6
economiche nelle regioni del Centro-Nord, dove la 
produttività è costantemente superiore. 
  Emerge, altresì, un ipotesi alternativa che pone 
l’accento sulle debolezze strutturali dell’economia del 
Mezzogiorno. L’alta disoccupazione è ricondotta al generale 
problema dello sviluppo: è vero che l’economia meridionale 
non riesce ad attirare un adeguato volume di investimenti 
perché non è abbastanza competitiva, ma l’alto costo del 
lavoro dipenderebbe principalmente dalla debole 
performance in termini di produttività. 
  Il dibattito sulla disoccupazione nel Mezzogiorno si 
intreccia, nell’ ultima parte di questo lavoro al confronto con 
la Campania. Nel considerare gli aspetti salienti della 
disoccupazione nelle province in essa presenti abbiamo 
ritenuto necessario prima descrivere sinteticamente la storia 
economica del Meridione da sempre nota come “questione 
meridionale”, tutto ciò per cercare di spiegare i motivi 
storici di questi ritardi rispetto al resto del paese. 
Successivamente concentreremo l’ attenzione sulla 
disoccupazione nelle province della Campania, ovvero di 
Avellino, Napoli, Benevento, Caserta e Salerno. Per dare un 
idea più precisa del mercato del lavoro campano ci siamo 
serviti dell’ausilio di alcuni indicatori statistici, come il tasso 
di occupazione, di disoccupazione e di attività. Vedremo in 
particolare che  dalle stime, sulle forze lavoro, condotte dall’ 
Istat è emerso che fra le cinque province, Napoli Avellino e 
Benevento sono quelle che hanno registrato i risultati 
peggiori sul fronte occupazionale considerando anche il 
 7
diffondersi, al loro interno, del fenomeno del lavoro 
sommerso che, come vedremo, tocca anche le altre province 
campane. Infine abbiamo concentrato l’ attenzione sulle 
politiche di intervento per il mercato del lavoro campano 
prendendo spunto dai Rapporti sull’ economia provinciale.  
   
 
 
 
 
 8
 
CAPITOLO I 
UN INTRODUZIONE DELLA 
DISOCCUPAZIONE: GLI ASPETTI TEORICI 
 
I. 1   Che cos’ è la disoccupazione: metodi per la 
         sua misurazione 
Tra i problemi economici e sociali più rilevanti che, 
negli ultimi tre secoli, hanno attirato l’attenzione e fatto 
discutere gli studiosi, sia in tempo di crisi che di crescita, vi 
è la disoccupazione. 
Per disoccupazione "si intende la condizione di coloro 
che non hanno un'occupazione ma sono disposti a lavorare. 
Il tasso di disoccupazione è il rapporto percentuale tra il 
numero delle persone in cerca di occupazione e il totale 
delle forze lavoro". Da una definizione come questa può 
emergere l'idea che la misura della disoccupazione sia una 
procedura piuttosto semplice, ma nella prassi non lo è. Ad 
esempio, non risulta automatico definire il disoccupato in 
termini di non occupato, in quanto esistono, nella realtà, 
diverse condizioni intermedie di occupazione parziale o 
sottoccupazione che rendono problematica l'individuazione 
di un confine certo tra il gruppo degli occupati e quello dei 
disoccupati. Alcuni studiosi per superare tale problema 
hanno proposto la definizione di 
disoccupazione/sottoccupazione. 
 9
Per la Banca d'Italia, ad esempio, risultano 
sottoccupati coloro che in una settimana di riferimento 
abbiano lavorato meno di 26 ore per mancanza di una 
maggiore domanda di lavoro. Questi soggetti vengono di 
norma inseriti tra gli occupati anche se, in una più attenta 
analisi, andrebbero evidenziati, essendo il loro status 
dipendente dalla dinamica del mercato del lavoro. Il loro 
numero evidenzia infatti un disagio dovuto alla carenza di 
posti di lavoro. Spesso nell'ambito della sottoccupazione 
viene fatta rientrare anche la "disoccupazione nascosta". 
Tale definizione riguarda casalinghe, studenti e pensionati i 
quali, posti ai margini della definizione di forza lavoro, 
spesso non vengono fatti rientrare nel computo dei 
disoccupati. 
 
A livello statistico si è soliti definire disoccupate  le 
persone che pur essendo disponibili a lavorare risultano 
senza impiego, coloro che sono alla ricerca di occupazione e 
quanti, pur avendo già lavorato, si trovano espulse dal 
circuito professionale. A livello nazionale le principali fonti 
statistiche, sulla consistenza della forza lavoro sono le 
indagini condotte dall’ ISTAT e dal Ministero del Lavoro 
che individuano aspetti diversi di una stessa realtà.  
 
I dati sulla disoccupazione elaborati dal Ministero del 
lavoro vengono raccolti attraverso gli Uffici di collocamento 
diffusi sul territorio nazionale. I dati forniti dagli Uffici di 
collocamento vengono distinti in tre classi. 
 10
La prima classe raggruppa: 
¾ i lavoratori disoccupati già occupati, 
¾ i soggetti in cerca di prima occupazione, 
¾ gli occupati a part time con orario non superiore a 20 
ore settimanali, 
¾ gli occupati a tempo determinato con contratto non 
superiore a quattro mesi. 
La seconda classe include i soggetti già occupati che 
aspirano a diversa occupazione. 
La terza classe considera i pensionati in cerca di 
lavoro. Tale fonte non è sempre adatta a fornire 
informazioni esaustive sul fenomeno disoccupazione. Infatti 
non sempre tutti i disoccupati sono iscritti alle liste di 
collocamento e, su quelli iscritti, non vi è alcuna certezza 
sulla loro effettiva ricerca di occupazione. Inoltre, non è 
certa la totale assenza di occupazione da parte degli iscritti a 
tali liste. Queste difficoltà rendono tale fonte non del tutto 
attendibile. 
L' ISTAT svolge le Rilevazioni Trimestrali sulla Forza 
Lavoro in Italia fin dal 1959. L'indagine viene condotta 
attraverso un questionario proposto ad un insieme di 
famiglie italiane selezionate attraverso un campionamento a 
più stadi. Le Rilevazioni in Italia vengono effettuate con una 
frequenza trimestrale dato che il trimestre viene  considerato 
un'unità di tempo importante per la descrizione della 
congiuntura economica
1
. Ma quando si parla di 
                                                 
1
  Susanna Zaccarin – Marco Reglia, 1993, La Rilevazione della Disoccupazione, 
www.canovella.it Questo lavoro trae spunto dalla nuova definizione delle persone in cerca di 
 11
disoccupazione non ci si fa riferimento soltanto a fonti 
statistiche, questo fenomeno viene spiegato anche facendo 
riferimento a vari approcci teorici che  sono stati, nel corso 
della storia economica, di valido apporto allo studio della 
disoccupazione. 
 
I. 2   La disoccupazione tecnologica 
 Nel paragrafo precedente abbiamo voluto dare una 
definizione al fenomeno economico della sottoccupazione 
qui ci soffermeremo a quello che gli economisti chiamano 
disoccupazione tecnologica. 
 Nel corso dei secoli numerosi sono stati gli studi e le 
teorie sviluppate sul fenomeno della disoccupazione  
tecnologica, la rivoluzione tecnologica che negli ultimi anni 
sta profondamente e rapidamente modificando la nostra vita, 
soprattutto a livello di società avanzate, non può non avere 
profonde ripercussioni sul lavoro e sull’occupazione. E’ 
ampio e attuale il dibattito tra quanti ne esaltano la valenza 
in termini di nuove opportunità e quanti paventano il 
delinearsi di una fase di disoccupazione tecnologica, 
fatalmente generata dallo sviluppo tecnologico. 
  Gli elevati tassi di disoccupazione che si registrano in 
Italia e soprattutto nel Mezzogiorno, impongono una 
riflessione ampia dei molteplici aspetti che caratterizzano il 
momento attuale. L'accelerazione del progresso tecnologico 
                                                                                                                                                                  
occupazione adottata dall'ISTAT nell'indagine sulle Forze di lavoro (Rilevazione Trimestrale 
sulle forze Lavoro, RTFL). 
 
 12
ha rappresentato l'aspetto centrale di questo secolo. La causa 
precisa di questi cambiamenti è indicata nell'imminente 
creazione di entità tecnologiche con un'intelligenza più 
grande di quella umana. Una nuova generazione di 
sofisticati computer e di tecnologie informatiche viene 
introdotta in un'ampia gamma di attività lavorative: 
macchine intelligenti stanno sostituendo gli esseri umani in 
infinite mansioni, costringendo milioni di operai e impiegati 
a fare la coda negli uffici di collocamento. 
  Per più di un secolo, gli economisti hanno 
convenzionalmente accettato come un dato di fatto la teoria 
che afferma che le nuove tecnologie fanno esplodere la 
produttività, abbassano i costi di produzione e fanno 
aumentare l'offerta di beni a buon mercato; questo, in 
conseguenza, migliora il potere d'acquisto, espande i mercati 
e genera più occupazione. Ma questa logica sta oggi 
conducendo a livelli mai registrati finora di disoccupazione 
tecnologica, a un declino apparentemente inarrestabile del 
potere d'acquisto e allo spettro di una recessione globale di 
incalcolabile grandezza e durata.  
  L'idea che l'innovazione tecnologica inneschi una 
spirale perpetua di crescita e occupazione ha incontrato, nel 
corso della sua storia, alcuni oppositori determinati. Nel 
primo volume del Capitale, Karl Marx argomentava che i 
produttori tentano continuamente di ridurre il costo del 
lavoro e di guadagnare un maggior controllo sui mezzi di 
produzione attraverso la sostituzione dei lavoratori con le 
macchine. Il capitalista trae profitto non solo non solo dalla 
 13
maggiore produttività, dal contenimento dei costi e dal 
maggior controllo sull'ambiente di lavoro, ma anche in via 
indiretta - dalla creazione di una numerosa armata di riserva 
di disoccupati, la cui forza lavoro sia immediatamente 
sfruttabile in altri compatti dell'economia.  Marx prevedeva 
una costante progressione della sofisticazione di macchine 
capaci di sostituire il lavoro umano e sosteneva che ogni 
innovazione tecnologica “scompone progressivamente 
l'attività del lavoratore in una sequenza di operazioni 
elementari, in modo che a un certo punto una macchina 
possa prenderne il posto”
 2
.  
 E’ vero anche, però, che la tecnologia è la soluzione 
ad un bisogno umano che nasce dalla simultanea 
compresenza di uomini, attrezzature impiegate, ambiente 
naturale organizzazione produttiva. Possiamo quindi definire 
una qualsiasi risposta ad una esigenza umana, cioè una 
tecnologia, dal punto di vista economico ma anche sociale. 
  Le tecnologie appropriate sono perciò quelle risposte 
ai bisogni fondamentali dell'umanità che non solo 
migliorano le condizioni sociali ma dal punto di vista 
economico, usano in maniera saggia le risorse del pianeta. 
  Sugli effetti dell’innovazione tecnologica  vi sono 
state opinioni contrastanti, le più note sono quelle di Ricardo 
(Inghilterra, 1772-1823),  keynes (Inghilterra, 1883-1946) e 
Shumpeter. 
                                                 
2
  Jeremy Rifkin, (1997),  “La fine del lavoro, Il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era 
post-mercato”, Baldini & Castoldi, Milano, 1997 [1995] Traduttore Paolo Canton  
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 Ricardo sosteneva che l’introduzione delle macchine 
poteva generare disoccupazione, almeno temporaneamente. 
 Keynes osservò che in passato furono le aspettative 
ottimistiche sul futuro progresso tecnico ed aumento della 
popolazione a stimolare gli investimenti e la domanda.  
 Schumpeter sostenne, invece, che le innovazioni 
tecnologiche sono il motore dello sviluppo economico, ma 
anche che il modo con cui le innovazioni tecnologiche 
determinano lo sviluppo non è uniforme: la conseguenza è 
che il sentiero di crescita è ciclico.  
  Visto il ruolo fondamentale che il progresso tecnico 
ha avuto per i paesi industrializzati, una delle visioni più 
consolidate del problema della povertà ne vede la causa 
principale nella "arretratezza tecnologica", accompagnata da 
una limitata espansione del settore industriale dell'economia. 
  La soluzione più appropriata è vista nella 
industrializzazione, e in particolare una forte accumulazione 
di capitale fisico; trasferimento nei paesi poveri di 
tecnologie avanzate. Questi piani di sviluppo tradizionali, 
adottati tra il 1950 e il 1980 hanno spesso dato risultati 
insoddisfacenti, soprattutto in America Latina e in Africa. 
Lo studio dei casi in cui questi interventi hanno fallito, ha 
messo in luce aspetti più complessi e profondi del ruolo 
della tecnologia. L'aspetto più interessante è la 
comprensione del fatto che la tecnologia non è una proprietà 
delle macchine ma un prodotto della conoscenza umana. Gli 
effetti dell'uso delle macchine, e a maggior ragione la 
capacità di creare innovazioni tecnologiche, non dipendono