trasmissione di informazioni, ma come mezzo per creare la cultura 
dell’impresa e realizzare una piena partecipazione dei dipendenti 
alla vita aziendale. Le imprese percepiscono già l’esigenza di una 
comunicazione che non sia solamente atto informativo che segue la 
“via gerarchica”, ma che sia azione bidirezionale, supporto per la 
nuova gestione delle risorse umane. Tale comunicazione viene però 
attuata soltanto per incrementare il coinvolgimento, il senso 
d’appartenenza e autonomia dei dipendenti dell’azienda. Si è quindi 
diffusa nelle aziende una comunicazione che consente ai soggetti di 
conoscere, e non di partecipare, ai processi produttivi e decisionali, 
di condividere, e non creare la missione, la cultura e i valori 
dell’impresa. 
La flessibilità e l’apertura all’ambiente esterno, caratterizzante le 
aziende moderne, richiedono l’utilizzo di forme di comunicazione 
atte a raccogliere informazioni ed interagire con i “clienti”, che non 
sono esclusivamente i consumatori finali del prodotto o servizio. 
Gli interlocutori sono anche i concorrenti, i soggetti economici, i 
finanziatori, il modo politico e sindacale, la pubblica opinione. Con 
tutti questi soggetti l’impresa deve attivare processi comunicativi 
atti a rendere visibile il suo patrimonio tangibile e intangibile, 
aumentando così la propria affidabilità strategica. 
La credibilità dell’azienda deriva direttamente dalla struttura 
valoriale propria d’ogni impresa, struttura che si crea elaborando, 
attraverso attività comunicative, gli obiettivi e i principi 
fondamentali anche con i dipendenti che possono diventare, solo in 
questo modo, promotori primi della missione aziendale.  
 Attraverso l’analisi di dati empirici mostrerò che le forme 
comunicative, e più precisamente la comunicazione interna, attuate 
oggi nella maggior parte delle imprese italiane, se pur si 
allontanano dal modello di comunicazione meccanica, che prevede 
rigidità dei ruoli di emittente e destinatario, mira all’ottenimento 
dell’adesione del “pubblico” interno ed esterno ai valori e alle 
strategie aziendali e non alla loro creazione. 
Prima però di analizzare la realtà comunicativa nelle odierne 
imprese, il paragrafo di apertura del primo capitolo sarà dedicato 
all’approfondimento dei motivi della crescente importanza attribuita 
alla comunicazione nelle aziende. 
Nel secondo paragrafo, del primo capitolo, per dare alle mie 
affermazioni un fondamento teorico, sintetizzerò e analizzerò le 
principali teorie organizzative che hanno caratterizzato gli ultimi 
decenni dimostrando, quindi, il crescente interesse manifestato 
verso la comunicazione. Nel terzo paragrafo del primo capitolo mi 
soffermerò ancora ad esporre le differenti interpretazioni dell’atto 
comunicativo, inteso in senso generale e linguistico, e descriverò 
alcune categorizzazioni della comunicazione nei processi 
organizzativi compiute dai primi anni Ottanta. Quest’analisi 
permetterà di comprendere che la comunicazione, secondo il tipo di 
interazione che si crea tra i soggetti interessati e secondo i contenuti 
del messaggio, può assumere funzioni differenti nell’impresa. Al 
termine del primo capitolo sosterrò che le categorizzazioni proposte 
fino ad oggi non rappresentano in modo completamente esauriente 
né la comunicazione e le funzioni assunte da questa nelle imprese 
 contemporanee, né le forme comunicative che considero 
indispensabili sviluppare. Indubbiamente le idee espresse in passato 
sono base imprescindibile per formulare un nuovo concetto di 
comunicazione.  
Nel secondo capitolo, più precisamente nel quarto paragrafo, 
cercando di capire quale tipo di comunicazione è necessaria oggi e 
quali caratteristiche deve avere, esaminerò la recente definizione di 
comunicazione data da Emanuele Invernizzi e da Pier Luigi 
Amietta. Mi soffermerò ad analizzare criticamente le proposizioni 
che compongono il “nuovo” paradigma della comunicazione 
organizzativa enunciato da Invernizzi, anche se le sue proposte 
riguardano esclusivamente le attività comunicative all’interno delle 
grandi aziende. Fin da ora desidero precisare, che analizzerò la 
comunicazione nelle piccole e medie imprese (PMI) nel settimo 
paragrafo, soffermandomi a descrivere le differenze e le 
eguaglianze tra le forme comunicative diffuse nelle grandi imprese 
e quelle in uso nelle PMI. 
Tornando ai temi affrontati nel quarto paragrafo, intendo anticipare 
che l’analisi delle proposte di Invernizzi mi porterà ad affermare 
che il nuovo paradigma dell’autore rappresenta una teoria che 
descrive, più o meno fedelmente, le pratiche comunicative in atto 
nelle realtà aziendali. Infatti la teoria di tale autore contiene, a mio 
parere, qualche contraddizione che indicherò nel corso della 
trattazione. 
Il paradigma in questione, pur essendo innovativo rispetto alle 
concettualizzazioni fatte nel passato, non rappresenta uno stimolo 
 per attuare una comunicazione con rinnovati scopi. Invernizzi, 
infatti, sostiene la necessità di utilizzare la comunicazione nelle 
imprese per comprendere e rispondere repentinamente ai 
cambiamenti dell’ambiente esterno. Le forme comunicative 
descritte dall’autore tendono all’adesione ai valori e alle scelte 
aziendale da parte dei “pubblici” interni ed esterni. Nell’esplicare la 
definizione di comunicazione organizzativa Invernizzi non si 
sofferma mai sul ruolo che le attività comunicative possono avere 
per agevolare la partecipazione, di tutti i componenti dell’azienda, 
alla creazione della cultura e delle strategie. 
La mia riflessione circa le recenti interpretazioni della 
comunicazione d’impresa prenderà poi in esame il pensiero di Pier 
Luigi Amietta. Tale autore, presentando le dieci tesi sulla 
comunicazione, che comprendono gli aspetti comuni che si 
ritrovano costantemente nella comunicazione d’impresa, sostiene 
che i contenuti di quest’ultima corrispondono ai valori originari che 
l’organizzazione vuol far condividere ai componenti dell’azienda e 
agli attori esterni
1
. Amietta, riferendosi alle grandi organizzazioni, 
sostiene che tutti i valori che rientrano nella sfera personale o 
professionale non devono essere oggetto di comunicazione, non 
considerando, quindi, che i valori dei singoli componenti 
dell’impresa, implicitamente od esplicitamente, influenzeranno 
sempre l’operato degli stessi e di conseguenza la cultura 
dell’azienda. L’interpretazione, data dall’autore in questione, 
dell’atto comunicativo, inteso come processo per mettere in comune 
                                                 
1
 Cfr. P. L. Amietta, Comunicare per apprendere. Dall’impresa-organizzazione all’impresa-
comunicazione, Franco Angeli, Milano 1995, p. 56-57. 
 qualcosa che riproducendosi in altri posti o momenti resta identica a 
se stessa
2
, sarà stimolo per definire il concetto di comunicazione 
che intendo sostenere in questa sede. A conclusione del quarto 
paragrafo, infatti, affermerò che la comunicazione, in senso 
generale, deve permettere l’interazione tra soggetti portatori di idee, 
valori e conoscenze differenti e che da tale scambio devono nascere 
nuovi contenuti. In linea con tale pensiero, è mia opinione che le 
forme comunicative necessarie nelle imprese di oggi, in cui la 
qualità delle risorse umane è fattore primo per il successo, devono 
essere impiegate per permettere la partecipazione attiva dei 
componenti dell’azienda alla definizione delle strategie e alla 
creazione della cultura dell’impresa. 
Nel quarto paragrafo, interpretando alcune proposte di Invernizzi, 
spiegherò quali caratteristiche la comunicazione d’impresa, sopra 
definita, deve avere per essere attuata in modo efficace. Condivido 
il pensiero di Invernizzi secondo il quale le attività comunicative 
devono essere gestite strategicamente dai livelli dirigenziali, 
sostengo la necessità di diffondere competenze sulla comunicazione 
a tutti i componenti dell’impresa e reputo indispensabile 
l’integrazione tra le differenti iniziative di comunicazione e tra 
quest’ultime e le strategie aziendali. Le peculiarità sopra dette 
saranno oggetto di approfondimento, a cominciare dal concetto di 
comunicazione integrata, e i possibili modi d’integrazione delle 
attività, tema questo che affronterò nel quinto paragrafo. In 
quest’ultimo, puntualizzando che la comunicazione interna e quella 
                                                 
2
 Ibidem. 
 esterna sono nate in tempi diversi e con scopi differenti, motiverò la 
necessità di incentivare lo sviluppo della comunicazione integrata, 
in parte già presente nelle imprese italiane, come dimostrano i dati 
delle indagini prese in esame. Esaminerò, quindi, i modi con cui si 
tenta di attuare un coordinamento delle attività comunicative nelle 
aziende più innovative e accennerò alla possibilità di realizzare una 
comunicazione integrata grazie all’introduzione di nuovi ruoli e 
figure nell’organico dell’azienda.  
Prima però di rendere esplicite le mie proposte, nel sesto paragrafo 
del secondo capitolo descriverò le fasi necessarie per formulare il 
piano di comunicazione, processo questo che deve precedere 
qualsiasi attività di comunicazione e che stabilisce, tempi, modi e 
strumenti da utilizzare. Illustrerò, inoltre, i principali strumenti 
utilizzati nella comunicazione d’impresa, avvalendomi anche dei 
dati raccolti dall’inchiesta condotta dall’ Associazione per lo 
Sviluppo della Comunicazione Aziendale in Italia (ASCAI) e 
riportati nel Primo rapporto sulla comunicazione d’impresa.  
Nel settimo paragrafo, terzo capitolo, analizzerò in modo più 
preciso la comunicazione oggi in uso nelle imprese, utilizzando dati 
tratti da rilevanti ricerche, potrò evidenziare le differenze esistenti 
tra le forme comunicative adottate nelle PMI e quelle presenti nelle 
grandi aziende. Nonostante vi sia stato negli ultimi anni un generale 
sviluppo della comunicazione nella maggior parte delle imprese, 
mostrerò che le attività comunicative sono ancora prevalentemente 
informali nelle realtà aziendali di piccola e media dimensione. 
Inoltre, nelle PMI, gli interlocutori principali di tali iniziative sono i 
 soggetti esterni, fenomeno questo che delinea uno scarso utilizzo 
della comunicazione interna. 
Lo studio delle realtà empiriche rivelerà comunque che la 
comunicazione è vista nella maggior parte delle aziende, sia di 
grandi che di piccole e medie dimensioni, uno strumento strategico 
importante per lo sviluppo aziendale e che perciò tali attività 
vengono gestite in una percentuale sempre più alta di casi dai 
vertici aziendali. Altra analogia tra le forme comunicative in uso 
nelle realtà sopradette è rintracciabile nella diffusione della 
comunicazione interpersonale. Nel paragrafo in questione i dati 
delle indagini confermeranno che nelle imprese italiane la 
comunicazione è utilizzata prevalentemente per ottenere adesione, 
da parte dei componenti interni, ai valori e alle decisioni strategiche 
e le attività comunicative rivolte verso l’ambiente esterno sono 
mezzo per  raccogliere informazioni ed imporre la propria 
immagine. 
La comunicazione intesa come strumento di formazione, canale di 
scambio di conoscenze e competenze, base per stimolare la 
partecipazione attiva viene raramente applicata nelle aziende; ad 
esempio i primi due obiettivi della comunicazione applicata nelle 
PMI sono sostenere le vendite e mantenere la “notorietà” 
dell’impresa. 
Sostenendo che obiettivo finale della comunicazione, realmente 
necessaria oggi nelle imprese, è non solo la diffusione, ma anche la 
creazione del valore dell’impresa, e convinta del fatto che un 
azienda si contraddistingue principalmente grazie alla capacità e 
 singolarità delle risorse umane che la caratterizzano, rimarcherò 
l’esigenza di creare il valore sopra indicato, formato dalla cultura 
dell’impresa, dalle strategie decise e dalla missione aziendale, 
tramite la partecipazione di tutti i soggetti interni all’impresa. 
Nell’ottavo paragrafo, nel terzo capitolo, in linea con tale idea di 
comunicazione, accennerò, dopo aver esaminato chi gestisce a 
livello operativo e chi a livello strategico la comunicazione nelle 
imprese contemporanee, ad alcuni ruoli e funzioni che possono 
trasformare le forme comunicative oggi in uso in una 
comunicazione che abbia gli scopi precedentemente detti. 
Confermando la necessità che la comunicazione sia gestita a livello 
strategico dai vertici aziendali, specificherò che il top manager e 
l’imprenditore, nelle PMI, hanno bisogno di arricchire il proprio 
bagaglio di conoscenze con nuove competenze sulla 
comunicazione. Tali competenze saranno descritte ed indicate nel 
nono paragrafo del terzo capitolo. 
L’ottavo paragrafo sarà importante anche perché accennerò ad una 
nuova figura professionale il “facilitatore della comunicazione” che 
nelle PMI, assumendo anche altre funzioni, supporterà 
l’imprenditore nella gestione strategica della comunicazione e si 
occuperà di seguire operativamente le attività comunicative. Nelle 
grandi aziende sosterrò la necessità di un unico ufficio per la 
gestione operativa della comunicazione, struttura in realtà già 
diffusa in molte imprese, e, laddove non è possibile avere un'unica 
struttura affermerò la necessità di un organo di controllo della 
comunicazione indispensabile per attuare iniziative coordinate e 
 integrate fra di loro. Tali proposte verranno ampliate e sviluppate 
nell’undicesimo paragrafo del quarto capitolo. 
Dopo aver rilevato, nel nono paragrafo, le nuove competenze 
necessarie ai manager per gestire la comunicazione, nel decimo 
paragrafo del quarto capitolo, descriverò gli interventi formativi 
necessari per sviluppare e diffondere consapevolezza comunicativa 
all’interno dell’impresa. Tali azioni formative devono essere dirette 
a tutti i componenti dell’impresa e devono essere costanti nel 
tempo. In questo ottavo paragrafo analizzerò le modalità di 
progettazione degli interventi formativi nell’impresa e le 
metodologie, che sono cambiate nel tempo, soffermandomi a 
descrivere il metodo LEARN. Spiegando il ruolo che può avere la 
formazione per sensibilizzare e preparare all’uso della 
comunicazione, intesa come base e strumento per partecipare alla 
creazione delle strategie aziendali, intendo precisare che la 
comunicazione d’impresa da me proposta è efficace solo nelle 
realtà in cui vi è la volontà e ci sono le competenze per strutturare 
un’azienda basata sulle interazioni e sullo scambio di idee e 
conoscenze. 
Per attuare forme comunicative che abbiano come finalità prima il 
coinvolgimento e la cooperazione di ogni soggetto dell’impresa non 
è necessario cambiare radicalmente la comunicazione oggi in 
sviluppo, alcune caratteristiche come la tensione verso 
l’integrazione delle attività, la gestione strategica perlopiù diffusa e 
i nuovi strumenti utilizzati sono peculiarità anche di questo 
rinnovato concetto di comunicazione. È indispensabile, tuttavia, 
 introdurre nuovi ruoli e funzioni per facilitare la rilettura dei fini 
comunicativi. Per ciò nell’undicesimo paragrafo, nel quarto ed 
ultimo capitolo, proporrò un nuovo organo, il comitato per la 
comunicazione d’impresa, che, composto da i rappresentanti di tutte 
le categorie, dal responsabile o responsabili della comunicazione e 
dai manager, permetterà l’attuazione di una comunicazione che 
renderà partecipe ogni soggetto. Evidenzierò inoltre, attribuendo a 
tale organo determinate caratteristiche, la possibilità di servirsi della 
comunicazione per permettere uno scambio di posizioni tra 
dipendenti e manager. Logicamente sarà possibile costituire il 
comitato per la comunicazione solo nelle grandi aziende, per le 
PMI proporrò quindi l’inserimento nell’organico del già citato 
“facilitatore” della comunicazione meglio definibile come 
communication manager. Questa figura sarà oggetto d’analisi 
nell’undicesimo paragrafo e, oltre ad essere figura di raccordo e 
coordinatore del comitato per la comunicazione, svolgerà un ruolo 
fondamentale nel formalizzare la comunicazione, soprattutto quella 
interna, nelle imprese di piccole e medie dimensioni. Il 
communication manager, con compiti differenti nelle PMI e nelle 
grandi aziende, sarà figura importante per sviluppare una 
comunicazione che supporti la partecipazione alla creazione di una 
cultura aziendale che solo così sarà comune e condivisa da tutti i 
soggetti. Tale comunicazione può facilitare e sviluppare gli scambi 
indispensabili per la creazione di conoscenza aggiunta, la diffusione 
di quest’ultima implica l’abbattimento delle gerarchie interne a 
 vantaggio di scambi di informazione orizzontali, coinvolgimento e 
consapevolezza ad ogni livello organizzativo
3
. 
                                                 
3
 Cfr. D. Padua, Nuove strategie nella gestione delle risorse umane, Morlacchi editore, Perugia 
2000. 
  
 
 
 
 
CAPITOLO 1 
 
 
 
 
TEORIE E MODELLI DELLA 
COMUNICAZIONE NELLE 
IMPRESE 
Paragrafo 1 
 
L’importanza della comunicazione oggi nelle 
imprese  
 
Per comprendere l’importanza che sta assumendo la comunicazione 
nelle imprese è necessario soffermarsi ad analizzare i fenomeni che 
hanno indotto le aziende a modificare le loro strutture. 
Primo tra i cambiamenti in atto è la crescente e nuova forma di 
competitività, definita addirittura concorrenza estrema o 
ipercompetizione
1
.
 
Fenomeno quest’ultimo incentivato dalla caduta 
delle barriere che separavano, politicamente ed economicamente, 
confini nazionali e internazionali. Tale crollo ha creato un unico 
grande mercato. 
La globalizzazione ha incrementato notevolmente il numero delle 
imprese concorrenti, in un sistema economico in cui la domanda 
risulta crescere lentamente, l’offerta si ampia a dismisura. 
L’ipercompetizione si è sviluppata anche a causa delle innovazioni 
tecnologiche che abbracciano ogni settore del mercato e portano 
alla creazione continua di nuovi prodotti e servizi. 
Sono mutate anche le domande e i comportamenti dei consumatori 
finali, sempre più attenti alla qualità del prodotto e maggiormente 
capaci nel valutare le numerose alternative d’acquisto, 
allontanandosi, quindi, dall’idea di fedeltà al servizio.  
                                                 
1
 Cfr. E. Valdani, La nuova competizione. Un’impresa proattiva per l’era 
dell’immaginazione?, in E. Valdani, Marketing strategico: un’impresa proattiva per 
sviluppare capacità, market driving e valore, Etas, Milano 1995.  
Tali cambiamenti hanno spinto le imprese ad abbandonare le rigide 
strutture gerarchiche per adottare strutture organizzative flessibili, 
policentriche capaci di attivare cooperazione e collaborazione, 
applicando anche l’esternalizzazione delle attività. 
Appare chiaro che, alla luce dei nuovi ambienti, l’azienda di 
successo dovrà essere sempre più basata su un’organizzazione corta 
e strutturata per processi; potranno resistere nel mercato solo le 
imprese che sapranno anticipare i cambiamenti, velocizzando, 
quindi, la risposta ai differenti bisogni dei clienti, proponendo nuovi 
mercati, servizi e prodotti. Tale tipologia d’impresa è definita 
proattiva e deve saper soddisfare le richieste del mercato di vendita, 
ma anche del mercato finanziario, di produzione, del lavoro. 
Le aziende dovranno saper rispondere anche alle richieste di qualità 
dei loro pubblici interni, intendendo con tale termine tutti coloro 
che hanno un rapporto diretto di lavoro con l’impresa (management, 
dipendenti, fornitori, organizzazioni sindacali, forze di vendita, 
azionisti dell’impresa, ecc.). 
Una nuova modalità di gestione delle risorse umane sta prendendo 
piede, favorendo la formazione di personale responsabile, 
autonomo e che condivide gli obiettivi aziendali; dipendenti creativi 
e pronti a seguire e sviluppare i mutamenti repentini richiesti dal 
mercato.