio; c) il 
significato è quanto si trova oggettivamente come rapporto tra certe fasi dell'atto 
sociale, d) si apprende il simbolo significante quando si condivide       con 
qualcun altro un segno che si riferisce ad una comune esperienza in atto; e) il 
comportamento umano non è predeterminato quanto costruito attraverso continui 
processi interattivi; f) l’interazione pur essendo giocata a livello di significati e di 
simboli ha, attraverso questi, effetti oggettivi; g) i significati socialmente elaborati 
e convenuti, sono modificati e manipolati coscientemente dagli individui per 
influenzare l'interazione e i comportamenti. 
 Secondo questo approccio il comportamento non è causato tanto da forze 
interne o esterne come quelle sociali, ma da qualcosa di intermedio tra tali forze, e 
cioè da un’interpretazione socialmente derivata dagli stimoli interni ed esterni" 
(Lemert, 1981, pag. XVII). 
  4
"L'ottica interazionista non si interessa tanto dell'organismo psichico in 
quanto entità autonoma identificabile con l'individuo e basta, piuttosto focalizza 
l'attenzione su quella dimensione psicologica che scaturisce sempre in processo di 
relazione" (Ciacci, 1983). 
 Per relazione non dobbiamo intendere solo un processo interpersonale 
basato sulla presenza dell'altro ma anche ciò che fa da sfondo a tale processo,  
vale a dire, la situazione, i pensieri, l'oggetto di discussione, l'emozione, il 
bagaglio socioculturale, che rappresenta la persona stessa. 
In ogni momento della nostra esistenza contempliamo nel nostro modo di essere, 
pensare, manifestarci, una polarità, un "compagno segreto", ossia quello che 
comunemente viene chiamato l'altro. Ad esempio quando ci apprestiamo a 
scegliere dal nostro guardaroba un vestito, lo facciamo ponendoci in relazione con 
quel pubblico di persone significative con cui in seguito interagiremo. Quindi, 
anche quando siamo soli, quando dialoghiamo con noi stessi, è sempre presente 
un "altro" ed è solo sulla base di tale presenza che ciascuno organizza il proprio 
agire, sulla base dei ruoli che egli assume e dei suoi possibili Sé. 
Questo “altro”, nel caso del presente lavoro, può essere rappresentato dal gruppo 
religioso del quale l’individuo si sente parte, assimilandone e condividendone i 
valori, le regole di comportamento, gli atteggiamenti e i comportamenti, a volte 
anche in modo tacito e inconsapevole. 
 Ogni individuo ha, però, le sue maniere di apprendimento, le sue reazioni 
peculiari, il suo modo di affrontare i rapporti interpersonali, il suo specifico 
autoriconoscersi e identificarsi. 
 
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1.2 Sé & Identità 
 
"In una prospettiva interezionista con i concetti di Sé e identità si indicano 
i processi cognitivi, emotivi e sociali che organizzano l'autoconsapevolezza e il 
comportamento e che si formano in modo stabile o transitorio nella relazione con 
gli altri e all'interno di un contesto simbolico e normativo" (Salvini & Zanellato 
1998, pag. 35). 
Quindi, col termine Sé non si indica una cosa o una entità psicologica posta 
all'interno della nostra mente, o meglio, del nostro cervello, ma una  “caratteristica 
funzionale che sostanzia numerosi processi mentali” (Salvini 1998, pag. 157) e 
può essere vista come il risultato di discontinui processi di attribuzione di 
significato. 
 Inoltre, secondo Goffman (1976, pag. 174): "Il Sé non trae origine 
semplicemente da un processo di interazioni significative tra l'Io e gli altri, ma 
anche dal tipo di struttura significante che si organizza intorno ad esso".  
 Il "concetto di Sé" non è, quindi, qualcosa che fiorisce nella solitudine 
autocontemplativa dello specchio interiore di ciascuno di noi, ma è piuttosto una 
teoria privata ma nella quale possiamo ritrovare la presenza di meccanismi 
culturali, di regole, di norme e assunti che sono sedimentati e trasmessi dalla 
società in cui si vive. Il Sé emergerebbe come "valutazione riflessa" dei giudizi e 
delle opinioni che riteniamo che gli altri si siano fatti di noi (Salvini & Zanellato, 
1998). 
  6
 Per W. James (1890): "Una persona ha tanti diversi Sé sociali quanti sono 
gli individui che la riconoscono, ne possiedono un'immagine nella mente e la cui 
opinione egli ritiene importante". 
"L'essere umano che si sviluppa non interagisce, cioè, solo con un particolare 
ambiente naturale, ma anche con uno specifico ordine culturale e sociale, che gli è 
mediato dalle persone per lui importanti, che lo condizionano. Non solo la 
sopravvivenza del bambino dipende da certe condizioni sociali, ma la direzione 
stessa del suo sviluppo organico è socialmente determinata "(Berger & 
Luckmann, 1966).  
 Col concetto di “identità personale" ci si riferisce al risultato di diversi 
processi psicologici, interpersonali e intrapersonali, che confluiscono in una 
struttura organizzatrice della conoscenza individuale relativa a se stessi. 
Attraverso l’identità personale gli uomini e le donne non solo hanno una 
esperienza cognitiva ed emotiva di sé ma sono in grado di: 
a) elaborare ed integrare in modo coerente l'informazione interna ed esterna che li 
riguarda; b) codificarla sotto forma di memoria autobiografica, conferendo alla 
storia soggettiva coerenza retrospettiva e continuità futura, c) selezionare ed 
attuare i repertori di comportamento più adeguati alla propria identità sessuale (o 
di genere), sviluppando le relative competenze socialmente trasmesse. 
 Altro concetto utile ai fini di questo lavoro, è quello di “identità 
tipizzata”, e cioè di un set di tratti disposizionali, comportamentali espressivi e di 
ruolo, di natura prototipica e stereotipica. E’ formata da un repertorio di tratti 
coerenti tra loro e con il contesto etico-normativo che li legittima. Essa costituisce 
per l’individuo un preordinato sistema di orientamento cognitivo per 
  7
l’autovalutazione, l’azione e la realizzazione di un’adeguata immagine e stima di 
sé” (Salvini, 1993). 
L’identità tipizzata è influenzata dal tipo di gruppo affiliativo a cui 
l’individuo appartiene; si crea, così, un’identità tipizzata di gruppo che permette 
alla persona di adeguare le sue autorappresentazioni, i suoi atteggiamenti e 
credenze a quelle di questo “pubblico” di riferimento privileggiato. Questa 
tipizzazione sarà più accentuata quando l’affiliazione ad un gruppo implichi una 
più accentuata identificazione col gruppo stesso sul piano dell’esperienza 
biografica, con l’esplicita richiesta di assumere e proporre un’immagine di Sé 
caratterizzata in senso etico e normativo e quando siano rilevanti immagini di 
ruolo di natura prototipica e stereotipica socialmente diffuse (Salvini e al. 1990). 
Nella presente tesi questo verrà verificato confrontando gli atteggiamenti dei 
diversi gruppi religiosi con quelli dei soggetti che si dichiarano non facenti parte 
di nessun preciso gruppo religioso pur essendo cattolici e con quelli dei soggetti 
che si dichiarano atei o agnostici. 
 
 1.3. Il ruolo 
 
 "Il concetto di ruolo non indica una "cosa", quanto un insieme di attributi e 
di prescrizioni generati dalla posizione che una persona occupa, occasionalmente 
o stabilmente, nell'interazione sociale. Esso è capace di vincolare i modi di essere 
e di agire delle persone ad un contesto relazionale. Da un punto di vista 
normativo, il ruolo è un sistema di obblighi, di aspettative e di caratteri, 
impersonati da individui che interagiscono attraverso regole implicite o esplicite. 
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Da un punto di vista interattivo, e quindi comunicativo, il ruolo è un insieme 
coerente di atti dotati di un significato attraverso cui gli individui definiscono il 
tipo di relazione e di situazione a cui danno vita” (Salvini, 1998 pag. 176). 
Secondo queste premesse, relativamente a questo lavoro, il far parte di un 
preciso gruppo religioso, ad esempio quello dei Testimoni di Geova, porta 
l'individuo ad assumere quel ruolo (cioè di rappresentante di quel gruppo), e ciò 
può influire sul suo modo di comportarsi. 
 Bisogna comunque tenere presente che un individuo può assumere diversi 
ruoli e, secondo le situazioni, far venire fuori quello che sembra più adeguato. 
Così nel caso precedente il ruolo e il comportamento di appartenente ai Testimoni 
di Geova verrà fuori in modo più marcato durante l'adunanza domenicale mentre, 
a casa con il proprio figlio sarà più sottolineato il ruolo di padre pur rimanendo 
sullo sfondo sempre quello di appartenente a tale gruppo. Per cui le cose che 
quell'individuo dirà, il tono di voce, l'atteggiamento, il comportamento, il grado di 
ansietà sono in qualche modo preordinati entro la gamma di possibili posizioni a 
cui il ruolo, nel primo caso di partecipante all'adunanza domenicale e nel secondo 
di padre, è legato e da cui, a sua volta, è determinato e costruito. 
“Le notizie riguardanti un individuo aiutano a definire una situazione, 
permettendo agli altri di sapere in anticipo che cosa egli si aspetti da loro e che 
cosa essi, a loro volta possono aspettarsi da lui: tali informazioni indicheranno 
come meglio agire per ottenere una determinata reazione” (Goffman, 1959). 
Il ruolo rappresenta un intero nesso istituzionale di condotta, ogni ruolo è 
in relazione con un altro. Come dicono Berger & Luckmann (1966, pag. 109) si 
viene a determinare un insieme di "azioni programmate, un libretto non scritto di 
  9
un dramma. La realizzazione del dramma dipende dall'esecuzione ripetuta dei 
ruoli prescritti da parte di attori viventi. Gli attori incarnano i ruoli e attualizzano 
il dramma rappresentandolo sulla scena”.  
 "In virtù dei ruoli che ricopre un individuo viene introdotto in aree 
specifiche di conoscenza socialmente oggettivata, non solo nel più ristretto senso 
conoscitivo, ma anche nel senso della "conoscenza" di norme, valori e anche 
emozioni" (ibidem, pag. 111). 
Essere un Testimone di Geova, ad esempio, implica la conoscenza della Bibbia, di 
ciò che è considerato divieto, di un preciso codice di norme morali e 
comportamentali, un certo modo di vedere il mondo e le relazioni con gli altri e 
tutto ciò sarà influenzato dal modo in cui egli è legato alla collettività e al gruppo 
di cui fa parte (tra un semplice simpatizzante e un responsabile è probabile che le 
condotte cambino). 
Si può, quindi, vedere che "esiste una circolarità regolativa tra ruolo, 
identità e Sé, attraverso la quale l'individuo cerca di mantenere una coerenza tra le 
sue azioni e la persona che crede o rivendica di essere. 
L'individuo non resta, infatti, passivo di fronte al prodursi dei significati che lo 
riguardano e che danno luogo alla sua identità personale, partecipando 
attivamente a sostenere una definizione della situazione che sia coerente con le 
immagini che ha di se stesso" (Salvini & Zanellato, 1998, pag. 36). 
 In una società pluralistica e complessa, come la nostra, si nota una 
moltiplicazione di ruoli e come conseguenza la costruzione di un’identità 
personale è sempre più difficile. Si hanno, cosi, mondi plurimi di vita e di 
esperienza. L’identità è sempre in divenire, come una "mente senza casa", alla 
  10
ricerca di sicurezza e fondamenti sicuri (Cipriani, 1992, pag. 27). La religione 
potrebbe servire da punto d'appoggio rassicurante e da porto sicuro. 
 “Essere un particolare tipo di persona non implica solamente possedere gli 
attributi necessari, ma anche, mantenere gli standard di condotta e apparenza che 
il proprio gruppo sociale comporta (...). Uno status, una posizione non è qualcosa 
di materiale da possedere e poi mettere in mostra, ma piuttosto un modello di 
comportamento appropriato, coerente, adorno e ben organizzato” (Goffman, 
1959). 
 
1.4 I prototipi e gli stereotipi 
 
 L'attribuzione di caratteristiche psicologiche e comportamentali, di ruoli è 
governata da prototipi e da stereotipi che a loro volta contribuiscono all 
formazione di Schemi di Tipizzazione dell’Identità 
 " I prototipi sono categorie sfuocate dal potere diagnostico flessibile che 
derivano da astrazioni categoriali, o forniscono un riferimento ideale o normativo 
per assegnare certi eventi ad una determinata classe. Il prototipo è ciò che ci viene 
in mente quando, ad esempio, pensiamo all'immagine dell'alcolista, del 
tossicomane, del manager..., quando trovandoci di fronte a una persona 
sconosciuta la confrontiamo con le immagini più probabili che abbiamo in mente” 
(Salvini, 1998). 
Prototipica può essere l’immagine di una persona considerata come 
rappresentante di una certa categoria di persone (Salvini 1993). 
  11
Nel caso di questo lavoro i prototipi si possono vedere come caratteri tipici che 
vengono assegnati ai membri rappresentativi di una categoria sociale (un 
appartenente al gruppo Comunione e Liberazione, un soggetto che fa abuso di 
alcool..). 
 I prototipi possono variare in funzione del ruolo o della posizione sociale 
di chi giudica e di chi è giudicato, cosi, ad esempio, i tratti attribuiti ad un 
alcolista mutano in relazione alla nazionalità, all'affiliazione religiosa, al sesso 
etc. 
Come già detto, un punto d’indagine di questa ricerca è proprio quello di voler 
vedere come il fare parte di un gruppo caratterizzato da un credo ben preciso, da 
regole di comportamento e rituali particolari possa influire sul modo di giudicare 
gli altri (in questo caso l’alcolista) e sulle credenze personali che ciascuno si crea 
riguardo ad un preciso problema, e valutare come tali credenze possano variare 
rispetto a chi non professa tale credo religioso o non fa parte di nessuna 
istituzione religiosa.  
 Lo stereotipo, invece, può essere definito come un “insieme organizzato di 
credenze o di attribuzioni circa le caratteristiche ritenute proprie di un gruppo 
sociale” (Salvini, 1993). 
 Secondo Allport (1976) uno stereotipo consiste in una “credenza esagerata 
associata ad una categoria. La sua funzione è quella di giustificare il nostro 
comportamento nei confronti di una categoria”. 
Le persone possiedono un assortito bagaglio mentale che guida l’elaborazione 
delle informazioni e aiuta nella formazione delle impressioni riguardo ad altre 
persone e al modo in cui si interagisce con esse.  
  12
Gli individui membri di un gruppo sociale a cui viene affidato uno stereotipo 
saranno giudicati più simili tra loro, allo scopo di creare una distintività di gruppo 
che possa facilmente differenziarli dai membri di altri gruppi. (Ad esempio dire 
che: “Tutti gli appartenenti alla Chiesa Avventista sono persone che non bevono, 
conducono vita sana e vivono più a lungo). 
 Una delle caratteristiche che facilita l’utilizzo degli stereotipi è legata alla 
scarsità di informazioni a disposizione per spiegare e interpretare gli 
atteggiamenti e i comportamenti degli altri. Ciò fa si che ci si affidi a quanto già si 
conosce a proposito dell’individuo in questione e del gruppo a cui egli appartiene, 
in modo da rendere coerente e prevedibile la realtà. Tale processo cognitivo 
diventa indesiderabile quando è influenzato dal pregiudizio, quando è soggetto ad 
un’eccessiva semplificazione o generalizzazione e finisce con l’attribuire 
arbitrariamente caratteristiche, per lo più negative, sulla base solo di 
un’appartenenza categoriale. 
In generale gli stereotipi fanno parte del bagaglio culturale di tutti, anche di 
coloro che non li condividono. Per chi cresce in una determinata società è 
praticamente impossibile evitare l’apprendimento degli stereotipi prevalenti verso 
alcuni gruppi. 
Le motivazioni delle persone non bastano a far si che uno stereotipo venga 
utilizzato meno, poiché nelle situazioni di tutti i giorni, per passare da un compito 
ad un altro in modo efficace e veloce si ricorre spesso a tali scorciatoie cognitive, 
potremmo dire che: “lo stereotipo è il miglior amico del pigro”. 
 I prototipi e gli stereotipi si suppone funzionino come strumenti che 
permettono all’individuo di evitare di elaborare tutta l’informazione proveniente 
  13
dall’ambiente e di concentrarsi su alcuni indici rilevanti che gli consentano di 
rispondere in modo adeguato alle richieste esterne. Ma essi vengono anche 
sfruttati quando le informazioni che si hanno a disposizione sono poche e 
incomplete, permettendo così di riempire tutte le lacune informative. 
  
1.5. Gli Schemi di Tipizzazione della Personalità (STP) 
 
 Come abbiamo detto nel paragrafo precedente i prototipi e gli stereotipi 
contribuiscono alla formazione di "Schemi di tipizzazione della personalità” 
(STP) che sono “modalità organizzative della conoscenza interpersonale che si 
basano su astrazioni categoriali generate da intenti valutativi, diagnostici e 
prognostici, che consentono di attribuire ad individui accomunabili per qualche 
aspetto distintivo, un insieme di caratteristiche psicologiche(...).  
Gli STP forniscono scorciatoie inferenziali, consentendo di dedurre da pochi 
elementi molte informazioni attraverso un processo di categorizzazione che ci 
consente di raggruppare in classi omogenee gli oggetti o i fenomeni sulla base di 
determinate caratteristiche comuni che li differenziano da altri"(Salvini, 1998). 
 La categorizzazione è un processo quasi automatico che permette di:  
a) semplificare la complessità dei dati orientando in modo selettivo 
l'attenzione verso  certi indicatori;  
 b) indirizzare la raccolta successiva di elementi informativi coerenti; 
c) di utilizzare l'esperienza dell'osservatore che è funzionale e coerente alle 
sue intenzioni e replica di schemi; 
 d) inserire elementi informativi eterogenei in riferimenti noti; 
  14
e) amplificare l'informazione disponibile sopperendo ai suoi vuoti e 
limiti.(ibidem) 
Nel comprendere l'altro anche l'osservatore stesso mette in gioco le sue regole, il 
suo mondo simbolico e normativo. "Parlare con l'Altro significa anche tradurlo in 
un linguaggio, non radicalmente diverso, ma congruo e complementare a quello 
dell'interlocutore” (ibidem). 
 Non bisogna, dimenticare l'influenza del "senso comune" nel determinare 
la formazione di uno STP e le attribuzioni di caratteristiche di personalità. "La 
verità di uno STP non è (solo) data dalla sua coerenza logica o dalle sue presunte 
verifiche empiriche, ma anche dalla sua congruenza con i significati e i  valori 
prevalenti, o emergenti, in una certa cultura (ibidem, pag. 108). 
 Gli interscambi tra STP esperti (quelli degli psicologi o degli psichiatri) e 
STP di senso comune non svolgono solo la funzione di dare senso al mondo e di 
dare l'illusione di controllare la propria e l'altrui realtà psicologica, ma 
rispecchiano effettivamente ciò che le persone pensano e dicono di essere e 
consentono di anticipare la direzione e il significato di un evento a cui 
partecipano. Così l'appartenere ad un gruppo significa partecipare a un sapere 
implicito, scritto molto tempo prima e tramandato mediante segni o simboli poi 
concretizzati nel linguaggio, sapere valido localmente e che permette di 
interpretare un fenomeno, un episodio di vita, generando la propria variazione 
narrativa e ricorrendo ad un vocabolario di termini culturalmente e 
psicologicamente limitato che come tale consente delle traduzioni solo locali e 
valide all'interno di quel preciso contesto narrativo. Lo STP consente, quindi, di 
attribuire un insieme di tratti disposizionali, caratteristiche che determinano quel 
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"tipo" di persona e permettono di effettuare inferenze sulla sua condotta e sulla 
sua personalità che vanno a riempire i vuoti informativi e a determinare alcune 
aspettative, tenendo conto che tali inferenze variano a seconda del ruolo, della 
situazione interattiva e delle attese di chi valuta, cosi di volta in volta sarà 
possibile decidere a quali STP fare ricorso per spiegare un comportamento o un 
fenomeno. 
 
1.6 Atteggiamenti & Credenze 
 
 Il concetto di atteggiamento è molto popolare in psicologia sociale e questo 
perché lo scopo di quest'ultima e quello di studiare il comportamento delle 
persone e dei gruppi e si suppone che gli atteggiamenti possono influenzare il 
comportamento e quindi attraverso il loro studio si potrebbero prevedere le azioni 
delle persone. Secondo Rosemberg e Hovland (1960), gli atteggiamenti sono delle 
"predisposizioni a rispondere a una data classe di stimoli mediante determinati tipi 
di risposte. Queste classi di risposte sono distinte in affettive (sentimenti e 
preferenze valutative), cognitive (credenze, opinioni e idee sull'oggetto di 
atteggiamento) e conative o comportamentali (intenzioni comportamentali o 
azioni manifeste) (cit. in Hewstone et all, 1988). 
 Secondo, invece, Petty & Cacioppo (1981): "il termine atteggiamento si 
riferisce ad un sentimento negativo o positivo, generale e durevole nei confronti 
di una certa persona, oggetto o argomento.