Introduzione 
 
 In questo momento di evidente secolarizzazione diventa fondamentale 
per la Chiesa Cristiana sfruttare al massimo i linguaggi propri della società 
non solo per risultare visibile, ma anche per perpetuare la missione per la 
quale è nata, ovvero l’evangelizzazione della terra: ‹‹andate in tutto il mondo 
e predicate il Vangelo ad ogni creatura›› (Mc 16, 15). Nella storia della 
diffusione della Buona Novella raccontata negli Atti degli Apostoli, da sempre 
i portatori del “messaggio” si sono conformati, in grazia dello Spirito Santo, ai 
popoli raggiunti. Si racconta, infatti, che ‹‹essi parlavano in lingue e 
profetizzavano›› (At 19, 6). Lo scopo dell’adattamento delle tecniche 
linguistiche ai destinatari è di natura prettamente comunicativa, per poter  
rendere comprensibile la portata del messaggio anche a coloro che non lo 
conoscono e utilizzano un linguaggio differente.  
Nel conformare le tecniche linguistiche di un messaggio religioso sulla 
base dei destinatari, si deve prevedere anche una flessibilità sull’uso dei 
canali attraverso cui si veicola il contenuto, poiché questo non contribuisce 
allo svilimento dello stesso. La posizione teorica della Chiesa a riguardo è 
favorevole e a livello di implementazione si è dimostrata attivamente 
impegnata per stare al passo con i tempi,  prestando attenzione al vincolo 
dell’etica nell’utilizzo dei linguaggi. Attualmente nella Chiesa Cattolica vi è un 
dicastero della curia romana che si occupa della riflessione sui temi della 
comunicazione a sfondo sociale, chiamato Pontificio Consiglio delle 
Comunicazioni Sociali. Nel sito istituzionale sono reperibili i documenti che 
regolamentano l’uso dei mezzi, tra cui anche Internet e la pubblicità.  
L’avanguardia della Chiesa nell’uso dei mezzi di comunicazione per fare 
marketing del suo messaggio non è mai mancata dalle origini ad oggi. Se per 
marketing intendiamo tutto ciò che l’impresa può fare per vendere un bene o 
un servizio e per vendita includiamo anche il concetto di adesione, allora 
basti pensare alle folle radunate dal Messia, all’istituzione del rito della 
Messa, alla diffusione della Bibbia dopo la rivoluzione della stampa ed ai 
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grandi eventi creati da Papa Giovanni Paolo II, per capire quanto sia già 
stato progettato per l’evangelizzazione conformata al pubblico.  
Per quanto riguarda l’adozione di linguaggi e forme di comunicazione più 
vicine al mondo commerciale, ovvero quelle rientranti nella quarta leva del 
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marketing mix , la Chiesa quando si è adoperata si è trovata spesso al 
centro di accese polemiche da parte dell’opinione pubblica e del giornalismo. 
In particolar modo la pubblicità viene percepita come mezzo che distorce il 
valore e la portata del messaggio. 
 
‹‹Marketing: e subito tutti pensano ad un’ondata di giovani rampanti, 
freschi di master e pronti ad approfittare delle nostre ingenuità per rifilarci tre 
detersivi al prezzo di due. Marketing: senza dubbio una parolaccia per chi ha 
scelto di dare la precedenza a valori come la solidarietà piuttosto che 
all’arricchimento, al vantaggio collettivo nei confronti di quello personale. E 
così, insieme all’acqua sporca, in questo caso un consumismo esagerato e 
patetico, spesso si finisce col gettare anche il più formidabile strumento per il 
cambiamento di cui disponga la nostra società: il marketing appunto››  
(Di Gregorio M., prefazione a Marketing sociale, 1991).  
 
L’indignazione spontanea che nasce da queste dinamiche è data dal 
luogo comune di pensare alla pubblicità come un fatto meramente aziendale, 
atto a vendere con l’inganno un prodotto alla popolazione e quindi a 
snaturalizzare il messaggio evangelico. Nel documento Etica e Pubblicità 
(PCCS, 1997) si mettono in rilievo alcune caratteristiche della pubblicità 
come la selettività, la rappresentazione parziale della realtà e lo scopo di 
mero materialismo, quando il messaggio evangelico dovrebbe puntare al 
possesso spirituale della Parola Vera. D'altro canto la pubblicità è uno dei 
linguaggi che la Chiesa può implementare per raggiungere con il suo 
messaggio un target più vasto e quindi in funzione dello scopo, riconoscendo  
un'etica di utilizzo, può farsi canale valido della Parola, senza con questo 
snaturarne il valore. 
                                                           
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 Quarta leva del marketing mix: promotion (forme di comunicazione) 
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Grande risalto è stata data alla Parola in letteratura nell’ambito dei media 
usati dalla Chiesa, per ritornare sull’importanza della funzione del linguaggio. 
Dall’analisi dello studioso Ballardini si ritrovano alcune similitudini tra le più 
moderne strategie di marketing e le più sedimentate tecniche comunicative 
religiose. 
Il lavoro partirà da una breve analisi del contesto sociologico entro cui gli 
studiosi hanno intravisto processi di contaminazione tra gestione aziendale e 
presenza spirituale, per poi riflettere sugli effettivi punti di incontro tra le due 
istituzioni. L’ottica dell’elaborato sarà principalmente basata sul quarto punto 
del marketing mix, la promotion, ovvero la comunicazione ai fini della vendita 
dei valori religiosi, segnalando comunque la rilevanza degli altri tre punti. 
Infatti, come afferma Kotler (1978) ‹‹la promotion abbraccia tutti gli strumenti 
della combinazione dei fattori di mercato endogeni (marketing mix) il cui ruolo 
principale è la comunicazione persuasiva››.  
Il lavoro si concentrerà per lo più sull’analisi delle campagne pubblicitarie 
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più rilevanti commissionate dalla diverse chiese cristiane in modo da 
individuarne, infine, le tecniche creative, il contesto e la reazione 
dell’opinione pubblica. Concordando con le tesi di alcuni studiosi pubblicitari, 
i quali considerano rilevanti l’approccio orientato al consumatore e, in 
particolare, il riferimento alla sfera emotiva dei medesimi, si cercherà di 
rintracciare i nuovi orizzonti retorici che la Chiesa ha cominciato ad 
implementare per ‹‹ammaestrare tutti i popoli›› (Mt 28, 18). 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                           
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 In particolare la chiesa cattolica, chiesa anglicana-episcopale e la chiesa luterana-
evangelica. Nessun contributo rintracciato della chiesa ortodossa. 
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1. Breve contestualizzazione sociologica 
 
Nel XX secolo si è assistito ad un processo di secolarizzazione, un fatto 
per cui ‹‹la religione ha perso influenza nella maggior parte delle società 
occidentali attraverso il disgregarsi istituzionale delle Chiese›› (Wilson, 1969) 
a causa di una progressiva razionalizzazione degli individui, sempre più 
inseriti in contesti sociali che richiedono un comportamento pragmatico. 
Questo processo ha portato ad un ‹‹aumento delle diverse denominazioni ed 
il formarsi di una offerta di scelte religiose tutte ugualmente possibili e 
costituenti una varietà di scelte religiose›› (Fiorentini, Slavazza, 1998), oltre 
che la possibilità di scegliere la non appartenenza, creando un panorama 
che Berger definisce di pluralismo religioso. D’altro canto, come un circolo 
vizioso, il pluralismo religioso apporta un’ulteriore perdita di plausibilità nei 
confronti delle religioni secolari, avvalorando il processo di secolarizzazione 
medesimo.  
‹‹Le chiese vengono a trovarsi, quindi, in una situazione di “mercato”›› 
(ibidem), in cui non vi è il monopolio di un credo, ma vi è un paniere di scelte 
possibili e oltretutto personalizzabili. Si obbligano, così, le tradizioni religiose 
a calibrare il modo di comunicare il messaggio, poiché sarà la libera scelta 
dei fedeli a determinare l’aderenza a determinati gruppi religiosi. Parlando di 
scelta individuale, lo studioso Luckmann teorizza il concetto di religione 
invisibile per cui si instaura una sorta di ‹‹individualizzazione e 
personalizzazione religiosa: la realtà è collegata alla soggettività 
dell’individuo›› (Luckmann, 1969). Si crea quindi un mercato in cui vi è 
l’incontro di domanda e offerta, si viene a definire, per utilizzare le parole di 
Luckmann, una sorta di supermarket religioso, in cui gli individui costruiscono 
il carrello spirituale scegliendo nell’ambito delle offerte religiose e ideologiche 
in voga. 
Del resto, però, Wilson, in concordanza con le Sacre Scritture in cui si 
definiva che l’uomo ‹‹non vive di soltanto pane, ma che l’uomo vive di quanto 
esce dalla bocca di Dio›› (Dt 8, 4), pensa che la religione ‹‹continuerà a 
persistere anche perché la risposta razionale della società non appaga 
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l’esistenza qualora siano in grado di far percepire la loro capacità di dare 
risposte alle esigenze di volatilità che l’uomo ha in sé›› (Wilson, 1985). Vi 
sarà sempre un bisogno connaturato nell’uomo di accedere “all’oltre” per 
dare ordine e significato alla vita. 
La secolarizzazione è entrata in crisi, però, negli anni ’80 e l’analisi 
sociologica ha dovuto rivedere i propri parametri accettando di far convivere 
insieme religiosità e società post-moderna. La desecolarizzazione ha portato 
alla ribalta la realtà di adesione a culti, sette e apparati religiosi nuovi, 
negando l’ipotesi di un trend progressivo di perdita di importanza 
dell’esperienza religiosa e di calo di adesioni. Quindi oggigiorno la 
comunicazione religiosa deve fare i conti con le due tendenze opposte della 
secolarizzazione e della desecolarizzazione calibrando il target di riferimento, 
i mezzi e i messaggi da divulgare per ottenere consenso. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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2. Un brand chiamato “Cristianesimo” 
 
2.1- ‹‹A nostra immagine, a nostra somiglianza›› (Gs 1, 26) 
L’uso di mass media per la divulgazione di un messaggio funge da 
amplificatore per il medesimo e attira l’attenzione del pubblico in misura 
maggiore rispetto ad altre modalità. Un utilizzo strategico dei mass media è 
fondamentale per la costruzione dell’immagine di un prodotto, sia esso un 
bene materiale, immateriale o un personaggio. ‹‹L’immagine, cioè il 
complesso delle opinioni che un individuo ha di un prodotto o di una marca, 
costituisce il frutto di vari fattori, uno dei quali è indubbiamente la pubblicità›› 
(Cattani A., 2009 ).   
 Oggigiorno l’oberazione di messaggi a cui siamo sottoposti crea una 
saturazione cognitiva, un overload informativo, per cui diventa difficile 
recepire un messaggio piuttosto che un altro, a meno che non sia di 
interesse specifico per il destinatario o faccia leva su tecniche creative 
rilevanti. Nel caso specifico della pubblicità, che come scopo fondamentale 
ha quello di fare del suo oggetto commerciale o ideale una merce appetibile, 
si devono applicare delle strategie che puntino al rafforzamento della 
“marca”. ‹‹La capacità [della forza della marca] di essere non solo un 
semplice contenitore di prodotti e servizi, ma soprattutto un insieme di 
promesse forti e credibili per il segmento del pubblico cui la marca vuole 
rivolgersi›› (Codeluppi V., 1997, pg. 71) diventa l’obiettivo di ogni azienda o 
istituzione che sfrutti la capacità comunicativa di un messaggio pubblicitario.  
 Inoltre, risulteranno concetti strategici da tenere in considerazione la 
brand identity, la brand image e la brand equity. Con il primo si intende la 
sfera fisica che si associa al prodotto, con il secondo l’immagine e la 
personalità proprie del prodotto e con il terzo la fiducia che gli utenti 
ripongono nella marca. Questi concetti diventano importanti per costruire 
campagne pubblicitarie mirate a scopi non solo di vendita, ma anche di 
costruzione ideale di un prodotto. Un altro obiettivo fondamentale per le 
imprese o le istituzioni che fanno uso della pubblicità è il controllo della brand 
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reputation ovvero della reputazione che la generalità delle persone possiede 
di un determinato prodotto.   
 Come già preannunciato sopra, però, siamo in un momento di 
overload informativo, o meglio come teorizza Ogilvy (1964), in un periodo di 
standardizzazione dei prodotti e dei servizi che può rischiare di portare come 
conseguenza l’omogeneizzazione dei modelli pubblicitari e delle tecniche di 
vendita, se si puntasse ad un mero approccio razionale. Pierre Martineau 
(1964), che condivide questo approccio, pone come soluzione la 
focalizzazione su fattori emozionali e non razionali. Egli pensa che una 
strategia pubblicitaria debba porsi dal punto di vista del consumatore, debba 
cercare di captare la consumer image, in modo da poter inserire il 
prodotto/servizio nel mercato nel modo più efficace possibile. L’autore in 
Motivazioni e pubblicità definisce il prodotto o l’istituzione come ‹‹dei simboli 
le cui sfumature di significato trovano la loro realtà nella mente del 
consumatore piuttosto che nel prodotto stesso››. Lo stesso Freud sosteneva 
che ‹‹la massa è impulsiva, mutevole e irritabile. E’ controllata quasi per 
intero dall’inconscio››, in qualche modo fornendo una prova che, se i fattori 
emozionali calcati in ambiente pubblicitario trovano terreno fertile, le 
spiegazioni risiedono nell’essenza irrazionale connaturata nell’uomo. D’altro 
canto ‹‹è vero che sempre più spesso vengono utilizzati messaggi 
puramente emozionali che sembrano non dire nulla, tuttavia essi sono frutto 
di lunghe indagini di mercato che fanno leva su desideri e frustrazioni, al fine 
di persuadere in modo indiretto›› (Cattani A., 2009).    
 
2.2- ‹‹Nel nome del Padre›› (Mt 28, 19) 
Nella storia pubblicitaria si sono riscontrati diversi tentativi di aziende 
di puntare all’aspetto irrazionale legato ad un prodotto materiale, ma l’analisi 
diventa interessante quando i committenti risultano essere organizzazioni 
non più commerciali, ma no-profit. Il prodotto da vendere non è, dunque, una 
merce fisica, ma è un valore o un set di valori. Risulta quindi rilevante 
osservare come istituzioni secolari, quali ad esempio le chiese che si 
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riconoscono sotto la denominazione di cristiane, abbiano saputo sfruttare i 
nuovi mezzi di persuasione e di veicolazione di messaggi messi a 
disposizione dalle tecnologie di comunicazione di massa. In particolare, è 
importante capire come queste istituzioni abbiano utilizzato la pubblicità e 
altri espedienti del marketing, nonostante siano state spesso criticate 
dall’opinione pubblica, dalla letteratura e dal clero stesso.   
 Utilizzando uno dei modelli più recenti di analisi pubblicitaria elaborato 
da Vaughn, riusciamo a collocare il prodotto religioso offerto dalle istituzioni 
ecclesiastiche nel quadrante della Fig. 1 a ‹‹nord-est [in cui] sono situati 
prodotti […] per i quali la sequenza più frequente è sentire-conoscere-fare›› 
(Lombardi M., 1998).  
 
  
    Fig. 1 Modello di Vaughn  
 
Il modello categorizza le tipologie di prodotto, e quindi le rispettive 
strategie pubblicitarie, in base all’ordine delle azioni con cui il consumatore si 
approccia. Nel caso dei prodotti religiosi, le persone si approcciano con un 
sentimento irrazionale per poi conoscere i fondamenti e operare all’interno 
dell’istituzione.  
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