INTRODUZIONE
Nella filosofia ellenistica nozioni quali virtù, arte di vivere, felicità, cura di sé
costituiscono il nucleo essenziale delle riflessioni filosofiche. Si può
agevolmente immaginare come un'etica di questo tipo si distingua
considerevolmente dalle moderne filosofie morali, quanto meno nella misura
in cui queste si indirizzano alla fondazione di norme comportamentali
vincolanti e alla composizione di articolati casi di conflitto. L'antico concetto
di technê tou biou indica piuttosto una trasformazione della personalità, lo
sviluppo delle qualità migliori e il raggiungimento di un modo di vivere
adeguato. Seguendo questa tesi lo storico della filosofia Pierre Hadot,
attraverso molteplici e svariati indizi, giunge alla conclusione che l'oggetto
della filosofia sarebbe una tecnica di vita, un modo di vivere o una forma di
vita. Secondo P. Hadot infatti il sapere filosofico antico è costantemente
indirizzato al soggetto che cerca conoscenza e orientamento, è rivolto al
destinatario. Il valore di questo orientamento si trova nel perfezionamento
razionale di una persona, nella sua formazione, nel miglioramento di una
condotta di vita errata o nella trasformazione radicale di un atteggiamento. In
questa direzione il fulcro dell'attività filosofica non consisterebbe in una
trattazione teorica dei problemi, al contrario, la considerazione di tematiche
teoriche e la trattazione di argomentazioni astratte assumono piuttosto una
rilevanza pratica. Un esempio fortemente indicativo ci viene fornito dallo
stoico Seneca:
La filosofia non è un'arte che serve a far mostra di sé di
fronte alla gente: non consiste nelle parole ma nelle azioni.
Né ad essa ricorriamo per passare la giornata con qualche
diletto, o per sottrarci alla noia prodotta dall'ozio. La
filosofia forma e plasma l'animo, dà ordine alla vita, dirige le
azioni, mostra le cose che si debbono e quelle che non si
debbono fare, siede al timone e regola la rotta attraverso i
pericoli di un mare in tempesta. Senza di lei nessuno può
vivere sereno e sicuro. Ogni momento i più vari eventi
richiedono consigli che solo lei può darci
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1 Seneca, Epistulae ad Lucilium, 16.3, tr. it. Lettere a Lucilio, Rizzoli, Milano, 1987, vol. I,
p. 139.
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I filosofi antichi, in breve, vogliono fare della loro disciplina una vera e
propria “arte della vita”, vogliono che non ci sia alcun divario tra ciò che essi
pensano o sistemano teoricamente e la quotidianità della loro esistenza. Si
auspicano che la loro riflessione serva alla terapia del vivere, propria e di
chiunque intenda cogliere il loro insegnamento; allo stesso tempo, la loro
riflessione costituisce un invito esistenziale agli uomini affinché si prendano
cura di se stessi. La loro idea di filosofia, per usare una espressione di V.
Goldschmidt più volte ripresa da P. Hadot, mira a formare piuttosto che ad
informare.
Scopo del presente lavoro è di mostrare, ripercorrendo le tesi di P. Hadot,
come la filosofia ellenistica, ed in particolare quella stoica e quella epicurea,
delineasse una maniera di vivere; anzi fosse essa stessa una maniera di vivere.
La trattazione che segue si svolge in tre parti. La prima si propone di illustrare
brevemente le caratteristiche della scuola stoica e della scuola epicurea
considerate nel loro aspetto di scelta esistenziale, e questo condurrà ad
elencarne le identità e le differenze nelle scelte di vita. Per entrambe le scuole
la vita filosofica costituisce un modo per vivere e pensare secondo saggezza,
un tentativo di raggiungere questo stato trascendente. A questo ideale di
saggezza corrisponde un determinato atteggiamento interiore: tensione per gli
stoici, distensione per gli epicurei. In primo luogo avveniva la memorizzazione
dei dogmi fondamentali e delle regole di vita delle scuole. Grazie a questa
assimilazione la visione del mondo di colui che intende progredire
spiritualmente risultava totalmente trasformata. Questi dogmi e queste regole
di vita occorreva tenerli “sottomano”, per poter assumere un retto
atteggiamento filosofico in tutte le circostanze. A tal fine tutti i mezzi retorici e
dialettici erano impiegati con la massima efficacia. Si mettevano a
disposizione dei discepoli sentenze o riassunti dei principali dogmi per
favorirne l'intuizione. Questi promemoria erano destinati ad essere letti dal
maestro o dal discepolo. Questo connubio tra testo scritto e parola orale
chiarisce dunque certe caratteristiche delle opere dell'antichità: tutte le
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produzioni di tale periodo rimangono strettamente collegate a comportamenti
orali, poiché la stessa filosofia ellenistica era prima di tutto orale.
La seconda parte si occupa di quelli che P. Hadot definisce “esercizi
spirituali”, pratiche della ragione volte ad operare una trasformazione radicale
nel soggetto praticante. Innanzi tutto, in ogni scuola venivano praticati esercizi
indirizzati ad assicurare il progresso dell'anima verso lo stato ideale di
perfezione; esercizi dell'anima che sono analoghi all'allenamento dell'atleta o
alle cure mediche di una terapia. In termini generali consistono principalmente
nel controllo di sé e nell'attenzione a se stessi: vigilanza nello stoicismo e
rinuncia ai desideri superflui nell'epicureismo. Richiedono una coscienza
morale acuta, una fede nella possibilità di migliorare e di raggiungere
gradualmente un'abitudine stabile e duratura. Ma l'esercizio della ragione è
soprattutto meditazione, e la meditazione filosofica ellenistica assume un
atteggiamento razionale, immaginativo o intuitivo. Le sue figure sono assai
varie; per esempio la meditazione sui dogmi della fisica, come la
contemplazione epicurea della genesi dei mondi sul vuoto infinito o la
contemplazione stoica dello svolgimento razionale e necessario degli
accadimenti, può suggerire un esercizio dell'immaginazione in cui le cose
umane si mostrano di scarsa importanza nell'immensità dello spazio e
nell'infinità del tempo. In tutte le scuole, per motivi diversi, la filosofia è
soprattutto una meditazione sulla morte e un'attenzione costante al momento
presente, per fruirne o per viverlo coscientemente. Ė in prospettiva di tali
esercizi che bisogna leggere i rapporti fra teoria e pratica nella filosofia
ellenistica: la teoria non è mai ritenuta fine a se stessa, è chiaramente rimessa
al servizio della pratica.
La terza ed ultima parte si occupa della figura del saggio. Ogni scuola
costruisce un'immagine razionale di questo stato di perfezione che è la figura
del saggio, del sapiente e si adopera a tracciarne le caratteristiche. Il più delle
volte questo ideale trascendente è ritenuto pressoché inaccessibile e
raggiungibile solo in rari attimi. In questa norma trascendente posta dalla
ragione ogni scuola elabora la sua visione del mondo, lo stile di vita che le
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appartiene e la sua idea di perfezione umana. Ed è per questo motivo che la
descrizione di questo stato ideale, in ogni scuola, coincide con l'idea razionale
di Dio: la saggezza è lo stato in cui l'uomo è, allo stesso tempo, uomo e al di
sopra della condizione umana, come se l'essenza dell'essere uomo consistesse
nel suo innalzarsi al di sopra di se stesso. Si può notare facilmente il passaggio
dalla figura del saggio alla figura di Dio sia nella filosofia stoica che nella
filosofia epicurea. Per gli stoici il pensiero e la volontà del saggio collima
perfettamente con il pensiero e la volontà della Ragione universale imminente
al divenire del cosmo, e l'atteggiamento fondamentale del saggio consiste così
nel dire di “sì” alla Ragione universale in ogni istante. Quanto al saggio
epicureo, similmente agli dei, egli vede sorgere, a partire dagli atomi, l'infinità
dei mondi nel vuoto infinito e la natura soddisfa sufficientemente i suoi
bisogni, senza che vi sia nulla che possa turbare la tranquillità della sua anima.
La trattazione si conclude argomentando del rapporto che intercorre tra
filosofia e discorso filosofico. Il discorso filosofico nasce da una scelta di vita,
da una opzione esistenziale, e non viceversa. Questa scelta esistenziale
implica, a sua volta, una particolare visione del mondo, ed è compito del
discorso filosofico chiarire razionalmente sia la scelta di vita che la
rappresentazione del mondo che ne consegue. Il discorso teorico ha origine,
dunque, da una scelta di vita iniziale e ad essa ritorna, nella misura in cui,
grazie alla sua forma logica e persuasiva, esercita un'azione di trasformazione,
di educazione, ovvero si costituisce come applicazione effettiva di un certo
ideale di vita. Non si dovrebbe, pertanto, contrapporre discorso filosofico e
modo di vivere filosofico, come se corrispondessero rispettivamente alla teoria
e alla pratica; il discorso ha una valenza pratica nel momento in cui tende ad
imprimere un habitus nell'anima e, quanto al modo di vivere, esso può essere
non già teorico, bensì contemplativo. Non si dovrebbe neppure contrapporre
da un lato la filosofia come modo di vivere, e dall'altro un discorso filosofico
che sarebbe in qualche modo esterno ad essa ma, al contrario, si tratta di
dimostrare che il discorso filosofico fa parte del modo di vivere ed è la scelta
di vita del filosofo a determinarlo.
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