1 
altre parole, di ricevere dalla comunità internazionale il riconoscimento 
dell’indipendenza attraverso la finzione dell’esistenza di uno Stato del Kosovo. Il 
regime di Belgrado reagì a questa provocazione militarizzando completamente 
la regione. Le violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali, a cui la 
popolazione albanese fu sottoposta in questo periodo, portarono alla messa in 
discussione della linea politica non violenta di Rugova. Intanto, il 19 maggio 
1996 si segnalò la comparsa nelle principali città dei primi manifesti dell’Uck, 
l’Esercito di liberazione del Kosovo. Nelle elezioni clandestine, tenutesi il 22 
marzo 1998, Rugova fu comunque rieletto Presidente della “Repubblica del  
Kosova”, anche se la popolazione, non essendo più convinta della sua linea 
politica, iniziò a sostenere sempre di più le azioni terroristiche dell’Uck volte a 
colpire le istituzioni serbe.  
Nel 1998 un’escalation di violenza tra le milizie militari e paramilitari serbe e i 
guerriglieri albanesi dell’Uck segnò il quasi definitivo precipitare della situazione 
in Kosovo. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nella risoluzione n. 1160 
del 1998, decise di decretare l’embargo sulla fornitura di armi a tutta la regione. 
Altre due risoluzioni, approvate dal Consiglio di sicurezza, il 23 settembre e il 24 
ottobre 1998, nonostante avessero qualificato la situazione in Kosovo come una 
minaccia alla sicurezza e alla pace nella regione, non si spinsero oltre alla 
formale condanna della violenza e all’invito al cessate il fuoco in vista di un 
negoziato internazionale.  
Le trattative di Rambouillet e di Parigi, svoltesi dal 6 febbraio al 19 marzo del 
1999, non portarono comunque a nessuna soluzione pacifica del conflitto tra 
  2 
serbi ed albanesi. Così, la sera del 24 marzo 1999, la Nato decise 
unilateralmente di intraprendere, con una serie di bombardamenti aerei contro 
obiettivi posti in tutto il territorio della Rep. Fed. di Jugoslavia, l’operazione 
“Determined force”, che sarebbe durata 78 giorni. La risoluzione 1244, adottata 
il 10 giugno 1999, dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite avrebbe definito 
il piano di pace nonché decretato la missione di peace-keeping dell’Unimik in 
Kosovo. 
Le motivazioni avanzate dall’Alleanza Nord-Atlantica per giustificare l’intervento 
militare unilaterale del 1999 contro la Rep. Fed. di Jugoslavia, se da un lato 
contenevano un generico riferimento agli obiettivi delle risoluzioni n. 1160, 1199, 
1203 adottate nel corso del 1998 dal Consiglio di sicurezza; dall’altro, invece, si 
rifacevano alla teoria dell’intervento d’umanità “to prevent further humanitarian 
catastrophe”. 
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, d’altronde, non era stato in grado di 
autorizzare i raid aerei della Nato a causa della ferma opposizione della 
Federazione russa e della Cina.   
La crisi del Kosovo ha quindi riaperto in dottrina il problema relativo alla liceità 
dell’intervento unilaterale umanitario. Alcuni eminenti studiosi di diritto 
internazionale hanno deciso, infatti, di affrontare il problema relativo alla 
legittimità in base al diritto internazionale del ricorso unilaterale all’uso della 
forza armata per porre rimedio a gravi violazioni dei diritti umani. Non bisogna 
dimenticare, d’altronde, che il divieto di ricorrere all’uso della forza armata da 
parte degli Stati, in seguito all’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite, è 
  3 
divenuta una norma di ius cogens. Le uniche eccezioni a tale divieto sono 
costituite dalla legittima difesa nonché dalle misure coercitive autorizzate dal 
Consiglio di sicurezza in base al sistema di sicurezza collettivo predisposto dal 
cap. VII della Carta delle Nazioni Unite. 
Tuttavia, l’adozione da parte dell’Alleanza Nord-Atlantica della nuova dottrina 
strategica del 1999 sembra aver ampliato, in linea di principio, le possibilità di 
ricorso legittimo all’uso della forza da parte degli Stati membri della Nato in caso 
di inerzia del Consiglio di sicurezza: in questa prospettiva, quindi, le Nazioni 
Unite non costituirebbero più l’unica organizzazione legittimata ad intervenire in 
caso di conflitti che mettano in pericolo la sicurezza dell’area euro-atlantica.  
L’intervento militare della Nato in Kosovo, anche se ha preceduto l’adozione 
formale della nuova dottrina strategica, infatti, sembra essere stato concepito, 
almeno da alcuni Stati membri dell’Alleanza, proprio come un’attuazione 
anticipata di tale strumento. 
 
 
  7 
Capitolo 1 
“Lo storico conflitto nei Balcani tra serbi e albanesi
1
” 
 
           1. Le origini 
Nella regione balcanica che oggi chiamiamo Kosovo
2
, è storicamente provata 
la presenza albanese
3
 fin dai tempi degli Illiri. Gli Illiri formarono nei Balcani il 
regno degli Ardiani, che si estendeva da Trieste al Danubio fino ai confini con i 
                                                          
1
 Bibliografia utilizzata per questa prima parte: 
Malcolm Noel, “Storia del Kosovo”, Milano, Paperback, 1999 
Prévélakis Georges, “I Balcani”, Bologna, Universale Paperbacks “Il Mulino”, 1997. 
Krulic Josip, “La storia della Jugoslavia”, Milano, Bompiani, 1995. 
Benedikter Thomas, “Il dramma del Kosovo”, Roma, Datanews Editrice, 1998. 
Dogo Marco, “Kosovo: albanesi e serbi: le radici del conflitto”, Cosenza, Marco Editore, 1992. 
Dorich William, “Kosovo”,  Alhambra, 1992. 
Nava Massimo, “Kosovo c’ero anch’io”, Milano, Bur, 1999. 
Roth Hugo “Kosovo origins”, Belgrado, 1996. 
Dragnich Alex e Todorovich Slavko, “The saga of Kosovo”, New York, 1984.  
Morozzo della Rocca Roberto, “Kosovo: la guerra in Europa: origini e realtà di un conflitto 
etnico”, Milano, Guerini e Associati, 1999. 
Bianchini Stefano, “Sarajevo, le radici dell’odio”, Milano, Edizioni associate, 1996. 
I quaderni speciali Limes, “L’Italia in guerra”, Roma, supplemento al n. 1/1999. 
A cura di Berselli Edmondo, “La pace e la guerra: I Balcani in cerca di futuro”, Milano, 1999. 
2
 “Kosovo” è un termine serbo, non accettato dalla maggioranza degli albanesi, i quali 
preferiscono chiamare la loro regione “Kosova”, trascrizione del termine albanese “Kosove”. Il 
nome ufficiale della provincia è, dal 1968, “Kosovo-Methohija”, in breve “Kosmet”. Quest’ultima 
denominazione deriva dalla parola greca “metoh” che significa “bene ecclesiastico”: la 
motivazione risiede nel fatto che, nel corso del XIII e del XIV secolo, nella fertile distesa tra 
Pec e Prizren, sono state erette dai serbi numerose chiese e conventi.  
3
 I risultati delle ricerche linguistiche, antropologiche, nonché le scoperte archeologiche 
testimoniano la discendenza illirica degli odierni albanesi. L’origine della lingua albanese, di 
  8 
greci. Nel 168 a.C. la sconfitta del re Genzio portò però all’occupazione 
romana, che durò per quattro secoli, fino al momento della divisione 
dell’Impero Romano, avvenuta nel 395 d.C., in Impero d’Occidente e in Impero 
d’Oriente. Nel VI secolo l’Impero Bizantino venne scosso dalla discesa dei 
Barbari, tra i quali gli ultimi furono gli Slavi. Ma fu solo nel VII secolo che le 
popolazioni slave, poi identificatesi quali serbe, si insediarono nella zona dei 
Balcani facendo emigrare la popolazione autoctona. Nel 1219 il monaco Sava, 
fratello del primo re serbo Stefan Prvovencani, fondò la chiesa serba con 
l’arcidiocesi a Zica, nel nord della Serbia. La successiva espansione del regno 
serbo verso sud comportò anche il trasferimento dell’arcidiocesi a Pec, in 
Kosovo, per affermare il dominio sui territori conquistati
4
.  
Il controllo serbo del Kosovo durò fino alla storica battaglia di Kosovo Polje, 
detta anche battaglia della “Piana dei merli”, che fu combattuta il 28 giugno 
1389 dai cristiani, guidati dallo zar dei serbi Lazar, contro i turchi di Murad I, nel 
tentativo di arrestare l’espansione ottomana. La sconfitta cristiana portò alla 
conquista turca dei Balcani, da allora l’episodio della battaglia è entrato a far 
parte della cultura e dell’epica popolare delle popolazioni slave meridionali. Il 
cosiddetto “spirito del 1389” è centrale nella comprensione che i serbi, specie a 
livello popolare, hanno della questione del Kosovo anche ai giorni nostri. 
Questo spirito è inteso come la resistenza serba all’annientamento, secondo 
                                                                                                                                                                                                       
ceppo diverso da quello slavo e greco, è in genere considerata l’elemento più probante della 
discendenza degli albanesi da antichi popoli preesistenti nei Balcani.  
4
 La conquista serba è provata dalla presenza di numerosi monasteri e chiese serbe 
concentrate nel nord del Kosovo. I serbi rivendicano quella terra considerata (soprattutto dalla 
chiesa ortodossa) come la “culla della civiltà serba”. Nel 1767, comunque, venne soppresso il 
patriarcato di Pec sotto pressione del clero greco. 
  9 
categorie non tanto storiche quanto mistiche. Si tratta di salvare il popolo serbo 
quale “popolo celeste”, in forza della sua fede e della sua tragica storia di 
martirio. La tradizione popolare vuole che il re Lazar, prima di trovare la morte 
nella “Piana dei merli”, abbia avuto una visione della “Gerusalemme celeste” e, 
posto innanzi all’interrogativo su quale regno scegliere, il terreno o il divino, egli 
scelse il regno celeste, ottenendo così insieme al suo esercito il martirio e la 
vittoria eterna. Questa scelta di Lazar è stata considerata dalla Chiesa 
ortodossa come il momento decisivo della storia serba. 
Nel 1444 Giorgio Castriota, detto “Scandemberg
5
”, divenne il capo della 
resistenza albanese all’espansione turca. Egli riuscì a fermare l’avanzata degli 
ottomani in più occasioni fino alla sua morte avvenuta nel 1467. La successiva 
conquista ottomana costrinse parte della popolazione albanese a emigrare 
verso il sud dell’Italia.  
Dal secolo successivo in poi inizia, invece, quella decisiva mutazione che 
porterà i serbi ad essere una minoranza nel Kosovo fino ai giorni nostri.  Infatti, 
dopo il fallito assedio da parte dei turchi di Vienna del 1683, la controffensiva 
austriaca con l’aiuto dei serbi
6
 arrivò fino al Kosovo, cuore dell’Impero 
ottomano. La successiva ritirata dell’esercito austriaco determinò, però, 
un’ondata di emigrazione serba dal Kosovo, sotto la guida del loro capo 
                                                          
5
 Giorgio Castriota (Gjergj Kastriot 1405-1468), detto “Scandemberg”, che significa “nobil 
uomo Alessandro”, è l’eroe nazionale albanese che nel XV secolo combatté ripetutamente 
contro i turchi, impedendo l’occupazione dell’Albania.  
6
 I serbi e i cristiani ortodossi collaborarono con gli eserciti asburgici, che erano considerati 
come dei liberatori contro l’oppressore musulmano. 
  10 
spirituale e politico Arsenio III
7
. L’espansione del popolamento albanese del 
Kosovo, avvenne quindi per la graduale occupazione del territorio lasciato 
libero dai serbi a causa della dominazione ottomana
8
. Sotto il dominio turco il 
Kosovo fu una delle quattro unità amministrative albanesi dell’Impero. La 
popolazione albanese da questo periodo fino al XVIII secolo venne sottoposta 
ad un profondo processo di islamizzazione.   
Le guerre austro-turche del 1715-1718 portarono la Serbia a cadere, invece, 
sotto il dominio austriaco. Nel 1739, però, il trattato di Belgrado sancì 
formalmente la riconquista ottomana della Serbia. In realtà, l’occupazione turca 
avvenne solo nel 1813 a seguito della violenta e sanguinosa repressione della 
rivolta serba iniziata nel 1804, durante la quale i turchi si servirono delle ostilità, 
da loro stessi fomentate, tra le popolazioni cristiane ortodosse (serbi) e quelle 
islamizzate (albanesi); in particolare, sembra che il sultano del Kosovo adottò 
la politica di spostare i contadini serbi dalla zona critica del Lab
9
, per destinare 
le terre agli albanesi. 
                                                          
7
 La “Velika Seoba”, cioè la marcia dei serbi verso il nord oltre il Danubio, campeggia così 
tanto nell’epica del popolo serbo, che nel patriarcato ortodosso di Belgrado l’episodio è, 
d’altronde, raffigurato nell’affresco centrale della sala del sinodo. 
8
 La teoria serba del “vuoto etnico” del Kosovo seicentesco colmato dagli albanesi, grazie al 
favore del dominatore ottomano, non è accettata da questi ultimi. La risposta dell’etnografia 
albanese conosce due tempi: in un primo tempo, gli studiosi albanesi sostennero la tesi del 
“ritorno” a casa propria della popolazione albanese dopo essere stati scacciati secoli prima dai 
serbi; dagli anni ’70 in poi storici, geografi, demografi ed etnografi albanesi, esponenti 
finalmente di una propria cultura accademica, hanno contestato radicalmente la teoria del 
“vuoto etnico”, sostenendo che i serbi non sarebbero apparsi in Kosovo prima del IX secolo. 
Da allora, seppur sotto il dominio serbo, la maggioranza della popolazione del Kosovo sarebbe 
rimasta sempre albanese.  
9
 Il Lab si trova nel nord-est del Kosovo. 
  11 
Nel 1815, dopo il congresso di Vienna, si assistette ad una nuova insurrezione 
serba antiturca, guidata da Milos Obrenovic
10
, che costrinse gli ottomani ad 
accordare ai serbi, seppur sotto la sovranità del sultano, una maggiore 
autonomia. Nel 1830 la Serbia divenne, invece, un principato autonomo sotto 
la sovranità ottomana e la protezione russa.  
Nel 1876 la Serbia, in appoggio agli insorti della Bosnia, dichiarò guerra alla 
Turchia, ma fu salvata dalla sconfitta solo dall’intervento della diplomazia 
russa. Il trattato di Berlino, conclusione della guerra russo-turca del 1877-78, 
decretò l’indipendenza della Serbia, la quale comportò anche una spietata 
mutilazione del territorio albanese a favore degli slavi del sud (Serbia e 
Montenegro) e dei greci. Nel 1878, inoltre, la neoindipendente Serbia costrinse 
gli abitanti albanesi di 700 villaggi fra Prokuplje e Nish ad emigrare in Turchia. 
Nello stesso anno, nel sud del Kosovo, si costituì la “Lega di Prizren
11
”, centro 
del movimento nazionale di tutti gli albanesi il cui scopo risiedeva nella 
liberazione nazionale. Nel 1880 la “Lega di Prizren”, sotto la guida di Abdyl 
Frashri, rivendicò la costituzione di uno Stato autonomo, autodichiarandosi 
                                                          
10
 Milos Obrenovic partecipò prima alla ribellione di Karadjordie ma, in un secondo tempo, 
aiutò i turchi nella pacificazione del paese, ricevendo in cambio degli incarichi governativi. Le 
atrocità commesse dai turchi nell’occupazione del 1813 convinsero però Obrenovic a 
combattere nuovamente per l’indipendenza della Serbia. Il successo dell’insurrezione del 
1815, ma soprattutto l’assassinio del vecchio rivale Karadjordje, consacrarono Milos 
Obrenovic come principe di Serbia. La nascita del Principato di Serbia decretò l’inizio della 
rivalità tra le due dinastie Obrenovic e Karadjordje, che per un secolo circa, tra colpi di stato, 
congiure e attentati, vedrà  su dieci sovrani serbi quattro deposti e tre assassinati. 
Nel 1839, tuttavia, Obrenovic sarà costretto ad abdicare dopo una serie di rivolte interne 
dovute ai suoi metodi autocratici. 
11
 La Lega di Prizren (città del Kosovo), che diede l’avvio al movimento di liberazione 
nazionale, si richiamò al nome fatidico di “Scandemberg”. 
  12 
“governo provvisorio dell’Albania”. L’anno successivo, però, l’Impero ottomano 
riconquistò tutti i territori occupati dagli albanesi del Kosovo e della Macedonia 
occidentale, ponendo così fine alle rivendicazioni della “Lega di Prizren”, che 
da quel momento dovette continuare la sua attività in forma illegale. Tuttavia 
dal 1909 al 1912, in seguito ad una nuova sommossa, il movimento nazionale 
albanese riuscì a controllare ancora parte del Kosovo e ad occupare Shkup 
(attuale Skopje). Le due guerre balcaniche turbarono definitivamente la vita del 
popolo albanese: infatti, il 30 maggio 1913, una clausola del trattato di pace
12
, 
stipulato tra la vinta Turchia e i vittoriosi Stati balcanici, riconobbe 
l’indipendenza dell’Albania, le cui frontiere
13
 del nord e dell’est lasciarono, però, 
almeno mezzo milione di albanesi al di fuori della nazione a vantaggio della 
Serbia (Kosovo) e del Montenegro.  
 
             2. Dalla prima guerra mondiale alla morte del Maresciallo Tito 
Durante la prima guerra mondiale, il Kosovo venne, in un primo momento, 
temporaneamente occupato e spartito fra gli eserciti austro-ungarico e bulgaro, 
ma successivamente fu riconquistato dalle truppe serbe. La pace di Versailles 
del 1919 vide l’assegnazione del Kosovo e della Macedonia al neocostituito 
Regno jugoslavo
14
 senza tenere conto delle rispettive maggioranze, quella 
                                                          
12
 Alla fine della prima guerra balcanica, il trattato di Londra escluse dal territorio albanese il 
Kosovo, assegnandolo, invece,  alla Serbia. 
13
 L’Albania era chiara vittima della geopolitica e, in particolare, delle manovre di Russia e 
Regno Austro-ungarico.  
14
 Il 1° dicembre 1918, Alexander Karadjordjevic, principe reggente serbo, proclamò la 
fondazione del “Regno di Serbi, Croati e Sloveni”. 
  13 
albanese e quella macedone
15
. Nel “Regno di Serbi, Croati e Sloveni” (Shs), 
durante il ventennio successivo, si assistette alla sistematica violenza e 
oppressione nei confronti della minoranza albanese
16
, alla quale non era stato 
riservato alcun diritto.  
La costituzione di Vidovdan del 1921, opera del Primo Ministro Pasic, leader 
dei radicali serbi, impose, infatti, un forte potere centrale e la supremazia serba 
sul regno intero.  
Il 25 marzo 1941 la Jugoslavia aderì al Patto Tripartito, ma già due giorni dopo, 
in seguito ad un colpo di stato, venne deposto il firmatario principe Pavle e fu 
dichiarata la maggiore età di re Petar.  Hitler capì immediatamente che quello 
era il momento propizio per sferrare l’attacco decisivo, così il 6 aprile invase la 
Jugoslavia. L’avanzata delle truppe nazi-fasciste, accompagnata anche da 
bombardamenti aerei su Belgrado, fu rapida di fronte alla mancanza di una 
qualsiasi forma di organizzazione dell’esercito jugoslavo. La fuga di re Petar a 
Londra nonché la resa dell’Alto comando jugoslavo determinarono, infine, la 
costituzione nella regione, dal 1941 al 1943, di un protettorato italiano con il 
Kosovo e la parte occidentale della Macedonia, che furono prima occupati 
dall’Italia e successivamente unite all’Albania
17
. In seguito, però, i territori 
                                                          
15
 Il Trattato di Versailles stabilì i confini del neocostituito “Regno di Serbi, Croati e Sloveni”. 
Mentre gli Sloveni della Carinzia decisero del proprio destino attraverso un plebiscito (la 
maggioranza votò a favore dell’Austria); la Macedonia e il Kosovo furono direttamente 
assegnati al nuovo regno, nonostante le richieste in senso contrario della delegazione 
albanese. 
16
 Dal 1925 al 1927, infatti, circa 5.000 albanesi furono forzatamente trasferiti in Turchia dalle 
autorità di Belgrado. 
17
 Nel corso della seconda guerra mondiale, seppur con l’occupazione italiana, si realizzava 
l’ideale unitario della popolazione albanese con il Kosovo unito all’Albania. In questa regione i 
  14 
albanesi furono occupati dalle truppe tedesche, ma l’unità amministrativa delle 
regioni albanesi continuò comunque in vista della creazione di una “Grande 
Albania”. Dal 31-12-1943 al 2-1-1944 si tenne una conferenza, a Bujane (vicino 
a Prizren), con la partecipazione dei comunisti kosovari e albanesi, che si 
pronunciarono a favore della riunificazione del Kosovo con l’Albania al termine 
della guerra. Nel 1945 gli albanesi del Kosovo furono forzatamente mobilitati
18
 
contro l’occupazione italo-tedesca dai partigiani di Josip Broz, detto “Tito”, 
leader della resistenza unita dei popoli jugoslavi. La fine della seconda guerra 
mondiale e la vittoria delle forze titoiste sul fronte nazionalista albanese, Balli 
kombetar, portarono il Kosovo ad essere nuovamente inglobato nella nuova 
Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia del Maresciallo Tito. All’interno 
della dirigenza comunista jugoslava venne allora affrontato il problema sulla 
scelta dell’unità federale alla quale sarebbe stato annesso il Kosovo. L’idea 
dominante fu sempre quella dell’annessione alla Serbia, nonostante ci fosse 
stato anche l’interessamento di Macedonia e Montenegro. Nell’aprile del 1945 
anche i due delegati del “Consiglio di liberazione nazionale” del Kosovo, che 
                                                                                                                                                                                                       
fascisti assegnarono ai kosovari albanesi numerosi poderi di proprietà delle famiglie serbe, 
impegnate nella Resistenza, allo scopo di ottenere consenso. In questo modo non si fece altro 
che alimentare future tensioni etniche. Terminata la guerra toccò a Tito ritornare allo status 
quo ante, ripristinando i diritti pre-bellici violati dei proprietari serbi e montenegrini, che 
ritenevano tra l’altro di dover cogliere i frutti di una vittoria conquistata, a differenza degli 
albanesi, sul campo. 
18
 Durante la seconda guerra mondiale il Partito comunista jugoslavo (Pcj), attraverso una 
serie di comunicati, invitò gli albanesi kosovari ad allearsi alla lotta antifascista con la 
promessa di potersi pronunciare, attraverso referendum, sulla scelta della nazione alla quale 
essi avrebbero voluto appartenere (Jugoslavia o Albania). Dopo la fine della guerra, però, tale 
promessa non venne mantenuta ed il Kosovo dovette accontentarsi dello statuto di provincia 
autonoma. 
  15 
parteciparono all’Assemblea di liberazione antifascista serba, si dichiararono 
favorevoli a diventare una provincia della Serbia.  
Il “Consiglio regionale del popolo”, organo non eletto, che rappresentava 2.250 
rappresentanti del Kosovo, ma che in realtà era costituito da soli 33 albanesi su 
142 membri totali, deliberò la risoluzione di annessione alla Serbia senza 
votazioni e senza interventi sull’argomento. La presidenza dell’Assemblea del 
popolo della Serbia approvò quindi una legge, datata 3 settembre 1945, che 
istituì la regione autonoma
19
 serba del “Kosovo-Metohija”.  
Nel ventennio successivo, la polizia jugoslava, comandata dal Ministro degli 
Interni Alexander Rankovic
20
, intraprese una durissima repressione della 
popolazione albanese che vide la deportazione di intellettuali e centinaia di 
morti. Questa situazione era in parte dovuta anche alla rottura fra Tito e Stalin 
del 1948; infatti, Enver Hoxha, che negli anni precedenti aveva strettamente 
collaborato con Tito in vista della formazione di una “Federazione balcanica” 
formata da Jugoslavia, Albania e Bulgaria, rimase fedele a Mosca, diventando 
particolarmente critico riguardo alla politica jugoslava in Kosovo. La polizia 
segreta jugoslava “Udba”, sospettando un’infiltrazione di sabotatori nella 
                                                          
19
 La differenza tra regione (oblast) e provincia (prokrajina) non è stata mai definita sul piano 
legale. Tuttavia, si ritiene che la provincia occupi un grado gerarchico più alto rispetto alla 
regione. 
20
 Alexander Rankovic, membro della direzione del Pcj, Ministro degli Interni e della sicurezza 
per la Jugoslavia, avviò nel ventennio, che va dal ’46 al ’66, una vera e propria campagna di 
terrorismo di stato nei confronti dell’etnia albanese. La polizia jugoslava, attraverso le 
cosiddette “operazioni di disarmo”, perquisiva e maltrattava gli albanesi con il pretesto di 
ricercare armi. 
  16 
regione da parte di Hoxha, iniziò un’ossessionante ricerca delle armi tra gli 
albanesi
21
.  
Nel 1963, intanto, era stata approvata la nuova costituzione jugoslava che 
concedeva ad ogni repubblica il diritto di costituire “provincie autonome” di 
propria iniziativa. L’Assemblea serba istituì le “provincie autonome” del Kosovo 
e della Vojvodina. Il destino costituzionale del Kosovo si trovò, così, per la 
prima volta, a dipendere direttamente dalle decisioni della Repubblica di 
Serbia. 
Nel luglio del 1966 la “riunione di Brioni”, quarto congresso del Partito 
comunista jugoslavo (Pcj), segnò, però, una svolta decisiva nella politica 
jugoslava con l’allontanamento del Ministro degli Interni jugoslavo Rankovic, 
che fino ad allora aveva diretto la politica di sicurezza nazionale in chiave 
decisamente anti-albanese. Questa critica alla polizia politica annunciò un 
periodo di disgelo e di moderato liberalismo nella vita pubblica in Jugoslavia. 
Nel dibattito che ne seguì, si posero così le basi per un futuro ordinamento 
costituzionale che potesse finalmente cogliere le rivendicazioni degli albanesi.  
La nuova costituzione del 1974
22
 della Jugoslavia riconobbe, infatti, al Kosovo 
lo status di “provincia autonoma” con una propria costituzione, un proprio 
                                                          
21
 Il caso più eclatante fu il cosiddetto “processo Prizren”, che si tenne a porte chiuse a Prizren 
nel giugno e luglio del 1956. I capi dell’Ubda affermarono di aver scoperto una rete di spie e 
agenti infiltrati dall’Albania in Kosovo. Nonostante non fosse stata presentata alcuna prova 
materiale, tutti i nove accusati, tra cui Maljoku, direttore di Rilindja, e il nipote di Mehmed 
Hoxha, furono condannati a lunghe pene detentive.  Dopo dodici anni tutti i condannati furono 
liberati e proclamati innocenti, e allora l’Assemblea del Kosovo decise di votare una 
risoluzione di condanna per dichiarare il processo una “messa in scena menzioniera”. 
22
 L’art. 1 della nuova costituzione del 1974 definiva la Repubblica Socialista Federativa della 
Jugoslavia (Sfrj) come “uno Stato Federale di popoli liberi e delle loro repubbliche socialiste 
  17 
governo, un parlamento, una magistratura e un sistema scolastico, nonché 
altre istituzioni del tutto indipendenti da quelle serbe. Tito, d’altronde, 
pienamente consapevole della minaccia che gravava sull’unione della 
Jugoslavia da parte di una grande Serbia
23
, decise di individuare al suo interno 
due provincie non contigue: la Vojvodina nel nord e il Kosovo nel sud. Tale 
divisione lasciò circa un terzo della popolazione serba al di fuori della propria 
regione e una maggioranza albanese nella provincia autonoma del Kosovo.  
                                                                                                                                                                                                       
nonché delle provincie autonome del Kosovo e della Vojvodina collocate nella Repubblica 
Serba”. L’art. 4 proclamava che: “popoli e nazionalità hanno uguali diritti”. All’art. 5 veniva 
sancito che le frontiere della Sfrj non potevano essere modificate senza il consenso delle 
repubbliche e delle provincie autonome. Infine, l’art. 321 prevedeva che la Presidenza dello 
Stato, in quanto organo supremo di governo, fosse composta da un rappresentante di ogni 
repubblica e provincia autonoma. Era ciò che la dirigenza del Kosovo aveva chiesto, cioè la 
piena equiparazione della provincia alle altre repubbliche; veniva respinta, invece, la richiesta 
di integrare nel Kosovo anche le zone albanesi del Montenegro e della Macedonia. In Kosovo 
e in Voivodina si diedero una propria costituzione in conformità con quella serba e quella 
federale. I consigli provinciali potevano approvare proprie leggi, istituire una propria 
magistratura autonoma e le stesse strutture politiche delle repubbliche. Nel “Consiglio delle 
repubbliche e delle provincie”, la camera delle nazionalità a livello federale e le provincie erano 
rappresentate con proprie delegazioni. Elemento fondamentale delle modifiche costituzionali 
era la possibilità di stabilire diritti e doveri delle province nel rispetto della loro natura 
autonoma, senza dover derivare dalle leggi della repubblica serba. 
23
 Attraverso successivi cambiamenti costituzionali, tra il 1945 e il 1974, la Jugoslavia titoista si 
trasformò in uno Stato federale (Federazione di sei repubbliche). Durante tale processo la 
sovranità si spostò dagli organi della federazione verso le repubbliche. Questa 
decentralizzazione sarà considerata da certi politologi serbi, ma soprattutto dai nazionalisti 
serbi, come la causa della futura disgregazione jugoslava. In effetti, la versione centralista ed 
unitaria della Jugoslavia era considerata tradizionalmente dai politici serbi come un modo di 
realizzare l’unità degli interessi dei serbi abitanti delle diverse unità federali. Invece, le classi 
politiche delle altre repubbliche, compreso Tito, vedevano la stabilità della Jugoslavia, 
“mosaico di popoli”, all’interno di un modello federale il più flessibile possibile, che avrebbe, 
così, evitato il pericolo di un’egemonia della Serbia sulle altre repubbliche e province.