La logica della dimostrabilità  0. Introduzione 
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consentirebbe di appoggiarsi a nozioni più solide, di carattere linguistico e finitarie, 
eliminando così il riferimento ai mondi possibili. 
A queste considerazioni se ne aggiunge un’altra altrettanto importante: Montague 
[1963] in qualche modo metteva in crisi una tradizione interpretativa che legava la 
necessità all’apoditticità. Questa era stata, ad esempio, la scelta di Kant. L’importanza di 
questo tipo di interpretazione era che la modalità con essa perdeva il carattere di dato 
reale che aveva, ad esempio, in Aristotele. La modalità per Kant doveva riguardare il 
modo in cui il giudizio veniva presentato. Questo apriva la possibilità di analisi delle 
nozioni modali che non rimandano a considerazioni metafisiche sulla realtà. Uno dei 
modi di sviluppare la nozione di apoditticità, e quindi la necessità, è infatti quello di 
leggerla come dimostrabilità. Sono giudizi apodittici i giudizi dimostrabili. In questo caso 
è però possibile individuare due particolari tipi di dimostrabilità: quella interna ad uno 
specifico sistema, e quella esterna. La seconda non è un concetto meglio definibile, 
rimanda al dimostrabile, ma non ci fornisce elementi per proseguire l’analisi. La 
dimostrabilità interna è invece funzione dello specifico sistema a cui è relativa. Essa 
(almeno quella che riguarda teorie sufficientemente potenti) è definibile attraverso un 
predicato. Pare dunque che, partendo dalle considerazioni kantiane secondo cui la 
necessità è apoditticità, esista la possibilità di esprimerla attraverso un predicato di 
dimostrabilità interna. A partire dagli anni ‘70 esistono dei sistemi modali (i sistemi di 
logica della derivabilità o Provability Logic
3
) che sono espressamente definiti in maniera 
tale che il loro operatore di necessità sia traducibile con un predicato di dimostrabilità 
definito per l’aritmetica. In effetti vedremo come questi sistemi modali diano luogo a 
                                                                                                                                                                                           
2
 Kripke [1963], “Semantical Considerations on Modal Logic”. 
La logica della dimostrabilità  0. Introduzione 
 8
tipi differenti di modalità rispetto a quello definito dal sistema S4. Il nostro compito 
sarà quello di analizzare i risultati provenienti dalla Provability Logic nell’ottica di 
un’indagine più ampia sulla possibilità di esprimere gli elementi sintattici della nozione 
di necessità. Faremo anche alcune considerazioni sull’utilità dell’impiego di questo tipo 
di modalità, relativamente all’abbreviazione della lunghezza delle dimostrazioni che 
essa comporta in alcuni casi. Oltre alla Provability Logic prenderemo in esame anche il 
sistema di Explicit Provability Logic sviluppato da Sergei Artemov, in cui viene 
presentata una lettura particolare della necessità che fa riferimento alla relazione che 
sussiste, all’interno dell’aritmetica, fra una dimostrazione e la proposizione che essa 
dimostra. 
Nel primo capitolo prenderemo in considerazione alcuni momenti della storia della 
logica che riguardano modalità e dimostrabilità. Prendendo come punto di partenza 
l’opinione di Kant sulla modalità, ci soffermeremo su alcuni autori, come Carnap e 
Quine, che si sono posti il problema della definizione di una logica modale come logica 
dell’apoditticità. Per comprendere sia Carnap sia i principi su cui si fonda la logica della 
derivabilità, sarà necessario fare riferimento alla tecnica di aritmetizzazione e quindi a 
Kurt Gödel, la cui opera costituisce forse il presupposto più importante per tutte le 
considerazioni presenti in questo lavoro. Nel secondo capitolo entreremo nel merito del 
sistema GL (cioè il sistema di logica della derivabilità) e della teoria PA (Aritmetica di 
Peano). Nel terzo capitolo verrà spiegato il teorema di Solovay, il quale sancisce il 
legame di traducibilità fra GL e PA. Si faranno considerazioni in merito alla natura del 
particolare tipo di modalità formalizzata da GL, per stabilire se in effetti si è ottenuta 
                                                                                                                                                                                           
3
 Un’esposizione dei principali risultati di questo particolare campo di ricerca si trova in Boolos [1993]. 
La logica della dimostrabilità  0. Introduzione 
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una traduzione della necessità attraverso un predicato. Nel capitolo quarto prenderemo 
in considerazione una particolare proprietà di GL: la capacità di esprimere 
l’autoriferimento. Si presenteranno i teoremi più importanti a questo riguardo. Ci 
soffermeremo inoltre sulla possibilità di ottenere dimostrazioni più brevi in PA, 
utilizzando regole provenienti dal sistema GL. Questo tipo di fenomeno, messo in luce 
da Rohit Parikh e Franco Montagna, in Parikh [1971] e Montagna [1992], è importante 
perché sottolinea come il riferimento alla modalità, lungi dall’essere inessenziale, 
addirittura comporta, in determinati casi, un’abbreviazione delle dimostrazioni di 
alcuni teoremi. Nel quinto e ultimo capitolo prenderemo in considerazione la cosiddetta 
logica della derivabilità esplicita. Si tratta di un sistema, come sopra accennato, sviluppato 
pochi anni or sono da Sergei Artemov, che si basa su un operatore binario, al quale è 
possibile dare una semantica aritmetica attraverso la relazione che lega una 
dimostrazione alla formula che essa dimostra. Vedremo come sussistano parecchi 
legami fra questo sistema, l’aritmetica, il sistema di logica modale S4 e la logica 
intuizionista. Anche qui faremo considerazioni sul legame sussistente fra la necessità 
così come formalizzata da S4 e le sue possibili traduzioni in aritmetica.  
Il nostro lavoro, quindi, da un lato si propone come un’esposizione dei principali 
risultati di quell’ambito della logica contemporanea denominato appunto Provability 
Logic, dall’altro fornisce una possibile lettura di questi risultati sulla base del rapporto 
di traducibilità che lega necessità e dimostrabilità.  
 
 1. Necessario, apodittico, dimostrabile 
 
 
Se prendiamo in considerazione una proposizione qualunque, notiamo che essa 
si può modificare inserendovi un riferimento che esula dal suo contenuto, ma che 
comunque la riguarda: essa, ad esempio, può essere qualificata come necessaria oppure 
come possibile. In altre parole esiste la possibilità di esprimere giudizi che riguardano 
la modalità delle proposizioni. Consideriamo la frase seguente: 
 
(1) E' necessario che la somma degli angoli interni di un triangolo sia di 180 gradi. 
 
Potremmo chiederci se la qualificazione di ‘necessario’ riguardi l'intera proposizione 
subordinata o, piuttosto, non sia da riferirsi ai termini interni ad essa. Sorge anche il 
problema di indagare la natura della modalità: la necessità è espressa in modo, per così 
dire, avverbiale oppure, come nell'esempio riportato, essa può venire considerata alla 
stregua di un predicato che si applica alle proposizioni? Si può anche andare oltre e 
chiedersi se è possibile una definizione di necessità: essa coincide con ciò che è sempre 
vero o ha altre caratteristiche? Si può interpretare la necessità come dimostrabilità o 
come analiticità? Questo genere di problematiche legate alla modalità, come sappiamo, 
hanno anche un grande impatto sui modi e sulle tecniche di formalizzazione dei sistemi 
modali, oltre ad avere una rilevanza filosofica di primaria importanza. La modalità è da 
sempre stata argomento di discussione proprio per le difficoltà che si incontrano nel 
tentativo di darne una definizione precisa, tanto che John Venn, nel 1888, l’ha definita 
La logica della dimostrabilità  1. Necessario, apodittico, dimostrabile 
 11
“la più spinosa e inospitale provincia del territorio della logica”
1
. In The Logic of Chance, 
Venn tenta un’analisi della modalità, con l’intento di ridurla a concetti meno 
controversi. In quel testo, che segna una ripresa della problematica modale dopo secoli 
di oblio, si prendono in considerazione diversi approcci interpretativi. Ciò che è 
importante è il dato iniziale: bisogna riconoscere che la modalità deve in qualche modo 
essere spiegata e si deve tentare una sua analisi al fine di metterne in luce le componenti 
che la costituiscono. In questo lavoro indagheremo in particolare quella linea di 
pensiero che vede la necessità in relazione stretta col concetto di dimostrabilità, linea 
che Venn non segue, ma che cita fra i vari approcci possibili al problema. 
Come sappiamo esistono difficoltà (e di alcune di queste ci occuperemo in modo 
specifico) connesse al trattamento delle nozioni modali, che hanno portato a tentativi di 
interpretazione attraverso concetti che in qualche modo sono più controllabili, come, 
appunto, quello di dimostrabilità. In particolare noi prenderemo in esame il modo in 
cui i problemi relativi alla modalità possono svilupparsi all’interno di teorie formali in 
cui essa è definibile come predicato. Naturalmente i modi di espressione delle nozioni 
modali saranno differenti a seconda dei linguaggi formalizzati in cui ci si muove. 
Carnap, ad esempio, nella Logische Syntax der Sprache, non parlerà di ridurre il 
necessario al dimostrabile, ma all’analitico, proprio per la natura del linguaggio con cui 
aveva a che fare. Bisognerà, quindi, dare anche delle caratterizzazioni precise di ciò che 
consideriamo analitico e di ciò che consideriamo dimostrabile, e lo si farà andando a 
specificare la natura dei linguaggi logici cui si farà riferimento. A questo proposito la 
nozione di dimostrabilità andrà ulteriormente delimitata e parleremo di dimostrabilità 
                                                           
1
 Venn [1888], The Logic of Chance, pp. 295. 
La logica della dimostrabilità  1. Necessario, apodittico, dimostrabile 
 12
interna ad uno specifico sistema (una nozione che può essere definita all'interno della 
teoria cui fa riferimento) e dimostrabilità in generale. Si tratterà quindi di andare a vedere 
se esistono dei sistemi logici che formalizzano queste nozioni e ai quali è connaturato 
un carattere modale. Più concretamente, per verificare entro che limiti la necessità si 
può vedere come dimostrabilità interna a un sistema (una delle possibili interpretazioni 
della modalità), bisognerà vedere se esiste un sistema il cui predicato di dimostrabilità 
interna si comporta come l'operatore di necessità nei sistemi di logica modale. 
Operazioni analoghe andranno fatte per dare giudizi sulle altre possibilità di riduzione 
delle nozioni modali. 
Prima di entrare in questi dettagli è opportuno specificare meglio il problema dell'interpretazione delle 
modalità come predicato, in riferimento ad alcuni momenti importanti della storia della logica (e della 
filosofia in generale). 
 
1.1 Alcuni aspetti della modalità in Aristotele 
 
Per Aristotele il necessario e il possibile si applicano al giudizio nella sua 
interezza. La modalità è qualcosa che interessa direttamente la copula qualificandola in 
una maniera che non rientra nella classificazione dei giudizi categorici come universali, 
particolari, affermativi, negativi. E’ l’intera proposizione a diventare oggetto della 
azione delle qualificazioni modali. Come è stato affermato: 
 
[...]sembra che, per Aristotele, la clausola subordinata dovesse considerarsi il soggetto dell'enunciato 
modale, che è usato nel suo insieme, in toto, per affermare o negare la possibilità, o una delle altre nozioni 
                                                                                                                                                                                           
 
La logica della dimostrabilità  1. Necessario, apodittico, dimostrabile 
 13
modali, di ciò che è espresso dalla clausola subordinata. Un'espressione modale come "è possibile" deve 
considerarsi analoga al verbo "essere" usato esistenzialmente.
2
 
 
L'analisi che Aristotele compie della modalità è analoga all'operazione da lui compiuta 
sui giudizi assertori; egli indaga le possibili combinazioni di premesse (maggiore e 
minore, come nel sillogismo categorico assertorio) che possono dar luogo a conclusioni 
e stabilisce, data la natura delle premesse, quella della conclusione. Nasce quindi una 
teoria del sillogismo modale che per la prima volta offre una possibile sistemazione alle 
nozioni di necessità, possibilità e contingenza. La logica modale di Aristotele presenta 
dei limiti, ma non ci vogliamo soffermare né su di essi né sui contenuti più specifici 
della teoria. Quello che ci preme far notare è l'atteggiamento di Aristotele nei confronti 
del problema modale: la qualificazione modale interessa tutta la proposizione e non 
può essere considerata come qualcosa di trascurabile o inessenziale. Attraverso 
l'introduzione delle parole modali si attua un cambiamento della natura della 
predicazione. Secondo l’interpretazione di M. Kneale, dal momento che Aristotele 
credeva che la modalità riguardasse l’intera proposizione, gli asserti modali devono 
necessariamente essere considerati affermativi e singolari, e non rientrare quindi nella 
classificazione sillogistica. Secondo altri, come A. Becker, (che seguono una tradizione 
vicina alla logica medioevale) la modalità si può considerare anche in sensu diviso, come 
applicantesi al predicato (ed eventualmente anche al soggetto) degli enunciati 
categorici. Di qui la complicazione che la storia della sillogistica ha registrato nel suo 
sviluppo e le perplessità che ha suscitato nel campo interpretativo. 
                                                           
2
 W.C. e M. Kneale [1962], The Development of Logic. Citazioni da trad. it. W.C. e M. Kneale [1972], Storia della 
logica, pag. 101. 
La logica della dimostrabilità  1. Necessario, apodittico, dimostrabile 
 14
Aristotele in ogni caso non vede come imprescindibile il ricorso a nozioni più 
elementari di quelle modali per svilupparne una teoria logica. Quando egli tenta di 
formulare un’analisi interna della modalità (andando cioè ad indagare i termini che 
costituiscono la proposizione modale), lo fa spinto dalla necessità di sciogliere 
paradossi generati dalle imperfezioni della sua teoria, e non con l’intento di eliminare il 
riferimento alla modalità in sé. E’ il caso, ad esempio, della difficoltà di passare dalle 
premesse alla conclusione in alcuni sillogismi modali in cui si genera il fenomeno della 
quaternio terminorum. Un altro esempio è quello della natura della predicazione: noi 
consideriamo sempre vera una proposizione come “gli uomini sono bipedi”, ma non la 
consideriamo necessaria. In altre parole il concetto di uomo non implica il fatto di essere 
dotato di due gambe. Questo tipo di predicazione, vero sempre ma non 
necessariamente vero, viene detto da Aristotele καατ ταα  πααν νττοοςς . Quando si ha a che fare 
con una predicazione necessaria in senso proprio (frasi come “l’uomo è un animale 
razionale”), Aristotele usa l’espressione κααϑ ϑ′ ′′ αυ υττοο . Normalmente, come nel nostro 
esempio, questo tipo di predicazione riguarda le definizioni o gli asserti che su di esse si 
basano. Si sarebbe tentati di concludere che Aristotele in qualche modo proponga una 
riduzione del necessario all’analitico, ma questo sarebbe completamente scorretto. Ciò 
che si intende oggi con analitico è il derivato di grandi mutamenti della filosofia intera, 
e non solo della logica, che hanno portato a vedere nel linguaggio qualcosa di diverso 
rispetto ad uno strumento di descrizione fedele della realtà come lo intendeva 
Aristotele. Essendo il concetto di ‘analitico’ strettamente legato, nella sua definizione, 
alla natura del linguaggio con cui si ha a che fare e al modo in cui ci si rapporta a questo 
linguaggio, non si può tentare di avvicinare la posizione Aristotelica alle concezioni 
La logica della dimostrabilità  1. Necessario, apodittico, dimostrabile 
 15
contemporanee che vedono nell’analiticità il concetto a cui ridurre la necessità. Con le 
parole dei Kneale, 
 
[…], un lettore che conosca la filosofia posteriore può essere tentato di concludere che per ‘necessario’ 
Aristotele intendesse ciò che alcuni logici moderni hanno inteso per ‘analitico’. Tale ipotesi sarebbe 
fuorviante, perché la parola ‘analitico’ è venuta acquisendo un’associazione con il concetto di 
convenzione linguistica che è affatto aliena dal concetto aristotelico di necessità. La teoria aristotelica 
della definizione non è del tutto chiara, ma è certo che egli, come Platone, assume che la definizione sia 
qualcosa d’obiettivo, e che per lui qualsiasi definizione proposta è corretta o scorretta.
3
 
 
Quindi il termine di paragone per ciò che è necessario non è l’analitico, ma semmai, ciò 
che è vero per definizione. Ma, come scritto anche nel brano riportato, ‘definizione’ è 
per Aristotele un concetto tutt’altro che semplice. Quello che è chiaro è che ciò che è 
vero per definizione, secondo la filosofia di Aristotele, è stabilito da dati di fatto. 
Aristotele si muove in un orizzonte in cui linguaggio, pensiero e realtà si corrispondono 
reciprocamente, per cui per formulare le giuste definizioni bisogna osservare il mondo. 
Questo rimando ultimo del necessario (attraverso la teoria della definizione) al reale 
suggerisce che le nozioni modali, per Aristotele, siano dei dati elementari, originari, non 
ulteriormente analizzabili. La rottura dell’unità ermeneutica di linguaggio, pensiero e 
realtà porterà al tentativo di dare alle nozioni modali delle basi differenti. La direzione 
sarà quella di ricondurre il necessario a nozioni logiche sicure, in particolare i 
riferimenti più immediati saranno il concetto di ‘analitico’ e di ‘dimostrabile’.  
                                                           
3
 W.C. e M. Kneale [1962], pag. 113. 
La logica della dimostrabilità  1. Necessario, apodittico, dimostrabile 
 16
1.2 La modalità nella logica trascendentale di Kant  
 
E’ in Kant che avviene lo stacco decisivo rispetto alla tradizione aristotelica e 
dunque è a lui che fanno riferimento coloro che, in epoca moderna, come Venn che poco 
fa abbiamo citato, rifiutano le modalità aristoteliche. L’indagine logica in Kant ha un 
obiettivo radicalmente diverso rispetto a quello che ha in Aristotele; la logica per Kant, 
dopo la maturazione dell’approccio critico, va sviluppata anch’essa nell’ottica 
trascendentale: si dovrà quindi parlare di una logica trascendentale oltre che di una logica 
formale. Senza entrare nei particolari della filosofia kantiana, con logica trascendentale 
si intende una scienza che “riguarda semplicemente le leggi dell’intelletto e della 
ragione, ma solo in quanto si riferisce ad oggetti a priori, e non, come la logica generale, 
a conoscenze tanto empiriche quanto pure, senza distinzione.”
4
 La logica trascendentale 
si divide in analitica e dialettica. All’interno dell’analitica, che si occupa dell’indagine 
dell’intelletto, si trova la classificazione dei giudizi e la tavola delle categorie. Qui si 
sente tutto il distacco da Aristotele. Per quest’ultimo le categorie erano, infatti, le 
determinazioni supreme dell’essere, i modi in cui esso si predica. Per Kant, al contrario, 
esse sono funzioni dell’intelletto attraverso le quali i fenomeni vengono organizzati. Da 
queste differenze nasce la necessità di ridefinire la classificazione dei giudizi. Se infatti, 
dal punto di vista della logica generale, Kant ritiene pressoché esaustivo il contributo di 
Aristotele, in un’ottica trascendentale si devono introdurre nuove e più precise 
distinzioni. I giudizi vengono così divisi in quattro gruppi (quantità, qualità, relazione, 
modalità). Ogni gruppo comprende tre “momenti”, secondo il seguente schema: 
La logica della dimostrabilità  1. Necessario, apodittico, dimostrabile 
 17
Quantità dei giudizi Qualità dei giudizi Relazione Modalità 
Universali 
Affermativi 
Categorici Problematici 
Particolari Negativi Ipotetici Assertori 
Singolari Infiniti Disgiuntivi Apodittici 
 
Rispetto ad Aristotele va rilevata l’aggiunta del gruppo dei giudizi di relazione. Essi si 
riferiscono ai rapporti fra proposizioni, secondo le linee della logica di derivazione 
stoica, e non riguardano invece il rapporto soggetto - predicato. Questo è regolato dalla 
quantità e dalla qualità dei giudizi. In questi gruppi ritroviamo, infatti, le distinzioni 
aristoteliche (universale, particolare, affermativo, negativo), a cui vanno aggiunti i 
giudizi singolari e infiniti. Kant fa menzione esplicita di questi giudizi perché in una 
logica trascendentale bisogna tenerne conto. I giudizi modali, ciò che principalmente ci 
interessa, sono classificati a parte e di essi si dice che la loro funzione 
 
[…] non contribuisce per niente al contenuto del giudizio (giacché, oltre la quantità, la qualità e la 
relazione, non c’è più altro che formi il contenuto del giudizio), ma tocca solo il valore della copula 
rispetto al pensiero in generale. Giudizi problematici sono quello in cui l’affermare, o il negare, si ammette 
come semplicemente possibile (arbitrario); assertori quelli in cui si considera come reale (vero); apodittici 
quelli in cui si riguarda come necessario.
5
 
 
Sembra quindi esserci una vicinanza rispetto ad Aristotele: la modalità interessa la 
totalità della proposizione e non i singoli termini che la compongono, ma la modalità ha 
per Kant una valenza soggettiva che non ha riscontro in Aristotele. 
Una volta classificati i giudizi vengono dedotte le categorie. Queste sono i “concetti puri 
dell’intelletto”, le funzioni secondo cui l’intelletto svolge il proprio lavoro di 
                                                                                                                                                                                           
4
 I. Kant [1781] Kritik der reinen Vernuft. Citazione trad. it. di G. Gentile e G. Lombardo Radice, ed. Laterza, 1995, 
pag. 81. 
La logica della dimostrabilità  1. Necessario, apodittico, dimostrabile 
 18
unificazione del materiale sensibile. Le categorie modali, che rendono possibili i giudizi 
di quel gruppo sono: la possibilità – impossibilità, l’esistenza – inesistenza, la necessità – 
contingenza. Rispetto ad Aristotele troviamo il riferimento all’esistenza come nozione 
modale. Gli altri quattro concetti ricalcano quelli introdotti nell’antichità. 
Cerchiamo ora di comprendere che cosa significhi per Kant la necessità. Abbiamo visto 
che per Aristotele essa aveva a che fare con la teoria della definizione, e, attraverso di 
essa, trovava interpretazione nella realtà. Chiaramente, per Kant, questo tipo di 
soluzione non ha senso. Il suo approccio filosofico è teso alla critica della realtà 
metafisica, la quale va inserita all’interno dei confini dell’esperienza possibile. Non ci 
dilungheremo su questo punto, che è d’altronde il nucleo centrale della Kritik der reinen 
Vernuft. Per capire come si possano applicare le categorie ai fenomeni, e quindi per 
comprendere in quali casi possiamo utilizzare i concetti modali, dobbiamo prendere in 
considerazione quello che Kant chiama “lo schematismo dei concetti puri 
dell’intelletto”. Si tratta proprio della maniera in cui le categorie, che sono funzioni 
dell’intelletto, trovano la possibilità della loro applicazione attraverso l’intuizione. Lo 
schema trascendentale è un “terzo termine, omogeneo con le categorie da un lato e col 
fenomeno dall’altro, che rende possibile l’applicazione di quelle a questo.”
6
 Questa 
applicazione è regolata da specifici principi, i quali “sono giudizi a priori 
immediatamente certi”. I principi che regolano le categorie modali sono chiamati 
postulati del pensiero empirico in generale e il loro contenuto è il seguente: 
1. Ciò che si accorda colle condizioni formali dell’esperienza (per l’intuizione e pei concetti) è possibile. 
2. Ciò che si connette con le condizioni materiali dell’esperienza (della sensazione) è reale. 
                                                                                                                                                                                           
5
 Kant [1781], pag. 93. 
6
 Kant [1781], pag. 137 – 8. 
La logica della dimostrabilità  1. Necessario, apodittico, dimostrabile 
 19
3. Ciò la cui connessione col reale è determinato secondo le condizioni universali dell’esperienza è 
(esiste) necessariamente.
7
 
 
Notiamo che le nozioni modali sembrano riducibili a qualcosa d’altro. I riferimenti 
interni al sistema kantiano fanno sì che questo tipo di qualificazione possa essere 
ricondotto alla maniera in cui il giudizio si è generato. Questo è un punto 
importantissimo: i tentativi di riduzione della necessità (ad esempio ‘necessario’ 
interpretato come ‘analitico’ o come ‘dimostrabile’) nascono da queste considerazioni di 
Kant. 
Per comprendere meglio la posizione di Kant, dobbiamo prendere in esame i giudizi 
modali. Il giudizio per Kant è “l’operazione dell’intelletto per cui il molteplice di 
rappresentazioni date è ricondotto ad una appercezione in generale”
8
. Ora è chiaro che 
se questa riconduzione è effettiva, se cioè il giudizio ha luogo, la qualificazione di 
‘possibile’ al giudizio stesso non è chiara. Quali sono infatti i giudizi problematici? Se vi 
è giudizio non può esserci l’incertezza del giudizio stesso. 
 
L’essenza del giudizio è di presentare un enunciato che esige di essere vero e richiede credenza. 
Un’espressione, quindi, che non afferma nulla e lascia aperta la possibilità di esser vero al suo contrario, 
non è un tipo di giudizio. Se ogni giudizio è o l’affermazione o la negazione di una questione, allora 
un’espressione che non afferma e non nega non può essere un giudizio, poiché lasciare la questione 
indecisa non è una decisione, ed essere incerti non è un grado di certezza.
9
 
 
Una critica analoga si può avanzare alla distinzione fra giudizi assertori e apodittici. In 
che cosa possono differire, infatti? Non certo nella maggiore o minore certezza del loro 
contenuto. Nel momento in cui un giudizio è formulato si fa un’affermazione senza 
specificazione alcuna. Si dice se un certo predicato si applica a un soggetto oppure no. 
                                                           
7
 Kant [1781], pag. 184. 
8
 Op. cit., pag. 116. 
9
 C. Sigwart [1873], Logik. Citazioni trad. ing. 1895. 
La logica della dimostrabilità  1. Necessario, apodittico, dimostrabile 
 20
Questa è la natura del giudizio. Al suo interno non c’è spazio per riferirsi a diversi gradi 
di certezza. Riportiamo ancora le parole di Sigwart su questo punto: 
 
[…] scompare la differenza essenziale fra giudizi assertori e apodittici. Se dico “questo è così”, esso non è 
un giudizio perfettamente completo a meno che esso non significhi “devo necessariamente giudicare che 
questo è così”; la certezza della mia affermazione si basa interamente sulla presupposizione di questa 
necessità.
10
 
 
In altre parole, una volta che il giudizio è formulato, non si può diminuirne la portata 
qualificandolo come possibile, o aumentarne l’importanza dicendo che esso è 
necessario. Ma allora su che cosa agisce la modalità nel sistema kantiano? Kant ci dà 
alcune informazioni su questo punto nella sezione della Critica della ragion pura dedicata 
alla confutazione dell’idealismo. 
 
[…] i principi della modalità non sono oggettivamente sintetici, perché i predicati della possibilità, realtà 
e necessità non accrescono menomamente il concetto del quale si predicano, con l’aggiunta di qualcosa 
alla rappresentazione dell’oggetto. Sono bensì sintetici, ma solo soggettivamente, cioè aggiungono al 
concetto di una cosa (di un reale), della quale del resto non dicono nulla, la facoltà del conoscere in cui 
sorge e ha sede, cosicché se è legato solo nell’intelletto con le condizioni formali dell’esperienza, il suo 
oggetto si dice possibile; se è poi legato con la percezione (sensazione, come materia dei sensi) e mediante 
essa determinato dall’intelletto, l’oggetto è reale; se infine è determinato dalla connessione delle 
percezioni secondo concetti, l’oggetto si dice necessario. I principi della modalità, dunque, non dicono 
altro, di un concetto, se non l’operazione della facoltà conoscitiva, da cui esso è generato.
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Al riferimento alla realtà aristotelico, dunque, nella determinazione della modalità 
viene sostituito il rimando alla facoltà conoscitiva che genera il concetto. Ecco che a questo 
punto il necessario, essendo identificato dalla connessione dei termini del giudizio 
secondo concetti, può legittimamente essere identificato con il dimostrabile. 
                                                           
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 Sigwart [1873], pag. 182. 
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 Kant [1781], pag. 195.