Sotto questo scenario, entra in campo la controinformazione. La base riguarda 
appunto la volontà di non prendere per oro colato ogni informazione che 
giunge dai canali tradizionali, ma, al contrario, di iniziare un ragionamento di 
pura logica, dove si mettono alla luce i punti oscuri di una vicenda, per 
arrivare, in conclusione, ad una versione ben diversa da quella ufficiale.  
La controinformazione opera anche quando manca ogni sorta d’informazione e 
quando le notizie diffuse risultano alterate nei contenuti o manomesse nella 
tecnica espositiva, cioè nell’impaginatura, nella titolatura o 
nell’intercambiabilità dei pezzi e degli annunci.  
I circuiti sono impiantati nello scontro di classe, producendo inchieste in luogo 
e con gestione dal basso degli strumenti e delle informazioni, in modo da 
evitare il più possibile una pratica interclassista.  
La controinformazione e i circuiti stessi vengono caratterizzati dai contenuti 
ideologici scavati, non ripetitivi e puramente non propagandistici, con l’aiuto 
della polivalenza di tattica e strategia.  
A seconda delle circostanze, la controinformazione agisce in formule 
clandestine e irregolari, esponendo un lavoro che moltiplica e concentra azioni 
fuori e dentro il sistema. L’insieme di tutti gli interventi operativi si riporta ad 
una linea politica precisa, scartando la generica opposizione antiborghese ed 
anti intellettualistica, come un ricettario di una cosiddetta “cultura alternativa”.  
Quindi, storicamente, i primi tentativi di controinformazione derivano, nel 
positivo come nel negativo, dal lavoro efficace o, al contrario, dal fallimento e 
dalla crisi, dei gruppi della nuova sinistra degli anni 60-70, forze che hanno 
avuto una provenienza piccolo-borghese, sviluppate tra gli strati intermedi 
della popolazione. 
Il ruolo della controinformazione in quel periodo era molto prezioso per due 
motivi: sia perché afferrava brandelli di verità che venivano nascoste e 
cominciava a farle emergere, sia perché insegnava a una generazione il metodo 
per riuscire a interpretare quanto accadeva sotto gli occhi di tutti. Si metteva 
 
 
5 
quindi a disposizione una sorta di kit interpretativo degli eventi e cioè che il 
potere non risulta neutrale, ma che esiste un gioco delle parti in ogni 
nefandezza. La controinformazione muove dal notiziario puro e semplice, non 
seguendo trame reazionarie, senza smarrirsi alla ricerca di troppe piste e non 
rovesciando giorno per giorno le informazioni altrui.  
Divincolarsi tra la marea di informazioni e poter svolgere questo procedimento 
risulta essere una manovra particolarmente complessa. I responsabili dei media 
affermano da sempre che le scelte sul terreno dell’informazione sono frutto di 
criteri imparziali, competenti e oggettivi, confortati il più delle volte dalla 
comunità intellettuale.
2
 Nell’era moderna, l’informazione raggiunge ormai una 
quantità enorme di individui, innescando dei meccanismi non controllabili di 
diffusione e di riproduzione della notizia.  
Un esempio celebre, ma di per sé involontario, di come siano ingovernabili 
certe situazioni create dai media, riguarda la messa in onda della fiction 
radiofonica “La guerra dei mondi” del regista Orson Wells, trasmessa dalla Cbs 
negli Stati Uniti  il 30 ottobre 1938.  
La qualità e la quantità di sentimenti innescati da questo evento ha palesato 
come l’informazione mirata può produrre degli effetti reali sull’opinione 
pubblica, quando il mass media è ritenuto al di sopra di ogni dubbio. 
L’episodio non va preso nella sua interezza, ma solo come dimostrazione, 
puntualizzando comunque che si parla degli anni ’30 e del potere intrinseco 
ritagliato dagli organi di comunicazione.  
Nella fiction radiofonica, molti attori si immedesimavano in giornalisti, 
poliziotti e testimoni oculari, raccontando di una invasione aliena sulla Terra, 
condita di parecchi dettagli e descrizioni. La reazione del pubblico fu 
immediata e decine di migliaia di cittadini statunitensi si riversavano 
terrorizzati nelle strade, non ponendosi nemmeno il sospetto sulla credibilità 
della notizia. Era bastata una finzione voluta per generare il panico più totale in 
una realtà politica all’avanguardia come gli USA.  
                                                           
2
 Chomsky N., Herman E., La fabbrica del consenso, Il Saggiatore, Milano, 2008, p. 9 
 
 
6 
I tempi ovviamente sono cambiati, ma di pari passo al grado di conoscenza dei 
media da parte delle persone, si è evoluta la potenza dei media stessi. 
L’informazione dovrebbe essere un bene primario con la condizione essenziale 
che sia vera e che garantisca una corretta conoscenza dei temi rilevanti, sui 
quali proprio l’opinione pubblica è chiamata a decidere e a prendere posizione.  
Essa si presta ad una continua opera di intervento da parte di quelli che la 
diffondono, tanto più quando viene “condita” di contenuti modificati. A volte 
la modifica può non essere per forza intenzionale, ma la rappresentazione 
diventa una funzione della cultura di chi si occupa in un preciso passaggio. 
Vari esempi sono quelli delle false notizie divertenti che, a seconda 
dell’ambiente nel quale vengono menzionate, modificano il carattere del 
protagonista in modo da adattarsi ad un’altra situazione. 
Bisogna stare molto attenti all’uso di termini come informazione e 
controinformazione. Sembra logico anteporre le due espressioni uno 
all’estremo dell’altro, ma non è così. La controinformazione non è il contrario 
dell’informazione, tutt’altro.  
Il suo opposto lo troviamo nella disinformazione, che compie il processo 
opposto, in quanto distribuisce le notizie, in parte distorte o manipolate. Inoltre 
occorre chiarire un altro termine in questione: parlare di controinformazione e 
di giornalismo d’inchiesta significa prendere in esame due realtà molto simili 
per alcuni aspetti, ma diverse per quanto riguarda le finalità.  
La controinformazione, come dice il vocabolo stesso, è una informazione 
contro, nello specifico contro il potere. Il flusso controinformativo, che nasce 
dalle metodologie di raccolta, trattamento e diffusione dei dati, mira a colpire il 
potere in quanto tale, diffidando dalle fonti ufficiali.  
Oltre a questo, il carattere distintivo è sicuramente l’aspetto militante, infatti 
chi vi opera non è sicuramente un professionista e non sempre usa mezzi 
canonici.  
 
 
7 
Il giornalismo d’inchiesta invece ha una storia e delle peculiarità differenti. In 
genere non ha un fine politico, o almeno non ai livelli della 
controinformazione. Ha un carattere decisamente meno militante, pur motivato 
da grande passione civile.  
In conclusione, il compito della controinformazione sta quindi nello svelare le 
parti marce, nel tentativo di ripristinare la corretta funzione che svolge il 
mondo dell’informazione. 
 
 
 
8 
Il problema delle fonti 
L’Estrema Sinistra ha sempre avuto una capacità di irradiamento sociale, che 
ha implicato la possibilità di usufruire di una moltitudine di canali informativi. 
Il problema delle fonti, comunque, risulta molto complesso, in quanto quelle 
dirette non sono sufficienti e in questa situazione urge rivolgersi a qualcun 
altro.  
Occorre enunciare un esempio pratico: negli anni Settanta Federico Umberto 
D’Amato è un vecchio agente angloamericano che durante la guerra ha 
lavorato alle dipendenze di James Angleton, capo dei Servizi Segreti degli Stati 
Uniti. In seguito, diventa il sovrintendente alla Segreteria Speciale Patto 
Atlantico, che rappresenta, in sintesi, l’anello di congiunzione dell’Italia con la 
NATO e gli USA.  
D’Amato diventa famoso per essere stato il capo dell’Ufficio Affari Riservati. 
In futuro il nome di D’Amato risulterà tra gli iscritti alla P2. Tra il 1969 e il 
1974 l’Ufficio Affari Riservati si distingue per l’intensa attività di depistaggio 
delle indagini e per la copertura di responsabili di stragi. Inoltre, cosa più 
importante, ha collaborato con “Il Borghese”, con lo pseudonimo di Abate 
Faria, e con “L’espresso”, dove si occupava di cucina.  
Perché queste collaborazioni giornalistiche? Sicuramente perché “L’espresso” 
era più interessato dalle conoscenze di Federico Umberto D’Amato, piuttosto 
che dalla sua esperienza in campo culinario. Quindi è certamente veritiero 
affermare che molte informazioni giunte alle orecchie dei militanti della 
controinformazione partano da ambienti dei Servizi Segreti.
3
  
Inoltre è sicuramente esistito un flusso di notizie dall’area della 
controinformazione agli apparati di informazione e sicurezza, oltre al processo 
inverso. Tutto ciò grazie all’uso attivo dei confidenti, con notizie fatte giungere 
indirettamente tramite avvocati, giornalisti della stampa indipendente o altre 
organizzazioni. 
                                                           
3
 Veneziani M., Controinformazione. Stampa alternativa e giornalismo d’inchiesta dagli anni 
Sessanta ad oggi, Castelvecchi, Roma, 2006, pp. 63‐64 
 
 
9 
Non è da escludere anche un circuito informativo fra aree della 
controinformazione e Servizi Segreti stranieri, come sovietici, statunitensi, 
inglesi, israeliani, svedesi e francesi.  
Tornando alla composizione sociale dell’Estrema Sinistra, si deve evidenziare 
come molti militanti, in virtù del loro status, abbiano avuto la possibilità di 
circolare indisturbati in diversi ambienti. Per avere un’idea della composizione 
di un ipotetico gruppo di controinformazione di qualche decennio fa, si può 
ipotizzare una situazione realistica.  
Alcuni esempi: un ragazzo fidanzato con la figlia di un dirigente di una grande 
industria; una donna delle pulizie in un albergo nei pressi di Palazzo Chigi; il 
figlio di un politico democristiano o di un membro della dirigenza di 
Confindustria; un radioamatore che abita davanti alla Questura di una grande 
città; una colf nella casa del prefetto o un cameriere che lavora in un ristorante 
vicino al Palazzo di Giustizia.  
Si potrebbero enunciare mille altri casi e tutti, a seconda del loro contesto, 
possono avere raccolto delle informazioni.
4
  
Molti figli di deputati democristiani erano militanti dell’Estrema Sinistra, come 
il figlio di Carlo Donat Cattin, che era un membro del servizio d’ordine di 
Lotta Continua. Il figlio di Taviani invece era un giovane militante, come 
Giovanni Moro, figlio di Aldo, che militava nel movimento Febbraio ’74, per il 
dissenso cattolico.  
La maggior parte delle volte, i rapporti della controinformazione si presentano 
in maniera dattiloscritta e non manoscritta, cosicché i fogli non presentano 
nessuna intestazione e risultano anonimi. Questo dato riporta il motivo per cui 
se il documento venisse sequestrato, c’è l’impossibilità di risalire alla mano che 
l’ha compilato, lasciando nell’ombra il controinformatore.  
C’è un aspetto che è evidente con il passare degli anni rispetto ad un fatto 
accaduto indietro nel tempo, cioè il cambio di declinazione della notizia.  
                                                           
4
 Ivi, p. 54 
 
 
10 
Lo sguardo ha modo di soffermarsi sugli eventi soppesando l’accaduto con 
maggiore saggezza. Angoli rimasti nascosti e che non erano ritenuti abbastanza 
importanti acquisiscono, in un altro periodo, ruolo e peso diverso.  
Col passare del tempo, diventano soprattutto accessibili fonti documentali e 
testimoniali precluse in passato alla ricerca, sia perché segretate sia perché non 
esaminate nelle sedi e nei tempi opportuni. Si parla di relazioni di Polizia, Atti 
di Commissioni parlamentati d’inchiesta o di documenti privati. Perfino fonti 
che è possibile esaminare a campione, in quanto disponibili solo per pochi 
operatori, come il personale addetto a organismi quali la Commissione Stragi.  
Emerge un quadro d’insieme abbastanza chiaro. I margini e i confini tra il 
circuito informativo delle Istituzioni e degli Apparati di prevenzione dello 
Stato e gli ambienti politici in cui si faceva attivamente controinformazione e 
inchiesta furono spesso imprecisi, naturali e assai permeabili in un senso o 
nell’altro.  
Ai fini dell’analisi del mondo giornalistico, ci fu uno stretto rapporto tra 
controinformazione e apparati informativi dello Stato, come Servizi Segreti, 
Carabinieri e Polizia.  
L’accesso a fonti riservate ha dato la possibilità di descrivere aspetti inediti 
della relazione tra mondo dell’informazione e apparati informativi di varia 
natura. Il fatto che esista questo rapporto non è certamente una novità: i due 
mondi sono sempre stati in contatto, ma l’interazione è diventata 
particolarmente intensa a causa di nuove circostanze storico-sociali che oggi 
vengono alla luce. 
 
 
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CAPITOLO 2 
IL POTERE DEI MEDIA E DEGLI “SPIN DOCTOR” 
Gli “spin doctor”  
Sicuramente il 99% dell’opinione pubblica non conosce l’esistenza sia del 
termine che del significato di “spin doctor”. Si ricollega alla parola 
disinformazione, citata in precedenza. Letteralmente “spin” significa “far girare 
vorticosamente”, invece “doctor” si può tradurre come “sapiente” o 
“specialista”. Lo spin doctor è colui che sa imprimere alle notizie un taglio 
caratteristico, così da poter ipnotizzare i media, inducendoli a far propria una 
determinata visione della realtà. Quindi l’accusa lanciata solamente contro i 
media, vede protagonista un’altra figura, di importanza probabilmente anche 
maggiore.  
L’habitat naturale dello spin doctor è rappresentato dalle campagne elettorali, 
dove riveste un ruolo di stratega e di consulente vicino al candidato. Esso 
provoca una spettacolarizzazione delle contese elettorali, spingendo spesso fino 
all’estremo tecniche di disinformazione e di denigrazione del concorrente.  
Chiuse le urne, ci si aspetta che questa figura esca di scena. Invece il suo 
operato continua ad influenzare le notizie.  
Rappresenta un autentico “stregone” della notizia, non avendo bisogno di 
contare sul controllo o sulla compiacenza dei media, in quanto cosciente sulla 
capacità di poter orientare i giornalisti, conoscendo le loro logiche.  
Opera avvalendosi di una comprensione perfetta dei meccanismi che regolano 
il ciclo delle informazioni e fa ricorso a sofisticate tecniche psicologiche, che 
gli consentono di condizionare le persone
1
. Tende ad adattare la realtà alle 
proprie esigenze, non si fa scrupoli nel sostenere, consapevolmente, 
affermazioni false perché pensa che il governo non abbia un dovere di 
responsabilità verso il popolo.  
                                                           
1
 Foa M., Gli stregoni della notizia, Guerini e associati, Milano, 2006, pp. 11‐12 
 
 
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Nell’organigramma di un governo, il posto dello spin doctor non esiste, ma 
sono presenti altri ruoli che possono legittimamente inserirsi nelle stanze del 
potere, come il portavoce, l’addetto stampa, l’uomo-immagine, il consulente 
personale o il capo di gabinetto.  
Diventa il regista occulto di una parte importante della comunicazione ufficiale 
e sfugge a qualunque catalogazione professionale. Lo spin doctor rientra nella 
seconda tipologia di funzionari pubblici addetti alla comunicazione, cioè quelli 
politici, il cui mandato è a termine e solitamente coincide, se prendiamo in 
considerazione gli Stati Uniti, con il quadriennio presidenziale.  
Infatti quando alla Casa Bianca arriva un nuovo inquilino, essi fanno le valigie, 
sostituiti da altri scelti accuratamente dal nuovo presidente. Queste persone 
provengono, nella maggior parte dei casi, dalla società civile: docenti 
universitari, giornalisti, strateghi elettorali, addetti alle PR ed esperti in 
comunicazione. Non hanno ricevuto una formazione istituzionale e lo scopo 
principale è quello di difendere gli interessi e la popolarità del presidente. Il 
giudizio nei confronti della stampa è assolutamente negativo, accusati di 
faziosità ed eccessiva ostilità. Il fattore importante è che occupano la maggior 
parte dei posti chiave.  
Gli spin doctor tendono ad abusare di un sistema fondato sulla fiducia e sulla 
buona fede, con l’obiettivo di ridurre gli spazi e l’autonomia dei comunicatori 
tradizionali, che separano rigorosamente l’informazione politica da quella 
istituzionale. Gli spazi continuano ad esistere, ma la disinvoltura degli spin 
doctor genera parecchia confusione, con continue invasioni di campo. 
Quando nasce, però, nella realtà, la figura dello “spin doctor”? L’ideologia 
storica è sicuramente riconducibile alla persona di Edward Bernays, nipote di 
Freud. Lui pensava, riguardo le Pubbliche Relazioni, che non dovessero essere 
al servizio della verità, ma piuttosto che manifestassero freddezza sulle virtù 
manipolatorie.  
 
 
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