4
degli Stati, al fine di arginare questa eccessiva perdita dell’immenso patrimonio 
culturale umano.  
Oltre alle Nazioni Unite, che menzionano i diritti linguistici in una 
risoluzione dell’Assemblea generale del 1992, Dichiarazione sui diritti delle 
persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche, si 
schierano in prima linea in questo campo il Consiglio d’Europa e l’OSCE. Il primo 
è stato fautore di trattati multilaterali, quali la Carta europea delle lingue regionali 
e minoritarie del 1992 e la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze 
nazionali del 1995, mentre la seconda, tramite l’Alto Commissariato per le 
Minoranze Nazionali,  ha pubblicato una serie di raccomandazioni. Tra le principali 
si annoverano quella dell’Aia: Raccomandazioni riguardanti il diritto 
all’educazione delle minoranze nazionali del 1996, e quella di Oslo: 
Raccomandazioni sui diritti linguistici delle minoranze nazionali del 1998. 
Diversamente dai trattati del Consiglio d’Europa, che devono essere rispettati dagli 
Stati una volta ratificati, le raccomandazioni non hanno potere vincolante. Tuttavia, 
definiscono principi e valori generali che con il tempo si stanno affermando sempre 
più nel diritto internazionale consuetudinario, e pertanto non costituiscono più una 
scelta, ma un imperativo legale e politico, basi per una buona democrazia.  
Per la prima volta nella storia dunque la comunità internazionale (sotto 
l’egida europea) sta provando ad affermare delle linee guida per le politiche 
linguistiche di ciascun paese, volte a preservare il patrimonio di comunità e 
minoranze linguistiche, le quali a loro volta sono parte integrante di quel 
patrimonio culturale mondiale che costituisce l’affascinante eterogeneità del nostro 
pianeta.  
Eppure non sempre le stesse indicazioni nell’ambito delle politiche 
linguistiche sono funzionali per ogni singolo caso. In primo luogo perché ogni 
comunità linguistica necessita spesso di un approccio specifico ed esclusivo, dato 
che la situazione di ciascuna minoranza linguistica ha peculiarità che la distinguono 
dalle altre minoranze; in secondo luogo, la promozione di una politica linguistica è 
ben altra cosa rispetto alla sua concreta attuazione: infatti, se l’elaborazione di 
politiche atte a preservare (o meno) un patrimonio linguistico è esclusiva 
 5
competenza delle autorità statali, l’atto concreto della conservazione della lingua è 
in gran parte responsabilità dei suoi parlanti. 
Sebbene al centro del dibattito negli ultimi anni, il tema delle politiche 
linguistiche non è nuovo nella legislazione di uno Stato. L’unica differenza rispetto 
al passato è che precedentemente gli Stati non erano soggetti a un vero e proprio 
controllo da parte della comunità internazionale, quindi ciascuno di questi si 
muoveva nella direzione che più preferiva. Nella maggior parte dei casi, queste 
scelte erano inequivocabilmente dettate dal bisogno di costruire un’identità 
nazionale (che in alcuni casi poteva portare verso derive nazionalistiche) e 
andavano quindi a discapito di comunità e minoranze, le quali dovevano essere 
assorbite e sacrificate in nome della maggioranza nazionale. 
La Russia si inserisce chiaramente in questa comunità internazionale e 
anche essa possiede un patrimonio linguistico da tutelare. La storia di questo paese 
ha visto avvicendarsi diverse politiche linguistiche, e talune sono tuttora in atto.  
Questo lavoro propone, nella sua prima parte, uno studio diacronico delle 
politiche linguistiche della Russia, specie nel periodo sovietico, e le conseguenze 
che questa ha avuto sulle comunità linguistiche presenti nel suo territorio. Prima 
del periodo sovietico sarà però necessario delineare quella che era la situazione di 
partenza, cioè se il governo si facesse promotore di politiche linguistiche durante 
l’epoca zarista e come queste abbiano inciso sulla vita delle minoranze linguistiche. 
Lo studio del caso russo si presenta particolarmente interessante per il gran numero 
di minoranze linguistiche presenti in questo Stato, e il conseguente numero di 
idiomi locali. Come vedremo, proprio questa  estrema eterogeneità è stata causa di 
non pochi problemi di pianificazione linguistica durante il periodo sovietico. Infatti, 
per i leader sovietici la politica linguistica aveva un ruolo fondamentale 
nell’amministrazione del paese, inoltre essi si preparavano ad affrontare un tema a 
cui mai era stata data troppa importanza nel passato.  Risulterà però evidente che le 
scelte sovietiche in questo campo non sono sempre state molto lineari nel tempo, 
anzi hanno subito cambiamenti di rotta non indifferenti. In ogni caso, i settant’anni 
di politiche sovietiche hanno portato modifiche nella situazione linguistica del 
paese che oggi è possibile definire in modo sia positivo che negativo. 
 6
L’analisi si sposterà poi su un piano più attuale: si valuteranno i 
cambiamenti provocati dalla caduta dell’Unione Sovietica e si analizzerà in 
particolare ciò che sta oggi accadendo nella Federazione, come questa risponde alla 
necessità di garantire alle sue minoranze il mantenimento della propria lingua. Per 
fare ciò, sarà necessario approfondire la legislazione russa vigente in materia, 
esaminare da quali leggi sono regolati i rapporti dell’amministrazione statale con le 
minoranze linguistiche. Come risaputo, negli ultimi anni la Russia è stata accusata 
ripetutamente da organizzazioni internazionali e governi stranieri di violazione dei 
diritti umani, primo tra tutti la libertà d’espressione. Essendo la lingua il mezzo 
attraverso il quale l’espressione di un individuo ha la sua massima manifestazione, 
sarà possibile dare un giudizio sommario sulla garanzia dei diritti linguistici in 
Russia tramite un’indagine riassuntiva generale, cogliendo incongruenze del 
sistema e controsensi, dato che non sempre ciò che è decretato in una legge viene 
realizzato nella pratica.  
Infine, per fornire un esempio pratico di politica linguistica, sarà 
approfondito il caso di una minoranza in particolare: quella dei vepsi, comunità 
indigena della Carelia che, stando all’ultimo censimento ufficiale federale del 2002, 
conta circa 8200 componenti. La scelta di questa comunità è dettata dal fatto che si 
presenta come un ottimo modello per analizzare l’influenza delle politiche 
linguistiche nazionali su una piccola minoranza; altrettanto interessante è 
analizzare le numerose iniziative che si stanno intraprendendo per preservare 
questo gruppo da un punto di vista etnico, culturale e soprattutto linguistico. 
La compilazione della presente tesi è stata possibile grazie al reperimento di 
materiale presso le biblioteche comunali e universitarie di Perugia e Macerata; la 
consultazione di testi legislativi è avvenuta su siti ufficiali della Federazione Russa 
e dei suoi soggetti federali. Per la parte che concerne la minoranza vepsa, gran 
parte del lavoro è stato svolto su internet, attraverso il reperimento di atti di 
conferenze, articoli di giornali, altre tesi sulla cultura vepsa; un ulteriore lavoro di 
ricerca e verifica delle fonti è stato infine compiuto presso la Biblioteca Nazionale 
Estone di Tallinn.  
 
 
 
 7
 
 
Capitolo primo 
 
 
 
 
 
 
LA POLITICA LINGUISTICA DELLA RUSSIA NEI 
CONFRONTI DELLE MINORANZE NAZIONALI. 
INQUADRAMENTO STORICO 
 
 
Le politiche linguistiche della Russia sono state oggetto di indagine da parte 
di numerosi studiosi. Le ragioni di questo interessamento sono facilmente 
spiegabili, in quanto trovano origine proprio nel fatto che la Russia offre, grazie 
alla sua immensa estensione territoriale, un esempio quasi unico di eterogeneità 
etnica (che si riflette necessariamente in una differenziazione linguistica molto 
complessa) all’interno di un solo Stato. Basti notare che, secondo il censimento 
statale della popolazione del 2002, sul territorio russo sono presenti 
approssimativamente 170 diversi gruppi etnici che parlano la loro lingua natale 
secondo percentuali variabili e, secondo il conteggio ufficiale, almeno 150 lingue
1
. 
Bisogna però considerare che spesso i linguisti non sono d’accordo riguardo a 
queste cifre e alcuni arrivano a stimare la presenza nella Federazione Russa di oltre 
200 lingue. Questa discrepanza è conseguenza del fatto che il più delle volte il 
                                                 
1
 Fonte: Vserossijskaja perepis’ naselenija 2002 goda, 2002, disponibile sul sito 
<www.perepis2002.ru>, consultato il 12/09/2007. 
 8
confine tra lingua e dialetto non è ben distinto, oppure è definito attraverso fattori 
sociali e politici, piuttosto che linguistici
2
. 
Fatto sta che l’amministrazione statale, che si tratti di quella zarista, 
sovietica o della giovane Repubblica Federale, nel tempo si è sempre trovata a 
gestire una situazione molto complessa, e diversi sono stati gli approcci tentati 
nella storia nei confronti della politica linguistica. Questa, infatti, spesso 
rappresenta un mezzo molto importante attraverso cui raggiungere obiettivi politici 
di più ampia portata e in nessun caso più che in quello sovietico ciò risulta essere 
vero.  
Ripercorrerò in questo primo capitolo i vari periodi storici, prima tracciando 
una panoramica di ciò che è successo in epoca zarista e, successivamente, delle 
politiche linguistiche della Russia sovietica, per poter così delineare un quadro 
generale degli effetti che suddette politiche hanno avuto sulle comunità linguistiche 
del territorio russo. 
 
I. 1. L’EPOCA ZARISTA
3
 
 
L’impero multinazionale russo era unitario nel suo corpo centrale, ma vi 
erano numerosi stati vassalli nelle sue periferie
4
. La concezione di nazionalità non 
si basava su nessun principio ufficiale, poiché la popolazione era classificata il più 
delle volte secondo la religione, senza particolare attenzione per l’etnia. Per questo 
motivo, tra i russi erano annoverati ucraini e bielorussi, insieme ad altri popoli 
ortodossi, mentre tutti gli altri popoli erano relegati nella categoria degli “stranieri” 
(inostrancy), nonostante vivessero secondo obblighi e leggi russe. Non vi erano 
privilegi ufficiali per i russi, ma sostanzialmente l’integrità dello Stato poggiava 
interamente sulla loro religione, nonché sulla cultura e sulla lingua. 
La politica linguistica zarista non era del tutto coerente e cambiava nel 
corso del tempo. Nella seconda metà dell’ottocento l’impero zarista, come ogni 
                                                 
2
 Cfr. Grenoble, Lenore, Language Policy in the Soviet Union, Dordrecht, Kluwer Academic 
Publishers, 2003, p. 2. 
3
 Le informazioni contenute in questo paragrafo sono tratte per lo più dal fondamentale volume di 
Vladimir M. Alpatov, 150 jazykov i politika. 1917-2000. Sociolingvističeskie problemy SSSR i 
postsovetskogo prostranstva, Moskva, Kraft, 2000.  
4
 I principali erano il Regno di Polonia e il Granducato di Finlandia. 
 9
Stato centralizzato, doveva riuscire a mantenere la sua unità, e uno dei mezzi 
principali per promuovere questo obiettivo era sviluppare la lingua statale, il russo, 
e darle supremazia sulle altre. Questa non poteva avere concorrenti. Il russo era la 
lingua dell’amministrazione, dell’esercito, della corte, e alla fine del XIX secolo 
era l’unica a essere utilizzata per l’istruzione superiore. I rapporti all’interno dello 
Stato si intrattenevano in russo e l’amministrazione zarista non riconosceva alcuna 
lingua allo stesso livello di questa.  
In ogni caso, la politica nei confronti delle altre lingue dipendeva da molti 
fattori: il tempo da cui era stato annesso un dato territorio, il suo sfruttamento, la 
religione e la cultura dei suoi popoli, i rapporti con essi ecc. 
Le popolazioni riconosciute ufficialmente come gli ortodossi, erano parte di 
un unico obiettivo: l’assimilazione culturale e, dunque, linguistica. Ad esempio, 
ucraini e bielorussi erano visti come parte del popolo russo e le loro lingue erano 
considerate per tradizione dei dialetti russi
5
. La loro letteratura era vista come 
letteratura dialettale e spesso venivano poste misure per limitarne la diffusione. 
Infatti, le pubblicazioni in ucraino furono vietate dal 1876 al 1905
6
, mentre ciò non 
fu necessario per il bielorusso, dato che fino agli inizi del XX secolo in questa 
lingua era stato scritto molto poco
7
. Nei confronti dei georgiani la politica fu molto 
incoerente, dato che a periodi alterni le scuole di russo venivano ora aperte, ora 
richiuse. Molto più rigide furono le misure nei confronti dei polacchi, giacché la 
politica di non ingerenza fu effettiva fino al 1830, mentre dopo la seconda 
insurrezione del 1863 la lingua polacca fu eliminata da ogni sfera ufficiale di 
utilizzo per circa 40 anni
8
. 
                                                 
5
 Russo, ucraino e bielorusso appartengono alla famiglia delle lingue slave orientali e sono 
strettamente imparentate tra loro. Derivano da un’unica lingua slava orientale e sono l’esito di 
processi di differenziazione avvenuti a partire dal XIII secolo. Ucraino e bielorusso raggiungono il 
rango di lingua letteraria solo di recente: l’ucraino nel ‘700, il bielorusso all’inizio dell’800. Cfr. 
Cantarini, Aldo, Lineamenti di fonologia slava, Milano, La Scuola, 1979, p. 24. 
6
 Dopo il divieto posto da Alessandro II le pubblicazioni in questa lingua ripresero solo dopo la 
rivoluzione del 1905. L’ucraino ebbe comunque uno stato ufficiale solo nel 1919. 
7
 Effettivamente, già dal 1846 ci fu un tentativo di pubblicazione di una grammatica di bielorusso 
basata sui dialetti della regione di Minsk. Seguirono tentativi di far emergere questa lingua, ma 
benché nel censimento del 1897 quasi 6 milioni di persone avessero dichiarato di parlare il 
bielorusso, questa rimase comunque una lingua “rurale” (Cfr. 
<http://en.wikipedia.org/wiki/Belarusian_language>, sito consultato il 8/10/2007). 
8
 Dopo il Congresso di Vienna (1814-15), il territorio polacco fu sotto il controllo della Russia, che 
però aveva garantito alla Polonia una Costituzione e un certo grado di autonomia. Con la rivolta del 
novembre 1830, la Polonia perse la sua Costituzione e il suo esercito. La rivolta del gennaio 1863 
 10
Molto diversi erano i rapporti con le piccole comunità indigene: i cosiddetti 
“stranieri” dell’Asia centrale, della Siberia o dell’Estremo Oriente russo. Nell’Asia 
centrale, dove c’erano comunità comunque più grandi, il contatto con le 
popolazioni locali avveniva tramite interpreti. Queste popolazioni non erano 
motivate ad apprendere la lingua russa, in quanto non venivano arruolate 
nell’esercito e difficilmente avrebbero cambiato il loro luogo di residenza. Per 
questi motivi anche l’amministrazione centrale non sentiva il bisogno impellente di 
assimilarli. 
Il problema delle lingue in via d’estinzione all’epoca non si poneva nella 
sua piena consapevolezza, in quanto assumeva connotazioni sociali e geografiche 
molto particolari. Nelle regioni meno sviluppate e orientali, cioè più lontane dalla 
vita moscovita e pietroburghese, le piccole comunità vivevano un’esistenza 
piuttosto indipendente dall’amministrazione centrale, finché non era richiesto loro 
di entrare a giocare un ruolo nella vita nazionale.  
Se allo zar poco interessava della vita di queste comunità, molto differente 
era l’approccio della Chiesa Ortodossa. Questa, poco interessata ai rapporti con il 
popolo musulmano (con cui preferiva evitare stabili contatti), giocava un ruolo 
molto attivo nella cristianizzazione di altri popoli. I missionari erano numerosi, ma 
divisi internamente in due fronti: c’erano coloro che spingevano per 
un’assimilazione veloce e chi invece pensava che sarebbe stato più opportuno un 
approccio graduale. Assimilare velocemente significava cristianizzare e istruire in 
russo, favorendo così una veloce russificazione di questi popoli. Coloro che invece 
volevano procedere in maniera più graduale, optavano per l’istruzione dei popoli 
nella loro lingua natale, che avrebbero conservato a discapito di altre perdite di loro 
tratti culturali peculiari, primo fra tutti la religione.  
Malauguratamente la categoria di questi ultimi individui contava molti 
meno esponenti e l’amministrazione zarista era pressoché indifferente ai loro 
richiami. Costituivano in pratica una “voce fuori dal coro”, anche per gli stessi 
popoli indigeni. I tentativi di alfabetizzazione nelle lingue locali dei missionari 
                                                                                                                                       
prese forma dopo che giovani polacchi rifiutarono la coscrizione nell’esercito russo. Sconfitti come 
trent’anni prima, i polacchi non avrebbero più usufruito di uno status speciale per il loro territorio, 
che venne ufficialmente inglobato nell’Impero russo.