4
contenuto di queste tesi prenderò in esame i procedimenti argomentativi da lui 
usati per sostenerle. 
Focalizzare l’attenzione sui procedimenti argomentativi piuttosto che sui 
contenuti, significa tentare di soffermarsi sulle “regole del gioco” e la loro 
applicazione da parte di Ockham e dei sostenitori della teocrazia papale. Per 
questo nel corso del mio lavoro parlerò di fairness, intendendo la correttezza di 
Ockham nel rispettare alcuni principi procedurali posti in apertura della sua 
opera. 
 5
Capitolo I. Il Breviloquium e il suo tempo. 
 
Il retroterra storico e filosofico del Breviloquium. 
 
Prima di illustrare il lavoro che intendo svolgere sul Breviloquium
1
 di 
Guglielmo di Ockham, è opportuno inquadrare storicamente l’opera all’interno 
del suo pensiero politico. A partire dal 1324, quando venne convocato ad 
Avignone per rispondere a un’accusa d’eresia, le vicende biografiche del filosofo 
francescano  sono abbastanza note: prima il suo coinvolgimento a sostegno della 
causa francescana, in appoggio al generale dell’Ordine Michele da Cesena contro 
il papa Giovanni XXII; poi la fuga, nel maggio del 1328, dalla sede papale; 
infine il rifugio, in un primo tempo a Pisa e poi a Monaco, sotto le insegne della 
casa imperiale. Qui Ockham abbandonò le ricerche filosofiche e teologiche per 
dedicarsi alla stesura di numerosi scritti polemici di carattere politico – 
ecclesiologico. 
La prima grande polemica che coinvolse Ockham sarà quella per la difesa 
della povertà francescana. La questione, come vedremo, è abbastanza intricata ed 
ha radici che affondano nel problema della corretta interpretazione della Regola 
francescana: nel 1321, infatti, l'inquisitore domenicano Jean de Beaune condannò 
un simpatizzante dei francescani spirituali, un “beghino”, perché avrebbe 
sostenuto la tesi secondo cui Cristo e gli apostoli, da un punto di vista 
                                                 
1
 GUILELMUS DE OCKHAM, Breviloquium de principatu tyrannico, in Opera politica, a cura di H. S. 
Offler, vol. IV, Oxford University Press, Manchester 1997, pp. 97 - 260. È utile ricordare che l’edizione 
critica delle opere politiche di Ockham si trova nei quattro volumi curati da Offler e pubblicati dal 1956 al 
1997. Tutte le citazioni saranno riferite a quest’edizione riportando il volume in numeri romani, e la 
pagina in numeri arabi. Solo del Dialogus non esiste ancora un’edizione critica che è ancora in fase di 
completamento, a cura di J. Kilcullen e J. Scott. E’ tuttavia possibile accedere alla parte del testo già 
ultimata attraverso il sito internet http://www. Britac.ac.uk/ockdial. Per il Dialogus, quindi mi riferirò alla 
numerazione dei capitoli senza riportare il numero di pagina.  
 6
strettamente giuridico, non avrebbero posseduto nulla, né individualmente né 
comunitariamente. Il francescano Berengario Talon, intervenendo nel dibattito 
processuale, fece notare, al contrario, che la tesi era perfettamente ortodossa e, 
minacciato a sua volta, si appellò al Sommo Pontefice. Il papa Giovanni XXII, 
deciso a fare chiarezza in maniera definitiva, pose la questione nel concistoro del 
marzo 1322, dove i cardinali francescani confermarono la bontà della tesi di 
Berengario. Dinanzi ad una controversia che era tutt’altro che risolta, il pontefice 
avvertì la necessità di una discussione più approfondita per chiarire 
definitivamente la questione inerente alla povertà francescana.
2
 
Per questo motivo, l’anno seguente il pontefice emanò la bolla Quia 
nonnumquam,
3
 in cui veniva revocato il divieto posto da Niccolò III
 
di glossare la 
Regola,
4
 mentre il Capitolo dei francescani, riunito a Perugia e presieduto da 
Michele da Cesena,
5
 ribadiva che Cristo e gli Apostoli non avevano posseduto 
nulla, né in proprio né in comune e che il magistero della Chiesa, secondo le 
decretali Exiit qui seminat, Exivi de Paradiso
6 
di Clemente V e la stessa 
                                                 
2
 Cfr. M. DAMIATA, Guglielmo d’Ockham: povertà e potere, I: Il problema della povertà evangelica e 
francescana nei secoli 13° e 14°, l’origine del pensiero politico di G. d’Ockham, Studi francescani, 
Firenze 1979, pp. 314 –315. 
3
 Bullarium franciscanum, a cura di C. Eubel, V, Roma 1908, n. 464. 
4
 Exiit qui seminat in Bullarium franciscanum, (Op. cit), III, n. 127. 
5
 Michele da Cesena si era appoggiato al Pontefice nel 1318 per far prevalere la linea conventuale in 
merito alla disputa sulla corretta interpretazione della Regola francescana: cfr. A. S. Mc. GRADE, The 
Political Thought of William of Ockham. Personal and Institutional Principles (Cambridge Studies in 
Medieval Life and Thought, III ser.), Cambridge University Press, London – New York 1974, pp. 12 – 
13: «There is a bitter irony in the resistance activities of the Michaelist, for until their break with the pope 
Michel of Cesena and Bonagratia of Bergamo, the lawyer in the group of friars fleeing from Avignon, had 
been leaders of established order against the zelantes, even taking the initiative in measures witch led to 
the burning of four of these Fraticelli or Spiritual Franciscains in 1318. They now felt obliged to act as 
defiantly as the more extreme friars in defence of a position which seems comparatively bloodless – one 
can almost imagine an Angelo Clareno or Ubertino di Casale agreeing with John XXII that the poverty 
defended by the Michaelist was purely verbal». Riguardo a questa questione si veda anche R. 
LAMBERTINI – A. TABARRONI, Dopo Francesco: l’eredità difficile (Altri saggi, 12), Gruppo Abele, 
Torino 1989, p. 96 e sg. 
6
 Bullarium franciscanum (Op. cit.), V, n.195. 
 7
Quorumdam exigit
7 
di Giovanni XXII, asseriva ciò. In tutta risposta, il pontefice 
emanò la Ad conditorem canonum,
8 
nella quale non solo negò la pretesa 
francescana di un uso dei beni separato dalla proprietà ma rinunciò anche al 
possesso di tutti i patrimoni che erano in uso all’Ordine. Questa decisione mise in 
imbarazzo i francescani perché avrebbe costretto l’Ordine ad acquisire la 
proprietà «di quei beni che fino allora aveva sdegnosamente respinti»,
9 
annullando la condizione di perfetta povertà di cui esso si ammantava. 
 L’intento del pontefice era di tagliare alla radice qualsiasi possibilità di 
disputa intorno alla corretta interpretazione della Regola; in realtà 
quest’intransigenza non fece altro che allargare il fronte dei nemici del papa che 
annoverava già, come vedremo, l’imperatore Ludovico il Bavaro. Incurante di 
ciò, il pontefice precisò la sua posizione nella breve bolla del novembre 1323 
Cum inter nonnullos,
10 
in cui dichiarò eretica e in contraddizione con le Sacre 
Scritture la tesi secondo cui Cristo e gli apostoli non possedettero nulla in proprio 
e in comune. Per completare il quadro di parte pontificia bisogna citare ancora la 
Quia quorumdam
11 
nella quale, oltre a ribadire i concetti espressi nelle precedenti 
bolle, il papa proibì la messa in discussione del loro contenuto. 
I francescani, di fronte a questa negazione del loro status di poverelli, non 
potevano che reagire con veemenza e la loro rivolta godette di un appoggio 
insperato, quello dell’imperatore Ludovico il Bavaro. Quest’«alleanza 
contingente»
12 
era stata favorita dello scontro in atto tra la casa imperiale e il 
soglio pontificio, che negava la legittimità dell’incoronazione del Bavaro dopo la 
                                                 
7
 Ivi, n. 289. 
8
 Ivi, n. 486. 
9
 G. SANTONASTASO, “Occam e la plenitudo potestatis”, Rassegna di scienze filosofiche 10 (1957), p. 
220. 
10
 Bullarium franciscanum (Op. cit.), V, n. 518. 
11
 Ivi, n. 554. 
12
 “Occam e la plenitudo potestatis” (Op. cit.), p. 221. 
 8
vittoria di Müldorf; entrambi, impero e francescani “dissidenti”, avevano lo 
stesso obiettivo, cioè la delegittimazione – tramite l’accusa d’eresia - di Giovanni 
XXII. Questa comunione d’intenti vide il suo momento più alto nel maggio 1324 
con l’Appello di Sachsenhausen in cui era contenuta, a seguito della deposizione 
imperiale per il rifiuto del Bavaro di sottomettersi al pontefice, l’accusa di eresia 
per il pontefice. L’Appello si richiamava alle tesi propugnate dai francescani 
sulla povertà evangelica; questo non poteva che suonare come un invito ai 
dissidenti dell’Ordine, capeggiati da Michele da Cesena e da Bonagrazia da 
Bergamo, a sposare la causa imperiale e a fare un fronte comune politico ed 
ecclesiologico contro le pretese teocratiche di Jacques Duèse di Cahors, che 
secondo i dissidenti francescani non era il legittimo successore di Pietro bensì lo 
pseudo papa Giovanni XXII.
13
  
La storia, tuttavia, diede ragione al pontefice e alla sua linea intransigente: 
l’opposizione francescana risultò tutto sommato debole, perché l’Ordine «era 
troppo irretito nel tessuto della potenza papale perché la contestazione degli 
spirituali o la ribellione di qualche capo dell’ordine ne compromettesse la 
sottomissione»,
14
 mentre l’imperatore non aveva l’autorità e il sostegno 
necessario per concludere positivamente la sua discesa in Italia. Il papato uscì 
rafforzato da queste vicende non solo con il definitivo asservimento dell’Ordine 
francescano, sancito dalla deposizione nel 1329 di Michele da Cesena, ma anche 
                                                 
13
 Marsilio da Padova, ad esempio, è stato tra i primi a conoscere e a sposare le tesi contenute 
nell’Appello di cui, nel Defensor pacis, dimostra di sposarne gli intenti. 
14
 G. TABACCO, Spiritualità e cultura nel medioevo: dodici percorsi nei territori del potere e della fede, 
Liguori, Napoli 1993, p. 148. Cfr. J. MORRALL, “Some Notes on a Recent Interpretation of William of 
Ockham’s Political Philosophy”, Franciscan Studies 9 (1949), p. 342: «The Conventuals were in a very 
real sense committed to seeking a passage between Scylla and Charybdis. On the one hand they must to 
emphasize the absolute character of papal proprietorship of temporalities of the Order. But in this 
exaltation of Papal privilege, they ran the risk of undermining their own position; for John might retort 
that, if he was in fact absolute master of Franciscan goods, he might justifiably use his prerogative of 
ownership to surrender his property into the hands of those who were actually using it». 
 9
con l’ascesa al trono imperiale di Carlo IV di Boemia, fautore di una posizione 
moderatamente guelfa e filo – francese. 
In quest’intricata vicenda Ockham entrò in scena solo nel 1324 quando «il 
continuo contatto nel convento avignonese con Bonigrazia da Bergamo, che non 
perdonava al papa d’averlo tenuto per quasi un anno prigioniero, e più, l’incontro 
con Michele da Cesena, attizzando i suoi rancori, ne maturarono la rivolta».
15
 
Ockham sposò il partito di Michele da Cesena e la sua Epistola ad fratres 
minores apud Assisium congregatos
16 
ne è testimonianza. La fuga, nella notte del 
26 maggio 1328, sancì la definitiva rottura con il papato e portò Ockham a 
raggiungere a Pisa l’imperatore che un mese prima aveva dichiarato deposto 
Giovanni XXII e proclamato un antipapa, Niccolò V, d’estrazione francescana. 
L’avventura italiana di Ludovico il Bavaro, tuttavia, si rivelò ben presto un 
fallimento: l’azione di Roberto d’Angiò costrinse l’imperatore ad una lenta 
ritirata che si concluse nel 1330 con il ritorno in Baviera. Sulla strada per la 
Germania, al seguito di Ludovico c’era Ockham che s’installò presso la corte 
imperiale e divenne uno tra i difensori delle rivendicazioni della casa tedesca. 
Soltanto tra le mura amiche del convento bavarese Guglielmo di Ockham 
riprese in mano la penna per scrivere. I primi anni monachesi lo videro 
impegnato a discutere le tesi sulla povertà francescana.
17
 L’opera in cui se ne dà 
                                                 
15
 “Occam e la plenitudo potestatis” (Op. cit.), p. 224. 
16
 Opera politica, III, 1956, pp. 6 – 17. 
17
 La prima testimonianza accertata di un coinvolgimento di Ockham nelle vicende politiche ed 
ecclesiologiche è data dalla collaborazione con Bonagrazia da Bergamo, Francesco d’Ascoli ed Enrico di 
Talheim alla stesura delle Allegationes religiosorum virorum del 1329, seguite dal documento Quoniam 
scriptura del 1331 redatto insieme a Bonagrazia e Marsilio. Cfr. C. DOLCINI, Crisi di poteri e 
politologia in crisi. Da Sinibaldo Fieschi a Guglielmo d’Ockham, Patron Editore, Bologna 1988, pp. 269 
– 426. Knysh (“Ockham’s First Political Treatise? The «Impugnatio constitutionum Papae Iohannis» 
(April - May 1328)”, Franciscan Studies 58 (2000), pp. 237 – 259) avanza l’ipotesi che quest’opera di 
confronto tra alcune bolle papali sia il primo testo politico – ecclesiologico di Ockham e sia stata redatta 
nel 1328, prima della fuga da Avignone. 
 10
più ampia esposizione è l’Opus nonaginta dierum
18
 che contiene anche una 
serrata critica delle tesi esposte nella bolla papale Quia vir reprobus.
19
 L’Opus 
nonaginta dierum viene considerato dagli studiosi del pensiero occamiano un 
lavoro dalle potenzialità inespresse:
20
 nonostante una discussione dettagliata sulla 
proprietà, Ockham non analizza in profondità le implicazioni, potenzialmente 
destabilizzanti per il pensiero politico, che deriverebbero dall’applicazione di una 
teoria basata sulla povertà francescana. Negli stessi anni, tra il 1332 e il 1334, 
inizia la stesura della prima parte del monumentale Dialogus de potestatae 
papae.
21
 Esso ebbe una lunga gestazione: la sua terza e conclusiva parte fu scritta 
solo intorno al 1341 e non è mai stata portata a compimento. Nel Dialogus si 
ritrovano i principali temi del pensiero politico di Ockham: la legittimità della 
lotta contro un papa eretico e la sua deposizione, i limiti della sfera d’influenza 
del potere papale nonché le ragioni e le finalità del potere secolare. 
 In questi anni, dopo la morte di Giovanni XXII, si aprì quello che De Lagarde 
definisce il terzo ciclo della produzione occamiana, caratterizzato da un maggiore 
interesse per la difesa dell’autonomia dell’impero davanti alle pretese del 
papato.
22
 Ockham si era scagliato contro il nuovo papa, Benedetto XII, scrivendo 
il Tractatus contra Benedictum XII
23
 e ribadendo nel Tractatus contra Iohannem 
XXII
24
 l’eterodossia di Giovanni XXII che era diventato manifestamente eretico 
come a suo avviso dimostravano le affermazioni del papa riguardo alla visione 
                                                 
18
 Opera politica, I, 1974, pp. 292 – 368; II, 1963, pp. 375 – 858.  
19
 Bullarium franciscanum (Op. cit.), V, n. 820. 
20
 Cfr. The Political Thought of William of Ockham, (Op. cit.), pp. 14 –15. Severo il giudizio di De 
Lagarde (La naissance de l’esprit laïque au déclin du moyen âge, IV : Guillame d’Ockham. Défense de 
l’empire; Nauwelaerts, Louvain 1963, p. 41): «L’Opus nonaginta dierum est plus un plaidoyer sur des 
thèses collectives qu’une œuvre originale». 
21
 Opera Plurima, London 1962, ristampa anastatica dell’edizione Lyon 1494. Cfr. http://www. 
Britac.ac.uk/ockdial. 
22
 Cfr. La naissance (Op. cit.), p. 31. Anche Mc Grade (Op. cit, pp. 74 – 77) nota nelle opere scritte dopo 
il 1337 un mutamento di prospettive e d’interessi. 
23
 Opera Politica, III, 1956, pp. 165 – 322. 
24
 Opera Politica, III, 1956, pp. 29 – 156. 
 11
beatifica.
25
 Allo stesso periodo è inoltre da ascriversi il Compendium errorum 
papae Iohannis XXII.
26
 L’impegno a sostegno della causa imperiale si era 
realizzato, invece, nella stesura di alcune opere di carattere politico come l’An 
princeps
27
 e le Allegationes de potestatae imperiali.
28
   
Il Breviloquium si colloca anch’esso nell’ultima fase della produzione politica 
di Ockham: l’opuscolo risale al periodo del pontificato di Benedetto XII,
29
 
regnante fino all’aprile del 1342, e, pertanto, è stato scritto tra il 1341 e il 1342
 
ed 
è considerato pressoché coevo alle Octo quaestiones de potestate papae.
30
 
Ockham scrisse ancora, probabilmente nel 1347, il De imperatorum et pontificum 
potestate
31
 e due opuscoli d’occasione, la Consultatio de causa matrimoniali
32
 e 
il De electione Caroli quarti.
33
 L’anno della morte del filosofo non è certa e 
viene collocata negli anni tra il 1347 e il 1349; altrettanto incerta è la sua 
riconciliazione alla Chiesa con un atto di sottomissione al papa Clemente VI.
34
 
Il Breviloquium si presenta al lettore come un compendio di alcune tesi 
sviluppate in maniera più organica nel Dialogus; è l’autore stesso a dirci: 
 
                                                 
25
 Giovanni XXII aveva affermato nel sermone Psallite Domino del marzo 1330 che le anime dei beati 
non avranno il premio della visione di Dio prima del giudizio finale. Ritratterà questa sua dichiarazione 
solo in punto di morte sostenendo che aveva soltanto riportato quanto detto nella Scrittura, senza 
pronunciarsi in merito. Benedetto XII ribadirà nella bolla Benedictus Deus del 1336 l’opinione 
consolidata dalla tradizione della Chiesa secondo cui le anime dei beati non devono attendere il giudizio 
di Dio per godere della visione beatifica. 
26
 Opera Politica, IV, 1997, pp. 14 – 81. 
27
 Opera Politica, I, 1974, pp. 228 – 267. 
28
 Opera Politica, IV, 1997, pp. 367 - 447. 
29
 Il pontefice viene citato esplicitamente quale autore della Redemptor Noster in cui affermava che, 
riguardo una questione di fede, i frati francescani non possono prendere una posizione ma attendere il 
pronunciamento della Santa Sede. Cfr. Brev. p. 136. 
30
 Opera Politica, I, 1974, pp. 15 – 217. 
31
 Opera Politica, IV, 1997, pp. 279 – 365. 
32
 Opera Politica, I, 1974, pp. 278 – 286. 
33
 Opera Politica, IV, 1997, pp. 464 –486.  
34
 Cfr. G. GÁL, “William of Ockham died ‘Impenitent’ in April 1347”, Franciscan Studies 42 (1982), p. 
95: «What is important is that Ockham did not seek reconciliation with the Church in 1348; he remained 
faithful to his convictions until his death in 1347». 
 12
Cupiens autem fastidium legentibus tollere, quo potero brevius studebo procedere. 
Quamobrem qui illa, quae hic dimissa comparere desiderabit [et] discussa videre, 
dialogum quendam prolixissimum in plura volumina distinctum, in quo hic 
tractanda et alia innumera difficiliora e scrupolosiora conferendo et recitando 
solummodo pertractantur, inspiciat, si ipsum habere voluerit.
35
 
  
Oltre ad essere compendiate, queste tesi non sono celate sotto la maschera del 
maestro, come nel Dialogus, o esposte sotto forma di quaestio, come nelle Octo 
quaestiones; quindi, pur nell’incompletezza del testo che s’interrompe al capitolo 
quinto del libro sesto, si offrono al lettore come una rapida panoramica dei 
principali filoni del pensiero politico occamiano.
36
 
 
I contenuti dell’opera. 
 
Gli argomenti trattati nel Breviloquium non sono una novità per lo studioso di 
Ockham; ciononostante  è opportuno richiamarli sommariamente alla memoria. Il 
primo libro si apre con la rivendicazione della liceità della discussione sul potere 
del papa: se illustri teologi come Agostino e Riccardo di San Vittore hanno osato 
discutere della Trinità, tanto più sarà lecito discutere del potere del pontefice su 
cui è più difficile cadere in errore. Il compito di fare ciò spetta al teologo, per ciò 
che concerne i poteri papali di origine divina, e al giurista, per quelli d’origine 
umana. La Scrittura, inoltre, sarà il giudice ultimo delle rivendicazioni della 
Santa Sede. 
                                                 
35
 Brev. p. 97 – 98. 
36
 De Lagarde (La naissance Op. cit., p. 61 – 62) non è d’accordo a leggere il Breviloquium, come ha fatto 
Hamman, come la chiave del Dialogus perché «il est muet sur l’essentiel: le pouvoir spirituel de la 
papauté et les rapports des deux pouvoirs au spirituel. Le P. Hamman constate et regrette que l’ouvrage 
contienne peu de reinsegnements positifs sur la définition du pouvoir pontifical. Mais il a tort de penser 
que ces reinsegnements ne peuvent pas être trouvés ailleurs et notamment dans cet énigmatique Dialogus 
dont la masse décourage trop souvent le lecteur». Si veda anche A.G. HAMMAN, La doctrine de l’église 
et de l’état chez Occam. Etude sur le «Breviloquium», Ed. Franciscaines, Paris 1942, p. 24. 
 13
 Dopo questo primo libro introduttivo, Ockham passa a trattare i limiti del 
potere pontificio rispetto alle libertà dei singoli cristiani: il papa, secondo 
l’esempio di Cristo, non può imporre fardelli più onerosi di quelli prescritti 
dall’Antica Legge
37
 e non può nemmeno collocarsi al di sopra di ogni legge 
positiva. Il secondo libro, infatti, si sofferma sulle implicazioni etico – religiose 
che deriverebbero da una pienezza di poteri del papa tale da permettergli 
qualsiasi cosa senza alcuna eccezione. E’ bene precisare che la preoccupazione e 
lo scandalo del pensatore francescano sono dovute, non tanto a ragioni politiche 
ma alle implicazioni etico – religiose della plenitudo potestatis. 
Nell’ambito del pensiero politico medievale, la pienezza di potere, la plenitudo 
potestatis appunto, è conosciuta come la pretesa di un’estensione della sovranità 
spirituale del pontefice in ambito temporale.
38
 Con il pontificato di Innocenzo III 
si assistette infatti alla trasformazione del concetto attribuito alla carica petrina da 
quello di successore di Pietro in quello di vicario di Cristo.
39
 In questo modo il 
pontefice poteva rivendicare per sé un’autorità quasi divina e per questo motivo 
non è fuori luogo parlare di teocrazia papale. 
                                                 
37
 Ockham, sulla scorta di Agostino, considerava la legge mosaica un giogo vincolante per il gran numero 
di celebrazioni sacramentali. 
38
 Cfr. M. J. WILKS, The problem of Sovereignty in the Later Middle Ages. The papal monarchy with 
Augustinus Triumphus and the Publicist, Cambridge University Press, London – New York 1963, pp. 151 
– 183. Si veda anche W. J. McCREADY, “Papal Plenitudo Potestatis and the Source of Temporal 
Authority in Late Medieval Papal Hierocratic Theory”, Speculum 48 (1973), pp. 654 – 674. 
39
 Cfr. R. L. BENSON, “Plenitudo potestatis: evolution of a formula from Gregory to Gratian”, Studia 
Gratiana 14 (1967), pp. 196 - 198: «Though the decretist had already articulated both conceptions of  
plenitudo potestatis during the last quarter of the twelfth century, Innocent III may better provide 
examples of these two claims: First Plenitudo potestatis could indicate the jurisdiction inherent in the 
papal office, that is, the Roman Pontiff’s “ordinary jurisdiction” over the Church. In Innocent’s 
terminology, it was equivalent to the “fullness of ecclesiastical power” or the “primacy of ordinary 
power”. [...] Specifically, he identified the papal plenitudo potestatis with his own role as the “ordinary 
judge of all”. [...] In a second and quite different sense, the expression plenitudo potestatis included the 
Roman Pontiff’s supreme right (as Innocent explained), “above the law, to make dispensations”, to 
remedy any defects in an ecclesiastical election, to make a direct appointment to a vacant see. That is, 
sanctioned by this extraordinary prerogative, the pope can act outside of the standard administrative 
procedures and can even suspend the operation of the canon themselves». 
 14
Questo mutamento di significato era importante per le rivendicazioni secolari 
del papa. Il papato infatti voleva assurgere al ruolo di massima autorità, sia per le 
materie spirituali sia per quelle del secolo, attraverso questo tipo di 
ragionamento: il papa, vicario di Cristo in terra, è la suprema autorità in ambito 
spirituale;  l’ambito spirituale gode di una superiorità ontologica rispetto a quello 
temporale; quindi il pontefice - come Gesù, vero Dio e vero uomo, re del cielo e 
della terra – può rivendicare per sé la suprema autorità in ambito temporale, 
salvo poi delegarla all’imperatore o ad un principe fedele. 
 Davanti a questo consolidato schema di pensiero, Ockham sarà premuto, in 
primo luogo, dall’esigenza di dimostrare le assurdità etiche e religiose cui 
portano le tesi estreme dei vari Innocenzo III e Giovanni XXII. Questi 
ammettevano, infatti, la possibilità che il papa potesse agire contro la giustizia 
naturale e comandare, ad esempio, di seguire un fanciullo come guida 
spirituale,
40
 ponendosi manifestamente in contrasto con la libertà della legge 
evangelica. L’equazione lex evangelica = lex libertatis, è l’argomento che 
Ockham oppone, in prima battuta, contro tale affermazione ed è uno degli 
argomenti più noti del suo pensiero politico – ecclesiologico.
41
 Questa tesi, già 
affermata da Pietro di Giovanni Olivi,
42
 gli permette di concludere che non ha 
                                                 
40
 Cfr. De aetate et qualitate et ordine praeficiendorum. Eam te in Corpus iuris canonici, a cura di E. 
Friedberg, Leipzig 1879 – 1891, II, coll. 126 - 127. 
41
 Cfr. III Dialogus, i, I, 5 – 8; Contra Benedictum, p. 275; An princeps, p. 233 –5; Octo Quaestiones, p. 
29; De imperatorum et pontificum potestate, p. 456, pp. 457 – 458. Dal Pra (“Sul fondamento della critica 
di Occam alla dottrina ierocratica”, in La Chiesa invisibile,  a cura di M.T. Fumagalli Beonio Brocchieri, 
Feltrinelli, Milano 1978, p. 242)  utilizza la libertà cristiana come anello di raccordo tra pensiero politico 
e logico – teologico del filosofo francescano: «La “libertà cristiana”, insomma, non forma un capitolo a sé 
della visione filosofica di Occam; e la necessità di prospettare una riforma dell’esercizio dell’autorità 
all’interno della Chiesa è tanto poco “estemporanea” nella sua visione teologica e filosofica, che appare, 
invece, la traduzione in termini politico - religiosi di quello che l’assoluto principio della libertà divina 
rappresenta in ambito teologico e di quello che il criterio dell’individualità rappresenta nella costruzione 
metafisica». 
42
 Cfr. Guglielmo d’Ockham: povertà e potere  (Op. cit.) I, p. 244. L’autore ritrova nella Expositio super 
regulam fratrum minorum di Pietro di Giovanni Olivi la stessa argomentazione: «Riguardo anzi 
all’autorità del pontefice che deve frenarsi per non manomettere la libertà del credente – una convinzione 
 15
senso attribuire un potere così ampio al papa perché i fedeli si troverebbero 
oppressi da un giogo più pesante di quello dell’Antica Legge. Subito dopo 
Ockham chiarisce che tipo di libertà intenda:  
 
Quod legem evangelicam esse legem perfectae libertatis
43
 non debet intelligi, ut 
omnem servitutem tollat et nullam patiantur etiam christianus. […] Sed debet 
magis intelligi negative:
44
 quia scilicet per legem evangelicam nullatenenus iugum 
grave inducitur et nullus per ipsam fit servus alterius.
45
  
 
Quest’affermazione non ha, quindi, alcuna portata destabilizzante: la libertà 
che Ockham auspica per i cristiani riguarda solo le prescrizioni religiose che 
potrebbero essere imposte, ad arbitrio, dal pontefice.
46
 Il pericolo maggiore visto 
da Ockham in un pontefice, che, per il bene dei fedeli, impone prescrizioni 
eccezionali, è la rovina del popolo cristiano. Assunta infatti l’assurda ipotesi per 
cui il papa può obbligare i fedeli al digiuno quotidiano a pane e acqua, la 
comunità dei fedeli sarebbe oppressa da un giogo tanto pesante da turbare i buoni 
credenti e da rendere disperati i meno buoni. 
                                                                                                                                               
che lega lo spirituale Olivi ad Ockham figlio della Comunità, come a testimoniare che al di sotto delle 
discrepanze c’è un profondo consenso tra i minori – compare anche nel teologo provenzale l’altro grande 
principio che sarà ispiratore di tutta la polemica di Ockham contro Giovanni XXII, che cioè il Vangelo è 
legge di libertà» 
43
 Cfr. Gc 1, 25: «Qui autem perspexerit in lege perfecta libertatis et permanserit non auditor obliviosus 
cactus sed factor operis hic beato in facto suo erit». 
44
 E’ lecito supporre, a mio avviso, che si tratti di una lettura finalizzata a sostegno della concezione 
occamiana della funzione negativa del potere politico. Cfr. The Political Thought of William of Ockham 
(Op. cit.), pp. 109 – 133. 
45
 Brev. pp. 115 –116. 
46
 Mc Grade (Op. cit., p. 144) commenta: «It becomes clear that for Ockham the lex libertatis was not 
meant to menace the jurisdiction of lawful secular governments».