Introduzione 
È giunta l'ora di andare. Ciascuno di noi 
va per la propria strada: io a morire voi 
a vivere. Che cosa sia meglio, Iddio solo 
sa. (Platone, Apologia di Socrate) 
 
La morte ossessionava Alekos Panagulis, la sentiva così presente nella sua vita che iniziò ad 
urlare al mondo intero che lui era nato, gli avevano tolto anche il certificato di nascita, 
doveva urlarlo a loro e a se stesso. Doveva ricordarsi di essere nato con la missione di 
morire, morire solo, morire da eroe solo ma la sua morte avrebbe contagiato altre vite. 
Alekos Panagulis non uccise mai nessuno, suo malgrado, ma condizionò le menti di molti 
con l'idea della morte. Un uomo vissuto per morire, Un Uomo è il libro che parla della sua 
vita-morte, narra la storia della sua battaglia, elenca anno per anno i momenti in cui la vita 
lo stava abbandonando.Si potrebbe dire che Alekos Panagulis morì il giorno in cui tentò 
l'attentato a Papadopulos, la sua impresa più eroica fu accettare una morte che durò per anni. 
La vita abbandonava il suo corpo, carica delle sue idee e delle sue imprese che andavano ad 
invadere le menti di chi era disposto ad ascoltarlo, non dei greci, non dei socialisti, non dei 
partiti, ma solo di alcuni altri uomini. Quello che non riuscì a fare, le cose che non ebbe il 
tempo di raccontare lo fece la sua più grande vittima e debitrice. In lei più di tutti coltivò il 
seme della morte, l'unico seme capace di far nascere in lei la vita. 
 
E chi urlava non è morto, Alekos non-è-morto, chi urlava parole che non distinguevo ma 
dopo le distinsi e una era il mio nome, una l'ordine scrivi-raccontalo. Scrivi, e mentre le 
zolle cadevano ora a palate, martellate sull'anima, a poco a poco coprendo la statua di 
marmo, il sorriso amaro e beffardo, mentre le bandiere ondeggiavano in flutti di inutile 
rosso, il ruggito riprese: incessante, assordante, ossessivo, spazzando qualsiasi altro suono, 
scandendo la grande menzogna zi, zi zi. Vive, vive vive.
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Due vite spese nella denuncia, nella lotta spesso inutile ma necessaria, la lotta per la vita di 
altri che però avrebbe condotto alla loro morte. Una morte fatta di solitudini, di silenzi, di 
amici che fuggono e non capiscono. La morte fu la sua impresa più grande. 
                                                 
1 ORIANA FALLACI, Un uomo, BUR, Rizzoli editore, settembre 2004, p.16 
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La solita fiaba dell'eroe che si batte da solo, preso a calci, villipeso, incompreso. La solita 
storia dell'uomo che rifiuta di piegarsi alle chiese, alle paure, alle mode, agli schemi 
ideologici, i principi assoluti da qualsiasi parte essi vengano, di qualsiasi colore si vestano, e 
predica la libertà. La solita tragedia dell'individuo che non si adegua, che non si rassegna, 
che pensa con la propria testa, e per questo muore ucciso da tutti. Eccola, e tu mio unico 
interlocutore possibile, laggiù sottoterra, mentre l'orologio senza lancette segna il cammino 
della memoria.
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Alekos Panagulis era un eroe anche se non si sentiva tale, nei cinquemila volantini che 
Oriana Fallaci stampò per spiegare perchè fosse stato ucciso scrive: 
Non c’è nulla di più odioso, secondo me, di un eroe. E Panagulis era un eroe. Ma era un 
eroe che ride. Soprattutto di se stesso. Si prendeva sempre in giro. Questo è il ritratto di un 
bambino o di un vecchio; io temo che sia il ritratto di un genio. Ci ho messo tanto a capire 
che era un genio. Mi rifiutavo di ammetterlo, anche per riuscire a tenergli testa. Avevo 
dinanzi a me, accanto a me, un mito delle folle. E, sia istintivamente che razionalmente, 
respingevo quel mito. Cercavo di ridurlo a dimensioni umane che in realtà non aveva. 
Perché tutto in lui era eccessivo. Di male c’era così poco in lui. I suoi difetti erano tanto 
piccoli quanto le sue virtù erano grandi. E quando i suoi difetti ti esasperavano, non avevi 
che ricordare le sue virtù. Ad esempio la sua bontà, malamente nascosta dietro gli 
atteggiamenti bruschi. Ricordi quando perdonò ai suoi torturatori e chiese che Papadopulos, 
Makaresos, Pattakos, Joannidis non fossero condannati a morte? Era ossessionato dalla 
libertà, lo sanno tutti, ma anche dalla moralità. E questo non lo sanno tutti. Diceva, pensa, 
che la politica è moralità.  [...]  Trasformava ogni suo problema personale in una burla da 
Ulisse. Era Ulisse. La sua Itaca non esisteva. Per lui esisteva soltanto il viaggio. E a 
interrompere il viaggio, la vita, può essere solo la morte. Il concetto che esprime nella più 
bella delle sue poesie, Taxidi. Quella che mi ha dedicato. Il concetto, anche, che mi regalò 
con una frase che ho messo nel mio libro Lettera a un bambino mai nato. Quella che dice: 
«Benedetto colui che può dirsi: io voglio camminare, non voglio arrivare. Maledetto colui 
che s’impone: voglio arrivare fin là. Arrivare è morire, durante il cammino puoi concederti 
solo fermate». È sua anche la frase che chiude il libro: «Perché la vita non muore». 
                                                 
2 ORIANA FALLACI, Un uomo, BUR, Rizzoli editore, settembre 2004, p.17 
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Capitolo 1: Chi era Alekos Panagulis 
 
1.1 Panagulis 
Alekos Panagulis è una figura così particolare da analizzare che alle volte risulta 
incomprensibile. Leggendo le sue poesie, il racconto della sua battagia in Un Uomo, il ritmo 
incalzante della prima intervista fatta dalla Fallaci nel '73, venendo a conoscenza di tutti i 
fatti della sua vita, la prima cosa che ci viene da pensare è: perchè? Perchè un uomo così 
buono e gentile ha cercato di uccidere un altro uomo? Perchè un uomo che ha subito le 
peggiori sevizie e torture per cinque anni, che è stato tenuto nell'isolamento più totale, a cui 
sono stati negati tutti i diritti a partire dalla vista della luce del sole sino al suo certificato di 
nascita, non riesce ad odiare gli uomini ma risponde dicendo che tutta questa atrocità lo ha 
portato ad amare ancora di più gli uomini? Forse perchè è un eroe? Probabilmente sì. Oriana 
Fallaci credeva di sì. Tutti gli amici che per paura gli hanno voltato le spalle credevano di sì. 
Forse anche Papadopulis, Joannis, Averoff, Karamanlis credevano di sì e per questo lo 
temevano. Forse anche i suoi colleghi di sinistra, una volta divenuto parlamentare, 
credevano di sì e per questo lo invidiavano. Molti hanno creduto e credono ancora oggi che 
lui sia stato un eroe. Alekos Panagulis non lo credeva. Alekos Panagulis non si faceva molte 
domande su chi fosse, faceva quello che sentiva. Un giorno disse ad Oriana Fallaci:  
 
"La politica è un dovere, la poesia è un bisogno"
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Alekos Panagulis era questo, un uomo con l'animo gentile del poeta e il senso civico del 
vero politico, era uno dei pochi a credere ancora nella libertà, un illuso, forse, che come don 
Chisciotte combatteva contro i suoi mulini a vento, un vero patriota che come Ulisse era 
disposto ad affrontare qualsiasi sfida per tornare nella sua Itaca, una grecia in cui regnava la 
democrazia e la libertà. 
Nell'introduzione che Oriana Fallaci scrive in Intervista con la storia racconta passo dopo 
passo la scoperta di questo uomo. Lo scrutava con attenzione per carpire la sua essenza  
poche ore dopo la sua scarcerazione. 
 
Alessandro Panagulis, Alekos per gli amici e per la polizia. Nato nel 1939 ad Atene da 
                                                 
3 ORIANA FALLACI, Intervista con la storia, BUR, 1983 Rizzoli Editore, pag 612 
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Atena e Basilio Panagulis colonnello dell'esercito e pluridecorato nella guerra dei Balcani, 
nella prima guerra mondiale, nella guerra contro i Turchi in Asia Minore, nella guerra civile 
fino al 1950. Secondogenito di tre fratelli straordinari, democratici e antifascisti. Fondatore 
e capo della Resistenza Greca, il movimento che i colonelli non riuscirono mai a 
distruggere. Autore dell'attentato che per un pelo, il 13 agosto 1967, non costò la vita a 
Papadopulos e la fine della Giunta. Per questo lo arrestarono, lo seviziarono, lo 
condannarono a morte: pena da lui stesso sollecitata in un'apologia che per due ore tenne i 
giudici col fiato sospeso.
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Cominciata l'intervista la Fallaci descrive subito la voce di Panagulis, seducentissima, con il 
timbro fondo, gutturale, una voce da leader,  col tono autorevole di chi è sicuro di sè di chi 
può convincere la gente. Aveva una durezza intrinseca che sembrava dovuta alla sua 
concentrazione sulla pipa che non lasciava quasi mai ma non era una durezza recente o 
maturata da tutto ciò che aveva dovuto sopportare, era nata con lui e grazie a questa era 
riuscito a sopportare tutti gli sforzi fisici e morali. Ma era anche premuroso e gentili, un 
uomo così forte che ti sorrideva con il sorriso di un bambino. Ciò gli cambiava i lineamenti 
del volto che, non più doloroso, diventava indifeso. Di volto non era bello: con quegli occhi 
piccoli e strani, quella bocca grande e ancora più strana, quel mento corto, infine quelle 
cicatrici che lo sciupavano tutto. Eppure parlandoci sembrava bello dopo un po. 
 
Ma era anche una fonte infinita di possibilità e un personaggio il cui valore andava oltre 
quello del personaggio politico. Forse la politica rappresentava solo un momento delle sua 
vita, solo una parte del suo talento. Forse, se non lo avessero ammazzato presto, se non lo 
avessero rimesso in gabbia, un giorno avremmo sentito parlare di lui per chissà quali altre 
cose. 
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Un Uomo è il libro in cui Oriana Fallaci vuole raccontare la storia di Alekos Panagulis e per 
poterlo fare deve raccontare anche la sua storia, la storia di una donna così forte ma che si 
trova davanti ad un eroe moderno e d'altri tempi nello stesso momento, un uomo che l'ha 
scelta tra tante come vittima ed eletta nello stesso momento. Alekos Panagulis è stato l'uomo 
                                                 
4 ORIANA FALLACI, Intervista con la storia, BUR, 1983 Rizzoli Editore, pag 612 
5 ORIANA FALLACI, Intervista con la storia, BUR, 1983, Rizzoli Editore, p.  615 
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della sua vita, l'unico possibile, l'unico capace di incarnare il suo ideale di uomo 
umanamente, eticamente e politicamente. Oriana Fallaci è stata la donna della sua vita, 
l'unica possibile, l'unica capace di entrare in punta di piedi, nei pochi momenti in cui le era 
concesso, nella sua solitudine, non per alleviarla, ma per comprenadela e poterla raccontare. 
 
L'amara scoperta che Dio non esiste ha ucciso la parola destino. Ma negare il destino è 
arroganza, affermare che non siamo gli unici artefici della nostra esistenza è follia: se neghi 
il destino, la vita diventa una serie di occasioni perdute, un rimpianto di ciò che non è stato e 
avrebbe potuto essere, un rimorso di ciò che non si è fatto e avremmo potuto fare, e si 
spreca il presente rendendo un'altra occasione perduta. Con rimpianto tu mi chiedevi: 
«Perchè non ci siamo incontrati prima? Dov'eri quando accendevo le mine, quando mi 
torturavano, mi processavano, mi condannavano a morte, mi chiudevano dentro quella 
tomba?» con rimorso io ti rispondevo Saigon, Hanoi, Pnom Penh, Citta del Messico, Sau 
Paulo, Rio de Janeiro, Hong Kong, La Paz, Cochabamba, Amman, Decca, Calcutta, 
Colombo, New York, ancora Sau Paulo, ancora Saigon, ancora Pnom Penh, ancora La Paz , 
ed elencare quei nomi mi sembrava di allineare le tappe di un tradimento. Non ti risposi mai 
che ero dove il destino esigeva che fossi perchè il destino aveva stabilito che ci 
incontrassimo quel giorno e  a quell'ora, non prima. Fino a quel giorno e a quell'ora, le 
nostre strade furono così separate e lontane che che nemmeno la più ferrea delle volontà 
avrebbe potuto farle incrociare. Solo un istante ci sfiorammo in una ventata: il giorno in cui 
riparasti in Italia da Cipro. Infatti studiando le date, avremmo scoperto che mentre tu 
arrivavi io partivo. Ma il destino ha una logica, in esso niente avviene per caso: se ci 
fossimo incontrati in tale occasione o prima, non ci saremmo riconosciuti. Ci riconoscemmo 
dopo perchè ci eravamo già visti cento volte a  Saigon, a Hanoi, a   Pnom Penh, a Citta del 
Messico, a Sau Paulo, a Rio de Janeiro, a Hong Kong, a La Paz, a Cochabamba, a Amman, 
a Decca, a Calcutta, a Colombo, ancora a Sau Paulo, ancora a Saigon, tutti giri di ruota per 
venire da te, tutte tappe di un grande amore fedele.
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Ogni cicatrice di Alekos Panagulis sarebbe potuta essere una scusa per impazzire, per 
alienarsi dall'umanità, questo però non lo fece mai, la sua fantasia e la voglia di uscire dalla 
tomba di cemento furono per lui le funi che legavano Ulisse alla realtà mentre le sirene lo 
                                                 
6 ORIANA FALLACI, Un uomo, BUR, Rizzoli editore, settembre 2004, p.137 
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