4
malessere che risale ad una attività amministrativa non funzionante e ad una
produzione legislativa copiosa, ma irrazionale
3
. Il legislatore, per risolvere il
problema dei lunghi processi, introdusse nel 1998 il tentativo obbligatorio di
conciliazione, questo obiettivo può essere garantito dall’ordinamento in due
modi : o disponendo l’improcedibilità della domanda attrice in caso di
mancato esperimento del tentativo, oppure prevedendo l’improponibilità della
stessa. Il ricorso alla conciliazione, come ad altri metodi alternativi, dovrebbe
essere visto come una forma di risoluzione parallela delle controversie, deve
essere incentivata particolarmente in tutte quelle dispute in cui la soluzione
non necessita di una decisione vincolante, ma può essere mediata di fronte ad
un conciliatore. Al cittadino non deve essere imposto un tentativo di
conciliazione soltanto per scoraggiarlo dall’adire il giudice togato, piuttosto
gli si dovrebbe offrire una doppia via: da un lato, la via autoritativa, dall’altro,
quella conciliativa. Entrambi i canali devono presentarsi come soluzioni
garantite ed efficienti, con una tendenza ad incentivare il ricorso alla via
conciliativa. Se dunque questo metodo alternativo di risoluzione della lite
fosse preso in considerazione come una facoltà, una libera iniziativa concessa
alle parti, riuscirebbe ad ottenere l’ acquiescenza dell’opinione pubblica.
Come si vedrà in seguito i numerosi interventi normativi hanno contribuito ad
ampliare la materia mediatica in ambito lavoristico, ma omettendo di
salvaguardare il motivo in cui un soggetto si rivolge alla procedura
conciliativa e alla figura del conciliatore, il quale svolge una semplice
funzione notarile di un accordo raggiunto tra i due litiganti
4
.
3
http://www.consulentidellavoro.it
4
A tale riguardo vedi S. Chiarloni “ Stato attuale e prospettive della conciliazione stragiudiziale ”, in
“ La risoluzione stragiudiziale delle controversie e il ruolo dell’avvocatura ”, a cura di G. Alpa e R. Danovi,
Giuffrè, Milano, 2004, p. 189.
5
CAPITOLO 1
Evoluzione storica della conciliazione.
1. Riforma del processo del lavoro ( l. 533/1973 ).
Il diritto del lavoro ha da sempre dimostrato una sua attitudine alle forme
di soluzione delle controversie, che si realizzano al di fuori della
giurisdizione statale. Basti pensare alla storica esperienza della
magistratura probivirale o alle procedure conciliative previste in sede di
contrattazione collettiva. Nel periodo corporativo si venne a tracciare una
circostanza per la quale il giudice del lavoro era ormai un giudice
ordinario cui erano assegnate le controversie del settore, abbandonando,
nella prassi, quelle peculiarità di celerità e di oralità che caratterizzavano
il processo del lavoro. Da un lato le corporazioni, attraverso la
conciliazione sindacale, avevano il compito di prevenire il contenzioso
proponendo risoluzioni compromissorie dirette ad assecondare le
eventuali pretese dei lavoratori; dall’altro i giudici si dimostravano
portatori della volontà legislativa e delle contrattazioni collettive.
La svolta innovativa fu realizzata con la l. 11 agosto 1973, n. 533.
La novella si indirizzò verso le forme alternative di risoluzione delle
controversie individuali di lavoro. La riforma del processo del lavoro è
così riuscita a coordinare la tutela giurisdizionale e le procedure
6
conciliative
5
. La l. 533/1973, sostituendo l’intero titolo IV del libro
secondo del c.p.c., dava la possibilità alle parti di risolvere le controversie
tramite le forme alternative di risoluzione delle liti, quali la conciliazione,
per le controversie individuali di lavoro riguardanti i settori elencate
nell’art. 409 c.p.c.. Vennero introdotte regole atte a definire le modalità di
costituzione del collegio di conciliazione, le modalità e i tempi di
svolgimento del tentativo, il ruolo delle associazioni sindacali nell’ambito
della procedura amministrativa e gli effetti di natura sostanziale e
processuale del verbale conclusivo. Chi intendeva proporre una domanda
di conciliazione, e non riteneva di avvalersi di tale disciplina richiamata
dai contratti e accordi collettivi, poteva promuovere, anche tramite
l’associazione sindacale, il tentativo di conciliazione presso l’apposita
Commissione, la quale, ricevuta la richiesta, tentava la risoluzione della
controversia in una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal
ricevimento della richiesta. La Commissione di conciliazione restava un
organismo a carattere burocratico, composta anche da rappresentanti delle
organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro.
La procedura poteva concludersi con un processo verbale di avvenuta o di
mancata conciliazione. In quest’ultimo caso le parti erano libere di
risolvere il conflitto presso il giudice competente. L’articolo 420 c.p.c.
prevedeva un tentativo di conciliazione giudiziale successivo, il giudice
del lavoro nell’ udienza fissata per la discussione interrogava liberamente
le parti ed esperiva il tentativo di conciliazione
6
. La funzione dell’istituto
era quella di tutelare la posizione del lavoratore poiché contraente debole
5
Carinci Franco, Tamajo, Tosi, Treu, “ Diritto del lavoro 2. Il rapporto di lavoro subordinato ”, quinta
edizione UTET Torino 2003, pagg. 440-441.
6
G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, “ Le fonti del diritto italiano. Il Diritto del lavoro Costituzione,
Codice Civile e Leggi speciali ”, volume uno, seconda edizione, Giuffrè, Milano, 2007, 916.
7
e di ridurre la forza contrattuale del datore di lavoro diretta ad influenzare
gli esiti della controversia.
Con la riforma del processo del lavoro il legislatore aveva operato una
scelta determinante: lasciare la libertà al lavoratore o al datore di ricorrere
alla procedura conciliativa o all’ordinaria procedura giudiziaria.
Nel 1990, con l’art. 5 della legge n. 108, il tentativo di conciliazione
ritorna ad essere configurato come obbligatorio per le controversie aventi
ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nell’area c.d. obbligatoria.
Si sanciva l’improcedibilità della domanda giudiziale non preceduta dalla
richiesta di conciliazione amministrativa o sindacale, con conseguente
sospensione del processo e termine perentorio per la richiesta.
La disciplina enunciata dall’art. 5 della legge sopra richiamata si
atteggiava come un presupposto processuale, il cui mancato assolvimento
era rilevabile solo nella prima udienza di discussione e sottoposto ad un
meccanismo di recupero all’interno del processo.
Un’analoga disposizione fu introdotta nel 1992 con riferimento alle
controversie in materie di pubblico impiego. Per la prima volta, dopo la
caduta dell’ordine fascista, si torna a considerare la conciliazione quale
soluzione alla giurisdizione, e non semplice forma espressiva di un
consenso assistito, idoneo ad infrangere l’inderogabilità delle norme
lavoristiche.
Un’ ulteriore forma di conciliazione obbligatoria precontenziosa venne da
ultimo delineata dall’art. 69 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, con
riferimento alle controversie in materia di pubblico impiego devolute al
giudice ordinario, secondo il rito del lavoro, in seguito alla intervenuta
ampia privatizzazione di tale rapporto di lavorativo
7
.
7
Carrato A., Di Filippo A., “ Il processo del lavoro: la conciliazione e l’arbitrato, il procedimento di primo
grado, l’appello e il ricorso per Cassazione, l’esecuzione forzata e i procedimenti speciali, le controversie
nel pubblico impiego ”, terza edizione, Il sole 24 ore, Milano 1999, pag. 10.
8
2. Dal D.Lgs. 80/1998 al D.Lgs. 165/2001.
2.1 La conciliazione nel D.Lgs. 80/1998.
Il legislatore, seguendo l’indirizzo della conciliazione obbligatoria della
l. 108/1990, procede in tal senso con il d. lgs. 80/1998, sperando di
alleggerire la grossa mole del contenzioso giudiziario. La novella, oltre a
disciplinare il tentativo di conciliazione nel settore del lavoro pubblico,
rende obbligatorio il tentativo in tutte le controversie dell’art. 409 c.p.c.,
riformando il codice di rito.
La riforma del 1998 ha innovato il tentativo di conciliazione seguendo un
duplice binario : da un lato integra e contempla la normativa sulla
conciliazione già contenuta nel precedente d. lgs. 29/1993; dall’altro,
incide sul codice di rito trasformando in obbligo la precedente facoltà del
tentativo.
Il sistema introdotto nel 1998 può essere definito a doppio binario anche
per un ulteriore motivo: prevede per le conciliazioni delle controversie
individuali due normative ben distinte per il settore pubblico e per il
settore privato ed inoltre, conserva la procedura conciliativa pubblica con
quella sindacale, prevista dai contratti o dagli accordi collettivi di lavoro.
Il d. lgs. del 1998 ha da subito provocato ampie critiche dal mondo
giuridico. Uno dei primi dibattiti generò due schieramenti contrapposti:
alcuni sostenevano l’inutilità della distinzione tra le due procedure
previste per l’impiego privato e per quello pubblico;