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Il Salento è una terra ricca di cultura e tradizioni, nelle quali si mescolano la religiosità
e le credenze popolari caratterizzate da elementi magici e misteriosi. Il folklore locale
risente degli influssi delle diverse civiltà che si sono succedute nella storia del Salento:
dai romani alle popolazioni albanesi. La credenza forse più caratteristica salentina è
“la Taranta”, ripresa negli ultimi anni dall’omonimo festival organizzato nei diversi
comuni della Grecìa Salentina. “Festival della Taranta” che riscuote di anno in anno
sempre più successo (gli spettatori al concerto finale della manifestazione sono passati
da 5.000 dell’edizione del 1998 a 150.000 dell’edizione 2008), grazie alla
partecipazione di gruppi musicali internazionali e che ha permesso un rilancio turistico
anche delle località vicine.
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1) L’INDAGINE
1.1) Inchiesta e struttura del questionario
Per questa mia ricerca sulla la percezione del dialetto nel comune di Copertino ho
svolto un’inchiesta condotta tramite la distribuzione di un questionario ad un
campione rappresentativo della popolazione.
Il questionario da me utilizzato è stato preparato con l’aiuto di Gabriele Iannàccaro
modificando il questionario del CELE
1
per un’inchiesta sulle comunità Walser del
Piemonte. Anche per la scelta delle classi d’età cui sottoporre il questionario ho
utilizzato la suddivisione adoperata durante le inchieste svolte dal CELE. La
popolazione è stata perciò suddivisa in sei fasce d’età: fascia 1 = tra i 12 e i 17 anni;
fascia 2 = 18-25 anni; fascia 3 = 26-35 anni; fascia 4 = 36-45 anni; fascia 5 = 46-59
anni; fascia 6 = 60-83 anni.
Non sono stati presi in considerazione i bambini sotto i 12 anni per i quali si sarebbe
dovuto preparare un questionario apposito, il quale però non avrebbe potuto essere
confrontato con gli altri.
All’interno di ogni fascia il questionario è stato sottoposto ad un numero uguale di
donne e uomini: solo per la fascia 1 le persone intervistate sono state 48, per tutte le
altre 32, per un totale di 208 questionari. Per la prima fascia il questionario è stato
distribuito ad un numero maggiore di testimoni perché si prevedeva che i ragazzi
potessero restituirlo incompleto, rendendolo perciò inutilizzabile. Tra i 24 questionari
completati dai ragazzi tra i 12 e i 17 anni, 2 si sono rivelati inutilizzabili, in tutti gli
altri casi invece i questionari mi sono stati resi completati in maniera corretta.
Contattare delle scuole mi sembrava la maniera più semplice e rapida per trovare i 48
ragazzi della fascia 1 e per approfittare di docenti e genitori degli allievi per le fasce
d’età più alte. Le scuole scelte sono state tre: l’Istituto Comprensivo 3 per le scuole
medie, il Liceo Scientifico Statale e l’Istituto Tecnico-Commerciale Vittorio Bachelet.
1. Questionario: “Usi linguistici nelle comunità Walser del Piemonte” redatto dal CELE. L’originale, in
ladino, si trova in: Dell’Aquila Vittorio, Iannàccaro Gabriele (2006), Survey Ladins. Usi linguistici nelle
Valli Ladine. Istitut Cultural Ladin «Majon di Fascegn», Provincia Autonoma di Trento, Centre
d'Études Linguistiques pour l'Europe. Regione autonoma del Trentino Alto-Adige.
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Il questionario è stato distribuito, rispettivamente, alle classi IIC e IIIC, alla classe IB e
alla classe VB.
Per le fasce d’età centrali, il questionario è stato compilato dai professori e dai genitori
degli allievi stessi. Per l’ultima fascia invece, quella comprendente le persone di età
compresa tra i 60 e gli 83 anni, mi sono avvalsa dell’aiuto di conoscenti che mi hanno
aiutato a distribuire il questionario ad amici e parenti.
I ragazzi delle scuole hanno avuto 2-3 giorni per la compilazione, per le altre fasce
d’età io ero presente mentre il questionario veniva completato, in modo da poterlo
leggere io stessa alle persone più anziane che avevano qualche difficoltà.
Passerò ora ad analizzare più nel dettaglio la struttura del questionario prendendo in
considerazione anche alcune domande.
Il questionario era completamente anonimo; ciò rendeva impossibile poter risalire alla
persona che l’aveva compilato, una volta che questi fossero stati ritirati. I questionari
infatti non sono stati valutati singolarmente ma sempre in riferimento alla classe d’età
corrispondente.
Nella prima pagina del questionario ho spiegato brevemente lo scopo della mia ricerca
e ho ricordato l’importanza di rispondere in maniera veritiera alle domande.
Le domande proposte erano 54: dopo le prime di tipo anagrafico (anno di nascita,
titolo di studio, attività professionale) vengono poste subito due domande aperte, le
uniche in tutto il questionario alle quali l’intervistato può rispondere liberamente:
[0301] Quale considera la sua lingua madre? e [0302] Come chiamate in paese il
dialetto di qui. È interessante che queste due domande siano poste all’inizio del
questionario, vale a dire quando l’intervistato ancora ignora le domande che
seguiranno e non ne conosce la struttura. All’interno del questionario si trovano infatti
domande simili, le cui risposte però si discosteranno da quelle date alle due domande
aperte, come si vedrà nell’analisi dei dati presente nel secondo capitolo del mio lavoro.
Per le 52 domande rimanenti si tratta invece di domande chiuse del tipo multiple
choice in cui bisogna dare una o più risposte scegliendo la più adeguata tra quelle
proposte.
Alle due domande aperte segue infatti una lunga serie di domande “facili”, nelle quali
al testimone è richiesto di valutare situazioni linguistiche attuali nelle quali si trova
quotidianamente coinvolto [0404] Come parla con i suoi fratelli o sorelle? [0406]
Come parla con i suoi figli?.
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Domande queste che l’intervistato si sarebbe aspettato in una ricerca di questo tipo e
che permettono di metterlo a proprio agio di fronte all’inchiesta.
Questa serie di domande “rassicuranti” è intervallata ogni tanto da domande più
“strane” ([0501]Che lingue e/o dialetti usa nei momenti di rabbia?; [1001] Come fa i
conti a mente?); proprio quest’ultima domanda introduce una breve sezione di
domande sì oggettive ma più personali ([1601] Le viene meglio parlare…). Da notare
la domanda [0601] Cosa usava di preferenza il suo partner/coniuge nella sua famiglia
prima di vivere con lei?, l’unica che chiede di riferirsi all’esperienza linguistica altrui.
Quello che si nota leggendo il questionario è che le domande diventano sempre più
“personali”, e questo si verifica dove l’intervistato deve valutare da sé le proprie
conoscenze sia del dialetto sia dell’italiano ([1401] Come conosce l’italiano? [1501]
Le piacerebbe conoscere meglio l’italiano? [1502] Le piacerebbe conoscere meglio il
dialetto?) e dove si chiede anche un’autovalutazione sul futuro del dialetto.
Nell’ultima pagina è presente una serie di domande apertamente rivolte
all’autoidentificazione linguistica; segue una domanda sulla possibilità di
insegnamento del dialetto nelle scuole e sulle effettive capacità del dialetto ([2601]
Crede che in dialetto si possa dire tutto?). Le ultime due domande sono le più
ideologiche ([2801] È fiero di parlare dialetto?), seguite da una in cui si chiede
un’autovalutazione sul futuro del dialetto ([2901] Come vede il futuro del dialetto di
Copertino?) con la quale si chiude il questionario.
1.2) Osservazioni
Prima di passare ad analizzare i risultati ottenuti dall’inchiesta vorrei soffermarmi su
alcune domande presenti nel questionario originale che io ho preferito eliminare da
quello da me utilizzato. Il questionario del CELE si compone infatti di 92 domande,
contro le 54 del mio.
Una prima differenza si nota già nella formulazione di alcune domande e nelle
possibilità di risposta. Il questionario originale come già detto era stato preparato per
una determinata comunità, quella Walser del Piemonte, le cui lingue a disposizione
sono molteplici: italiano, tedesco, ossolano/valsesiano. Nel mio caso invece l’inchiesta
è stata svolta all’interno di un unico comune, dove l’unica alternanza presente è quella
tra italiano e dialetto.
Altre domande che ho tolto sono state quelle in cui si chiedeva in che modo ci si
rivolgeva al parroco o al medico di famiglia e in che lingua venisse guardata la
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televisione e letto il giornale
1
. Il motivo è perché il parlante riserva al dialetto gli
ambiti più informali della lingua e le situazioni più famigliari e colloquiali
2
. Chiedere
dunque in che modo ci si rivolgesse al proprio medico di famiglia avrebbe portato dati
del tutto omogenei ed orientati verso l’italiano. Allo stesso modo chiedere in che
lingua venissero letti i giornali e riviste poteva infastidire gli intervistati in quanto io
avrei dimostrato di non conoscere la realtà linguistica del luogo ponendo “domande
ovvie”.
1. Domande 0412, 0413, 1201, 1301 del questionario originale, allegato 1 pagina
2. Per altre caratteristiche solitamente attribuite al dialetto si veda Berruto 2003: 190