4
L’analisi che segue ha per oggetto la descrizione sistematica di 
organizzazione strutturale, obiettivi, strumenti operativi e caratteri giuridici 
dell’istituzione incaricata di gestire la politica monetaria nell’Eurosistema; 
in particolare, verrà analizzata la questione della credibilità e della 
trasparenza della giovane istituzione monetaria, che ha suscitato non pochi 
dibattiti negli ambienti accademici e tra gli operatori economici e 
finanziari. 
Infine, verrà analizzato il problema della collocazione della Banca 
centrale europea nel contesto comunitario, e la  sua posizione peculiare tra 
le altre istituzioni della comunità. 
 
 
 
 5
1. L’UEM E LA NASCITA DEL SEBC 
 
1.1.  Il “Rapporto Delors” e la nascita dell’UEM 
 
 
Nel giugno 1988, ad Hannover, il Consiglio europeo confermava il proprio 
sostegno alla progressiva realizzazione dell’Unione economica e monetaria e 
assegnava ad un comitato guidato da Jaques Delors, allora Presidente della 
Commissione europea, il mandato di elaborare un progetto concreto per la 
realizzazione di tale obiettivo
1
. 
          Il “Rapporto Delors” redatto a conclusione dei lavori, proponeva di 
articolare la realizzazione dell’Unione economica e monetaria in tre fasi distinte.  
Il contributo fondamentale del “Rapporto” fu quello di comprendere che 
l’Unione monetaria non poteva costituirsi a partire dai tassi di cambio, cioè la 
dimensione esterna della politica monetaria, ma era necessario considerarla come 
un sistema “nazionale”; e come tale avrebbe avuto bisogno di una base 
istituzionale forte e di una moneta unica
2
. 
Da una pluralità di politiche economiche nazionali, gestite dalle varie banche 
centrali, si sarebbe passati non ad un coordinamento bensì all’unificazione della 
politica monetaria in capo ad un’unica autorità centrale
3
. 
                                                 
1
 Banca centrale europea, Istituzione del SEBC, www.ecb.int, p. 1 
2
 Papadia – Santini, La Banca centrale europea, Bologna, 2000, pp. 16, 17 
3
 Tosato, L’Unione economica e monetaria e l’Euro, Torino, 1999, p. 18 
 6
Nell’impianto progettuale di Delors era quest’ultimo l’elemento decisivo e 
caratterizzante dell’Unione monetaria: non era infatti la disciplina dei cambi a 
determinare l’unificazione delle politiche monetarie, ma era la centralizzazione 
delle decisioni in materia monetaria a comportare, quale effetto naturale, 
l’unificazione del sistema monetario
4
. 
Complessivamente, nel Rapporto Delors la politica monetaria risultava 
ancorata alla politica economica, ma mentre la prima era concepita nella 
prospettiva dell’unificazione istituzionale dei centri decisionali, la seconda aveva 
come obiettivo la convergenza delle politiche nazionali, distinguibili Stato per 
Stato
5
. 
 
 
                                                 
4
 Tosato, ivi, p. 18 
5
 Chiti – Greco, Trattato di diritto amministrativo europeo, Tomo II, Milano, 1997, p. 926 
 7
1.2.  Le tre fasi di attuazione dell’UEM 
 
Prima fase – Conformemente a quanto indicato dal rapporto Delors, nel 
giugno 1989 a Madrid il Consiglio europeo ha deciso che la prima fase della 
realizzazione dell’Unione economica e monetaria sarebbe iniziata il 1º luglio 1990, 
data in cui sarebbero state abolite, in linea di principio, tutte le restrizioni alla 
circolazione dei capitali tra gli Stati membri. 
Per la realizzazione della seconda e terza fase era necessario modificare il 
Trattato che istituisce la Comunità economica europea (“Trattato di Roma”), al 
fine di creare la necessaria infrastruttura istituzionale. E’ stata quindi convocata 
una Conferenza intergovernativa sulla UEM, tenutasi nel 1991 parallelamente alla 
Conferenza intergovernativa sull’Unione politica. 
I negoziati si sono conclusi con il Trattato sull’Unione europea, approvato 
nel dicembre 1991 e firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992. Esso emendava il 
Trattato che istituisce la Comunità economica europea, di lì in avanti Comunità 
europea, e conteneva, fra l’altro, il protocollo sullo Statuto dell’Istituto monetario 
europeo
6
.   
A causa dei ritardi nel processo di ratifica, tuttavia, il trattato di Maastricht è 
entrato in vigore soltanto il 1º novembre 1993. 
                                                 
6
 Banca centrale europea, op. cit., p. 2 
 8
 
Seconda fase – La seconda fase ha avuto inizio il 1 gennaio 1994 ed è stata 
caratterizzata dalla circostanza che nel corso di essa la convergenza fra le 
economie dei Paesi membri doveva farsi più stretta, sulla base soprattutto di 
quattro indicatori: l’inflazione, le finanze pubbliche, i tassi d’interesse e la moneta.  
In particolare, ai sensi dell’art. 121(1), primo capoverso, del Trattato CE e 
dell’art. 1 del Protocollo sui criteri di convergenza, il tasso d’inflazione rilevato in 
tutti gli Stati membri non poteva superare dell’1,5% quello dei tre Stati membri 
con il più basso tasso d’inflazione rilevato su base annua; inoltre, ai sensi dell’art. 
104(2) del Trattato CE e dell’art. 1 del Protocollo sulla procedura per i disavanzi 
eccessivi, il disavanzo pubblico non doveva essere superiore al 3% del PIL, e 
l’indebitamento dello Stato non doveva superare il 60% del PIL. I tassi d’interesse 
a lungo termine di ciascuno Stato membro non dovevano essere superiori del 2% 
rispetto a quelli adottati dai Paesi che potevano vantare la migliore performance in 
termini di stabilità dei prezzi (art. 121 primo comma, quarto capoverso, del 
Trattato CE e art. 4 del Protocollo sui criteri di convergenza). Infine, nei due anni 
che precedevano la verifica dei criteri di convergenza, la moneta nazionale doveva 
aver rispettato il proprio margine di oscillazione nell’ambito dello SME e, quindi, 
 9
non doveva aver subito svalutazioni volontarie
7
 (art. 121, primo comma, terzo 
capoverso, del Trattato CE e art. 3 del Protocollo sui criteri di convergenza). 
La verifica di tali criteri era affidata all’Istituto monetario europeo, che 
aveva un’autonoma personalità giuridica, cui era attribuita la funzione di preparare 
più in generale la terza fase del percorso verso l’Unione e di coordinare l’attività 
delle Banche centrali. 
Le due funzioni principali dell’IME erano: 
1) rafforzare la cooperazione tra le banche centrali e il coordinamento delle 
politiche monetarie; 
2) realizzare i preparativi necessari per l’istituzione del Sistema europeo di 
banche centrali (SEBC), per la conduzione di una politica monetaria unica e per la 
creazione di una moneta unica nella terza fase. 
A tal fine l’IME ha svolto funzioni di consesso per consultazioni, dibattiti e 
scambi di informazioni su questioni di politica monetaria e ha definito il contesto 
regolamentare, organizzativo e logistico necessario affinché il SEBC potesse 
svolgere i suoi compiti nella terza fase
8
. L’IME, una volta entrato in funzione il 
SEBC e la BCE, ha esaurito la sua funzione ed è stato liquidato. 
Il 2 maggio 1998, il Consiglio dell’Unione europea, nella composizione dei 
capi di Stato e di governo, decideva all’unanimità che undici Stati membri (Belgio, 
                                                 
7
 Leanza, Gli aspetti istituzionali dell’UEM, in Studi in onore di Federico Mancini, 1998, p. 570 
8
 Banca centrale europea, op. cit., p. 2 
 10
Germania, Lussemburgo, Spagna, Italia, Portogallo, Paesi Bassi, Francia, Irlanda, 
Austria e Finlandia) soddisfacevano le condizioni necessarie per l’adozione della 
moneta unica, prevista per il 1º gennaio 1999, e che avrebbero partecipato alla 
terza fase dell’UEM (GUCE n. L 139 dell’11 maggio 1998, pp. 30-35). 
 
Terza fase – La terza fase di realizzazione dell’Unione monetaria, che ha 
comportato la fissazione irrevocabile dei tassi di cambio delle valute dei Paesi 
partecipanti, ha avuto inizio il 1º gennaio 1999 ed è caratterizzata soprattutto 
dall’affiancamento prima, e dalla sostituzione poi, dell’Euro alle monete nazionali 
sulla base di tassi di conversione prefissati. 
Dal 1º gennaio 2001 è entrata a far parte dell’UEM anche la Grecia, sulla 
base di una decisione adottata il 19 giugno 2000 dal Consiglio dell’UE (GUCE n. 
L 167 del 7 luglio 2000, pp. 19-21). 
La terza fase si è conclusa il 31 dicembre 2001 e dal 1º gennaio 2002 l’Euro 
è diventata la moneta corrente dei dodici Paesi membri partecipanti all’area Euro. 
 11
1.3.  Aspetti istituzionali e giuridici dell’UEM 
 
 
Confrontando il sistema istituzionale dell’UEM con la costruzione 
 
 tradizionale comunitaria, si rilevano molte differenze. 
 
Innanzitutto, la politica monetaria ed economica non è inclusa tra gli 
obiettivi dell’art.3 del Trattato ma nell’art.4, che si differenzia dal primo perché 
non prevede che tale politica sia affidata soltanto all’azione comunitaria ma 
all’azione congiunta degli Stati e della Comunità. 
In secondo luogo, l’UEM concerne solo alcuni Stati membri; la Gran 
Bretagna, ad esempio, con un apposito protocollo, ha deciso di tenersi fuori 
dall’Eurosistema così come altri Stati sono assenti in quanto non sono riusciti a 
soddisfare i criteri di convergenza
9
. 
In terzo luogo, i tradizionali processi decisionali comunitari non si applicano 
alla politica economica e monetaria e, in particolare, le maggiori differenze sono 
rinvenibili nel ruolo e nelle competenze della Commissione.  
Infatti, mentre nel sistema comunitario, ai sensi dell’art. 250, la 
Commissione ha il monopolio dell’iniziativa normativa ed il Consiglio dell’Unione 
europea può modificare le sue proposte soltanto all’unanimità, nell’UEM invece – 
a seguito della creazione della BCE, che esercita in parte delle funzioni 
                                                 
9
 Leanza, op. cit., p. 570 
 12
abitualmente della Commissione – la Commissione spesso presenta delle 
“raccomandazioni” non vincolanti dal punto di vista giuridico.  
Ciò accade, ad esempio, per la definizione degli indirizzi di massima per le 
politiche economiche della Comunità e degli Stati membri  (art.99 par.2 e 4); per la 
decisione di accertamento di un disavanzo eccessivo (art.104 par.6); per la 
elaborazione della politica dei cambi (art.111); e per il procedimento di passaggio 
alla terza fase (art.121). 
A ciò si deve aggiungere che il ruolo del Parlamento europeo è più 
marginale rispetto a quello ricoperto nel sistema comunitario tradizionale; le altre 
istituzioni hanno solo un obbligo di informazione nei suoi confronti
10
.   
Abbastanza centrale rimane la funzione del Consiglio dell’Unione europea, 
nella composizione dei ministri dell’economia e delle finanze (ECOFIN), in quanto 
esso interviene a più riprese nel processo decisionale rispetto ai settori della 
definizione del controllo e degli indirizzi di massima di politica economica degli 
Stati membri, della sorveglianza dei disavanzi pubblici eccessivi e della politica 
dei cambi (artt.99, 104 e 111).  
Riguardo a quest’ultimo profilo è interessante notare come al Consiglio 
ECOFIN sia attribuita la competenza a concludere degli “accordi formali” su un 
sistema di tassi di cambio della moneta unica nei confronti delle valute non 
comunitarie.  
                                                 
10
 Leanza, ivi, p. 571 
 13
Pertanto, la competenza a negoziare, a livello internazionale, in materia di 
cambi è esclusivamente del Consiglio
11
. 
Poteri analoghi a quelli del Consiglio, inoltre, sono esercitati dalla BCE 
tramite l’emissione di atti normativi e provvedimenti amministrativi vincolanti; ma 
questo aspetto sarà meglio analizzato più avanti. 
Da un punto di vista normativo, invece, la disciplina relativa all’UEM si 
inserisce all’interno del Trattato quasi come un corpo estraneo, un “aliud” rispetto 
alle altre parti del Trattato: il titolo VII della terza parte, dedicato alla politica 
economica e monetaria, infatti, presenta tutte le caratteristiche di un “Trattato-
legge” mentre le altre parti hanno più il carattere di “Trattato-quadro”
12
; si tratta, 
cioè, di norme molto dettagliate rispetto a quelle presenti nelle altre parti del 
trattato che invece si caratterizzano più come “orientamenti”, seppur vincolanti, e 
lasciano spazio agli Stati di scegliere autonomamente le modalità di 
implementazione.  
Si rilevano inoltre numerose anomalie redazionali, come un largo uso di 
termini nuovi rispetto a quello consueto nel linguaggio comunitario con confusioni 
che non giovano alla chiarezza della materia. 
Alcuni esempi: la misteriosa categoria degli “accordi formali”, previsti 
dall’art. 109 del Trattato CE, introdotta nonostante le critiche formulate al 
                                                 
11
 Leanza, ivi, p. 572 
12
 Tizzano, Qualche considerazione sull’Unione economica e monetaria, in Il diritto dell’Unione europea, 1997, p. 
458 
 14
momento del negoziato e che ha costretto ad annettere al Trattato un protocollo ad 
hoc per precisare che si tratta di semplici accordi internazionali
13
; o la illogica 
ripetizione, nello Statuto del Sistema europeo di banche centrali, di enunciati già 
presenti nel Trattato
14
. 
Tutto ciò è conseguenza del fatto che le “penne” che hanno redatto questa 
parte del Trattato non erano le stesse che hanno scritto la parte dedicata all’Unione 
politica (e, in generale, i testi tradizionali del diritto comunitario), nonché di una 
precisa volontà di rendere tali norme “blindate”, non suscettibili, cioè, di differenti 
interpretazioni.  
Si è avuta cura soprattutto di fissare obblighi molto rigorosi 
indipendentemente dalle preoccupazioni di tecnica giuridica
15
. 
                                                 
13
 Tizzano, ivi, p. 459 
14
 Predieri, Non di solo Euro. Appunti sul trasferimento di poteri al Sistema europeo di banche centrali, in Il diritto 
dell’Unione europea, 1997, p. 33 
15
 Tizzano, op. cit., p. 459