6 
aspetti messi in luce dalla precedente ricerca. 
Ho scelto di effettuare un lavoro di tipo qualitativo, preferendo la relazione diretta 
con gli intervistati alla somministrazione di questionari, tentando di creare un 
contesto di interazione naturale, vicino al quotidiano. L’intervista aperta consegna a 
chi ricerca una struttura argomentativa, piø idonea degli strumenti quantitativi a 
privilegiare il punto di vista dell’attore e a restituirne i vissuti, le emozioni e le 
attribuzioni di senso (Bernardi, 2006). All’intervista individuale ho preferito 
l’intervista di gruppo condotta su un campione. Il campionamento effettuato, detto  a 
valanga  o  a palla di neve   Ł applicato soprattut to nei casi di popolazioni rare , i cui 
componenti sono in gran parte ignoti e non registrati in modo completo. Si tratta di 
una tecnica di tipo incrementale (da qui la dicitura  a valanga ) che si basa sul 
presupposto che gli individui facenti parte della popolazione che si vuole studiare si 
conoscano tra loro e si segnalino reciprocamente. Questo campionamento offre il 
vantaggio di un contatto iniziale facilitato tra ricercatore e membri del campione e 
permette una prima valutazione dei reticoli relazionali che collegano fra loro i 
membri della comunit . Il campionamento Ł stato realizzato attingendo alle 
conoscenze di alcuni membri della comunit  da me fa cilmente raggiungibili. Le 
interviste hanno avuto luogo in quelli che, su indicazione degli intervistati, sono i 
contesti di socializzazione propri alla comunit : i l bar del centro commerciale e un 
bar centrale, che d  sulla piazza del paese. Incont rarsi in un luogo che fosse familiare 
agli attori ha contribuito a metterli a proprio agio, favorendo l’instaurarsi di una 
reciprocit  costruttiva. L’intervista di gruppo mi ha permesso di osservare 
l’interazione fra i membri del gruppo, il modo in cui gli attori confermano a vicenda 
le proprie affermazioni o si contraddicono. Inoltre, partendo da una traccia 
d’intervista che ruotasse attorno ai concetti chiave della ricerca, ho fatto in modo che 
gli attori intervenissero liberamente, portando eventualmente alla luce aspetti che non 
avevo menzionato. Il contesto di gruppo, in questo caso, si rivela molto utile poichØ 
gli intervistati cominciano a discutere fra loro facendo emergere i diversi punti di 
vista interni al gruppo su questioni che non avevo considerato. Uno dei problemi 
derivanti dal contesto di gruppo Ł la tendenza dell’attore che padroneggia meglio 
 7 
l’italiano a farsi traduttore/portavoce dei partecipanti. Gli intervistati con una 
competenza linguistica inferiore tendono allora a parlare nella lingua madre, 
lasciando tradurre il  portavoce . In quest’evenien za Ł difficile, se non impossibile, 
per chi conduce l’intervista ascoltare i singoli punti di vista o seguire la discussione: 
ci  che esce dalle parole del traduttore Ł un riassunto delle varie risposte e non si pu  
escludere che esse siano state anche involontariamente reinterpretate. Nella maggior 
parte dei casi, per , la presenza di qualcuno che p otesse tradurre le domande piø 
complesse, relative alle sfere del simbolico, Ł stato indispensabile. 
Un altro limite di questa ricerca Ł rappresentato dal fatto che purtroppo fra gli 
intervistati Ł completamente assente la componente femminile. Anche nella ricerca 
commissionata dalla Provincia di Cremona sono state messe in luce le difficolt  
incontrate nell’intervistare le donne. Innanzitutto, alle ricercatrici non Ł stato possibile 
incontrarle singolarmente: durante le interviste era presente il marito o un parente. Si 
Ł scelto allora di lavorare attraverso lo strumento del focus group con la presenza di 
una mediatrice culturale. Non disponendo delle risorse necessarie, non ho potuto 
attuare un lavoro di questo tipo; i soggetti con cui avevo contatti sono di sesso 
maschile, come tutti coloro che si sono presentati alle interviste di gruppo. 
 
La tesi si articola in quattro capitoli. Nel primo vi Ł un quadro delle migrazioni sikh 
nel panorama internazionale e del contesto immigratorio bresciano e monteclarense; a 
questo capitolo segue una parte dedicata alla storia del Panjab e agli aspetti dottrinali 
del sikhismo, al fine di illustrare gli aspetti storico-culturali della societ  sikh e di 
mostrare che tipi di meccanismi ha prodotto l’emigrazione. Gli ultimi due capitoli 
sono dedicati alla comunit  sikh di Montichiari in senso stretto; in questa parte del 
lavoro emergono i risultati della ricerca sul campo. Il terzo capitolo Ł dedicato a ci  
che concerne il progetto migratorio, la condizione delle donne e la dimensione 
lavorativa della comunit , con alcune considerazion i sulla lettura etnicizzata che ne 
viene data. L’ultimo capitolo tratta l’insediamento abitativo della comunit , la 
dimensione religiosa, le relazioni degli immigrati con l’India e le difficolt  incontrate 
nel confrontarsi con alcuni aspetti della societ  o ccidentale, come l’educazione dei 
 8 
figli. Seguono, in appendice, le interviste effettuate. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 9 
 
1. Migrazioni sikh e contesto locale 
 
 
 
1.1. Dinamiche migratorie sikh a livello internazionale 
 
La migrazione sikh verso l’Italia si inscrive in un processo migratorio complesso, 
iniziato a met  Ottocento. Si calcola che oggi viva no fuori dal Panjab1 piø di due 
milioni di persone; le ragioni di un’emigrazione significativa che perdura da un tale 
lasso di tempo sono molteplici e vanno individuate nella combinazione tra fattori di 
spinta e attrazione. Gli eventi che hanno segnato la storia del Panjab2, fra cui 
l’avvento della colonizzazione in primis, hanno apportato in questa regione 
sconvolgimenti economico-sociali notevoli, agendo da propulsori all’emigrazione. 
Accanto a questi grandi cambiamenti si devono calcolare gli effetti degli emigrati sul 
paese di partenza; le reti transnazionali create dalle rimesse, dai ritorni periodici in 
India e dalle associazioni di immigrati vengono a creare un rapporto dialettico con il 
paese d’origine, agendo anche sui processi migratori (Tomasini, 2005). Le fasi 
storiche che hanno determinato la spinta ad emigrare sono il colonialismo, le riforme 
agricole post-coloniali e i disordini politici degli anni ’80.  Ogni fase di migrazione ha 
caratteristiche proprie per quanto riguarda la composizione, i paesi di destinazione e i 
progetti migratori; queste mutazioni sono da leggere in relazione alle trasformazioni 
di tipo socio-economico a cui l’India ed il resto del mondo sono andati incontro 
(Tomasini, 2005, p. 34). 
Nella prima fase di migrazione, che va da met  Otto cento al 1920, la maggioranza 
delle migrazioni ebbe luogo a seguito dell’esercito inglese. Molti soldati sikh, che 
gradualmente divennero la parte piø consistente dell’esercito britannico, vennero 
inviati nelle colonie dell’impero, in particolare nel Sud-Est asiatico, in Estremo 
                                                 
1
 Il Panjab Ł lo stato indiano a maggioranza sikh (cfr. cap.2). 
2
 Sulla storia del Panjab si veda il cap. 2. 
 10 
Oriente e in alcune regioni dell’Africa. Terminato il servizio, l’80% dei primi emigrati 
tornarono in India; altri  si spostarono in Australia e Nuova Zelanda, per poi emigrare 
verso Canada e Stati Uniti, dove trovarono impiego come agricoltori o boscaioli. 
Alcune presenze si registrano anche in Inghilterra. Contemporaneamente, sikh di 
casta inferiore vennero reclutati come lavoratori nelle piantagioni di zucchero situate 
in Uganda3 e nelle isole Fiji. Negli anni del primo dopoguerra, caratterizzati dalla 
crisi economico-finanziaria, i paesi occidentali vararono leggi anti-immigrazione e il 
numero degli ingressi venne drasticamente ridotto. Parallelamente si assistette al 
diffondersi di teorie xenofobe ad opera di scienziati sociali; l’India venne tacciata di 
barbarie e incivilt  e gli immigrati indiani nei pa esi occidentali vennero isolati e fatti 
oggetto di pregiudizi. La maggior parte dei Sikh emigrati in Stati Uniti, Canada e 
Inghilterra decise di rimanere nei paesi d’immigrazione per due ordini di motivi: da 
un lato, per non mancare al patto stretto con la propria famiglia al momento di 
lasciare l’India, dall’altro per non perdere la posibilit  di rientrare nel paese di 
immigrazione. Cominciarono cos  ad investire i loro capitali in attivit  in proprio nei 
paesi occidentali dove risiedevano. La situazione di segregazione non fece altro che 
rafforzare le spinte comunitariste e aumentare la solidariet  tra i sikh; in questo 
periodo nacquero infatti le prime associazioni di immigrati, strumenti di raccolta 
delle rimesse e supporto per i nuovi arrivati (Tomasini, 2005). 
La seconda fase dell’immigrazione sikh inizi  dopo la seconda guerra mondiale e si 
protrasse fino agli anni ’80. I migranti si diressero verso Canada, Stati Uniti e 
Inghilterra, in cui la manodopera locale non bastava a coprire la domanda scaturita 
dall’impennata industriale post-bellica. Con la green revolution (cfr. cap.2) molti 
contadini si ritrovarono senza occupazione e scelsero di emigrare. L’Europa cominci  
ad essere fra le mete degli immigrati indiani, occupati nell’industria tessile, 
nell’agricoltura e nella vendita ambulante.  
La terza fase dell’immigrazione Ł stata determinata dai disordini politici del 1984. 
L’inflazione crebbe enormemente; la mancanza di occupazione si fece sentire 
                                                 
3
 Nel 1972 tutta la popolazione di origine asiatica venne espulsa dall’Uganda; parte di questi immigrati e delle loro 
discendenze si trasfer  in Inghilterra (Khalsi, 2001 in Tomasini, 2005). 
 11 
soprattutto fra i giovani laureati. In assenza di sviluppo industriale, non esistevano 
posti di lavoro che rispondessero al grado di preparazione dei giovani. Si assistette 
infatti al fenomeno del brain drain, la fuga di cervelli; gli ingegneri e gli informatici 
di origine indiana vennero assunti nelle imprese europee e nord-americane. Le  
rimesse hanno contribuito a cambiare il volto del Panjab, accentuando le 
disuguaglianze, per esempio attraverso il processo di decontadinizzazione di molti 
villaggi rurali o attraverso il contributo all’aumento del livello d’istruzione, di cui 
sono state indicate le conseguenze (Tomasini, 2005). 
  durante quest’ultima fase della migrazione che si  verificano i primi arrivi in Italia.  
Installatisi dapprima nel centro-sud Italia, i sikh giungono in Pianura Padana verso la 
fine degli anni ’80. Anche oggi, gli immigrati sikh che non dispongano di un network 
parentale nel Nord Italia non vi arrivano mai direttamente, ma dopo aver intrapreso 
un percorso lavorativo nel Centro o Centro Sud Italia (cfr. cap. 3). 
 
 
1.2. L’immigrazione a Brescia 
 
A Brescia, la comunit  di origine indiana si colloc a al quarto posto per consistenza 
numerica, preceduta da quella albanese, marocchina e pakistana (Besozzi -  
Cavagnini, 2006)4 .  
La provincia di Brescia, una tra le piø vaste d’Italia, Ł seconda solo a Milano nel 
contesto regionale in quanto a produttivit . Il dis tretto produttivo bresciano Ł 
caratterizzato dall’industria siderurgica, dal settore della meccanica e dal settore 
agricolo, sviluppato nella parte meridionale della provincia (Migliorati, 2007). La 
domanda di manodopera a basso profilo ha reso Brescia la seconda citt  in 
Lombardia per numero di presenze straniere. Con un totale di 130.600 presenze 
Brescia Ł seconda solo al capoluogo lombardo. In cinque casi su sei si tratta di 
residenti; vi Ł poi un 8% di regolari non residenti e una situazione di irregolarit  fra il 
6,4 e l’11,3%. 
La comunit  sikh costituisce il 4% della popolazion e immigrata proveniente da paesi 
                                                 
4
 I dati si riferiscono alle rilevazioni CIRMiB (Centro Interuniversitario di Ricerca sulle Migrazioni - Brescia) del 
2005. 
 12 
classificati come  a forte pressione migratoria  e di et  superiore ai 14 anni, rispetto 
alla media regionale dell’1,6% . Considerando lo stesso campione, la religione sikh 
vene cos  a collocarsi in quarta posizione per quanto riguarda la diffusione fra gli 
stranieri in territorio bresciano, preceduta dalla religione musulmana, cattolica e 
ortodossa (Besozzi   Cavagnini, 2006). La costruzio ne di un tempio sikh inaugurato 
nel 2005 a Flero, un paese della provincia vicino alla citt , Ł indice di quanto la 
comunit  si senta radicata nel territorio. Da qualc he anno, la comunit  si rende 
visibile a tutta la cittadinanza il 14 aprile di ogni anno in occasione della celebrazione 
annuale della fondazione del Khalsa (cfr. cap. 2), che coincide con l’inizio dell’Anno 
Nuovo nel calendario sikh; migliaia di Sikh affluiscono a Brescia dal Nord e dal 
Centro Italia per sfilare in un imponente corteo nel centro cittadino.  
 
 
1.3. Montichiari e la presenza sikh 
 
¨ nell’estremit  meridionale della provincia che si  concentra la produzione agricola. 
Montichiari si colloca in questa vasta area pianeggiante e gode dell’estensione 
territoriale maggiore della provincia (89 km†): questi fattori hanno determinato un 
forte sviluppo del settore agricolo, l’unico settore su cui ha poggiato l’economia locale 
fino agli anni ’70, in cui si ebbe un tardivo boom economico . La coltivazione di mais 
e frumento e l’allevamento di bestiame da latte costituiscono le attivit  principali del 
settore agricolo locale; proprio nel settore dell’allevamento bovino ha trovato posto 
l’immigrazione sikh (cfr. cap. 3) Anche il settore industriale Ł ben sviluppato, e di 
conseguenza la domanda di personale non specializzato ha reso Montichiari un paese 
caratterizzato da un’importante presenza straniera. Su un totale di 20.088 abitanti, la 
popolazione straniera residente Ł di 2.144 unit  e quindi ne costituisce il 10,7%. Gli 
stranieri di nazionalit  rumena  sono i piø numerosi sul territorio, seguiti da albanesi, 
marocchini, pakistani e indiani. Il Comune conta 203 residenti di origine indiana, di 
cui 125 maschi e 78 femmine5. 
                                                 
5
 I dati appartengono alle rilevazioni dell’Anagrafe Comunale; mi sono stati rilasciati nel luglio 2007.