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INTRODUZIONE 
 
L’obbiettivo di questo lavoro è l’analisi di UNAMID - African Union – United 
Nations Hybrid Operation in Darfur, una missione ibrida formata da unità delle 
Nazioni Unite e dell’Unione Africana, approvata dal Consiglio di Sicurezza 
dell'ONU con la Risoluzione n. 1769 del 31 luglio 2007, dal momento che la 
situazione nella regione del Darfur costituiva una minaccia per la pace e 
richiedeva necessariamente un intervento. 
Il Darfur
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 è una delle nove province storiche del Sudan che si trova nella parte 
occidentale del paese, all’interno del deserto del Sahara. 
Il territorio è oggi suddiviso in tre Stati
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, il Darfur occidentale - Gharb Darfur, con 
capitale Al Junaynah; Nord Darfur - Chamal Darfur, con capitale Al Fashir e Sud 
Darfur - Djanub Darfur, con capitale Nyala.  
La popolazione in maggioranza musulmana è, attualmente, stimata in circa 6 
milioni di abitanti, in grande prevalenza nomadi ed allevatori di lontana origine 
araba ed arabofoni nella parte del nord ed agricoltori stanziali neri e non 
arabofoni, nel sud.  
Storicamente la regione ha subito una fase di islamizzazione nel XV secolo, 
diventando un sultanato. 
In seguito, nel 1874, venne inglobata dall’Egitto, mantenendo comunque una certa 
indipendenza fino al 1916, quando dopo aver sostenuto l’Impero Ottomano, 
durante la Prima Guerra Mondiale, gli Inglesi deposero l’ultimo sultano
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 e lo 
resero un protettorato britannico come il Sudan, di cui da questo momento 
condividerà la storia.  
In questa regione, dal febbraio del 2003 è in corso un conflitto che vede 
contrapporsi la locale maggioranza nera della popolazione, composta da tribù 
sedentarie, alla minoranza nomade originaria della Penisola arabica, che però 
costituisce la maggioranza nella parte restante del Sudan, a causi di ragioni 
economiche, tribali e culturali. 
                                                      
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 In arabo: رو ف راد, Dār Fūr, ossia "paese dei Fur”. 
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 Wilayat. 
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 ʿAlī Dīnār
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In generale quasi tutte le popolazioni non arabizzate sono, infatti, fortemente 
interessate al mantenimento dei diritti tradizionali sulla terra, basati sul sistema 
dei dar 
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 e degli hawakir
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, diritti, però, non riconosciuti loro dalle popolazioni 
arabo – nomadi che hanno iniziato ad imporsi dal 2003 con la violenza, 
disconoscendo del tutto i diritti dati dalla tradizione e cercando di stabilirsi in 
territori la cui proprietà, per consuetudine, era attribuita ad altri. 
Negli anni, gli scontri sono diventati di più ampio respiro, coinvolgendo mano a 
mano non solo sedentari e nomadi, ma anche arabi ed africani, sudanesi e ciadiani, 
musulmani e non musulmani, assumendo la connotazione di una guerra civile, in 
cui ognuna delle parti vuole sterminare l’altra. 
Dopo aver indagato la cause del conflitto, prima di analizzare dettagliatamente la 
missione UNAMID, si è posta l’attenzione proprio sull’ONU e su quali siano le 
disposizioni che autorizzino un intervento delle Nazioni Unite e sui rapporti tra 
Organizzazioni regionali e Consiglio di Sicurezza. 
La Carta delle Nazioni Unite, difatti, attribuisce un ruolo di prevalenza al 
Consiglio di Sicurezza in materia di mantenimento della pace e della sicurezza 
internazionale, ed allo stesso tempo – ai sensi del Capitolo VIII – assegna, altresì, 
un importante compito agli “accordi o organizzazioni” regionali. 
Il Consiglio - come previsto nel rispetto dell’articolo 53 del Capitolo VIII - può 
utilizzare, difatti, queste ultime anche in azioni implicanti l’uso delle forza e - in 
base all’articolo 52 - alle stesse viene dato un fondamentale riconoscimento su 
scala regionale e viene attribuito il ruolo di dirimere le questione di carattere 
locale tra gli Stati che ne fanno parte, prima di deferirle allo stesso Consiglio di 
Sicurezza, dando loro modo di intervenire -  come avvenuto a partire dal secondo 
dopoguerra – in situazioni nelle quali, a causa di veti incrociati dei membri 
permanenti, il Consiglio non avrebbe potuto intromettersi. 
Gli articoli 52 e 53 sono stati oggetto di studi numerosi ed approfonditi, e su di 
essi si è concentrato prevalentemente il dibattito dottrinario. 
Il Capitolo VIII è stato definito da alcuni studiosi del diritto internazionale “Sin 
dalla sua redazione e per tutta la durata della Guerra Fredda […] dormiente” ma 
se si considera il ruolo che hanno avuto le organizzazioni regionali nel dirimere le 
                                                      
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 Con questo termine, in arabo, si intendono paesi o terre. 
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 Hawakir sta ad indicare il territorio.
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questioni di carattere locale, prima di deferirle al Consiglio di Sicurezza, si 
potrebbe concludere tutto il contrario, dal momento che queste sono intervenute – 
dal secondo dopoguerra – in situazioni in cui il Consiglio stesso, a causa dei veti 
incrociato dei membri permanenti, non poteva intervenire direttamente. 
 
E’ importante sottolineare che, a partire dagli anni novanta, i rapporti tra le 
Nazioni Unite e le organizzazioni regionali - in materia di mantenimento di pace e 
sicurezza - non si esaurisco solo sul piano delle Risoluzioni, attraverso le quali il 
Consiglio di Sicurezza autorizza o utilizza le stesse nel condurre azioni coercitive, 
ma si caratterizzano – al contrario – in sempre più strette relazioni di 
collaborazione operativa, grazie alle quale le Nazioni Unite riescono a cogliere al 
meglio le opportunità offerte dalle organizzazioni stesse, mantenendo comunque il 
controllo sull’operazione. 
In questo si può, dunque, intravedere da parte della Nazioni Unite, la volontà di 
delineare un ruolo delle organizzazioni regionali nel mantenimento di pace e 
sicurezza, in cui si rafforzi la cooperazione ed il coordinamento per rispondere 
adeguatamente alle odierne esigenze della comunità internazionale e non sembra, 
quindi, azzardato sostenere che l’articolo 52 intenda riconoscere agli accordi ed 
alle organizzazioni regionali proprio questo ruolo. 
Qualora l’analisi interpretativa dell’articolo 52 lasciasse ancora qualche dubbio, si 
può affermare che in tal senso - a partire dagli anni ’80 - si è orientata anche la 
prassi delle Nazioni Unite. 
Il riferimento è alle Risoluzioni dell’Assemblea Generale n. 37/10 - del 15 
novembre 1982 - n.42/22 - del 18 novembre 1987, che adottano rispettivamente la 
“Dichiarazione di Manila sulla risoluzione pacifica delle controversie 
internazionali” e la “Dichiarazione sul rafforzamento dell’efficacia del principio 
dell’astensione dal ricorso alla minaccia o all’uso della forza nelle relazioni 
internazionali”, ed alla Risoluzione, sempre dell’Assemblea Generale, n. 43/51 - 
del 5 dicembre 1988 - che adotta la “Dichiarazione sulla prevenzione e 
l’eliminazione delle controversie e delle situazioni che possono minacciare la pace 
e la sicurezza internazionale e sul ruolo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite 
in questo campo”.
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La vera evoluzione ha, comunque, avuto luogo con l’Agenda per la pace del 1992 
e il suo Supplemento del 1995, entrambi adottati dal Segretario Generale delle 
Nazioni Unite B. Boutros-Ghali, e con la “Dichiarazione sul rafforzamento della 
cooperazione tra l’Organizzazione delle Nazioni Unite e gli accordi o 
organizzazioni regionali nel campo del mantenimento della pace e della sicurezza 
internazionale”, adottata dall’Assemblea Generale con risoluzione n. 49/57 del 9 
dicembre 1994. 
Si può quindi affermare che i rapporti tra organizzazioni regionali ed 
Organizzazione universale si caratterizzano, sempre di più, in strette relazioni di 
collaborazione operativa, grazie alle quali il Consiglio di Sicurezza può sfruttare 
al meglio le opportunità offerte proprio dalle organizzazioni regionali, 
mantenendo, comunque, un controllo sull’operazione come in molti casi è 
avvenuto, a partire dalla fine della Guerra Fredda quando si è riscontrato un 
deficit di sicurezza dovuto al venir meno dell’equilibrio garantito dall’egemonia 
di due sole superpotenze che si è manifestato in crisi circoscritte a livello locale, la 
cui gestione è stata affidata - con più o meno successo - ad istanze regionale, le 
quali hanno operato autonomamente o coadiuvate, laddove sia stato necessario e 
possibile, dalle Nazioni Unite. 
Si può difatti parlare di crisi “regionali” ma con un impatto “globale”, e che 
quindi necessitano di una gestione diretta od indiretta dell’ONU stessa, che sono 
ascrivibili alla globalizzazione ed alle interdipendenze mondiali, dal momento che 
la natura regionale e locale delle crisi non impedisce che gli effetti possano 
manifestarsi anche oltre i confini territoriali. 
La comunità internazionale non può dunque permettersi di ignorare crisi di 
sicurezza locali e periferiche, dal momento che non se ne possono conoscere gli 
effetti, e per intervenire in queste è necessario far ricorso alle organizzazioni 
regionali, che costituiscono una assicurazione contro l’ingerenza esterna ed 
allontanano i sospetti che dietro un intervento internazionale si possano celare 
nostalgie neocoloniali o disegni imperialistici. 
Un esempio è dato dal ruolo dell’Unione Africana nelle numerose crisi del 
continente, come sintomo proprio della volontà politica di “lasciare l’Africa agli
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Africani” pur basando la legittimità giuridica di ciascun intervento sulla stessa 
Carta delle Nazioni Unite. 
L’Unione Africana è un'organizzazione di tipo sovranazionale ed intergovernativo 
comprendente tutti gli stati africani ad eccezione del Marocco, della quale – in 
questo elaborato - è stato analizzato l’Atto Costitutivo
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, conosciuto come la Carta 
di Adis Abeba, che autorizza la stessa ad intervenire in conflitti interni agli Stati 
in situazioni quali genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità. 
I fini dell’Organizzazione comprendono inoltre la promozione della pace, della 
sicurezza e della stabilità politica nel continente africano e nella Carta vengono 
stabilite anche le sanzioni, di natura politica ed economica, che possono essere 
previste nei confronti di quegli Stati che manchino di uniformarsi agli obbiettivi 
ed alle disposizioni dell’Organizzazione stessa. 
In Africa, l’Unione Africana è risultata essere molto attiva nella risposta a crisi 
continentali e negli anni si è data competenza istituzionale nel mantenimento della 
pace e della sicurezza internazionali, abbandonando la rigida insistenza sulla 
sovranità dello Stato che aveva caratterizzato l’Organizzazione per l’Unità 
Africana e riconoscendo l’esigenza della formazione di governi democratici in 
Africa ed il diritto di intervento in quelli che - in passato - erano considerati come 
“affari interni” agli Stati. 
In modo particolare, si è difatti dotata di un organo, il Consiglio per la Pace e la 
Sicurezza, costituito nel 2004, in seguito all’adozione del Protocollo di Durban, 
che consente ad un gruppo di Stati, appartenenti alle diverse sub - regioni, di 
prendere decisioni e inviare missioni di peace-keeping. 
L’Unione Africana prende quindi esempio dall’ONU e dall’UE 
nell’implementazione delle proprie missioni, anche se manca di strumenti idonei 
ed i suoi reparti risultano essere mal addestrati e in difetto di capacity building, 
come accaduto nel caso del Darfur o della Somalia. 
Inoltre, bisogna porre in evidenza, che molto spesso le difficoltà nella soluzione di 
crisi regionali derivano da divisioni tra i vari governi su come agire nei diversi 
contesti, dal momento che istituire una organizzazione non risolve il problema 
                                                      
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 Cfr. art. 4H.
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della sicurezza e rende comunque necessaria la volontà di collaborazione tra i 
Paesi che ne fanno parte. 
Nel conflitto del Darfur l’Unione Africana ha evitato di adottare posizioni 
apertamente ostili al governo sudanese, preferendo la mediazione, per ricercare 
una soluzione politica al conflitto, e l’invio di una missione di pace, tuttavia, a 
seguito delle difficoltà incontrate a causa della complessa situazione della regione 
si è rivelato necessario un intervento della comunità internazionale a sostegno 
dell’organizzazione regionale come accaduto, il 31 luglio 2007, quando l’ONU ha 
adottato la Risoluzione 1769/2013 che istituiva - per un periodo iniziale di 12 
mesi - una AU/UN Hybrid Operation in Darfur, accettata, con riluttanza, dal 
governo sudanese e sostenuta dalla comunità internazionale. 
L’istituzione della missione “ibrida” in Darfur è manifestazione della nuova prassi 
che si sta affermando in sede ONU, finalizzata alla ricerca di una maggiore 
collaborazione e  di un maggior coordinamento con le diverse organizzazioni 
regionali, perché di fatto solo così facendo si può auspicare ad una maggiore 
sicurezza collettiva. 
La Risoluzione n. 1769/2013 riconosce ad essa mandato per reinstaurare la 
sicurezza al fine di permettere la continuazione dell'assistenza umanitaria; per la 
protezione della popolazione; per monitorare la tregua delle ostilità
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 sottoscritta a 
partire dal  2004; per l’implementazione dell'accordo di pace in Darfur; per 
assicurare un processo politico di pace; per il monitoraggio della presenza di armi 
illegali in violazione dell'embargo ed inoltre fissa degli obiettivi a lungo termine 
come la ricostruzione, lo sviluppo ed il ritorno di profughi e rifugiati nelle loro 
case; la promozione di diritti umani, libertà, stato di diritto ed indipendenza del 
sistema giudiziario; ed infine la sicurezza al confine tra Ciad e Repubblica 
Centrafricana. 
Concludendo, quindi, con questo elaborato si è cercato di comprendere quali siano 
gli strumenti autorizzati dalla Carta delle Nazioni Unite e dell’Atto istituivo 
dell’Unione Africana attuabili nella soluzione delle ostilità in Darfur, nel rispetto 
dei limiti previsti da entrambe, analizzando lo sviluppo del conflitto stesso e 
                                                      
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 Sottoscritta a partire dal 2004.
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provando a sintetizzare come le missioni possano contribuire agli sviluppi futuri 
della regione. 
Il conflitto infatti, sebbene viga una tregua e molto spesso viene dimenticato dalla 
comunità internazionale, è ancora attualmente in corso e secondo le stime di 
Organizzazioni non governative conta circa 600.000 morti. 
Nonostante infatti in alcuni momenti la guerra potesse sembrare  quasi terminata, 
si è continuato a registrare un alto livello di banditismo e di problemi di sicurezza, 
che in seguito hanno ridato origine a violenze tra la popolazione più cruente e che 
potranno essere risolte, probabilmente, solo con la partecipazione e l’intervento  
della  Comunità internazionale e delle Organizzazioni internazionali, non soltanto 
nella risoluzione delle ostilità ma anche con interventi di ampio respiro, che 
possano aiutare il paese nello stabilire una pace stabile e duratura nel tempo