La democrazia nell’impresa. Il Biennio Rosso in Italia e la teoria economica di oggi. 
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una pianificazione centralizzata basata su un sistema di prezzi che tenga conto delle 
preferenze individuali è possibile, nonostante nel dibattito non si sia discusso del 
problema degli incentivi. Naturalmente grande attenzione è stata riposta sugli 
avvenimenti storici del biennio 1919 - 1920, con le lotte di classe, gli scioperi, 
concentrati soprattutto nelle città del nord Italia. In quegli anni, un giovane gruppo di 
intellettuali guidato da Antonio Gramsci fondò la rivista “L’Ordine Nuovo”, dalle cui 
pagine è stata promossa la teoria dei Consigli di Fabbrica ed è stato sferrato un duro 
attacco all’immobilismo del Partito Socialista, reo di non aver educato e guidato le 
masse operaie e contadine alla conquista del potere politico e sociale. 
E’ stata in seguito analizzata la moderna teoria economica delle cooperative di 
produzione, alla luce dei contributi più recenti e tenendo conto delle critiche che le sono 
state mosse. 
Infine sono stati sottolineati i benefici che può comportare il passaggio ad un sistema di 
imprese democratiche alla luce di valutazioni teoriche ma soprattutto delle esperienze 
concrete, prima tra tutte quella di Mondragon. 
I Capitolo - La cooperazione. 
 6
 
I Capitolo 
 
La cooperazione 
 
1.1 – Le origini del sistema cooperativo 
 
L'idea delle cooperative di produzione nacque dal pensiero socialista delle origini e dal 
social - riformismo, orientato verso la ricerca di una soluzione per la complessa 
questione sociale dell’epoca. Padre del movimento cooperativo viene considerato 
Robert Owen, fortemente condizionato dalle dure condizioni di vita cui erano sottoposti 
gli operai inglesi negli anni della rivoluzione industriale, tra il XVIII ed il XIX secolo. 
Convinto che l’ambiente esercitasse un'influenza decisiva sulla formazione del carattere 
e che il sistema industriale avesse le risorse per funzionare al meglio senza bisogno di 
un eccessivo sfruttamento dei lavoratori o dell'esasperazione della concorrenza, Owen 
cercò di promuovere delle nuove forme di organizzazione sociale che consentissero 
l’abolizione del sistema del profitto, basato sulla libera concorrenza, causa di 
comportamenti spregevoli e cinici da parte degli imprenditori. Pertanto auspicò la 
creazione di attività produttive capaci di reinvestire gran parte dei propri profitti sia per 
l’ampliamento delle strutture produttive che per il miglioramento delle condizioni di 
vita degli operai. Importante contributo all’ideale cooperativo venne anche da Giuseppe 
La democrazia nell’impresa. Il Biennio Rosso in Italia e la teoria economica di oggi. 
 7
Mazzini, il quale sottolineò la necessità di liberare i lavoratori dal “giogo del salario”
1
, 
perché potessero appropriarsi dell’intera produzione, e vide nella cooperazione un 
principio generale dell'organizzazione sociale grazie al quale capitale e lavoro 
avrebbero dovuto confluire in un’unica mano. Risultato da conseguire attraverso 
strutture organizzative alle quali i lavoratori avrebbero partecipato, con eguali diritti e 
doveri, per la nomina degli amministratori e la ripartizione degli utili. Nella seconda 
metà del XIX secolo la nascita e lo sviluppo delle cooperative erano oggetto di analisi 
dei movimenti socialisti dei principali paesi europei. Nel congresso della I 
Internazionale socialista, tenutosi a Ginevra nel 1866, le cooperative di produzione 
trovarono ampio sostegno da parte dei leaders socialisti. 
Il cooperativismo nacque dunque dall’esigenza di individuare un’alternativa al 
capitalismo. Anche se lo sviluppo successivo del sistema cooperativo ebbe nella 
contraddizione tra il carattere altruistico che connotava le imprese cooperative e la 
necessità di superare il capitalismo, caratterizzato invece dalla mera ricerca del profitto, 
una zavorra che ne impedì la piena affermazione. Risultato, quest’ultimo, che poteva 
conseguirsi solo facendo leva sulla natura egoistica dell’uomo, vista l’incapacità di 
un’organizzazione fondata esclusivamente sull’altruismo e sulla solidarietà di superare, 
sul piano dell’efficienza, la struttura produttiva capitalistica. 
Un passo in avanti si sarebbe potuto compiere grazie alle cooperative di produzione, 
imprese economiche che perseguono un interesse comune e con un’attività produttiva 
strutturata in modo tale da trarre il massimo beneficio collettivo dei soci dallo sforzo del 
singolo di aumentare il proprio reddito. Il perseguimento del massimo vantaggio 
                                                 
1
 cfr. Mazzini G.: Scritti editi ed inediti, Imola (1935). 
 
I Capitolo - La cooperazione. 
 8
individuale è accompagnato inevitabilmente dalla massimizzazione del reddito 
complessivo dell’impresa. In questo modo si permette di conciliare il ruolo 
anticapitalistico dell’impresa cooperativa, nonostante l’intento lucrativo, con la sua 
natura solidale. Purtroppo però l’evoluzione del sistema cooperativo imboccò una strada 
differente, per via della forte avversione nei confronti del sistema concorrenziale e dello 
scopo di lucro. Il consenso degli economisti verso il sistema cooperativo si tramutò 
presto in delusione. Una delle principali cause fu la nascita del “marginalismo”, 
all’origine di un’importante rivoluzione della scienza economica, e motivo d’ispirazione 
di un famoso articolo dell’economista italiano Maffeo Pantaleoni, secondo cui “le 
imprese cooperative, siano esse quelle di consumo, o siano esse quelle di produzione, 
sono imprese economiche…che tendono a conseguire fini prettamente economici in 
modo economico, cioè sono organizzazioni tendenti a produrre beni economici con un 
costo minore di quello che con altri mezzi si potrebbe, a vantaggio di coloro che 
dell’impresa sono soci”
2
. Pantaleoni ne deduceva la mancanza di caratteristiche che 
potessero definirsi tipiche delle cooperative. 
Conseguenza del raffreddamento degli entusiasmi per il sistema cooperativo fu 
l’adozione della cooperativa di consumo quale modello di riferimento. In essa l’attività 
dei soci era indirizzata al conseguimento del massimo vantaggio collettivo, inteso come 
soddisfacimento dei bisogni dei singoli, attraverso l’esclusione dell’intermediazione 
dell’imprenditore ed il lucro del capitalista. 
                                                 
2
 cfr. Pantaleoni M.: Esame critico dei principi teorici della cooperazione, (1898). 
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1.2 – L’esperienza dei Pionieri di Rochdale 
 
Forme di cooperazione spontanea sono sempre esistite, ma per individuare la nascita di 
un vero e proprio movimento cooperativo organizzato, in cui l'associazione fra le 
persone si basa sulla volontaria e cosciente condivisione di ideali comuni, bisogna 
risalire agli inizi dell’Ottocento. La rivoluzione industriale verificatasi tra il Settecento e 
l'Ottocento, infatti, aveva trasformato milioni di individui in operai salariati, 
sottoponendoli a ritmi di lavoro disumani in cambio di paghe da fame ed esponendoli 
all’arbitrio degli industriali anche per colpa di leggi che proibivano ogni organizzazione 
sindacale. Proprio per aggirare queste inique leggi, in Inghilterra, il paese nel quale 
l'industrializzazione aveva raggiunto il suo massimo sviluppo, gli operai cominciarono a 
creare delle “Società di Mutuo Soccorso”, organizzazioni in cui le attività di carattere 
solidaristico (in particolare sostegno ai membri momentaneamente disoccupati e 
l'assistenza alle famiglie più bisognose) si accompagnavano ad attività di tipo sindacale 
e rivendicativo. La prima cooperativa di consumatori in senso moderno fu la “Rochdale 
Pioneers Society”, la Società dei Probi Pionieri di Rochdale fondata nel 1844 da 
ventotto tra operai tessili e artigiani che, unendo i loro averi (circa una sterlina a testa), 
si associarono con l’obiettivo iniziale di aprire uno spaccio cooperativo dove anche i più 
poveri potessero acquistare i generi di prima necessità. Si trattò di una cooperativa di 
consumo, il cui fine non era quello del profitto, bensì il vantaggio dei soci, attraverso la 
vendita di merci ad un prezzo inferiore rispetto a quello applicato dalle altre imprese. Lo 
scopo principale perseguito fu di “adottare provvedimenti per assicurare il benessere 
I Capitolo - La cooperazione. 
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materiale e migliorare le condizioni familiari e sociali dei soci...”
3
. Attraverso l’unione 
delle loro forze i Pionieri cercarono di difendere il potere d'acquisto dei loro magri 
salari, e gli eventuali profitti ricavati dallo spaccio avrebbero potuto essere impiegati per 
creare nuovi posti di lavoro per i soci in difficoltà. L'iniziativa ebbe successo, e fu 
rapidamente seguita dall'apertura di una macelleria, poi di un negozio di stoffe e quindi 
di un mulino. L’esperimento, riuscito, a differenza di altri simili tentati in precedenza, 
rappresentò un primo punto di rottura con il modello di cooperativa teorizzato da Owen 
per via dell’accettazione del mercato, e dovette il suo successo soprattutto all’idea, 
rivelatasi vincente, di “fidelizzare” i soci attraverso il meccanismo della ripartizione 
degli utili in proporzione agli acquisti, ossia al numero delle operazioni effettuate con la 
Società. Il più importante merito dei Pionieri di Rochdale fu quello di fissare nel loro 
statuto i principi fondamentali che tutt’oggi ispirano l’intero movimento cooperativo: 
• Adesione libera e volontaria; 
• Controllo democratico; 
• Interesse limitato sul capitale; 
• Ristorno; 
• Neutralità politica e religiosa; 
• Vendita per contanti; 
• Sviluppo dell’educazione. 
Il principio dell’adesione viene comunemente definito della “porta aperta”. Garantisce 
l’autonoma e libera adesione ad una società cooperativa a tutti coloro i quali possono 
utilizzare i suoi servizi e si assumono le relative responsabilità, senza discriminazione 
alcuna. I Pionieri furono i primi a promuovere concretamente la parità dei sessi, 
                                                 
3
 cfr. www.confcooperative.it 
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 11
riconoscendo il diritto di proprietà anche alle donne, non contemplato dalle leggi 
dell'epoca. Il controllo democratico si fonda sul principio “una testa, un voto” con cui è 
garantita la partecipazione paritaria riguardo alle decisioni societarie. Gli amministratori 
sono nominati secondo procedure approvate dai soci dinanzi ai quali sono responsabili. 
I residui e tutto quanto risulta dall’attività della cooperativa appartengono ai soci e 
vanno ripartiti in modo predefinito, attraverso l’attribuzione a ciascun lavoratore di una 
percentuale predeterminata del reddito finale d’impresa. Lo sviluppo dell’educazione 
comporta lo stanziamento di fondi per la promozione dei principi e dei metodi della 
cooperazione. 
A partire dall'esperienza di Rochdale il movimento cooperativo si estese ben presto, 
seppur sotto numerose forme, a tutta l'Europa e al resto del mondo. 
I Capitolo - La cooperazione. 
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1.3 – Marx e la cooperazione 
 
In una lettera del 1886 Engels scrisse che né lui né Marx “avevano mai dubitato che in 
caso di passaggio all’economia comunista, sarebbe stato necessario utilizzare su 
larga scala l’impresa cooperativa come gradino intermedio”
4
. Nel Capitale lo stesso 
Marx sottolineò come la cooperazione dovesse essere considerata una “precondizione” 
del socialismo all’interno della società capitalistica: “Le fattorie cooperative dei 
lavoratori rappresentano all'interno delle vecchie forme i primi germogli delle nuove, 
sebbene esse naturalmente riproducano, e devono riprodurre, ovunque, nella loro 
attuale organizzazione, tutti i limiti del sistema dominante”
5
. In occasione della I 
Internazionale del 1866 Marx indicò quale merito più importante del sistema 
cooperativo quello di “mostrare praticamente che l’impoverimento presente e il 
sistema dispotico della subordinazione del lavoro al capitale può essere sostituito dal 
sistema repubblicano a beneficio dell’associazione di produttori liberi ed eguali”
6
. Il 
sistema di cooperazione a cui fece riferimento era un sistema di mercato in cui i 
lavoratori diventavano “capitalisti di se stessi”, determinando dunque la fine del potere 
dei capitalisti di decidere sull’attività produttiva. Il sistema di produzione di 
riferimento, nonostante avesse natura mercantile, permise la realizzazione della 
democrazia economica, componente fondamentale della democrazia politica. 
Quest’ultima, infatti, non è da sola capace di impedire la concentrazione di tutto il 
potere nelle mani dei capitalisti. Marx vide nelle cooperative delle nuove forme di 
gestione democratica delle imprese e delle organizzazioni che avrebbero permesso una 
                                                 
4
 cfr. Engels F.: “Lettera a Bebel del 20-23 gennaio”, (1886). 
5
 cfr. Marx K.: Il Capitale, vol. III, trad. it., Editori Riuniti, Roma, (1894). 
6
 cfr. Marx K. - Engels. F.: Opere Complete, vol. XX, Editori Riuniti, Roma (1864-1868). 
La democrazia nell’impresa. Il Biennio Rosso in Italia e la teoria economica di oggi. 
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transizione graduale dal sistema di produzione capitalistico a quello socialista, pur 
conservando alcune pecche tipiche del capitalismo, tra cui il carattere anarchico della 
produzione e tutti i difetti di un’economia di mercato. Marx ed Engels hanno varie 
volte incoraggiato il movimento cooperativo, principalmente le cooperative di 
produzione, non tanto per i loro risultati pratici quanto piuttosto perché consolidavano 
l'idea che i proletari avrebbero potuto, senza problemi, fare a meno dei capitalisti. È 
per questo che ne sottolinearono i limiti, evidenziando che esse rischiavano di cadere 
più o meno direttamente sotto il controllo della borghesia. La loro preoccupazione era 
di evitare che le cooperative non deviassero gli operai dalla prospettiva rivoluzionaria, 
dalla necessità della conquista del potere su tutta la società. L’evoluzione spontanea, 
infatti, non permetteva la creazione di spinte sufficienti perché le imprese potessero 
divenire gradualmente tutte cooperative. Singole cooperative o anche gruppi 
cooperativi di formazione spontanea non erano in grado di vincere da soli la 
concorrenza dei monopoli capitalistici, e non erano, pertanto, in grado di liberare le 
masse dall’oppressione capitalistica. Marx ritenne fondamentale l’aiuto dello Stato, 
possibile solo nel caso in cui gli oppositori del capitalismo avessero conquistato il 
potere politico. Conquista che a suo parere doveva realizzarsi attraverso un processo di 
lunga durata, in cui la trasformazione della società richiedeva innanzitutto la negazione 
delle caratteristiche della società capitalistica. Prima tra tutte la subordinazione del 
lavoro al capitale: il carattere egualitario delle cooperative, frutto della realizzazione 
della democrazia economica, permetteva l’adozione di qualsiasi decisione secondo il 
principio “una testa, un voto”. 
A partire dalla seconda metà degli anni ’70 però, Marx perse gran parte dell’interesse 
manifestato negli anni precedenti nei confronti del movimento cooperativo. Una delle 
I Capitolo - La cooperazione. 
 14
ragioni principali fu il fallimento della Comune di Parigi, seguito da una serie di altri 
risultati negativi del sistema. La caratteristica fondamentale della Comune di Parigi per 
Marx era il fatto che essa “forniva alla repubblica la base per vere istituzioni 
democratiche” determinando “l’emancipazione economica dei lavoratori” e 
garantendo “l’espropriazione degli espropriatori”
7
. Soltanto la conquista del potere 
politico avrebbe permesso una completa emancipazione dei lavoratori, 
indipendentemente dalle modalità con cui un simile risultato sarebbe stato conseguito. 
Marx ritenne grave la mancata organizzazione di elezioni democratiche da parte dei 
responsabili della Comune. Engels evidenziò come l'assenza di un esercito, 
l'autogestione dei quartieri, ed altre caratteristiche, erano la dimostrazione della 
particolare natura della Comune: non poteva essere considerata più uno “stato” nel 
senso vecchio e repressivo del termine, bensì una forma transitoria, che si muoveva in 
direzione dell'abolizione dello stato in quanto tale. Altra causa della disillusione di 
Marx nei confronti del movimento cooperativo fu l’insuccesso delle cooperative di 
produzione, da lui più volte sostenute, perché le ritenne le uniche in grado di attaccare 
sino alle fondamenta la struttura organizzativa capitalistica. 
In seguito, per diverse ragioni, i contributi di Marx sulla cooperazione sono stati quasi 
dimenticati da parte dei marxisti. Alla mancata capacità delle cooperative di 
svilupparsi su larga scala, si accompagnò la considerazione che la proprietà degli 
strumenti di produzione in favore dei lavoratori non avrebbe garantito la realizzazione 
di un’effettiva transizione dal capitalismo al socialismo. Si può così comprendere per 
quale motivo Marx avesse coniato il detto “capitalisti di sé stessi” a proposito dei 
lavoratori soci di una cooperativa di produzione.  
                                                 
7
 cfr. Marx K.: La guerra civile in Francia, Roma, Editori Riuniti (1871). 
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Causa dell’oblio fu anche il ritardo con cui venne elaborata una teoria economica delle 
cooperative di produzione. Solo a seguito del contributo di Benjamin Ward fu 
possibile distinguere tra due tipi di cooperative di produzione, le W.M.F. e le L.M.F., 
ed individuare in quest’ultima il modello ideale ove i soci non sono proprietari dei 
mezzi di produzione e dunque non possono essere considerati “capitalisti di se stessi”. 
I Capitolo - La cooperazione. 
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1.4 – Le cooperative dei giuristi 
 
Il movimento cooperativo oggi esistente fa capo all’ICA, International Co-operative 
Alliance, organizzazione indipendente non governativa, fondata nel 1895, che si 
propone di unire, rappresentare e servire le cooperative di tutto il mondo. Priorità 
dell’organizzazione sono la promozione e la difesa dell’identità cooperativa, pur con la 
consapevolezza che l’impresa cooperativa è pienamente in grado di competere sul 
mercato. Impresa cooperativa che viene definita come un’associazione di persone 
unitesi volontariamente per realizzare i propri bisogni e le proprie aspirazioni sia 
economiche, sia sociali che culturali attraverso un’attività imprenditoriale collettiva e 
democraticamente organizzata. I principi guida del movimento cooperativo hanno la 
loro fonte primaria nello statuto della “Rochdale Pioneers Society”
8
, e si basano su 
valori ben definiti, come l’aiuto reciproco, la responsabilità, la democrazia, 
l’eguaglianza, l’equità e la solidarietà. Particolarmente apprezzata dal movimento 
cooperativo internazionale è stata l’analisi svolta da Fauquet, il quale affermò come il 
criterio di gestione di un’impresa cooperativa dovesse essere quello della “gestione di 
servizio”
9
, senza l’esigenza di produrre profitti, cercando piuttosto di evitare le perdite, 
e puntando al solo soddisfacimento dei bisogni dei soci. 
Per quanto riguarda la legislazione italiana, il primo comma dell’articolo 45 della nostra 
Costituzione recita “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a 
carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e 
favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, 
                                                 
8
 vedi paragrafo 1.2. 
9
 cfr. Fauquet G. : Il settore cooperativo, trad. it., Comunità, Milano, (1935). 
La democrazia nell’impresa. Il Biennio Rosso in Italia e la teoria economica di oggi. 
 17
il carattere e le finalità”. E’ il principio di mutualità che contraddistingue le cooperative 
oggi esistenti, non solo in Italia, ma in tutto il mondo occidentale. Sono definite “dei 
giuristi” perché nate da una particolare visione del movimento cooperativo quando, nel 
XIX secolo, dopo l’esperienza dei Pionieri di Rochdale, ancora la scienza economica 
non aveva elaborato una teoria economica ben definita. Il principio di mutualità, così 
come la necessità che la cooperativa operi senza alcuna finalità speculativa privata, è in 
evidente contrasto con la moderna teoria economica, perché non pone l’impresa nelle 
condizioni di poter operare in posizione paritaria con un’impresa capitalistica. Il sistema 
di cooperazione attualmente presente sul mercato può essere considerato come una sorta 
di “settore” del capitalismo, e non può dunque elevarsi al rango di metodo di 
produzione alternativo allo stesso, nonostante sia sorto e si sia evoluto in sua antitesi. 
Il codice civile richiede, all’articolo 2518, ai fini della costituzione di una cooperativa, 
oltre il rispetto dei requisiti indicati nello statuto della “Rochdale Pioneers Society”, la 
necessità di sottoscrivere il capitale da parte di ogni socio, seppur entro un valore 
monetario prestabilito; il limite della remunerazione del capitale, in considerazione della 
necessità di soddisfare gli interessi dei soci in quanto lavoratori, a differenza di quanto 
avviene nella cooperativa di produzione. L’obbligo di devolvere l’utile di esercizio, 
dopo aver remunerato i soci ed il capitale, a riserve indisponibili, viste le necessità di 
rafforzare il patrimonio e di stimolare la crescita; la destinazione del patrimonio ad altre 
cooperative, o allo Stato, in caso di scioglimento; infine l’assoluto divieto di 
trasformazione della cooperativa in altra forma societaria. Le imprese cooperative 
godono però di particolari benefici e agevolazioni fiscali, oltre che di una specifica 
legislazione per quanto concerne l’assunzione di lavoratori. 
I Capitolo - La cooperazione. 
 18
Un’approfondita analisi sul processo evolutivo del movimento cooperativo è stata 
sviluppata dallo storico Maurizio Degl’Innocenti
10
. A suo parere la storia del 
movimento, passata da una cultura di lotta ad una di mercato, può essere suddivisa in 
quattro differenti fasi. La prima fu caratterizzata dallo scopo del “mutuo soccorso”, vista 
la necessità di garantire condizioni di vita più dignitose per i soci. La seconda fase 
conosce il mercato, con la vendita al pubblico, l’applicazione della regola del ristorno e 
la distribuzione degli utili. La fase successiva, tra le due guerre mondiali, vede nelle 
cooperative di consumo il modello di maggior successo, e si caratterizza per una forte 
politicizzazione del movimento. Nella quarte fase sono invece messi in discussione 
alcuni capisaldi del cooperativismo contemporaneo, primo tra tutti lo scopo 
mutualistico. E’ percepita la necessità di una conduzione differente delle cooperative, 
secondo criteri economici di efficienza, e si avverte l’esigenza di recuperare lo spirito 
anticapitalistico che aveva funto da ispirazione del movimento nel XVIII secolo. 
                                                 
10
 cfr. Degl’Innocenti M.: “Dalla cultura di lotta alla culture di mercato: il caso italiano”, in Il 
movimento cooperativo nella storia d’Europa, F. Angeli, Milano, (1988).