La nuova architettura finanziaria internazionale e i Pvs
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In conclusione ci chiederemo, mantenendo ancora una volta un punto di vista solidale con le
esigenze dei PVS, quali ulteriori passi potrebbero essere ancora fatti per procedere nella
riforma dell'architettura del sistema finanziario internazionale.
Struttura
La tesi è divisa in due parti. La prima, di carattere più generale e di tipo panoramico sui
problemi e le proposte alla base del dibattito della riforma del sistema finanziario
internazionale, consta di due capitoli. La seconda, composta di tre capitoli, approfondisce le
tematiche nuovamente attuali, alla luce dei recenti sviluppi, dei rapporti fra liberalizzazione del
conto capitale e fragilità finanziaria di un paese. Essa indaga inoltre su di un possibile ruolo di
forme di restrizioni dei flussi di capitali nella prevenzione e gestione delle crisi finanziarie. Il
dibattito generale è supportato dall'analisi dettagliata di tre casi empirici per esso
particolarmente rilevanti: le esperienze cilena, malese e indiana con diverse tipologie di
controlli dei capitali. Nelle conclusioni generali sono esposte delle osservazioni personali e si
delineano le risposte agli interrogativi poc'anzi espressi facendo riferimento alla tesi nel suo
complesso. Una sintesi dei principali contenuti e conclusioni sarà data nel seguito del
sommario.
L'appendice 1, fornisce al lettore un quadro degli eventi delle principali crisi finanziarie degli
anni novanta che hanno colpito i paesi emergenti (crisi messicana, asiatica, russa e brasiliana) e
dalle quali è sorta l'esigenza della riforma del sistema finanziario internazionale.
Nell'appendice 2 sono elencati i principali attori delle riforme, più volte richiamati nel corso
della tesi, ed è sintetizzata l'evoluzione recente del dibattito e delle riforme, suddiviso secondo
le aree di interesse.
Caratteristiche e limiti principali della tesi
La principale caratteristica di questa tesi è l'ampiezza degli argomenti collegati alla scelta di un
tema così interessante ed attuale, ma anche complesso come quello della riforma
dell'architettura del sistema finanziario internazionale in corso. Questo aspetto può costituire
un pregio, ma anche un serio limite per un tesi di laurea, tipicamente soggetta a limitazioni
spaziali e temporali piuttosto stringenti, qualora rischiasse di rimanere eccessivamente
generica. Proprio a ragione di questi timori abbiamo cercato di mantenere un giusto equilibrio
fra l'esigenza di panoramicità, che comunque comporta l'affrontare un siffatto argomento, ed
quella di limitazione degli ambiti di indagine e di approfondimento di tematiche specifiche. La
prima esigenza trova sicuramente espressione nel corso della prima parte della tesi, appunto di
carattere panoramico generale. La seconda esigenza è stata soddisfatta in una pluralità di modi:
(1) mantenendo, nell'arco di tutta l'esposizione, un interesse primario per le
implicazioni dei diversi problemi e riforme proposte per i paesi emergenti;
(2) escludendo dalla revisione del dibattito sulla ristrutturazione del sistema finanziario
internazionale la gran parte di quelle proposte scarsamente realistiche e
difficilmente realizzabili (specialmente in relazione alla creazione di nuove IFI o
modificazioni radicali dei loro compiti) e concentrando l'attenzione sull'evoluzione
del dibattito "ufficiale" e sulle misure attuate o comunque attentamente considerate
in tali sedi;
(3) dedicando l'intera seconda parte della tesi agli aspetti specifici della liberalizzazione
del conto capitale ed utilizzo dei controlli sui flussi di capitale in funzione
prudenziale nei paesi emergenti (con analisi di casi specifici nel quinto capitolo).
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Un altro aspetto specifico di questa tesi è costituito dalla modalità di reperimento delle fonti.
Come emerge dalla bibliografia, la maggior parte dei documenti utilizzati per la stesura sono
facilmente recuperabili direttamente in Internet, prevalentemente presso siti di IFI, banche
centrali e governi nazionali. Per molti versi possiamo quindi affermare che questa tesi stessa è
frutto di quel processo di maggiore trasparenza nella diffusione dell'informazione, invocato nel
corso della riforma dell'architettura finanziaria internazionale (cfr. par. 2.2).
Non nascondiamo, per contro, come questa modalità di raccolta delle informazioni possa aver
condotto a considerare in misura subordinata e minore fonti informative non presenti sul Web.
Pur considerando questi rischi e limiti, riteniamo che i benefici di un accesso rapido ed
estensivo all'informazione quale quello concesso da Internet, abbiano superato i costi relativi ai
rischi e i limiti suddetti.
Le fonti bibliografiche sono state prevalentemente in lingua inglese e di area anglosassone. La
ricerca si è comunque ristretta, per nostri limiti personali, a documenti nelle suddette lingue:
italiano, inglese, francese, spagnolo e nederlandese.
FLUSSI DI CAPITALI E CRISI FINANZIARIE
La composizione e il volume dei flussi di capitali dai paesi industrializzati verso quelli
emergenti è mutata considerevolmente nel corso degli ultimi trent'anni, specialmente negli anni
novanta. Negli anni settanta i flussi netti di capitale privato verso i paesi emergenti si
presentavano abbastanza bassi, sia in termini assoluti, sia come percentuale relativa al PIL,
prevalentemente nella forma di prestiti bancari. Una porzione rilevante dei flussi totali, inoltre,
era invece costituita da quelli ufficiali. Negli anni ottanta si assistette ad una crescita dei flussi
di capitale privato fra il 1980 e il 1981 e poi, in seguito alla crisi del debito nei PVS, avvenne
una brusca diminuzione dei flussi di capitale privato (minimo nel 1984) ed un aumento di
quelli ufficiali. Solo a partire dal 1989-90 si assiste ad una vigorosa ripresa dei flussi di
capitale privato (ora prevalentemente investimenti diretti esteri e investimenti di portafoglio
oltre che prestiti bancari) verso i paesi emergenti, fino a livelli anche dieci volte superiori a
quelli medi degli anni ottanta (massimo nel 1996, con $213,84 mld. di flussi netti), e, al
contempo ad una diminuzione dei capitali ufficiali. Questi flussi, nel corso del periodo 1990-
97, si presentano fortemente concentrati verso pochi paesi riceventi, principalmente in Asia e
America Latina. Il settore pubblico diventa inoltre il maggior ricevente di questi flussi.
Una serie di fattori interni ed esterni ai paesi riceventi sembra spiegare questo aumento. Fra i
primi rientra l'aumentata credibilità di molti paesi emergenti, in seguito alla ristrutturazione del
loro debito estero e agli aumenti di produttività ottenuti mediante programmi di riforme
strutturali, di miglioramenti nelle politiche macroeconomiche seguiti a programmi di
stabilizzazione (specialmente nei paesi ASEAN e in America Latina); tutto ciò avrebbe
aumentato i tassi di rendimento attesi dagli investitori esteri e fatto diminuire la percezione del
rischio paese. Fra i secondi vi sono i cambiamenti tecnologici (legati alla recente rivoluzione
nei campi delle telecomunicazioni e dell'informatica), il processo di globalizzazione e
innovazione dei mercati finanziari, che ha aumentato le possibilità di diversificazione, e
variazioni nelle economie dei paesi industrializzati. Queste sono state di tipo ciclico e
strutturali. Fra le prime rientrano la diminuzione dei tassi reali di interesse, che ha reso più
attraenti investimenti nelle economie emergenti, e fra le seconde la modificazione della
struttura per età della popolazione che, dotando investitori istituzionali di maggiori risorse,
avrebbe aumentato la disponibilità di capitali anche per gli investimenti all'estero.
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I flussi finanziari verso i PVS possono favorire la loro crescita economica finanziando gli
investimenti e i consumi, garantendo una loro minor volatilità, aumentando le possibilità di
diversificazione delle fonti creditizie e consentendo di superare temporanei declini del reddito
attraverso prestiti internazionali. D'altra parte essi possono produrre anche effetti negativi,
specialmente in presenza di alcune fragilità e inadeguatezze preesistenti delle economie e dei
sistemi finanziari dei paesi riceventi. Fra di questi l’eccessiva espansione della domanda
aggregata, che può generare un surriscaldamento macroeconomico e produrre pressioni
inflazionistiche e/o sui tassi di cambio. Il sistema bancario e finanziario che intermedia i flussi
di capitale, spesso assai volatili, se procede ad un espansione incontrollata del credito può
risultare vittima della sua stessa cattiva gestione di risorse abbondanti, qualora si verifichino
situazioni di inversioni dei flussi di capitali che possono degenerare in crisi finanziarie.
Il manifestarsi di crisi finanziarie è un fenomeno connaturato all'attività economica stessa, pur
potendosi manifestare con modalità, complessità ed estensione diversa a seconda del periodo
storico e delle caratteristiche del sistema finanziario. La tassonomia delle crisi finanziarie può
ricomprendere diverse forme: crisi valutarie, bancarie, della bilancia dei pagamenti e del
debito (estero e interno). Esse possono avere natura limitata o portata sistemica. Infine una crisi
finanziaria può assumere contemporaneamente più di una delle forme suddette.
Numerosissime sono le spiegazioni teoriche alla base delle crisi finanziarie. Un posto rilevante
fra esse assume l'ipotesi di instabilità finanziaria (IIF) di H.P.Minsky, ripresa da
C.P.Kindleberger (1978) in un noto modello di crisi finanziaria, a cui noi ci riferiamo come
modello di Minsky-Kindleberger (cfr. subpar. 1.4.2). L'IIF studia le relazioni che legano gli
investimenti ai prezzi delle attività e quest'ultimi all'andamento degli investimenti nonché al
funzionamento dei mercati e una delle sue principali conclusioni è che i meccanismi interni
stessi di un’economia capitalistica generano delle relazioni finanziarie che conducono a
instabilità. Quindi le relazioni di prezzo e di valore delle attività che portano a una crisi in una
struttura economica sono degli eventi normali. Kindleberger (1978) delinea "l’anatomia di una
crisi tipica" composta da alcune fasi in successione: lo spostamento, l’espansione monetaria, la
superattività e l’euforia, il mutamento improvviso e il discredito, ed, eventualmente, il panico
e il crollo. Dal modello di Minsky-Kindleberger, incentrato sugli aspetti speculativi dell'agire
degli operatori economici, emerge la considerazione dell’aspetto “irrazionale” della natura
umana che sembra spesso guidare l’azione anche in campo economico. Euforia, ottimismo
nelle proprie capacità, improvvise disillusioni e panico giocano ruoli essenziali nella
spiegazione delle crisi finanziarie.
Le crisi valutarie, legate a cambi fissi o a parità striscianti, hanno costituito uno degli aspetti
fondamentali delle crisi finanziarie nel dopo Bretton Woods. Tre tipologie di modelli sono
state individuate dalla letteratura. I modelli della prima generazione spiegano le crisi valutarie
come dovute ad attacchi speculativi degli operatori in seguito a perdite di fiducia degli attori
economici nelle politiche macroeconomiche di un paese, e all'incapacità del governo di
difendere la parità oltre i limiti imposti dalle riserve valutarie. I modelli della seconda
generazione presuppongono che i governi difendano il livello del tasso di cambio fisso
mediante politiche monetarie restrittive e alti tassi di interesse fintanto che i benefici della
difesa (in termini di credibilità delle autorità monetarie nel perseguimento dei propri obiettivi)
non superino i costi dovuti dall’impatto negativo sul sistema economico e finanziario della
politica monetaria restrittiva. Nei modelli della terza generazione (che si ispirano alla crisi
asiatica) assumono un ruolo fondamentale i rischi di azzardo morale indotti da garanzie
governative al sistema bancario. La concessione di garanzie implicite di bail-out alle banche,
rendono i prestiti ai sistemi bancari estremamente attraenti e favoriscono un massiccio afflusso
di capitali stranieri. Quando le garanzie vengono ritirate, i flussi di capitali si invertono, si
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assiste ad un peggioramento della bilancia dei pagamenti e a difficoltà nel sistema. Per
sostenere le banche mediante iniezioni di liquidità, il governo abbandona l’obbiettivo del
mantenimento del tasso di cambio. Da tutti e tre i modelli emerge comunque un ruolo negativo
di politiche governative incompatibili con l’obiettivo di stabilità del tasso di cambio, che
incrementano la probabilità di crisi.
In tempi recenti, fra il 1975 e il 1997, l'incidenza delle crisi finanziarie è stata notevole. Uno
studio del FMI (1998b) registra, su un campione di 53 paesi, 158 crisi valutarie e 54 crisi
bancarie, spesso, soprattutto nei PVS (dove si registrano anche difficoltà assai comuni nei
pagamenti con l'estero), associate fra loro. L’incidenza delle crisi valutarie nei PVS è stata
quasi tripla rispetto ai paesi industriali e quasi quadrupla quella delle crisi bancarie. Anche i
costi di risoluzione delle crisi sono inoltre risultati più alti (anche oltre il 40% del PIL), mentre
più rapidi sono stati i periodi di ripresa della crescita.
Negli anni novanta in particolare, le crisi sono state precedute da fenomeni di liberalizzazione
dell'economia ed del settore finanziario mediante deregolamentazione e liberalizzazione del
conto capitale. La volatilità dei capitali è aumentata notevolmente in concomitanza con la
crescita di forme di finanziamento a breve termine o comunque facilmente smobilizzabili (p.es.
investimenti di portafoglio), di natura essenzialmente speculativa: i cosiddetti flussi di hot
money
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.
Un'ulteriore aspetto caratteristico delle crisi degli anni novanta è stata la facilità con cui le
difficoltà finanziarie di un paese si sono trasferite ad un altro. In questi casi si è parlato di
contagio, tuttavia una definizione condivisa di questo termine non esiste ancora. Infatti mentre
il termine contagio è spesso riferito generalmente al diffondersi di disturbi (generalmente
peggioramenti delle condizioni) sui mercati da un paese ad un altro, si è cercato di distinguere
fra diversi tipi di contagio sulla base delle ragioni e dei canali di trasmissione della volatilità
dei mercati che ne sarebbero alla base. Da un lato, vi sarebbero il contagio basato sui
fondamentali o impropriamente definito tale: si enfatizza il ruolo delle normali interdipendenze
fra i mercati e si individuano canali di trasmissioni come shock comuni (monsoonal effects),
effetti di traboccamento commerciali e finanziari (spillover effects). In aggiunta vi sarebbero
forme di contagio puro, che sembrano dipendere unicamente dal comportamento degli
investitori e degli altri intermediari finanziari senza un riscontro nei mutamenti dei
fondamentali economici di un paese. Nel contagio puro rientrerebbero panici finanziari, herd
behaviours, bandwagon effects, perdite di fiducia e mutamenti improvvisi delle aspettative
degli operatori su determinati mercati, generalmente riconducibili a problemi di informazione
asimmetrica. L'apparente irrazionalità collettiva di questi comportamenti è giustificabile sulla
base di comportamenti razionali a livello di singoli operatori (cfr. subpar. 1.5.3).
Diverse analisi empiriche sulle crisi recenti sembrano confermare l’importanza di molti canali
reali di trasmissione del contagio basato sui fondamentali, rispetto a visioni che considerano
preponderanti quello di tipo puro. Inoltre, emerge una dimensione regionale del contagio e la
sua non casualità: la vulnerabilità di un paese a crisi finanziarie (specialmente valutarie)
“importate” è cioè maggiore per quelle economie che presentano squilibri esterni,
inadeguatezza delle riserve internazionali e legami commerciali e finanziari (diretti e indiretti)
con altre economie sofferenti.
1
Alcuni (cfr. Dooley, 1996: 661), d'altra parte sottolineano la mancanza di fondatezza della tradizionale
associazione di un diverso grado di volatilità a seconda della tipologia dei flussi (per cui, ad esempio, IDE
sarebbero relativamente più stabili rispetto a investimenti di portafoglio).
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Nel corso degli anni si sono sviluppate diverse misure per la gestione dei flussi di capitale e la
prevenzione e gestione delle crisi finanziarie, sia a livello nazionale, sia a livello internazionale
in seno a quelle istituzioni preposte al mantenimento della stabilità del sistema finanziario
globale, come il FMI e la Banca Mondiale. Fra le misure "tradizionali" di gestione degli
afflussi di capitali e prevenzione delle crisi rientrano misure di sterilizzazione, la stretta della
politica fiscale, l'apprezzamento del tasso di cambio nominale, l’imposizione dei controlli sui
flussi in entrata e la liberalizzazione dei flussi in uscita.
Fra le più note misure di gestione delle crisi bancarie a livello nazionale ritroviamo il prestatore
di ultima istanza (per garantire liquidità al sistema bancario e ristabilire la fiducia nella
solvibilità del sistema fra gli operatori), strumenti amministrativi volti ad impedire o rendere
difficoltoso il normale funzionamento dei mercati (fra cui i controlli sui deflussi dei capitali),
l'emissione di titoli governativi a operatori commerciali contro la presentazione di garanzie
sulle loro scorte, la garanzia delle passività di istituzioni commerciali o finanziarie in difficoltà,
la creazione di intermediari specializzati per apporre ulteriori garanzie a cambiali tratte e
consentirne lo sconto e operazioni di mercato aperto per fornire la liquidità necessaria al
mercato. Per le crisi valutarie tre sono, generalmente, le linee di difesa adottate: (1) l'utilizzo di
politiche monetarie e del tasso di interesse volte a ripristinare la fiducia dei mercati e fermare la
fuga di capitali, (2) l'utilizzo di riserve internazionali sufficienti per contrastare le dinamiche
del mercato dei cambi, (3) l'arresto unilaterale del pagamento del debito (mediante imposizioni
di restrizioni cambiarie) e l'inizio di negoziazioni per una sua ordinata ristrutturazione. Rimane
aperta ai governi, nei casi più gravi, specialmente relativi a crisi della bilancia dei pagamenti, il
ricorso all'assistenza di IFI come il FMI o le banche multilaterali di sviluppo, che attraverso
linee di credito o altri servizi di finanziamento e assistenza tecnica, spesso associati a stringenti
misure di condizionalità, garantiscono aiuto nel ristabilire situazioni di stabilità nei paesi colpiti
dalle crisi finanziarie.
LA RISTRUTTURAZIONE DELL'ARCHITETTURA FINANZIARIA
INTERNAZIONALE
Le crisi degli anni novanta hanno sia riproposto all'attenzione della comunità internazionale
problemi già visti in un contesto nuovo, sia introdotto problemi totalmente nuovi. Fra quelli
principali che sono divenuti oggetto del dibattito sulla riforma del sistema finanziario
internazionale: (1) la debolezza dei settori bancari e finanziari nelle economie emergenti,
insieme con prematuri e insufficientemente controllati processi di liberalizzazione; (2) una
cattiva gestione del debito del settore pubblico e/o privato e la scarsità delle risorse liquide a
disposizione per fronteggiare degli shock; (3) punti deboli nella disciplina di mercato, derivanti
da problemi di informazione inadeguata (scarsa trasparenza, non uniformità e comparabilità
dell'informazione disponibile) e da problemi di azzardo morale; (4) problemi istituzionali nella
rinegoziazione del debito con i privati, per il ruolo crescente delle obbligazioni governative
rispetto ai prestiti con sindacati bancari; (5) regimi di cambi (fissi e parità striscianti)
eccessivamente vulnerabili in molte economie emergenti; (6) inappropriate politiche
macroeconomiche nei paesi emergenti, prima e durante le crisi; (7) l'alta volatilità dei flussi di
capitale privati verso le economie emergenti (specialmente della cosiddetta hot money) e
fenomeni di contagio regionali e globali di estrema intensità; (8) scarsa efficacia dell'azione del
FMI e della Banca Mondiale e critiche diffuse al loro operato nelle crisi.
Già a partire dal 1995 il G-7 iniziò a parlare di una "architettura internazionale" e a invocare
una serie di misure per migliorare la stabilità dell'economia globale, fra cui migliori dati
economici e finanziari e più risorse per il FMI. Inoltre nel 1996 il G-10 preparò un rapporto
sulla risoluzione delle crisi finanziarie internazionali, molte proposte del quale sono poi state
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recentemente riprese. Anche il FMI, già dopo la crisi messicana, adottò alcune misure per
rafforzare il sistema finanziario internazionale (cfr. subpar. 2.1.2). Tuttavia è dopo la crisi
asiatica che il dibattito sulle riforme ha acquisito vigore ed è fra l’ottobre del 1998 (vertice dei
G-7) e l’aprile del 1999 (incontro annuale del FMI e della Banca Mondiale) che si delineò un
quadro delle riforme ufficiale su di alcune aree di sostanziale accordo:
(1) Trasparenza, standard e sorveglianza.
(2) Rafforzare i sistemi finanziari.
(3) Tematiche relative alla liberalizzazione del conto capitale.
(4) Coinvolgimento del settore privato nella prevenzione e risoluzione delle crisi.
(5) Problematiche sistemiche come le implicazioni della mobilità dei capitali, la
volatilità dei tassi di cambio e la riforma istituzionale del FMI
Al vertice dei G-7 di Colonia, nel giugno 1999, tali aree sono state sostanzialmente ribadite e si
è giunti, in ambito ufficiale ad un accordo che i miglioramenti nel sistema debbano essere
costruiti nell'ambito delle istituzioni già esistenti.
Fra gli attori più importanti per le proposte relative alla riforma ricordiamo il G-22, con le sue
tre relazioni dell’ottobre 1998 (G-22, 1998a, 1998b e 1998c), le quali hanno costituito una
sorta di agenda generale delle riforme possibili, il FMI (il cui lavoro si è sviluppato per molti
aspetti sviluppando idee di altri attori), l'Institute of International Finance e, più recentemente,
il Foro per la Stabilità Finanziaria (FSF) con i suoi rapporti dell’aprile 2000 su aspetti specifici
del sistema finanziario internazionale (FSF, 2000b, 2000c, 2000d). Numerose altre istituzioni
internazionali sono attivamente presenti nel dibattito e nell'approntamento di meccanismi per
una più efficace prevenzione e gestione delle crisi, specialmente nella preparazione di standard
e buone pratiche.
L'ultima relazione del FMI sui progressi nella riforma dell'architettura del sistema finanziario
internazionale (FMI, 2000) presenta un quadro assai complesso di iniziative già realizzate, in
corso di attuazione (trasparenza ed elaborazione di standard in genere) e altre ancora in fasi
preliminari o avanzate del dibattito ( fra cui coinvolgimento del settore privato, controlli dei
capitali e liberalizzazione del conto capitale, e la nuova area della riduzione e ridefinizione
delle finalità di alcuni degli strumenti finanziari del FMI per assistere i paesi membri).
Prevenzione: trasparenza e responsabilità
Per trasparenza "ci si riferisce a quel processo mediante cui le informazioni circa le condizioni,
decisioni e azioni sono rese accessibili, visibili e comprensibili"(cfr. G-22, 1998a: v). Per
responsabilità (accountability) "ci si riferisce alla necessità di giustificare e accettare le
responsabilità che derivano dalle decisioni prese" (cfr. G-22, 1998a: v).
Sebbene sia riconosciuto che un miglioramento di queste dimensioni non possa da solo
considerarsi sufficiente in un'efficace prevenzione delle crisi, sicuramente potrebbe contribuire
ad evitare il formarsi di squilibri finanziari, riconoscerli in tempo per attuare delle più pronte
politiche di aggiustamento e facilitare la limitazione di fenomeni di contagio, migliorando in tal
modo la performance economica. E’ possibile dividere l’analisi delle iniziative relative alla
trasparenza e alla responsabilità secondo tre gruppi di attori: il settore privato, le autorità
nazionali e le IFI.
Nel settore privato la scarsa trasparenza della posizione finanziaria di molte società, l'assenza
di bilanci consolidati di gruppo, debolezze nascoste da lacunose pratiche contabili nei settori
aziendale e bancario sembrano essere stati alla base della cattiva allocazione delle risorse, che
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ha contribuito all'insorgere della crisi asiatica e all'accelerazione della stessa. La preparazione
di standard internazionali comuni o di "buone pratiche" condivise (approccio volontario
utilizzato anche in problematiche relative al rafforzamento del settore finanziario) è stato
l’approccio più seguito ed è tuttora in corso, relativamente alla trasparenza dell’informazione e
della sua diffusione in quelle aree di fragilità sopra menzionate, da parte di IFI e organizzazioni
internazionali dotate di expertise specifica.
La trasparenza e responsabilità delle autorità nazionali è relativa, principalmente, alle politiche
economiche seguite, e alla preparazione e diffusione di tutte quelle informazioni su base
aggregata che riguardino le imprese, le famiglie ed il governo. Anche in questo ambito alcune
organizzazioni hanno dettato standard per la compilazione delle statistiche macroeconomiche.
Vale la pena di richiamare soprattutto l’iniziativa del FMI (del 1996) degli Special Data
Dissemination Standard (SDDS), un sistema volontario di standard di diffusione
dell’informazione, per guidare i paesi membri che abbiano, o possano cercare, l'accesso ai
mercati internazionali dei capitali nella fornitura dei loro dati economici e finanziari al
pubblico. Dopo la crisi asiatica gli SDDS sono stati rivisti per carenze emerse nei dati relativi
alle riserve valutarie, debito estero e indicatori della solidità del settore finanziario. Nelle aree
delle politiche governative il FMI ha preparato (nel 1999) il Code of Good Practices on Fiscal
Transparency e il Code of Good Practices on Transparency in Monetary and Financial Policy.
Anche per le IFI stesse è emersa l'esigenza che migliorino la trasparenza dei propri modi di
vedere e delle proprie operazioni e si rendano così maggiormente responsabili al pubblico in
generale e verso i propri azionisti in particolare. Il FMI e le banche multilaterali di sviluppo
stanno migliorando gradualmente il loro livello di trasparenza attraverso la pubblicazione di
un maggior numero di informazioni (nei loro rapporti annuali e sempre più sui propri siti
Internet) relative ai loro obiettivi, operazioni e processi decisionali, nonché posizioni di
bilancio e informazioni finanziarie (cfr. per il FMI: programmi sperimentali di rilascio dei
PINs, lettere di intenti, delle relazioni dello staff nelle consultazioni secondo l'Articolo IV,
ecc.). Un altro passo è costituito dalle valutazioni indipendenti a cui iniziano ad essere
sottoposte le attività di molte IFI. Esiste tuttavia il problema dell'equilibrio fra i benefici della
trasparenza e l'esigenza di riservatezza dell'informazione, specialmente per il FMI
(un'eccessiva trasparenza potrebbe mettere in pericolo il suo ruolo di confidente privilegiato
dei membri nella sua azione di sorveglianza).
Un ulteriore problema è quello della necessità di monitorare il rispetto degli standard di
trasparenza ("trasparenza sulla trasparenza"). Meccanismi di monitoraggio sono cruciali per
migliorare la credibilità delle pretese di un'impresa o di un paese di essere trasparente o di
avere raggiunto un più elevato grado di trasparenza. Il G-22 (1998a) ha proposto "Rapporti
sulla Trasparenza": diverse valutazioni di osservanza degli standard dovrebbero essere
riassunte e pubblicate in una singola relazione per ogni paese, ad opera del FMI. Il Fondo ha
intrapreso delle serie di studi preliminari sulla trasparenza (i Reports on the Observance of
Standards and Codes, ROSCs) in collaborazione con la Banca Mondiale.
Prevenzione: rafforzare i sistemi bancari e finanziari
Un ruolo centrale, nelle recenti crisi, è attribuibile a deboli sistemi bancari e mercati dei
capitali sottosviluppati, che hanno contribuito alla cattiva allocazione delle risorse.
L'inadeguatezza della regolamentazione e vigilanza prudenziale dei sistemi finanziari si
aggiunta all'impreparazione dei singoli operatori finanziari alla gestione dei rischi resa più
complessa dalla crescente integrazione nei mercati finanziari globali. Uno dei punti centrali del
dibattito è divenuto quindi l'attuazione di adeguate pratiche ed istituzioni per migliorare la
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vigilanza, il regolamento dei pagamenti, la contabilità, ecc. All'interno di quest'area assume un
peso considerevole il problema della riforma dei sistemi bancari che, particolarmente nei paesi
emergenti, hanno un ruolo preponderante all'interno dei sistemi finanziari, spesso caratterizzati
da mercati mobiliari scarsamente sviluppati.
Fra le cause di vulnerabilità di un sistema finanziario rientrano il quadro macroeconomico
generale (mutamenti dell'andamento dell'economia reale, dei tassi di interesse esterni o interni,
dei tassi di cambio, ecc.) e la fragilità della gestione degli intermediari finanziari e
dell'ambiente in cui operano (gestione inadeguata, che porta ad eccessiva assunzione di rischi;
mancanza di adeguata informazione sulle condizioni finanziarie dell'operatore; presenza di
garanzie pubbliche che possono condurre a comportamenti di azzardo morale; un sistema di
vigilanza delle istituzioni inadeguato; ecc.). Le misure per intervenire su queste fragilità dei
sistemi finanziari, assai diffuse nei paesi emergenti, sono state per lo più ricavate sulla base
dell'esperienza dei paesi industrializzati, che hanno già affrontato simili problemi (cfr. subpar.
2.3.1). Anche in quest'area lo stabilimento di standard, principi e pratiche condivise è stato
l'approccio più utilizzato. Essi sono stati sviluppati e sono tuttora in corso di sviluppo da parte
di numerose IFI e gruppi internazionali nel settore bancario (BRI, CBVB), assicurativo (IAIS),
della vigilanza dei mercati mobiliari (IOSCO), dei regolamenti (CPSS), della contabilità
(IASC, IFAC), del controllo e della certificazione contabile, delle procedure di insolvenza
(UNCITRAL, FMI, Banca Mondiale), dei principi di governo societario (OCSE, Banca
Mondiale) e, abbiamo già visto, della trasparenza.
Nell'applicazione degli standard occorre promuovere incentivi per i mercati alla valutazione dei
progressi compiuti. Un passo in questo senso può venire da valutazioni del loro rispetto da
parte dei singoli paesi, sul modello delle agenzie di rating, anche se la scarsa precisione di
molte linee guida e standard renderebbe per molti versi assai discrezionale il giudizio
formulato. Sussiste inoltre la necessità di eliminare incentivi distorti che alcuni standard
possono creare. Ad esempio, sembra che il sistema di pesi dell'Accordo di Basilea abbia
introdotto delle distorsioni: i prestiti a breve termine (fino a un anno) sono considerati meno
rischiosi di quelli a lungo termine, e questo anche per i prestiti a banche dei mercati emergenti;
ciò avrebbe contribuito a quell'incremento dei prestiti a breve termine, che ha costituito una
causa di fragilità, specialmente nella crisi asiatica.
Un ruolo primario nella diffusione degli standard è rivestito dal FMI. Alcuni suggeriscono che
la condizionalità dell'assistenza del Fondo potrebbe essere legata all'adozione degli standard
attraverso programmi specifici e che, in occasione delle annuali consultazioni secondo
l'Articolo IV, potrebbe pubblicare delle relazioni specifiche per ogni paese sull'adozione e
l'osservanza dei diversi standard internazionali in ogni paese per ogni area (estendendo la
funzione dei ROSCs).Un altro modo per garantire il monitoraggio degli standard è quello degli
esami fra pari (peer reviews): l'esame dei sistemi di vigilanza e regolamentazione di un paese
avverrebbe ad opera di organi competenti stranieri. Essi dovrebbero avvenire fra paesi con un
grado simile di sviluppo dei mercati finanziari e livelli e forme comparabili di
regolamentazione. Le IFI potrebbero fornire le strutture e la sede adatta per questi processi, per
facilitarne l'avvio e la diffusione. Infine, l'assistenza tecnica e per la formazione del personale
da parte delle IFI, costituisce un mezzo efficiente per il trasferimento di know-how dei paesi
industriali ai paesi emergenti e la creazione di effettive capacità per l'applicazione degli
standard internazionali e il rafforzamento dei sistemi finanziari.
Un problema particolarmente rilevante per la stabilità dei sistemi finanziari emerge nell'ambito
della regolamentazione e vigilanza di quei gruppi finanziari e di quelle banche che operano
attivamente all'estero. In particolare emergono problemi di coordinazione fra diversi organi di
xxiv
vigilanza sia all'interno di ogni paese, che fra paesi diversi. Alcuni principi base e standard in
proposito sono stati stabiliti.
E' importante infine analizzare i possibili modi di definire i ruoli e di migliorare la
collaborazione fra le IFI esistenti, in modo da sfruttare nel modo più efficiente le risorse
limitate di ciascuna di esse. Si è assistito nei lavori di elaborazione degli standard ad una
cooperazione fra le diverse organizzazioni, che condividono le loro conoscenze specifiche su
un argomento o area di interesse (cfr. p.es. FSLC fra FMI e Banca Mondiale)
Prevenzione: coinvolgere il settore privato
Una critica molto diffusa alle operazioni di salvataggio nelle recenti crisi finanziarie è stata
quella di un eccessivo supporto ufficiale per salvare gli investitori privati. Le garanzie implicite
o esplicite dei governi e delle IFI, poste a garanzia della stabilità dei sistemi economici e
finanziari, avrebbero incoraggiato i debitori e creditori privati ad assumere un rischio
eccessivo, evitando di cautelarsi adeguatamente contro potenziali sviluppi avversi dei mercati
e costruendo così le condizioni per disastrose crisi finanziarie.
Il problema è quello di assicurare una ridistribuzione delle perdite in caso di crisi fra i debitori,
in particolare i governi colpiti, ed i creditori. Attualmente la situazione appare sostanzialmente
sbilanciata a sfavore dei primi. Un riequilibrio dei costi da sostenersi in caso di crisi è quindi
una delle modalità per ottenere un graduale miglioramento della situazione, in modo da
riproporzionare i flussi di capitale agli aumentati rischi e pervenire ad una sostanziale
riduzione delle possibilità di crisi. Inoltre, le misure preventive aiuterebbero a sviluppare un
rapporto fra attori pubblici e il settore privato, che faciliterebbe la risoluzione delle crisi
finanziarie che dovessero comunque verificarsi.
Fra le critiche più comuni ad un tale approccio vi è quella che renderebbe eccessivamente
difficoltoso riguadagnare l'accesso ai mercati dei capitali dopo una crisi o aumenterebbe
indirettamente il rischio di contagio della crisi ad altri paesi o mercati. Rendere più difficoltosa
l'uscita dei creditori in tempi di crisi li porterebbe a ritirarsi ai primi segni di difficoltà,
temendo di rimanere bloccati, stimolando così le possibilità di accadimento delle crisi; inoltre
diminuirebbe la propensione degli investitori privati a prestare ai paesi emergenti e
aumenterebbe quindi il costo delle risorse e/o si ridurrebbe la quantità disponibile.
Fra le proposte volte ad assicurare i PVS contro i rischi di illiquidità nei mercati del debito
rientrano accordi finanziari contingenti: forme di assicurazione privata basate sul mercato: il
debitore paga un premio assicurativo per compensare i creditori che sottoscrivono l'opzione per
i rischi assunti. Linee di credito contingenti con consorzi privati di banche dovrebbero fornire
un'assicurazione contro rischi di sviluppi avversi dei mercati, fra cui il rischio di liquidità.
Esperienze limitate di tali strumenti sono state registrate nei casi dell'Argentina, dell'Indonesia
e del Messico. Rispetto alla forma "tradizionale" di autoassicurazione costituita dalle riserve
valutarie esse dovrebbero consentire di ottenere liquidità ad un prezzo inferiore. Tuttavia in
caso di gravi crisi le linee di credito contingente contrattate possono rilevarsi da sole
insufficienti ed inoltre rimane probabile che esse possano comunque essere stipulate
unicamente da pochi selezionati paesi che godono di politiche sane, di una buona reputazione
creditizia internazionale e un rating adeguato.
Altre soluzioni proposte consistono nel sostegno ufficiale al debito dei mercati emergenti
(attraverso forme di garanzie ufficiali per mobilitare risorse private), strumenti di assicurazione
che generino un servizio del debito variabile in maniera anticiclica rispetto all'andamento
xxv
economico del paese interessato e opzioni di vendita in titoli di stato e linee di credito
interbancarie (che permettano ai governi o alle banche debitrici l'estensione della scadenza
sotto specifiche condizioni, per un periodo limitato e, generalmente, ad uno differenziale
determinato in periodi di crisi). L'opzione universale di differimento del debito con una
penalità (UDROP) sarebbe costituita invece da un'opzione (il cui prezzo viene determinato dal
mercato), contenuta in tutti i contratti di debito, esercitabile a discrezione del mutuatario per
differire il pagamento della passività (per 3-6 mesi) ad un tasso penalizzante.
Monitoraggio del debito estero, proroghe concertate e commissioni permanenti di creditori,
costituirebbero ulteriori modalità di coinvolgimento del settore privato. E' stata poi sottolineata
l'importanza di forti e chiare procedure di insolvenza e di un'adeguata regolamentazione dei
rapporti creditizi che garantiscano il sistema legale indispensabile per affrontare i problemi
delle imprese e consentire che le difficoltà finanziarie accumulate dal settore aziendale non si
diffondano e concorrano a una crisi generalizzata dei pagamenti.
Un problema particolare degli ultimi anni è la notevole crescita del finanziamento mediante
titoli obbligazionari nei mercati emergenti, che rende più difficoltosa la ristrutturazione del
debito governativo. Oltre ad incentivare ristrutturazioni volontarie si è proposto per
riequilibrare il burden sharing fra debitori e creditori di diffondere nei titoli obbligazionari
governativi delle clausole di azione collettiva che facilitino la ristrutturazione. Per evitare un
aumento del costo dell'indebitamento sul mercato per i soli paesi emergenti, si è spinto per un
"effetto dimostrativo" da parte dei governi dei paesi più avanzati attraverso l'introduzione dei
nuovi termini contrattuali nelle loro emissioni di titoli di stato
2
.
La gestione delle crisi e il ruolo del FMI
Nonostante le misure in atto, o quelle che si possono sviluppare per la prevenzione delle crisi
finanziarie a livello nazionale o internazionale, è universalmente riconosciuto che tali crisi
continueranno a manifestarsi. Due sono gli approcci estremi possibili nel rispondere
all'insorgere di tali crisi: il non intervento e l'utilizzo sistematico di misure di intervento per
arginare sul nascere i problemi e limitare gli effetti sistemici. Si tratta ovviamente di trovare un
compromesso: da un lato gli alti costi sociali e il rallentamento del processo di sviluppo
sconsigliano di perseguire una politica di "disimpegno" nella gestione delle crisi, dall'altro ben
noti problemi di azzardo morale e la limitatezza delle risorse a disposizione della comunità
internazionale non consentono un incondizionato impegno nelle politiche di salvataggio.
Secondo alcuni la natura sistemica o locale delle crisi e l'entità dei suo probabile impatto
negativo sullo sviluppo futuro di un paese costituirebbero discriminanti per l'intervento da
parte di IFI.
La responsabilità primaria nell'evitare e nel gestire le crisi rimane comunque in capo ai
governi. Essi sono responsabili dell'introduzione di quelle misure urgenti di politica monetaria,
fiscale o di intervento strutturale, necessarie per la soluzione delle crisi, dell'applicazione dei
piani di intervento concordati con le IFI ed, eventualmente della difficili decisioni di moratorie
sui pagamenti o di ripudio del debito.
La comunità internazionale, le IFI (in particolare il FMI) forniscono una serie di accordi ad hoc
e di strumenti di sostegno finanziario assai diversificati che generalmente impongono dei forti
programmi di aggiustamento. Tuttavia la dimensione, sofisticazione, eterogeneità e soprattutto
2
A partire dal gennaio 2000 il Tesoro del Regno Unito sta includendo clausole di azione collettiva in tutti i suoi
strumenti di debito e, nel febbraio 2000, il governo tedesco ha dichiarato la validità di tali clausole negli strumenti
di debito governativi di diritto tedesco.
xxvi
volatilità dell'attuale mercato internazionale dei capitali sembra aver ridotto l'efficacia
dell'approccio tradizionale nella risoluzione delle crisi finanziarie. E' sempre più sentita
l'esigenza di ripensare le strategie di impegno nella risoluzione delle crisi.
Il FMI è sicuramente l'istituzione che nel corso degli ultimi anni è stata maggiormente al centro
del dibattito sulla riforma dell'architettura del sistema finanziario internazionale, sia come
attore della discussione, sia come oggetto di discussione. In particolare, l'azione del Fondo
nelle più recenti crisi finanziarie è stata nuovamente oggetto di numerose critiche. Nella crisi
asiatica, ad esempio, J. Stiglitz è stato particolarmente critico relativamente alle prescrizioni di
alti tassi di interesse e ristrettezza fiscale, J. Sachs e M. Feldestein, hanno argomentato che i
pacchetti di salvataggio del FMI avrebbero dovuto fornire più risorse e imporre meno
condizioni, vista la natura speculativa della crisi. Tre altre tipologie di critiche sono state mosse
al FMI, non solo relativamente alla crisi asiatica, ma anche a quelle seguenti: (1) non aver
saputo prevedere in tempo le crisi; (2) essere stato eccessivamente ingerente nelle politiche e
aspetti socio culturali dei paesi in crisi; (3) aver alimentato, con eccessivi pacchetti di
salvataggio per la risoluzione delle crisi, un atteggiamento di azzardo morale degli investitori
internazionali (specialmente quelli a breve o brevissimo termine) che avrebbe contribuito ad
aumentare le probabilità delle crisi seguenti. Gran parte di queste critiche sono facilmente
contestabili (cfr. subpar. 2.6.1.3).
Durante gli anni, benché gli obiettivi primari non siano cambiati, il FMI ha subito un
evoluzione nel suo ruolo. Pur mantenendo un'attenzione principale su sane e prudenti politiche
fiscali e monetarie e l'apertura dei mercati, ha allargato, specialmente in seguito alle recenti
crisi finanziarie, il suo ambito di azione spingendo nella sua opera di sorveglianza in alcune
aree: (1) rafforzamento e la solidità dei sistemi finanziari nazionali, specie nei paesi emergenti;
(2) miglioramenti nella qualità della spesa pubblica;(3) maggiore trasparenza e responsabilità
dei governi e degli affari aziendali, in modo da evitare errori di politiche e spreco delle risorse
nazionali; (4) adeguati e accessibili sistemi di sicurezza sociale, per alleviare l'impatto
dell'aggiustamento economico e delle riforme per i membri più vulnerabili della società; (5)
deregolamentazione e la fine dei monopoli. Accanto a ciò, si è assistito alla diversificazione
delle forme in cui il Fondo fornisce le sue risorse finanziarie (fra le iniziative più recenti il
Servizio di Riserva Integrativa, 1997: SRF; e la Linea di Credito Contingente, 1999: CCL). Il
FMI ha sviluppato poi una sempre maggiore collaborazione con altre IFI. Al di là quindi di
adattamenti del proprio Statuto l'istituzione di Bretton Woods ha saputo mantenersi al passo
con il mutamento imposto al suo ruolo.
Nell'ambito della prevenzione e gestione delle crisi il FMI riveste, o potrebbe rivestire, un
ruolo da protagonista in alcuni meccanismi per un ordinato salvataggio del debito. Particolari
caratteristiche proprie del ruolo di un prestatore di ultima istanza internazionale sono
embrionalmente presenti nella nuova Linea di Credito Contingente, che fornisce finanziamenti
a breve termine per fronteggiare problemi di bilancia dei pagamenti derivanti dal contagio
internazionale. La politica di Prestiti in Arretrato del FMI è volta a facilitare la fase di
ristrutturazione seguita ad una sospensione dei pagamenti. Per litigation stays (interruzioni
temporanee vincolanti delle vertenze giudiziarie intentate dai creditori) e per il ruolo di corte
fallimentare alla quale quali i paesi possano appellarsi per sospensioni dei pagamenti (cfr.
modello del United States Bankruptcy Code), un possibile ruolo del Fondo a riguardo è stato
proposto.
xxvii
LIBERALIZZAZIONE DEL CONTO CAPITALE E CONTROLLI DEI
CAPITALI
L'integrazione dei mercati finanziari di molte economie emergenti nel sistema internazionale
ha sicuramente costituito una delle cause del grande sviluppo dei flussi di capitale privato verso
quei paesi nei primi anni novanta, e, per contro, si sia rivelata una causa di accelerazione e
aggravamento delle seguenti crisi finanziarie. Uno degli aspetti del dibattito sulla riforma
dell'architettura del sistema finanziario internazionale riguarda una riconsiderazione critica
delle tematiche relative alla liberalizzazione del conto capitale, alla luce dei pericoli emersi
nelle crisi più recenti. Da questa revisione critica nascerebbe anche il rinnovato interesse per la
possibilità, per paesi caratterizzati da sistemi finanziari fragili, di utilizzare forme di controllo
dei capitali per regolare i loro flussi e cercare di minimizzare gli episodi di instabilità
finanziaria. L'approfondimento di questa parte del dibattito sulla riforma dell'architettura
finanziaria internazionale costituisce la seconda parte della tesi.
Liberalizzazione del conto capitale
La liberalizzazione del conto capitale di un paese si colloca in un contesto più ampio e
complesso. Essa rappresenta una delle due "dimensioni" del processo di apertura della bilancia
dei pagamenti di un paese (l'altro è l'apertura del conto capitale) e può anche essere vista come
una fase particolare del quadro più complesso di riforme per la liberalizzazione di un sistema
finanziario. La convertibilità del conto capitale, per analogia con l'Articolo VIII dello Statuto
del FMI definisce la convertibilità del conto corrente, può essere definita come una situazione
in cui siano state rimosse le proibizioni alla libertà di transazioni finanziarie e dei capitali. Per
eguale analogia, tale obiettivo non è necessariamente incompatibile con il permanere di alcuni
strumenti restrittivi basati su meccanismi di prezzo o regolamentazioni prudenziali su tali
transazioni
3
.
Nel corso degli anni novanta si è assistito ad un aumento dei processi di liberalizzazione in
molti PVS e, con il crollo del blocco comunista, nelle economie in transizione. Anche in questi
casi, la portata e la velocità dei processi di liberalizzazione intrapresi sono state estremamente
variabili. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la liberalizzazione del conto capitale si è
inserita in quadro più vasto e graduale di riforme economiche volte a modificare e a rafforzare
il sistema finanziario. In quest'ottica, specialmente nei PVS asiatici e dell'America Latina e
nelle economie in transizione, si sono allentati o eliminati i controlli sugli investimenti diretti
esteri, sugli investimenti obbligazionari ed azionari di portafoglio, eliminati i sistemi duali di
tassi di cambio, ecc. In altri casi, più limitati, l'approccio è stato più diretto, con l'apertura di
parti significative del conto capitale in un solo momento.
Fra i principali vantaggi associati all'apertura del conto capitale, in analogia con l'apertura del
conto corrente, si indicano un maggior afflusso di capitali dall'estero e ad una crescita dello
stock di capitale nell'economia (cfr. MacDougall, 1968), la possibilità di sostenere un livello
più alto di capitale (riducendo i costi in termini di perdita di consumo attuale impliciti nei
risparmi interni) e disavanzi di parte corrente della bilancia dei pagamenti e di poter attenuare
gli shock al reddito e ai consumi e ridurre i costi di finanziamento. A flussi particolari come gli
investimenti diretti esteri sono, inoltre, associati eventuali benèfici trasferimenti di competenze
tecnologiche e gestionali. La teoria della finanza aziendale insegna poi che la libertà nelle
transazioni finanziarie consentirebbe, attraverso il commercio di attività rischiose, la
3
Infatti la definizione di convertibilità del conto corrente data nello statuto del FMI non proscrive totalmente l'uso
di tariffe sulle importazioni e di tasse sulle sottostanti transazioni.
xxviii
ripartizione e diversificazione dei rischi, mediante la costituzione di un portafoglio di attività
negativamente correlate. I costi collegati al mantenimento dei controlli dei capitali
costituirebbero poi un argomento indiretto per la liberalizzazione del conto capitale.
Fra i rischi della liberalizzazione tre sono quelli più comunemente identificati, specialmente
per i PVS: (1) la perdita di risorse finanziarie e fiscali, (2) la perdita di autonomia ed efficacia
delle politiche macroeconomiche, (3) l'aumento dell'instabilità macroeconomica e finanziaria.
L'apertura del conto capitale causerebbe una "fuga di capitali" da parte dei residenti. Ad esso si
assocerebbe una preoccupazione legata alla fragilità degli equilibri fiscali. La debolezza delle
situazione fiscale dei governi di molti PVS porta sovente ad imporre una "imposta da
inflazione"
4
. L'apertura del conto capitale porterebbe ad una riduzione di questi guadagni da
signoraggio, man mano che gli attori economici iniziano a sostituire attività in valuta
domestica con attività in valuta estera e si riduce la base dell'imposta da inflazione.
Anche la politica monetaria può subire gravi limitazioni. In situazioni di tasso di cambio fisso
(o parità striscianti) e mercati dei capitali liberalizzati la validità della parità coperta dei tassi di
interesse, determina la perdita di autonomia della politica monetaria nella fissazione del tasso
di interesse interno. Tale effetto può essere limitato in caso di cambi flessibili, ma
problematiche di volatilità del cambio nominale implicano altri costi (p.es. effetti reali
conseguenze di overshooting del tasso di cambio).
Il rischio dell'aumento dell'instabilità macroeconomica e finanziaria, è legato ai flussi di hot
money che possono provocare variazioni rilevanti dei tassi di cambio, dei tassi di interesse e
della produzione e portare a crisi finanziarie. Inoltre il processo di apertura del conto capitale,
in particolare, e quello di liberalizzazione del settore finanziario, in generale, come dimostrano
alcune analisi empiriche, sono causa di fragilità del sistema finanziario. Demirugüç-Kunt e
Detragiache (1998) evidenziano che il processo di liberalizzazione finanziaria è un fattore
rilevante per l'insorgere di fragilità nel sistema bancario, ma è meno grave per quei paesi che
erano stati finanziariamente "repressi"
5
. Rossi (1999) conferma un ruolo simile anche per crisi
valutarie ed in più che la presenza di maggiori controlli sugli afflussi di capitali è associata a
una minore probabilità di crisi. Questi due studi registrano anche come, nel medio periodo, gli
effetti positivi della liberalizzazione finanziaria sulla crescita tendono a bilanciarsi con i costi
connessi ad una maggior incidenza di crisi finanziarie.
Nel tentativo di limitare i rischi e godere più ampiamente dei benefici di una liberalizzazione
del conto capitale si sono sviluppati molti studi sulla sequenza ottimale del processo di
liberalizzazione entro la quale collocare nella maniera più opportuna questa fase. In questo
quadro si sono individuati una serie di requisiti preliminari indispensabili: (1) un quadro
macroeconomico stabile e (2) un sistema finanziario interno robusto.
Circa la sequenza ottimale di liberalizzazione del conto capitale rispetto al conto corrente, la
"scuola ortodossa" insegna che quest'ultimo debba essere liberalizzato per primo. La
motivazione principale alla base di questa scelta è che generalmente una liberalizzazione del
4
Mediante la creazione di base monetaria, passività senza interessi, e l'imposizione di misure di repressione
finanziaria che impongono al settore privato la detenzione della valuta domestica e al sistema bancario il
mantenimento di riserve (non remunerate o a remunerazione fissa) presso la banca centrale, i governi suppliscono
alle fragilità dell'apparato fiscale.
5
In un paese finanziariamente "represso" le istituzioni sono costrette a pagare tassi di interessi reali molto bassi o
addirittura negativi. In tal modo si riducono i risparmi privati e si limitano le risorse disponibili per
l'accumulazione del capitale.
xxix
conto corrente viene preceduta da un deprezzamento reale del tasso di cambio, per bilanciare
gli effetti negativi della riduzione delle barriere protezionistiche, mentre la liberalizzazione del
conto capitale conduce tendenzialmente ad un apprezzamento del cambio reale. L'iniziale
afflusso di capitali, stimolato dall'apertura del conto capitale come risposta alla domanda
repressa di attività nazionali all'estero, tenderebbe a superare l'effetto dell'apertura del conto
corrente, con un apprezzamento, perlomeno in una prima fase, del tasso di cambio reale e
riallocazioni temporanee delle risorse all'interno dell'economia che sconsigliano
liberalizzazioni simultanee.
Circa la collocazione della fase di apertura del conto capitale nel più vasto contesto del
processo di liberalizzazione del sistema finanziario la posizione emergente più di recente è di
compromesso fra altre più estreme. Per essa il processo di liberalizzazione del conto capitale
necessita di integrarsi in maniera organica con tutta una serie di riforme concorrenti, sia
relative al settore interno che a quello esterno. Da questo punto di vista sembra sottolinearsi
l'importanza della "coordinazione" delle diverse riforme. L'interesse si concentra non tanto
sulla sequenza di riforme di aree diverse (p.es. fiscale, monetaria, del mercato finanziario
interno, del conto corrente o del conto capitale), ma piuttosto di pacchetti di misure di
liberalizzazione gradualmente coinvolgenti tutte (o la maggior parte di) queste diverse aree.
Il problema della velocità della liberalizzazione del conto capitale è poi un falso problema, se
considerato isolatamente, ma va inquadrato in quello più generale del mantenimento di un
equilibrio e di un coordinamento fra tutte le riforme da attuarsi nell'ambito del processo
complessivo di liberalizzazione del sistema finanziario, che non metta in pericolo la stabilità
dello stesso. Vista la complessità di molte delle riforme interne previste, appare più
ragionevole pensare ad una fase di transizione abbastanza lunga, specialmente per quelle
economie emergenti che partono da un sistema finanziariamente represso e che dispongono di
scarse risorse economiche e umane per attuare le riforme necessarie. Per paesi che abbiano già
affrontato gli adeguamenti macroeconomici (politiche monetaria, fiscale e dei cambi) e dei
sistemi e degli operatori finanziari nazionali più volte citati, è invece possibile un percorso più
celere.
Questa maggiore flessibilità ed attenzione alle condizioni specifiche dei diversi paesi emergenti
nell'approccio al processo di liberalizzazione del conto capitale si è riflessa anche sul dibattito
che verso la metà degli anni novanta aveva proposto di procedere all'emendamento dello
Statuto del FMI per rendere la promozione della liberalizzazione del conto capitale un suo
obiettivo specifico e dargli al FMI l'appropriata giurisdizione sui movimenti di capitali. Il
progetto sembra abbandonato e l'attenzione del FMI si è volta piuttosto all'esame più
approfondito delle diverse esperienze di liberalizzazione e di utilizzo di controlli dei capitali
nei diversi paesi membri in funzione prudenziale.
Il caso dell'India, benché da esso non emergano chiare indicazioni generalizzabili ad altre
situazioni, rappresenta un esempio interessante di liberalizzazione graduale e organica del
conto corrente, del conto capitale e del sistema finanziario (cfr. par. 5.4). A partire dal 1991, e
nel corso degli anni novanta, l'India ha proceduto ad una apertura del conto capitale favorendo
soprattutto forme di capitali a lungo termine e tradizionalmente meno volatili, quali gli IDE e
investimenti di portafoglio azionari, rispetto a prestiti a breve termine o ai depositi a vista di
indiani non residenti. Nel frattempo giunse alla liberalizzazione del conto corrente con la
accettazione, nel 1994, delle obbligazioni dell'Articolo VIII del FMI. Sono stati poi compiuti
rapidi progressi nello sviluppo dei mercati mobiliari e alcune riforme del settore bancario
(sebbene più lente e ancora incompiute) dirette, in un primo tempo, a migliorare l'ambiente in
xxx
cui le banche operavano (stabilimento di mercati del debito statale, della regolamentazione e
vigilanza prudenziale, ecc.) e, in un secondo tempo, a migliorare la loro efficienza operativa.
Durante la transizione sono rimasti numerosi controlli dei capitali, principalmente di tipo
diretto, basati sulla quantità, piuttosto che di tipo indiretto con influenza sui prezzi. Pare che
essi abbiano consentito di mantenere un certo spazio per politiche macroeconomiche
indipendenti, abbiano isolato l'India da fenomeni di contagio nelle recenti crisi e permesso il
perseguimento di una diminuzione delle passività sull'estero del paese, e, soprattutto, una
modificazione delle forme di finanziamento verso il debito a lungo termine e il capitale di
rischio. Due elementi chiave in particolare sembrano aver caratterizzato il successo
dell'esperienza indiana di graduale liberalizzazione: (1) la forte capacità amministrativa (per un
PVS) e (2) la relativa chiusura e arretratezza dei mercati finanziari, dominati dalla proprietà
pubblica e dal controllo pervasivo della RBI.
Controlli dei capitali e finalità prudenziali
Per ciò che riguarda la forma assunta dai controlli sui flussi di capitali, è possibile individuare
una gran quantità di tipologie. Innanzitutto si distingue, in modo assai generale, fra controlli sui
flussi in entrata e controlli sui flussi in uscita. Le forme assunte possono, poi, essere diverse:
proibizioni dirette, sistemi di licenze o procedure di approvazione, oppure sistemi basati sul
prezzo come tasse o sulle diverse transazioni di capitali volte a modificare la direzione, entità
e/o composizione dei flussi (controlli indiretti). Si può poi classificarli sulla base dei flussi di
capitale specifici su cui sono imposti (cfr. classificazione AREAER del FMI; tab. 3.1). Ma
quali sono le ragioni che spingono un paese a mantenere o reimporre controlli dei capitali?
La letteratura economica individua due grandi gruppi di motivazioni: (1) quelle che sono
basate su argomentazioni di second best, per i quali le restrizioni costituirebbero una forma
ulteriore di distorsione atta ad eliminarne un'altra, potenzialmente più dannosa per il benessere
della società e (2) quelle, più recenti, che considerano l'esistenza di equilibri multipli, in cui
l'intervento governativo nei mercati dei capitali consentirebbe il raggiungimento dell'equilibrio
ottimale (first best).
All'interno del primo gruppo possiamo distinguere fra ragioni di stabilizzazione (del prodotto,
dei prezzi e del tasso di cambio) e quelle legate a distorsioni di alcuni prezzi relativi
dell'economia, dettate da diverse cause (processo di liberalizzazione, mantenimento della tassa
d'inflazione, limitazione dei deflussi di capitali dei residenti, incertezza dei diritti di proprietà e
distorsioni del mercato interno). Un'argomentazione peculiare di questo gruppo individua nei
flussi di capitali stessi, specialmente quelli speculativi, la fonte di distorsione dell'equilibrio
ottimale; il controllo di questi flussi ristabilirebbe la condizione di first best (cfr. subpar. 4.2.1).
Al secondo gruppo (assai meno numeroso) si riconducono quelle teorie che ammettono la
possibilità che timori di attacchi speculativi (detti "autorealizzantesi"), anche se condotti in
presenza di politiche monetarie pienamente coerenti, possono nondimeno generare essi stessi
un attacco e portare a cambiamenti di politica economica e passaggi fra diversi equilibri
economici. Le motivazioni per l'imposizione dei controlli dei capitali si richiamano alla
possibilità di perseguire o mantenere quell'equilibrio ritenuto ottimale secondo il metro di
giudizio del governo, evitando che attacchi speculativi autorealizzantesi provochino un
allontanamento dallo stesso (cfr. subpar. 4.2.2).
La rassegna della teoria e la considerazione di casi empirci mostra che fra le ragioni principali
che giustificano controlli dei capitali rientrano il perseguimento di una certa autonomia della
xxxi
politica monetaria e la volontà di mantenere la base imponibile e il gettito fiscale. Le ragioni di
carattere prudenziale sono state invece solitamente secondarie.
Una delle critiche principali al mantenimento o reintroduzione di forme di controlli dei capitali
risiederebbe nella loro scarsa efficacia, per la possibilità di una loro evasione da parte di quegli
operatori che devono sopportare il costo della distorsione nei consumi e nei commerci
intertemporali da questi causata. Qualora i benefici di un loro aggiramento superino la somma
dei costi da essi imposti e dei costi per l'evasione stessa, è intuitivo ritenere che essi saranno,
almeno in parte, resi inefficaci. L'evasione dei controlli dei capitali avverrebbe in molteplici
modi. La sottofatturazione delle esportazioni e la sovrafatturazione delle importazioni sono
utilizzate per aggirare controlli sui deflussi dei capitali. Più in generale, l'evasione può avvenire
sostituendo transazioni regolate e/o tassate con altre che non lo sono, ma caratterizzate da un
certo grado di sostituibilità, sfruttando in tal modo aree non coperte dalla regolamentazione o
ideando delle scappatoie, mediante la creazione di nuovi strumenti finanziari.
Prima di valutare l'efficacia e quindi i costi associati ai controlli è però opportuno definire
l'efficacia stessa. Se l'efficacia è definita come "la differenza osservata durante estesi periodi di
tempo nel comportamento medio di alcune variabili economiche selezionate, fra paesi con
controlli dei capitali e paesi senza di essi" (Dooley, 1996: 669), piuttosto che come "la capacità
di un governo di mantenere indefinitamente un regime incoerente di politica macroeconomica"
(ibidem), allora riscontriamo, dallo studio di numerosi studi empirici, una efficacia almeno
temporanea, nel perseguimento degli obiettivi per i quali i controlli erano stati imposti (cfr.
subpar. 4.4.1. per le modalità di misurazione dell'efficacia). In particolare lo studio di Ariyoshi
e altri (2000), di cui abbiamo sintetizzato i risultati in Tabella 4.1, evidenzia in molti casi il
successo dei controlli dei capitali, misurando tre dimensioni: capacità di mantenere
differenziali fra i tassi di interesse interni e quelli esterni in mercati offshore o paralleli, la
capacità di resistere a pressioni sul tasso di cambio o scoraggiarle e la capacità di evitare
eccessivi afflussi e/o deflussi di capitali e di modificarne la composizione verso scadenze più
lunghe. Il tempo, guadagnato dai paesi, sembra dipendere dall'estensione e portata dei controlli
e dalla qualità delle politiche attuate dai governi; loro incoerenze, ritardi in riforme strutturali
necessarie, sembrano associate alle esperienze più fallimentari. Tuttavia, in moltissimi studi
condotti rimane difficile distinguere il contributo al perseguimento di un obiettivo dovuto ad
altre misure (p.es. interventi di sterilizzazione, riforme strutturali, ecc.) attuate
contemporaneamente dai governi, o a mutamenti di altre condizioni interne o del quadro
internazionale.
Tutta una serie di modelli teorici individua nel funzionamento stesso dei mercati dei capitali
una fonte di volatilità e incertezza. Voci, operatori scarsamente informati, effetti imitativi, bolle
speculative e altri comportamenti legati a problematiche di asimmetrie informative tipiche dei
mercati finanziari, guidano i movimenti di molti flussi di capitali, specialmente di breve
periodo, ritenuti di natura speculativa. L'imposizione di controlli e restrizioni su certe tipologie
di transazioni finanziarie, permetterebbe di eliminare alcune di queste distorsioni. Quest'idea di
fondo è alla base della Tobin tax e di tutte quelle proposte volte a "gettare la sabbia negli
ingranaggi troppo flessibili dei mercati finanziari", che mirano a ridurre le oscillazioni dei
prezzi, tassi di cambio e tassi di interesse causate da reazioni dei mercati non supportate da
mutamenti dei fondamentali di un'economia. Esse hanno specificatamente una finalità
prudenziale.
La Tobin tax (cfr. subpar. 4.5.1) rientra, a nostro parere, fra quelle proposte della riforma
dell'architettura del sistema finanziario internazionale, che riteniamo di difficile fattibilità e
scarsamente realistiche, a causa della sua peculiare caratteristica di universalità. Tuttavia altre
xxxii
misure nazionali in parte analoghe sono state guardate con interesse da parte della comunità
internazionale: fra di esse misure di controllo sugli afflussi di capitale come tasse (funzionanti
come Tobin tax asimmetriche) e requisiti di riserva non remunerata (URR). Entrambi questi
meccanismi manterrebbero la caratteristica di progressività (cioè colpirebbero in misura
proporzionalmente maggiore le operazioni più a breve termine, presumibilmente ritenute di
carattere speculativo) tipica della Tobin tax. La funzione prudenziale di queste tipologie di
controlli sugli afflussi di capitali è quella di evitare la costituzione di posizioni rischiose in
valuta estera, specialmente a breve scadenza, innalzando il costo del ricorso al prestito
all'estero per i mercati emergenti e riducendo i rendimenti attesi degli investitori (specie degli
speculatori). L'ottica adottata è quindi preventiva.
L'esperienza con l'URR cileno, esaminata nel quinto capitolo (cfr. par. 5.2), indicherebbe che
l'efficacia sul volume degli afflussi di capitali, oltre il breve periodo sembra insignificante,
mentre è incerto se l'introduzione dell'URR abbia modificato la composizione degli afflussi di
capitali in favore di quelli a medio e lungo termine. L'URR cileno inoltre è stato accompagnato
da una serie di misure intraprese nel corso degli anni dalle autorità cilene per il perseguimento
di obiettivi comuni o collegati a quelli suoi propri. In questo senso esso appare come uno dei
numerosi strumenti di politica economica e la sua efficacia va riconsiderata, tenendo conto del
contributo specifico di tutti gli altri. D'altra parte, non minimizzando completamente i possibili
effetti di breve e medio periodo riscontrati in numerosi studi, si può ritenere che il periodo di
tempo limitato, in cui tali controlli sui capitali si dovessero mantenere efficaci potrebbe
consentire alle istituzioni del paese interessato di rafforzare gradualmente il proprio sistema
finanziario secondo le linee indicate da standard internazionali e IFI.
Krugman (1998) ha espresso la tesi che controlli sui deflussi di capitale possono essere imposti
dopo l'inizio di una crisi, per permettere di abbassare i tassi di interesse, stimolare la crescita, il
tutto senza incorrere in rischi di nuove crisi valutarie. Questi controlli avrebbero una funzione
temporanea. Nel tempo guadagnato, le difficoltà congiunturali e strutturali dell'economia
dovrebbero essere superate, procedendo con apposite riforme che consentano di smantellare
gradualmente le misure restrittive precedentemente imposte.
La gran parte del mondo accademico è generalmente unita sulla inopportunità di controlli sui
deflussi di capitale: (1) la loro efficacia sarebbe al più temporanea (breve o brevissimo
periodo); (2) il tempo guadagnato per le riforme spesso nasconderebbe in realtà la mancanza di
volontà politica di attuarle; (3) tali controlli danneggerebbero le possibilità di accesso dei paesi
ai mercati internazionali dei capitali per lungo tempo, minando la credibilità e attrattiva del
paese per gli investitori esteri (questo con possibili conseguenze sui tassi di sviluppo del paese
a medio-lungo termine).
La Malesia, che ha imposto controlli valutari e sui deflussi dei capitali piuttosto estesi (cfr. par.
5.3) sembra presentare un immagine abbastanza positiva (almeno nel breve e medio periodo) di
una simile soluzione. L'efficacia nell'eliminare il mercato offshore del ringgit, evitare pressioni
speculative sulla valuta, sembra essere stata ottenuta e a costi ragionevoli (anche considerando
i deflussi di capitali dopo l'allentamento delle misure che imponevano periodi minimi per il
rimpatrio dei capitali stranieri). L'effetto sulla crescita economica è invece difficilmente
distinguibile stante l'attuazione di altre misure di riforma macroeconomiche e strutturali (specie
nel settore finanziario) che li hanno accompagnati e la concomitante ripresa in tutta la regione.
Tre fattori ci appaiono emergere come la chiave della riuscita dell'esperienza malese: (1) la
Malesia non ha imposto i controlli per gravi problemi legati a squilibri macroeconomici della
sua economia; (2) i controlli applicati sono stati di ampia portata e rigorosamente applicati,
lasciando pochi spazi a tentativi di aggiramento e scappatoie della legislazione; (3) il tempo
xxxiii
guadagnato con i controlli è stato impegnato efficacemente per il risanamento del sistema
bancario (e in parte di quello aziendale) e per le riforme strutturali necessarie ad un suo
rafforzamento.
CONCLUSIONI
In relazione alla riforma in generale emergono i seguenti aspetti:
• L'intensità delle crisi avvenute e la rapida successione fra le stesse (fra lo scoppio della crisi
asiatica e quella brasiliana intercorre solo un anno e mezzo) hanno senza dubbio instillato
un sentimento di impellenza nel dibattito e contribuito a vivificarlo. La riforma si
presentava come necessaria e il momento per il dibattito era sicuramente quello adatto.
• Le proposte formulate dal mondo accademico e da vari gruppi internazionali o IFI sono
state nel complesso assai numerose, ma in sostanza l'approccio alla riforma è stato, nel
settore ufficiale, estremamente cauto.
• La riforma si è incentrata primariamente su alcune delle aree condivise quasi da tutti: quelle
della trasparenza e responsabilità, rafforzamento del settore finanziario e del settore
aziendale. Altre aree, come quella relativa al coinvolgimento del settore privato, oggetto di
un accordo di massima circa la necessità di intervento, hanno visto progressi estremamente
limitati.
• L'approccio prevalentemente adottato alle riforme è stato quello degli standard
internazionali, buone pratiche condivise e linee guida di comportamento, relativi ad aree in
cui sono state individuate inadeguatezze, possibili cause di crisi finanziarie, e ad aspetti
specifici da cui sono sorte fragilità. L'enfasi rinnovata posta sul loro sviluppo e, in parte,
sulla loro applicazione, specialmente nelle economie emergenti, ha costituito il principale
aspetto concretamente tangibile della riforma dell'architettura finanziaria internazionale.
• I progressi nel coinvolgimento del settore privato sono rimasti assai scarsi. Solo
relativamente alle procedure di insolvenza si registrano progressi, ancora una volta,
attraverso elaborazione di standard internazionali (p.es. UNCITRAL Model Law on Cross-
Border Insolvency).
• I progressi maggiori restano nell'area della prevenzione delle crisi e la divisione dei costi,
sia nella fase di prevenzione sia in quella di gestione, rimane comunque ancora
sostanzialmente sbilanciata a sfavore dei debitori (cioè i paesi emergenti) rispetto ai
creditori privati.
• Due preoccupazioni specifiche sono sentite, in particolare dai PVS (cfr. G-24, 2000a e
2000b):
1. la tendenza del dibattito sulla riforma dell'architettura finanziaria internazionale ad
aver luogo in fori e gruppi di lavoro internazionali, nei quali la loro rappresentanza
è estremamente limitata, ma le cui proposte hanno spesso rilevanti conseguenze sui
paesi emergenti.
2. il diffondersi di proposte di riforma delle istituzioni di Bretton Woods, tese a
limitare l'accesso alle loro risorse attraverso nuove forme di condizionalità, ad
aumentare i costi di accesso e ridurre le scadenze dei finanziamenti del FMI e il
pericolo di iniziare delle "lotte fra poveri", facendo pagare il costo delle risorse per i
paesi più poveri ai paesi emergenti a medio reddito
6
.
6
Peraltro ci sembrano comunque rilevanti le osservazioni del Comitato Meltzer (cfr. Com.Cons. IFI, 2000). Senza
dubbio è opportuno che vi sia un ricorso maggiore al mercato da parte di quei paesi emergenti che hanno accesso
ad esso e che le risorse delle IFI siano prevalentemente destinate ai paesi che invece non l'hanno (o l'hanno a costi
assolutamente proibitivi).
xxxiv
In relazione alle IFI e al FMI si evidenziano in particolare alcuni sviluppi:
• Un importante risultato del dibattito è stata la maggiore flessibilità di vedute, introdotta
nell'operatività del FMI e di altre IFI. Se prima, in molti casi, c'era la tendenza ad un
approccio del tipo one size fits all, ora sta maturando una tendenza a produrre analisi più
specifiche, a rivedere e valutare, anche con contributi esterni, le proprie azioni ed i propri
programmi e a riprendere e ad approfondire il dibattito in aree (ad esempio la
liberalizzazione del conto capitale) su cui prima esistevano posizioni di consenso
consolidate.
• Le nuove problematiche affrontate e le critiche ricevute hanno modificato e stanno
modificando il ruolo del FMI. Se è vero che è aumentato l'ambito di azione degli interventi
del Fondo in aree nuove (la sua "ingerenza" negli affari nazionali) al contempo, è
aumentata anche l'attenzione per problematiche sociali collegate all'impatto
dell'aggiustamento economico e delle riforme per i membri più vulnerabili della società.
• Dal punto di vista strutturale, l'introduzione della SRF e della CCL del FMI, pur con i
limiti ad esse associati, costituiscono novità importanti per la gestione delle crisi
finanziarie.
• La politica del prestito in arretrato del FMI sebbene non ancora sufficientemente testata,
sembra un primo passo promettente nel facilitare il coinvolgimento del settore privato nella
ristrutturazione del debito.
In relazione alle tematiche di liberalizzazione del conto capitale e all'utilizzazione di forme di
controlli dei capitali, per limitare la probabilità di crisi e la volatilità dei mercati finanziari si
osserva quanto segue:
• Nonostante si continuino a riconoscere i sostanziali potenziali vantaggi associati
all'apertura del conto capitale, occorre attentamente gestire la sequenza del processo di
liberalizzazione, per minimizzare i rischi di instabilità finanziaria ad essa associati (per
molti aspetti simili a quelli relativi al più generico processo di liberalizzazione del sistema
finanziario e dipendenti da politiche macroeconomiche inconsistenti e dalla scarsa solidità
e capacità dei sistemi finanziari stessi di gestire adeguatamente le nuove sfide imposte
dall'apertura)
• La necessità, per evitare che i costi superino i benefici, di procedere a processi graduali e
organici nel processo di liberalizzazione e apertura di un paese, ha portato a riconoscere
che occorra un tempo ragionevolmente adeguato per perseguire il rafforzamento dei sistemi
finanziari nazionali. Ciò ha, ha suggerito di ammettere fasi di transizione in cui
permangono alcuni controlli sui capitali.
• Un interesse diffuso è stato mostrato per i controlli sugli afflussi di capitali, particolarmente
guardando all'esperienza del Cile e del suo requisito di riserva non remunerata (URR).
Minore consenso hanno raccolto invece restrizioni sui deflussi di capitale, come quelle
imposte dalla Malesia. Tuttavia:
1. L'analisi sui controlli cileni ridimensiona l'efficacia prudenziale degli stessi, e
dell'URR in particolare, nel perseguire la ricomposizione dei flussi di capitale e del
debito estero verso scadenze più lunghe e forme meno volatili, limitata, al più, al
breve e medio periodo. L'effetto nel ridurre i flussi totali di capitali appare ancora
più ambiguo e fugace.
2. L'analisi del caso della Malesia sembra indicare l'efficacia delle restrizioni valutarie
e sui deflussi dei capitali nel perseguimento dei loro obiettivi. Inoltre, il bilancio
complessivo, benché provvisorio, fra costi e benefici sembra indicare una
xxxv
prevalenza dei secondi. Siamo pertanto portati ad esprimere un giudizio meno
negativo di quello della gran parte del mondo accademico.
Alla luce delle analisi delle esperienze di Cile, Malesia ed India, concludiamo che, nonostante
l'efficacia spesso non sembri andare oltre il medio periodo, l'utilizzo di forme di controlli dei
capitali debba restare un'opzione aperta per i paesi emergenti. Sebbene l'introduzione o l'entrata
a regime di molte delle altre proposte per la riforma dell'architettura del sistema finanziario
internazionale e in particolare il miglioramento della regolamentazione e vigilanza prudenziale
possano portare nel medio-lungo termine, a ridurre la necessità di ricorso ai controlli
(specialmente in funzione preventiva delle crisi finanziarie), i controlli dei capitali possono
rivelarsi utili come misure temporanee, sia per procedere ad ordinate liberalizzazioni, sia per
procedere a rafforzamenti successivi del proprio sistema finanziario.
In relazione al problema dei costi legati alla perdita di credibilità di un paese che introduce
controlli di capitale, sottolineiamo come questo possa essere amplificato proprio da una loro
condanna aprioristica, indistintamente dalle condizioni specifiche del paese. A questo proposito
consigliamo:
A. Che le IFI stesse dovrebbero essere più flessibili nel loro giudizio sui controlli dei
capitali, in presenza di particolari condizioni ed in occasioni di crisi finanziarie,
procedendo a più aperte e attente valutazioni della loro opportunità e possibilità di
successo, caso per caso.
B. Che in questo ambito, sia importante che le IFI, come il FMI, giungano a formulare
espliciti giudizi di ammissibilità di controlli temporanei dei capitali, sostenute
eventualmente da risorse finanziarie a tassi non punitivi e dall'assistenza tecnica
indispensabile (come già avviene) per le riforme necessarie dei sistemi finanziari e
delle politiche macroeconomiche (che resterebbero comunque elementi accessori e
non necessariamente collegati al giudizio di ammissibilità espresso). La valutazione
dovrebbe avvenire caso per caso, sulla base comunque di alcune linee guida,
dedotte dall'analisi di precedenti esperienze di reintroduzione di controlli dei
capitali.
C. Che un ruolo analogo, con sostegno tecnico e finanziario, sia esteso al sostegno di
approcci graduali alla liberalizzazione del conto capitale, per quei PVS ancora
fondamentalmente chiusi e con sistemi finanziari arretrati, i quali non dispongono di
sufficienti competenze tecniche ed economiche per le riforme necessarie ad attuarli
con successo, minimizzando, in tal modo, i rischi per la stabilità.
Ulteriori passi fondamentali, a nostro avviso utili per caratterizzare il proseguimento del lavoro
relativo alla nuova architettura del sistema finanziario internazionale, sono:
™ Consolidare e affinare le iniziative già intraprese. Dopo le fasi di dibattito, sviluppo
e applicazione sperimentale, bisogna che si proceda ad affinare i nuovi strumenti ed,
eventualmente, a renderli definitivi. Tutto ciò specialmente in relazione
all'approccio degli standard, ad altre iniziative legate alla trasparenza e ai nuovi
servizi di assistenza finanziaria e tecnica della IFI.
™ Maggior 'burden sharing' delle riforme fra paesi emergenti e creditori
internazionali. E' necessario, proseguire nei tentativi di coinvolgimento dei creditori
privati nella prevenzione come nella risoluzione della crisi finanziarie. Si
sottolineano in particolare fra i meccanismi ritenuti più facili da introdurre e più
promettenti, sulla base dell'analisi condotta: linee di credito contingente private per
paesi emergenti o strumenti di assicurazione sul servizio del debito, l'istituzione di
commissioni permanenti di creditori e l'introduzione di clausole di azione collettiva
nei titoli governativi. Il ruolo della politica del prestito in arretrato del FMI e la
xxxvi
CCL, dovrebbero giocare una funzione importante di sostegno nella ridistribuzione
del costo degli aggiustamenti necessari in caso di difficoltà nei pagamenti. In casi
particolari, forme temporanee di controlli dei capitali con finalità prudenziali,
sostenute dai giudizi di ammissibilità poc'anzi consigliati, dovrebbero costituire
un'ulteriore modalità per un più equo burden sharing.
™ Coinvolgere maggiormente i PVS nel dibattito sulla riforma. Senza voler ridurre la
vivacità del dibattito sulla riforma dell'architettura del sistema finanziario
internazionale, eliminando fori ristretti di discussione, che godono di sicuri vantaggi
in termini di efficienza operativa, è importante che, in ultima istanza, il dibattito sia
ricondotto in sedi il più rappresentative possibili, come il FMI, la Banca Mondiale e
le Nazioni Unite. Le decisioni devono essere prese in quei consessi, per mantenere
la legittimazione più ampia possibile e avere migliori probabilità di essere attuate
effettivamente ed avere successo.
™ IFI: soluzioni non concertate con i creditori e consulenza ai PVS. Giudizi espliciti
di ammissibilità delle di IFI possono essere estesi, valutando attentamente caso per
caso le condizioni dei paesi, in modo da ridurre i costi in termine di credibilità e
accesso ai mercati che i paesi emergenti debbono sopportare, in caso di crisi dei
pagamenti che presentino difficoltà e possano richiedere soluzioni non concertate
con i creditori. Inoltre la consulenza tecnica, oltre che nella attuazione delle riforme
relative alla trasparenza, ai sistemi finanziari, ecc., dovrebbe svilupparsi (e un ruolo
importante in questo senso è giocato non solo dalle IFI ma anche dall'UNCTAD)
sempre più nella promozione della conoscenza economica, in modo che i PVS
(specialmente quelli meno sviluppati) possano prendere con cognizione di causa le
scelte relative alle proprie politiche economiche e partecipino al dibattito sulla
riforma dell'architettura del sistema finanziario internazionale con una chiara e
consapevole visione dei propri interessi e delle implicazioni delle diverse proposte.
Passi più ambiziosi e radicali, quali l'introduzione della Tobin tax, dell'UDROP o la creazione
di una corte fallimentare internazionale, rimangono (almeno per il momento) poco realistici.
Bisogna mantenere, a nostro avviso un approccio pragmatico, ma non minimalista, circa le
riforme da compiere e soprattutto evitare quella fase di stanchezza che sembra insorgere
all'allontanarsi degli stimoli offerti alla riforma da un episodio recente di crisi finanziaria.
Anteprima dalla tesi:
La nuova architettura finanziaria internazionale e i Pvs
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Informazioni tesi
| Autore: | Alessandro Turri |
| Tipo: | Tesi di Laurea |
| Anno: | 1999-00 |
| Università: | Università degli Studi dell'Insubria |
| Facoltà: | Economia |
| Corso: | Economia e Commercio |
| Lingua: | Italiano |
| Num. pagine: | 280 |
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