2
legato alla malattia e alla vecchiaia, denotano mancanza di 
vigore
2
. 
Gli interpreti moderni
3
 studiano i tre periodi nella loro 
differenza e attraverso la successione cronologica delle 
Enneadi, delineano la storia dell’insegnamento di Plotino. Alcuni 
ritorni su questioni già trattate sono significativi: mostrano bene 
la sua insoddisfazione, il suo tormentato tornare a dibattere 
punti difficili e controversi, il nascere di nuovi spunti di soluzione 
forse sollecitati dalla riflessione su nuovi testi letti e commentati 
all’interno della sua scuola. 
I trattati, composti prima dell’arrivo di Porfirio a Roma (tra 
il 253 e il 263), mostrano un taglio polemico in chiave antistoica 
e antiepicurea, con un certo andamento essoterico. In questo 
primo gruppo di scritti Plotino affronta tematiche riguardo la 
bellezza e l’Anima. Inoltre abbiamo l’inizio della trattazione di 
temi principali, come il mondo Intelligibile e i principi supremi. 
Ad esempio nel trattato 7 (V 4) viene impostato il problema della 
derivazione dell’essere dall’Uno, mentre il trattato 9 (VI 9) offre 
nella sua prima forma la trattazione dell’Uno e della sua identità 
col Bene, fondandosi sull’esegesi della Repubblica di Platone. 
Nei trattati del secondo periodo si attenua la polemica 
antistoica mentre si accende l’esame critico di Aristotele
4
, 
                                                 
2
 Cfr. M ISNARDI PARENTE, Introduzione a Plotino, Laterza, Bari, 1989. 
Porfirio racconta di aver già trovato composti da Plotino 21 trattati e che altri 24 egli 
ne compose nei sei anni della permanenza dello stesso Porfirio a Roma presso il 
maestro; gli ultimi nove sarebbero stati composti nei primi due anni dell’impero di 
Claudio (tra il 268 e il 270) dopo di che Plotino, ammalatosi, si sarebbe ritirato in 
Campania presso il fedele discepolo medico Eustochio, per morivi poco dopo. La 
presenza di Porfirio nella scuola fu importante ai fini di una ordinata stesura degli 
scritti di Plotino, anche se forse non così decisiva come il discepolo cerca di far 
apparire. Plotino scriveva di getto, senza revisione, e a Porfirio spettò di metter in 
buon ordine esteriore tutti i suoi scritti, anche i più tardi, che Plotino continuò a 
sottoporre alla sua revisione mandandoglieli in Sicilia ove si era trasferito (cfr. 
PORFIRIO, Vita Plotini, XXIV, op. cit., pp.41.) 
3
 Cfr. per esempio, M ISNARDI PARENTE, Introduzione a Plotino, pp. 65-
74, op. cit. 
4
 La critica riguarda soprattutto le tesi contenute nella Metafisica e nel De 
Anima; per le opere di Aristotele si fa riferimento a ARISTOTELE, Opere, (a cura di 
Giannantoni, G.), Laterza, 1984, Bari. 
 3
(trattato 24, V 6 e trattato 25, II 5) e delle opere dei 
commentatori ad Aristotele stesso, come Alessandro 
D’Afrodisia. Vengono poi approfonditi i grandi temi teoretici e i 
trattati perdono quel carattere essoterico a favore di un 
andamento più tecnico-problematico. 
Gli ultimi nove trattati furono scritti negli ultimi due anni di 
vita di Plotino e dopo la partenza di Porfirio da Roma. Il vanto di 
Porfirio, che la maggior parte dell’attività del maestro si sia 
svolta durante la sua presenza a Roma, può sembrare ingenuo, 
e sotto certi aspetti anche ingiusto: è tuttavia certo che questi 
ultimi trattati in parte riprendono i caratteri dei primi, ed uno solo 
di essi, il trattato 49 che riprende la trattazione dell’Uno (V 3), 
appare del tipo dei grandi trattati teoretici del secondo periodo 
(253-263). Nell’insieme, gli scritti dell’ultimo periodo, presentano 
un impegno teoretico meno continuo e un carattere più 
occasionale
5
. 
Come si è detto, però, l’edizione definitiva delle Enneadi 
non è su base cronologica. Porfirio decise di dividerle in sei 
gruppi di nove trattati ciascuno. Nella prima Enneade raccoglie 
gli scritti di carattere etico, nella seconda e nella terza quelli 
attinenti ai temi fisici e soprattutto cosmologici; nella quarta 
quelli dedicati all’Anima; nella quinta quelli incentrati 
specialmente sull’Intelletto; della sesta Enneade, dedicata 
soprattutto ai generi dell’essere e all’Uno, fornisce solo i titoli dei 
singoli trattati, senza indicazioni riassuntive
6
. Questa 
                                                 
5
 Cfr. PLOTINO, Enneadi, M. Casaglia, C. Guidelli, A. Linguiti, F. Moriani (a 
cura di); F. Adorno (prefazione di); UTET, Torino, 1997, Vol. I, Vol. II, pp.17-18. 
Porfirio, ingenuamente, valorizza un po’ troppo la propria personale influenza sulla 
produzione letteraria di Plotino, giacché lo spessore teorico degli ultimi trattati è 
notevolissimo eha poco senso giudicare immaturi trattati che Plotino scrisse tra i 49 
e i 59 anni di età, quando oramai, dopo lunga esperienza di studio e di 
insegnamento della filosofia, aveva consolidato le proprie posizioni fondamentali. 
Contiene, tuttavia, una parte di verità, in quanto gli scritti composti dopo il 263 
sviluppano con maggiore cura le tesi principali e sono, rispetto ai precedenti, meno 
scarni e scolastici. 
6
 Cfr. PORFIRIO, Vita Plotini, XXIV-XXVI, pp. 41-49, op. cit. 
 4
corrisponde solo parzialmente al vero, anche a causa del 
costante intreccio tra metafisica, psicologia ed etica che 
contraddistingue pressoché ogni trattato di Potino. Il fatto è che 
Potino presenta in forma non sistematica una filosofia che per 
sua natura è invece profondamente sistematica, e qualsiasi 
argomento studiato, per quanto circoscritto sia, presuppone il 
corpo delle dottrine principali ed offre numerose occasioni di 
riferimento ad esse
7
. 
Porfirio non si limitò a solo questo tipo di intervento; si 
impegnò in una generale revisione ortografica, resa necessaria 
dal particolare modo in cui Plotino componeva i suoi trattati, il 
quale, dopo averli elaborati mentalmente, li scriveva di getto 
senza curarsi troppo della calligrafia e della correttezza formale, 
senza mai tornare su quello che aveva scritto. Preparando 
l’edizione, Porfirio si occupò di comporre sommari di ciascun 
trattato, agevolando la divisione per contenuto; scelse il titolo 
per ogni trattato ponendo fine alla confusione iniziale. 
La collaborazione porfiriana non influì sullo stile della 
scrittura; Plotino si distingue per spiccata libertà e originalità, 
proponendo una fitta trama di interrogazioni, obiezioni e 
repliche: sono una serie di libere trattazioni, non organizzate in 
forma sistematica. I trattati di Plotino non sono trascrizioni di 
lezioni, ma scritti composti di getto, e solo successivamente 
rivisti e sistemati da Porfirio. Quando poi Plotino passa a 
descrive i contenuti fondamentali della sua filosofia, la sua 
scrittura si innalza non di rado a vertici altissimi, paragonabili 
soltanto con lo steso Platone. 
La tentazione del paragone con Platone, e con la stesura 
liberamente problematica e non sistematica dei dialoghi, 
                                                 
7
 La struttura e lo sviluppo degli scritti plotiniani riflette la prassi vigente 
nella scuola; riproducono spesso, cioè, le movenze di una libera discussione tra 
persone esperte dei fondamenti del sistema, che si interrogano su singole 
questioni filosofiche, prendendo il più delle volte spunto da luoghi platonici 
significativi. 
 5
sarebbe forte. Le analogie non vanno amplificate, ed ogni 
paragone tra i due filosofi va preso con cautela. Fra il modo di 
filosofare di Platone e quello di Plotino sussistono radicali 
differenze di ordine storico. Esse si riflettono anzitutto nella 
forma stessa della trattazione: anche le trattazioni di Plotino 
sono, in un certo senso, dialogiche, ma è un dialogo di tipo 
assai diverso da quello dei personaggi di Platone: è il dialogo 
tipico della scuola, fatto di questioni poste e di risposte o 
proposte di soluzione, con andamento a volte strettamente 
didattico. Ma una più sostanziale differenza è che, mentre 
Platone non presuppone alcun sistema né alcuna tradizione 
organizzata, Plotino presuppone un sistema che è andato 
gradualmente formandosi attraverso una tradizione secolare, 
nella quale ha trovato una solida base di partenza. La scala 
dell’essere a partire dal principio o dai principi supremi, 
l’intelligenza demiurgica, le idee, l’anima del mondo, sono 
argomenti di un complesso gerarchicamente organizzato, la cui 
fisionomia può subire variazioni o revisioni a seconda della varie 
prospettive filosofiche, ma che non vengono più 
fondamentalmente rimessi in discussione da nessun filosofo 
che intenda professarsi platonico. Se perciò Platone costruisce 
di volta in volta liberamente, Plotino lavora sostenuto da una 
tradizione costituita, punto di partenza delle sue critiche, 
modifiche, innovazioni, senza mai allontanarsi dalle linee 
maestre. Non in questo sistema risiede l’originalità vera di 
Plotino, ma nelle sue singole, vive e personalissime soluzioni 
alle questioni specifiche che nell’ambito generale del sistema si 
pongono via via, e nello spirito nuovo che al complesso delle tre 
ipostasi egli ha saputo infondere, a cominciare da quella sua 
sostanziale riforma del platonismo che è la distinzione radicale 
fra Uno e Intelligenza. 
 
 6
1.b La vita e l’insegnamento di Plotino 
 
Sulla prima parte della vita di Plotino possediamo notizie 
esigue. L’anno di nascita contenuto nella Vita Plotini è 
generalmente fissato al 205 d.C., forse nella città egiziana di 
Licopoli. Non è possibile neppure stabilire con sicurezza quale 
fosse la lingua materna di Plotino; tuttavia, non si può dubitare 
che la sua formazione culturale e la lingua in cui scrive siano 
greche. Ventottenne, Plotino fu preso dalla vocazione filosofica 
e per ben undici anni studiò ad Alesandria d’Egitto (tra il 233 e il 
243), sotto la giuda del filosofo Ammonio Sacca (di quest’ultimo 
e della sua influenza su Plotino abbiamo poche e controverse 
notizie). 
Lo studio presso Ammonio, come ci ricorda l’introduzione 
porfiriana alle Enneadi (le notizie tramandateci da Porfirio non 
sono sempre certe), fece sorgere in Plotino il desiderio di 
conoscere la filosofia orientale; per questo egli prese parte, tra il 
242-243, alla sfortunata spedizione di Giordano III contro i 
persiani. Nel 244, dopo la sua fuga in seguito all’uccisione di 
Giordano III, si stabilì a Roma; qui divenne guida di un vivace 
circolo di intellettuali, che nel suo nucleo ristretto comprendeva 
filosofi di professione, letterati, scienziati e personaggi della vita 
pubblica. L’attività principale del circolo consisteva in 
discussioni filosofiche, con riunioni aperte a tutti. Pur non 
essendo un filosofo di corte, Plotino godette dell’amicizia 
dell’imperatore Galieno e della moglie Salonina. Col loro 
appoggio contava di far sorgere in Campania una città di filosofi, 
ispirata alle leggi di Platone e chiamata «Platonopoli». Che cosa 
Plotino intendesse fare in una simile città non possiamo che 
vagamente ipotizzarlo: fare una città modello vera e propria, 
sperimentando l’efficacia dell’insegnamento politico platonico, 
oppure un ritiro per filosofi, una sorta di convento pagano per sé 
 7
e gli amici? Il progetto sfumò per contrasti fra i cortigiani di 
Galieno, ma non si deve pensare ad un tentativo di dare vita 
alla polis platonica, bensì di costruire, probabilmente, un rifugio 
per filosofi
8
. 
Nei primi anni di scuola a Roma, sino al 253, i dibattiti 
risultavano piuttosto inconcludenti; in essi il maestro si limitava 
a sollecitare i discepoli alla ricerca personale. Per circa dieci 
anni Plotino non mise per iscritto le sue dottrine
9
: sia perché 
voleva tenere fede al patto stretto con i discepoli di Ammonio, 
Erennio e Origene, di non rivelare le dottrine apprese dal 
maestro, sia, probabilmente, perché non aveva ancora 
raggiunto totale chiarezza sui cardini del sistema.  
Nei dieci anni successivi (253-263), sino all’arrivo di 
Porfirio nella scuola, compose 21 libri, ma senza dare titoli ad 
essi. I rimanenti trattati, per un totale di cinquantaquattro, furono 
scritti negli anni successivi. La suddivisone dei trattati per temi, 
riportata da Porfirio nella sua opera (Vita Plotini), espone 
l’itinerario del filosofo che si innalza dal mondo sensibile sino 
alla divinità. Si tratta dell’itinerario che anche i discepoli devono 
ripercorrere, sulla scia dell’insegnamento del maestro, dalle 
questioni più facili sino alle più complesse. Per quello che 
possiamo sapere, Plotino, è il primo filosofo dell’antichità, che 
scrive di propria mano i suoi scritti, non secondo la prassi 
abituale di dettare ad un amanuense. Le Enneadi non danno 
un’esposizione sistematica e scolastica del suo pensiero, ma 
partono sempre da problemi singoli, a volte postigli dal suo 
pubblico, seguendo l’andamento della conversazione orale. In 
questo periodo, le lezioni si svolgevano in modo più ordinato e 
prevedevano, a quanto pare, tre fasi. Si iniziava con la lettura di 
                                                 
8
 Cfr. DOMINC J. O’MEARA, Platonopolis: Platonic Political Philosophy in 
Late Antiquity, Clarendon Press, Oxford, 2003. 
9
 Cfr. PORFIRIO, Vita Plotini, III, p. 5, op. cit. Racconta Porfirio che 
Origene fu il primo a rompere quel patto, e che ciò provocò l’infedeltà ad esso 
anche da parte di Plotino. 
 8
un testo recente, per lo più di natura esegetica, di un qualche 
filosofo platonico (ad esempio Attico), oppure peripatetico (ad 
esempio Alessandro di Afrodisia). Seguiva il commento di 
Plotino, il quale non aderiva necessariamente al testo ma si 
mostrava libero e personale nell’interpretazione; infine aveva 
luogo un dibattito nel quale Plotino non imponeva mai il proprio 
punto di vista ai suoi discepoli
10
. 
Plotino interpreta la sua attività filosofica essenzialmente 
come esplicazione di ciò che è implicito, andando ben oltre la 
lettura del testo platonico, di cui fornisce una riformulazione 
originale, nonostante l’originalità agli occhi dello stesso Plotino e 
dei suoi contemporanei non pare essere un merito: ciò che 
conta è richiamarsi a un’autorità. In questo quadro, l’unica forma 
di originalità si può allora configurare come interpretazione non 
pedissequa rispetto al testo autorevole. In Plotino, tuttavia, 
l’appello a Platone non deve essere scambiato per una forma di 
venerazione del passato o dell’originario in quanto tali. Se il 
testo è per lui il punto chiave, lo è non tanto per la sua antichità, 
quanto per il contenuto di verità che esso racchiude. Né Plotino 
intende presentarsi come un filosofo che attinge ad una 
sapienza orientale piuttosto che a quella greca: l’unica via che 
porta a Dio passa attraverso la filosofia e l’indagine razionale. 
Nonostante le inevitabili concessioni alle suggestioni 
mistico-magiche dei tempi, non sembra che comunque nella 
scuola il rituale religioso avesse parte rilevante. Plotino 
disapprovava l’uso gnostico della magia, anche se 
personalmente non sembra essere stato esente da qualche 
forma di credenza in poteri occulti
11
. Plotino non condusse mai 
                                                 
10
 Cfr. PORFIRIO, Vita Plotini, XIII – XIV, pp. 23-24; XVIII, p.29, op. cit. 
11
 Cfr. M ISNARDI PARENTE, Introduzione a Plotino, Laterza, p. 63, op. 
cit. Interessante è un episodio che Porfirio ci racconta: Plotino acconsentì a che un 
sacerdote egiziano, nel tempio di Iside in Roma, compisse l’evocazione del suo 
demone; invece di un demone sarebbe comparso un dio, con stupore del 
sacerdote, che tentò invano peraltro di porre alla divinità delle domande. Questo 
 9
pratiche magiche in prima persona, ma ne permetteva la 
funzione accanto a sé: egli assumeva un atteggiamento di 
tolleranza e condiscendenza, non di iniziativa. Difatti la scuola di 
Plotino fu all’inizio largamente frequentata anche da seguaci di 
correnti religiose varie e sostenitori di tendenze apocalittiche 
(soprattutto gnostici
12
). 
Plotino abbandonò Roma nel 268, due anni prima della 
sua morte, quando oramai Porfirio si era oramai trasferito in 
Sicilia, Amelio in Siria, e lui steso era stato colpito da una 
malattia che gli impediva la normale frequentazione della scuola 
e che lo avrebbe condotto in breve alla morte. Si ritirò in 
Campania, nella villa dell’amico Zeto, impossibilitato a scrivere 
o a dettare, ed assistito da Eustochio, il suo medico discepolo, 
morì nel 270
13
. 
 
 
 
1.c Introduzione al periodo storico-filosofico  
 
Come precedentemente detto, la situazione storica del 
tempo viveva una profonda crisi.  
Nel III secolo la pressione delle popolazioni barbariche 
sull’Impero Romano si aggrava. Tra il 245 e il 270 le frontiere 
con la Persia, lungo il Danubio e il Reno crollano. Anarchia 
militare, crisi economiche, impoverimento e spopolamento delle 
campagne, instabilità sociale incrinano le illusioni di una 
perenne sicurezza; nel 278 l’imperatore Aureliano dovrà 
                                                                                                                                                   
episodio ha un significato simbolico chiaro, incentrato intorno alla figura di Plotino 
stesso: Porfirio considerava Plotino, come Pitagora o Platone, un uomo 
straordinario e semidivino,tale da non poter avere al di sopra di sé, a sua guida, se 
non la divinità stessa. 
12
 Cfr. M ISNARDI PARENTE, Introduzione a Plotino, Laterza, p. 64, op. 
cit. 
13
 Per un maggior approfondimento dei temi trattati in questa prima parte 
dell’elaborato, cfr. PLOTINO, Enneadi, UTET, pp.17-65, op. cit. 
 10
circondare di mura la stessa Roma. Nel secolo precedente i 
pagani si sentivano ancora a casa propria nell’universo: le 
divinità con i loro intermediari vegliavano su tutto. Nel secolo 
successivo, il mondo comincia ad apparire in preda a potenze 
maligne. Rimane la certezza di possedere in sé qualcosa di 
prezioso, ma estraneo ad un mondo esterno ostile e si avverte 
la necessità di entrare in contatto personale con il divino.  
Per i pagani colti si tratta di dare un’articolazione nuova 
alla religione tradizionale e la filosofia che meglio si presta a 
questa operazione appare quella di Platone. Gli storici moderni 
hanno introdotto il termine di Neoplatonismo per caratterizzare 
la forma specifica assunta da quelle teorie che hanno ripreso la 
filosofia di Platone. I caratteri più appariscenti di questa ripresa 
sono l’accentuazione della dimensione teologica, metafisica e il 
ridimensionamento della dimensione politica del pensiero 
platonico
14
.  
La filosofia di Platone appare ai neoplatonici come l’unica 
in grado di mostrare che, al di là delle apparenti lacerazioni e 
dispersioni, il tutto è un insieme unitario dotato di significato. 
Anche il piano del sensibile è ombra, impronta, immagine del 
mondo intelligibile e, attraverso questo, della stessa unità 
divina.  
Chi maggiormente contribuì a ridare vita a questa 
rinnovata forma di platonismo fu Plotino; in tal senso, i testi di 
Platone sono il punto di partenza della sua riflessione. 
                                                 
14
 Sull’argomento, cfr. DOMINIC J. O’MEARA, Platonopolis: Platonic 
Political Philosophy in Late Antiquity, op. cit. 
 11
1.d Il platonismo prima di Plotino (dal I a.C. al III 
d.C.) 
 
Quando si parla di medioplatonismo (I a.C. – III d.C.), si 
usa un termine moderno; i medioplatonici, come dopo di loro i 
neoplatonici, si consideravano semplicemente platonici. Essi 
intendevano rinnovare nella loro filosofia l’autentica filosofia di 
Platone; tuttavia accoglievano nel loro pensiero, senza 
cambiarlo nelle sue grandi linee, una tradizione che nella storia 
del platonismo risale a molto indietro, e che ha radice nella 
stessa Accademia antica
15
. 
                                                 
15
 Cfr. M ISNARDI PARENTE, Introduzione a Plotino, pp. 57-64, op. cit. 
Accademia fu il nome con il quale fu conosciuta la scuola fondata da Platone ad 
Atene. La storia dell'Accademia comprende un arco di quasi nove secoli, dalla sua 
fondazione nel 387 a.C. alla sua chiusura, per opera di un editto dell'imperatore 
Giustiniano nel 529 d.C. Sebbene in questo periodo non sempre sia esistita una 
Accademia ad Atene (un lungo periodo di interruzione delle attività si ebbe 
nell'epoca immediatamente successiva alla conquista romana: nell’ 86 a.C gran 
parte delle opere degli accademici bruciarono nell’incendio che distrusse 
largamente Atene durante l’assedio di Silla), l'Accademia rappresentò per tutta l'età 
antica il simbolo della filosofia platonica e ancora Plutarco, in piena età imperiale, 
definiva sé stesso e i pensatori che come lui si rifacevano a Platone come 
"Accademici". L'Accademia fu uno dei centri di formazione dei giovani di buona 
famiglia ateniesi e stranieri. Per questo essa fu originariamente in diretta 
concorrenza sia con l'insegnamento dei sofisti sia con altri istituti come la scuola 
fondata dal retore Isocrate e più tardi il Liceo fondato da Aristotele. 
Tradizionalmente, si distingue in diverse fasi lo sviluppo della scuola. Tra gli 
antichi, Diogene Laerzio parla di cinque diverse "Accademie", a partire dallo 
scolarcato di Platone fino ad arrivare a Filone, al termine dell'Ellenismo; Cicerone 
invece distingue semplicemente una accademia antica dalla "nuova accademia" di 
Carneade e Filone. Mentre a quanto sembra gli immediati successori di Platone, 
Speusippo e Senocrate, proseguirono l'insegnamento del fondatore senza 
apportare innovazioni di rilievo, mentre una vera svolta si ebbe con lo scolarcato di 
Arcesilao. Egli, come è noto, inaugurò il nuovo corso del platonismo ellenistico: a 
partire da lui, fino al primo secolo, il platonismo venne guardato innanzitutto come 
una filosofia scettica. La svolta scettica fu probabilmente influenzata dalla polemica 
che Arcesilao inaugurò contro il dogmatismo della dottrina stoica, che veniva allora 
insegnata ad Atene da Zenone di Cizio. Anche i successori di Arcesilao (in 
particolare Carneade) proseguirono sia lo sviluppo scettico del platonismo sia la 
polemica con lo stoicismo, fino al I secolo d.C. Successivamente, Filone di Larissa, 
iniziò una revisione delle posizioni dei suoi predecessori, puntando verso un 
approccio più sincretico con le altre scuole di pensiero ellenistiche, in reazione agli 
orientamenti scettici; il più famoso allievo di Filone, Antioco di Ascalona, ruppe del 
tutto con l'insegnamento dei predecessori, e con l'Accademia di Atene, operando in 
una nuova scuola in Egitto, e dando del platonismo una interpretazione che 
tendeva a trasformarlo in un sistema dogmatico con molti punti di contatto più che 
di polemica con lo stoicismo. Dopo un periodo di silenzio successivo 
all'occupazione romana, l'Accademia venne rifondata nella prima età imperiale: i 
suoi scolarchi si fecero chiamare diadochi (cioè successori, ovviamente di Platone) 
e la scuola fu riconosciuta sotto Marco Aurelio come una delle quattro cattedre di 
filosofia ufficialmente finanziate dall'impero romano. Dopo la comparsa del