INTRODUZIONE 
 
L’oggetto di questo lavoro è la figura della donna nelle pubblicità dei 
cosmetici. Lo scopo è quello di analizzare l’evoluzione della figura femminile nel 
tempo, i vari ruoli che essa svolge all’interno dei commercial e com’è cambiato 
negli anni il modo di rapportarsi con lo spettatore.  
La mia tesi vuole dimostrare che la donna oggi rappresentata in pubblicità è 
molto diversa da quella del passato. Questo cambiamento è dovuto certamente 
dall’evolversi della sua figura nella società, ma anche dal fatto che un corpo 
femminile rappresentato in modo seducente e provocante oggi riesce sempre ad 
attirare l’attenzione.  
Ho voluto dimostrare che nonostante questo, ci sono alcune aziende che hanno 
molto rispetto per la figura femminile e per questo motivo hanno saputo 
differenziarsi dai concorrenti, raffigurando la donna con un’immagine semplice e 
“pulita”. Ho scelto a questo proposito di analizzare il caso di un’azienda storica e 
famosissima, qual è Nivea.  
Il lavoro ha infatti concentrato la sua attenzione al campo specifico della 
cosmetica, un campo oggi molto sviluppato grazie al fatto che la società dedica 
molta attenzione e riguardo alla cura del corpo e all’aspetto esteriore. Sono state 
analizzate in seguito alcune campagne pubblicitarie della suddetta azienda, al fine di 
dimostrare che anche per Nivea la donna è evoluta durante gli anni, ma si è sempre 
identificata con la consumatrice, una donna di tutti i giorni. 
 
Entrando ora nel merito dello svolgimento dell’elaborato, nella prima parte si 
è cercato di definire il termine pubblicità, spiegando come essa riesce a raggiungere 
gli spettatori catturando la loro attenzione. Si è detto che un importante elemento 
che caratterizza quest’ultima è la creatività, poiché al giorno d’oggi, essendoci un 
gran numero di messaggi pubblicitari che bombardano il consumatore, per catturare 
la sua attenzione c’è bisogno sempre di idee nuove e originali, appunto creative.  
Si è passati poi ad analizzare le principali forme di comunicazione, ossia i vari 
mezzi in cui la pubblicità opera e grazie ai quali le aziende possono promuovere i 
 1
loro prodotti, al fine di contestualizzare l’oggetto d’analisi e vedere che tipo di 
impatto questi media possono assicurare alle aziende che ricorrono alla pubblicità.  
La tesi prosegue argomentando la forza persuasiva che la pubblicità può avere sul 
consumatore, la creazione di emozioni che talvolta influenzano il suo 
comportamento e i suoi acquisti. Subito dopo viene introdotta la figura del 
testimonial in pubblicità, l’impatto che esso può avere sugli spettatori e le emozioni 
che può suscitare. 
Il primo capitolo si conclude con la constatazione che oggi la donna viene inserita 
in pubblicità per valorizzare il prodotto che pubblicizza, per attirare l’attenzione con 
la sua fisicità e persuadere chi la osserva con la sensualità.    
 
Nel secondo capitolo scendiamo più nello specifico, analizzando come la 
donna era rappresentata nelle pubblicità in passato, nello specifico dal Carosello 
fino ai giorni nostri. La sua evoluzione è andata di pari passo con il cambiamento 
che la donna ha avuto all’interno della società.  
Si passa poi ad argomentare i ruoli più frequenti e svariati in cui la donna è 
rappresentata in pubblicità.  
Si è parlato in seguito della seduzione, del fatto che la donna oggi è vista come un 
oggetto del desiderio, perciò spesso rappresentata senza veli e con l’intento di 
sedurre lo spettatore con il suo corpo.   
Si è scesi nello specifico delle pubblicità dei cosmetici, per spiegare l’importanza 
che oggi la società da all’aspetto fisico ed esteriore, rappresentando infatti la donna 
perfetta e senza difetti come modello da seguire per tutte le consumatrici. 
Si è tornati dunque a parlare di testimonial, stavolta più specifico, quindi nel campo 
della cosmetica. Abbiamo trovato la presenza di donne famose, affascinanti e 
sensuali; abbiamo argomentato il fatto che le aziende oggi ne fanno sempre più uso, 
scegliendo la figura femminile più coerente con la propria filosofia aziendale e con 
il carattere di marca. 
 
Il terzo capitolo, infine, è dedicato specificatamente allo studio di un caso 
aziendale. Abbiamo optato per Nivea poiché essa è un’azienda storica, con un lungo 
 2
trascorso che ci ha permesso così di analizzare il ruolo della donna dalle campagne 
passate  fino a quelle più recenti. L’azienda si è rivelata propensa ad assistermi nel 
lavoro di ricerca delle campagne pubblicitarie oltre che ad offrirmi la possibilità di 
sostenere l’intervista con la Dottoressa Paola Zuzzaro, responsabile dell’Ufficio 
marketing e comunicazione, la quale mi ha fornito il materiale necessario per 
svolgere un’analisi approfondita sull’evoluzione della donna nelle loro pubblicità. I 
cambiamenti che la donna ha avuto nel tempo e nelle pubblicità di Nivea sono stati 
sempre coerenti con i valori, le strategie e la filosofia dell’azienda. Viene poi 
descritto attentamente il modo di comunicare di Nivea, i mezzi che quest’ultima 
predilige, i Paesi in cui è presente e i target a cui si rivolge. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 3
Capitolo 1. La pubblicità oggi. 
 
1.1. Che cos’è la pubblicità. 
1.1.1. Definizioni di pubblicità.  
 
Moltissime sono le definizioni di pubblicità. Ne riporto alcune qui di seguito: 
“È una forma di propaganda diretta ad ottenere dalla collettività la preferenza nei 
confronti di un prodotto o di un servizio: la pubblicità è l’anima del commercio”. 
Così cita il Devoto Oli, Dizionario della lingua italiana. Sono, infatti, i pubblicitari a 
dare un’anima al prodotto o all’azienda, quindi si può dire che vendono le anime dei 
prodotti. 
Franco Attanasio definisce la pubblicità come ”ogni forma a pagamento di 
presentazione e di promozione di prodotti o servizi, effettuata allo scopo di indurre 
il pubblico, direttamente o indirettamente interessato, a considerarli favorevolmente 
e ad assumere quindi un atteggiamento positivo nei loro confronti”
1
 (De Liso, 1997, 
p. 77). 
Brioschi scrive che per pubblicità deve intendersi ”qualsiasi forma di 
comunicazione di massa a carattere persuasorio ed oneroso, proveniente da una 
fonte identificabile ed avente delle finalità di tipo commerciale”.
2
 Si potrebbe 
eccepire che quel di massa forse oggi è un po’ restrittivo, poiché il Direct 
Marketing è direttamente rivolto al singolo, ed è più efficace quanto meglio conosce 
quest’ultimo. Però il Direct Marketing può ancora essere considerato di massa, 
perché, pur essendo diretto al singolo, è sempre interesse dell’emittente raggiungere 
la nicchia o le nicchie dei consumatori, suddivisi per sesso, età, lavoro, area 
geografica, ecc (ivi, p. 78). 
“La pubblicità insomma è un messaggio finalizzato al raggiungimento di 
determinati obiettivi di marketing. Questo puntualizza che la vera fonte della 
                                                 
1
 Franco Attanasio, La pubblicità oggi, FrancoAngeli, Milano, 1963, p. 17. 
2
 Edoardo Brioschi, Elementi di Economia e Tecnica della pubblicità, vol.1, Vita e Pensiero, Università 
Cattolica, Milano, 1984, p. 39. 
 4
comunicazione pubblicitaria è l’impresa e non il creativo o l’agenzia pubblicitaria” 
(ivi, p. 79).  
C’è una parola che non si deve confondere con pubblicità, ed è publicity, 
costituita invece dalle relazioni pubbliche. Quindi, si fa publicity nel caso in cui su 
un mezzo di comunicazione di massa si parli della famiglia dell’industriale, o degli 
operai, presentando l’azienda in maniera positiva (se fosse negativa non sarebbe 
publicity, ma informazione negativa o diffamazione) (ibidem). 
Con il Decreto Legislativo n. 74 del 1992 (“Gazzetta Ufficiale”, 13/02/92) non 
c’è più differenza tra pubblicità e publicity perciò, non essendo più considerato il 
carattere oneroso della pubblicità, anche un articolo redazionale può essere inteso 
come annuncio pubblicitario. È inoltre considerato “operatore pubblicitario” non 
solo il committente, ma anche l’autore del messaggio e chiunque lo diffonda (De 
Liso, 1997, pp. 80-81). 
Lo scopo finale della pubblicità è quindi quello di far vendere. La pubblicità, 
infatti, è uno dei vari elementi del marketing che insieme contribuisce alle decisioni 
d’acquisto. “Ci sono tantissimi altri elementi in gioco, di tipo economico o 
psicologico, quali: il prodotto (funzionalità, qualità, necessità, stagionalità, arco di 
vita, ecc.), il prezzo, la concorrenza, il posizionamento dell’azienda o del prodotto 
(che consiste in immagini mentali, considerazioni, stima, ecc. insite nella mente del 
pubblico e difficilissime da cambiare), la distribuzione, il punto vendita (in altre 
parole il negozio o supermarket), la simpatia o la capacità degli addetti alle vendite, 
la psicologia degli acquirenti (abitudini, stili di vita), ecc” (ivi, p.81). Oggi tutti 
questi elementi sono diventati importanti perché di fondo è proprio la società ad 
essere cambiata. Nell’epoca post-moderna, infatti, si tende a dare importanza alle 
emozioni e le persone tendono a vedere gli oggetti come simboli. “Quando i nostri 
nonni facevano acquisti sentivano la consistenza della merce, ne valutavano la 
capacità d’uso. Oggi quest’ultima ha perso il suo valore intrinseco, perché ciò che la 
gente chiede è il simbolo, la comunicazione, il sogno” (ivi, p. 20). Umberto Eco 
scrive: ‘l’uomo è stato detto, è animale simbolico, ed in questo senso non solo il 
linguaggio verbale, ma la cultura tutta, i riti, i rapporti sociali, il costume, ecc. altro 
non sono che forme simboliche, in cui esso racchiude la sua esperienza per renderla 
 5
interscambiabile: si instaura umanità quando si instaura società, ma si instaura 
società quando vi è commercio di segni’.
3
 (De Liso, 1997, p. 20). “Commercio di 
segni, questo è ciò che facciamo noi oggi, questo è il campo della pubblicità e della 
comunicazione” (ibidem). 
1.1.2. Parola d’ordine: creatività. 
 
La parola chiave per fare della buona pubblicità è creatività, definita come “il 
processo mentale attraverso il quale si formulano nuovi pensieri o si progettano 
nuovi oggetti” (De Liso, 1997, p. 18). Innanzitutto alla base della creatività 
dev’esserci una buona dose di curiosità, senza la quale non esisterebbero 
motivazioni per cercare di capire, né tanto meno per creare in qualsiasi campo. È la 
curiosità la molla della conoscenza, perciò va stimolata e non repressa, magari 
indirizzata al fine di riuscire a dare sempre delle risposte. Bisogna lasciare libera la 
fantasia senza ordinare sempre tutto, liberarsi dai preconcetti, non dare niente per 
scontato, non creare dei binari rigidi da seguire a qualunque costo, ma essere capaci 
di modificare le proprie opinioni! Abbandonare quindi la routine, l’attaccamento 
alle regole, i luoghi comuni perché la creatività nasce dalla capacità di sintetizzare 
sensazioni emotive e idee razionali (ivi, p. 19). Oggi la pubblicità e la 
comunicazione in generale realizzano un vero e proprio commercio di segni e di 
simboli, tutto è più intellettuale, ideologizzato piuttosto che materializzato: ‘il 
mondo visibile non è più una realtà e il mondo invisibile non è più un sogno’, scrive 
Butler Yeats
4
 (ivi, p. 21). 
Parlando di creatività le prime parole che vengono in mente sono fantasia e 
immaginazione
5
.  
La fantasia può essere definita come la facoltà della mente di creare immagini, 
di rappresentare cose e fatti corrispondenti o no al mondo reale.  
 
 
                                                 
3
 Umberto Eco, Segno, Enciclopedia filosofica Isedi, Milano, 1973, p. 92. 
4
 William Butler Yeats, Gli strumenti per comunicare, Garzanti, Milano, 1986, p. 10. 
5
 “Corsivo nell’originale”. 
 
 6
Questa parola è in netta contrapposizione con la realtà. 
6
 
La fantasia e l’invenzione hanno bisogno dell’immaginazione per poter vedere le 
cose pensate e tutte e due attingono alla memoria
7
 (De Liso, 1997, p. 40).  
L’immaginazione è quindi quella particolare forma di pensiero che non segue 
regole fisse e logiche, ma si presenta come una riproduzione ed elaborazione libera 
di idee, legata ad un determinato stato affettivo e, spesso, orientata attorno a un 
tema fisso; può dar luogo ad un’attività di tipo sognante (come nei cosiddetti “sogni 
ad occhi aperti”) (ivi, p. 41). 
“Questa è l’immaginazione senza la quale non si ha creatività. Possiamo pensare 
tante cose, ma se non riusciamo a vederle, non possiamo crearle. Prima ci vuole 
l’esperienza sensoriale e poi una libera interpretazione della mente, che può creare 
un’immagine” (ibidem). 
1.1.3. La comunicazione pubblicitaria. 
 
Non si può esistere senza comunicare. Si parla di comunicare intendendo sia 
l’esprimere se stessi, sia il trasmettere qualcosa a qualcuno. Definiamo 
comunicazione ogni scambio di segnali che avviene tra organismi (almeno due), 
ciascuno dei quali percepisce l’altro e risponde all’informazione che questo gli 
trasmette. Per quanto riguarda la comunicazione pubblicitaria, si può dire che è 
necessaria una Fonte che vuole trasferire un Messaggio, attraverso un Segnale
8
. Nel 
caso della pubblicità Fonte è il committente, cioè l’azienda che decide di far 
conoscere il proprio prodotto attraverso un messaggio pubblicitario. Trasforma 
perciò il Messaggio in Segnale (il segnale è un segno carico di una convenzione, di 
un significato convenuto tra le parti). Attraverso un Canale – la voce, il telefono, la 
radio, qualsiasi mezzo di comunicazione sia interpersonale che di massa – si fa 
arrivare il Messaggio al Destinatario, il quale lo riceve per mezzo di ricettori, vale a 
dire le orecchie o gli occhi (ivi, p. 70). Naturalmente, perché il Segnale sia 
                                                 
6
 Vocabolario della lingua italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 
Milano, 1987. 
7
 Murani B., Fantasia, Laterza, Roma-Bari, 1977, p. 21. 
8
 Sull’argomento cfr. Mauro Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Bompiani, Milano, 1993 tratto dal 
libro Creatività e pubblicità di De Liso, 1997, p. 69. 
 7
significativo dev’esserci un Codice condiviso tra la Fonte e il Destinatario, 
attraverso il quale questi lo interpreta. Però sia sul Segnale che sul Canale possono 
intervenire dei Rumori, cioè qualsiasi disturbo, errore, malinteso (nella 
codificazione del messaggio), che interferiscono sulla riuscita della comunicazione  
Altro tipo di Rumore è l’affollamento pubblicitario, al quale la nostra società è 
sottoposta tutti i giorni (ibidem). Si pensi per esempio in periodo elettorale ai muri 
della città ricoperti di manifesti, perciò una campagna fatta di affissioni, in quel 
periodo, non ha la stessa visibilità che potrebbe avere in un altro momento. Dopo 
qualsiasi comunicazione pubblicitaria bisogna quindi valutare sempre il Feed-back, 
cioè la reazione conseguente al Messaggio (ivi, p. 71). Inoltre va connotato un 
target al quale rivolgersi e che riesca facilmente a riconoscere l’annuncio. Il 
pubblicitario può quindi scherzare sul prodotto perché conosce le reazioni del suo 
pubblico: entrambi utilizzano lo stesso codice. Per conoscere il target la pubblicità 
si serve di altre discipline, come la psicologia, la sociologia, ecc (ivi, p. 73). 
“In pubblicità bisogna stare attenti ad essere comprensibili, perché se non si è 
chiari, diretti, precisi, si perde il brevissimo tempo che si ha a disposizione; inoltre 
una comunicazione fraintesa può essere anche controproducente. Un comunicato 
televisivo è di soli 60, 30, 15 ed anche 5 secondi” (ivi, p. 74). E non è facile 
esprimere un concetto di senso compiuto, che sia anche convincente, in così breve 
tempo. Inoltre il pubblico che non ha pagato per ricevere quel messaggio, può 
essere occupato in altre faccende, quindi non è interessato o attento. È necessario 
perciò dare dei messaggi non piatti, ma chiari e immediati (ibidem). 
Innanzitutto per fare pubblicità bisogna seguire determinati passi (Ogilvy, 
1983, pp. 11-12-13).  
Per prima cosa bisogna studiare il prodotto da pubblicizzare, più lo si conosce, 
più è probabile che salti fuori una grande idea, quella che lo farà vendere.  
Il secondo passo è vedere tutto quello che è già stato fatto dai concorrenti per la 
pubblicità di quel tipo di prodotto e quali risultati hanno ottenuto. Questo servirà ad 
orientarsi (ibidem). 
A questo punto bisogna fare delle ricerche tra i consumatori, scoprire cosa 
pensano del prodotto, che linguaggio usano quando ne parlano, quali sono le cose 
 8
alle quali attribuiscono maggior importanza e qual è la promessa che più di ogni 
altra potrebbe spingerli all’acquisto. 
In seguito quindi si procede con il positioning, cioè la collocazione del 
prodotto, vale a dire quello che il prodotto fa e a chi è destinato. Per esempio la 
saponetta Dove poteva essere collocata come sapone per uomini con le mani 
sporche, ma invece è stata collocata come sapone per donne con la pelle secca. E la 
cosa funziona tuttora (ibidem). 
Poi bisogna pensare alla brand image (immagine di marca), in altre parole 
decidere a che ”immagine” si vuole arrivare. Immagine vuol dire personalità e i 
prodotti, come le persone, hanno una personalità che sul mercato può sfondare o far 
fiasco. La personalità di un prodotto è formata da vari elementi: il nome, la 
confezione, il prezzo, lo stile della sua pubblicità e soprattutto la natura del prodotto 
stesso. Pertanto è chiaro che la pubblicità di un prodotto deve proiettare 
costantemente la stessa immagine, anno dopo anno. Non è facile perché 
intervengono sempre fatti nuovi come una nuova agenzia o un nuovo direttore 
marketing. L’immagine e la marca sono dunque degli elementi essenziali dato che 
sono il novanta per cento di quello che il prodotto ha da vendere (ivi, p. 14). A 
maggior ragione oggi che il consumatore è sempre più infedele, può essere 
fidelizzato attraverso il rafforzamento dell’identità di marca. 
Si può quindi concludere che per risultare efficace una comunicazione 
pubblicitaria deve, in primo luogo, essere visibile e interessante tanto da farsi 
ricordare. In secondo luogo, dev’essere comprensibile e attraente per il pubblico a 
cui si rivolge. In terzo luogo, dev’essere convincente (ibidem). 
1.1.4. La réclame e la sua evoluzione. 
 
Nel suo primo periodo d’esistenza, la pubblicità era, com’è noto, réclame
9
, 
cioè annunci elementari e puramente informativi che parlavano a pochi privilegiati e 
cercavano di promuovere le vendite attraverso delle argomentazioni razionali e 
l’evidenziazione del contenuto tecnico dei prodotti. “Il consumatore era considerato 
                                                 
9
 “Corsivo nell’originale” 
 9
un essere ragionevole e cosciente al quale ci si doveva rivolgere ”conducendolo per 
mano”, mostrandogli il bisogno da soddisfare e motivando il fatto che il prodotto 
pubblicizzato non soltanto era in grado di soddisfarlo, ma poteva farlo anche meglio 
dei concorrenti” (Codeluppi, 1997, pp. 12-13).  
Con lo sviluppo dei quotidiani, verso la fine del 700 si apre la possibilità di 
diffondere notizie relative alla produzione di beni e servizi con finalità mercantili 
(Steinberg, 1962, p. 195)
10
. “Ma è nell’800 che la pubblicità prende una sua forma 
autonoma e riconoscibile. I primi ad occuparsi di riempire gli spazi acquistati sui 
giornali furono gli stessi utenti pubblicitari, in pratica produttori e commercianti” 
(De Liso, 1997, p. 83). Annunci economici, cartelli sui primi tram a cavallo e 
manifesti furono le prime forme di pubblicità stampata, ma bisogna pensare alle 
capacità dei mezzi tecnici a disposizione, ma soprattutto al gran numero di 
analfabeti per capire il successo riservato al manifesto a colori (ibidem). 
Agli inizi del 900 nasce il manifesto-marchio, cioè una comunicazione 
affissionale più moderna che ricorreva ad immagini simbolo che fossero in grado di 
comunicare istantaneamente l’essenza del prodotto. Qui la réclame si poneva 
l’obiettivo di attestare l’esistenza di una merce, di documentarne la presenza e 
l’accessibilità: dal produttore al consumatore (ivi, pp. 85-87). Ora il cartellone non è 
più un richiamo che gli sfaccendati possono fermarsi a contemplare, ha perduto 
tutta la sua attrattiva come illustrazione; è divenuto un mezzo per riuscire a cogliere 
l’indaffarato cittadino che circola per le strade congestionate, e deve compiere la 
sua opera nello spazio di un istante. Non ha quindi l’obbligo di essere bello, ma 
efficace
11
. 
Oggi che il consumo è esteso quasi alla totalità della popolazione, il 
pubblicitario deve comunicare a tutta la società, target per target, quindi a gruppi di 
persone di diversa posizione socio-culturale e con diversi codici (De Liso, 1997, p. 
91). 
“Pubblicità e réclame si delineano allora come due modalità creative, due 
modi di intendere il lavoro: professionalità e scientificità da una parte, artisticità e 
                                                 
10
 Tratto dal libro di De Liso, Creatività e pubblicità, Milano,1997. 
11
 In un articolo de “L’Ufficio Moderno”, in occasione del Congresso Internazionale della Pubblicità tenuto a 
Roma e Milano nel 1933, in Ceserani, p. 131. Tratto da De Liso, 1997, p. 90. 
 10
prevalenza della forma rispetto ai contenuti dall’altra. In questo senso, quindi, 
ancora oggi si fa réclame quando la pubblicità è affidata ad un artista anziché ad un 
pubblicitario. Ecco spiegata la diffidenza, da parte dei pubblicitari, verso il termine 
francese réclame e la preferenza dell’italiano Pubblicità o dell’anglosassone 
Advertising” (ibidem). 
Oggi la pubblicità è perlopiù di parte nel senso che cerca di influenzare gli 
atteggiamenti del pubblico per raggiungere lo scopo commerciale di una 
determinata azienda. Nella società d’oggi, infatti, vige il disincanto, cioè la gente sa 
distinguere tra informazioni veritiere e informazioni false. Occulto sarebbe 
nascondere l’essere di parte, invece i pubblicitari sono chiaramente di parte, parlano 
per conto del committente e adottano un linguaggio palesemente persuasivo (ivi, p. 
92-93). 
1.1.5. La pubblicità sociale. 
 
Una forma di pubblicità che ha preso sempre più importanza è la pubblicità 
sociale, diversa dalla pubblicità commerciale che ha come destinatario il 
consumatore.  
La comunicazione di pubblica utilità, emessa da gruppi con interessi sociali, 
politici, culturali, o da Enti pubblici, ecc. ha come destinatario una persona inserita 
in una società, con tutti i suoi diritti e doveri, vale a dire il cittadino. Le agenzie 
pubblicitarie, dalla fine degli anni 70, si occupano di pubblicità sociale utilizzando 
le tecniche del marketing (De Liso, 1997, p. 97). “La comunicazione pubblica non 
ha scopo di lucro, non ragiona in termini di mercato, ma culturali, etici, morali e 
sociali. È importante che la comunicazione da parte delle istituzioni rivaluti la 
figura del cittadino, lo consideri elemento centrale, che i messaggi non siano 
imposti, ma persuasivi, anche perché vi sono degli argomenti di carattere sociale 
che richiedono l’adesione spontanea da parte dell’opinione pubblica” (ivi, p. 102). 
 
 
 
 11