6
strumento principale allo scopo di ridistribuire in maniera sistematica una parte dei contributi 
dei paesi membri alle regioni più povere della Comunità 
4
. L’ideazione del Fesr, accompagnato 
dalla nomina di un apposito Comitato per la politica regionale, testimonia la valenza regionale 
che inizia a caratterizzare la politica di coesione della Comunità europea, sintomo della 
crescente attenzione che inizia ad avere quest’ultima nel contesto generale delle politiche 
europee. 
 Inizialmente, la Commissione doveva fissare i requisiti e le modalità per l’accesso alle 
risorse del Fesr che riguardava i rappresentanti nazionali, il fondo doveva finanziare non 
singoli progetti, ma un sistema coordinato di programmi distinguibili tra due tipologie: 
programmi comunitari elaborati dalla Commissione e programmi nazionali di interesse 
comunitario (Pnic) messi a punto dai singoli stati membri. Successivamente il ruolo dei 
governi nazionali in tema di fondi strutturali diventerà ridotto, in favore di un crescente 
rapporto che coinvolgerà le autorità regionali e l’anima dell’Unione europea, ossia la 
Commissione.  
A partire dalla nascita del Fesr, il contributo versato per le politiche strutturali regionali 
(comprendente Feoga, Fse e Fesr) è stato di circa il 13 % dell’intero bilancio comunitario. Tale 
quota non aumenterà sino alla riforma del 1988 in seguito descritta. 
   
 
1.1.1. Contributo totale degli stati membri al Fesr, per il periodo 1975-1988  
5
 
 In suddetto periodo, nel quale persisteva un debole coordinamento delle politiche 
economiche e conseguentemente delle azioni strutturali, il contributo totale è stato di 15703,19 
milioni di ecu. Questi erano devoluti dai singoli stati secondo la seguente ripartizione: 
 - Italia 4137,85 mln. – Regno Unito 3648,38 mln. – Francia 2850,55 mln.                   
– Spagna 2120,75 mln. – Grecia 1887,72 mln. – Irlanda 975,88 mln. - Portogallo 742,27 mln. – 
Germania 660,83 mln. – Danimarca 154,78 mln. –  Belgio 143,12 mln. – Olanda 138,03 mln. – 
Lussemburo 8,99 mln. 
                                                          
4
 Il Fesr è stato istituito con il Regolamento n. 724/75 allo scopo di “correggere i principali squilibri 
regionali della Comunità, in particolare quelli risultanti dalla prevalenza delle attività agricole, dalle trasformazioni 
industriali e da una sottoccupazione strutturale”.   
5
 Commissione europea, Crescita, competitività, occupazione, Libro bianco, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali 
delle Comunità europee, Lussemburgo, 1993.     
 7
1.1.2. Maggiore attenzione alla coesione con l’allargamento a dodici  
  Durante gli anni seguenti, si è assistito ad un allargamento consistente dell’Unione 
verso paesi meno ricchi rispetto alla media degli Stati membri. Con l’entrata della Grecia nel 
1981 ed il contemporaneo ingresso di Portogallo e Spagna nel gennaio 1986 
6
, sono emersi 
evidenti squilibri socioeconomici (e quindi differenze notevoli in quanto a possibilità di 
sviluppo) a livello macroregionale tra le popolazioni della Comunità. La scarsa omogeneità di 
reddito e benessere nel territori comunitari ha generato un impulso nevralgico nel processo 
inerente i fondi strutturali e del conseguente ampliamento di politiche a carattere regionale 
dell’Unione europea. Tale impulso è stato tradotto attraverso una netta presa di coscienza da 
parte delle istituzioni comunitarie che hanno avvertito il bisogno di creare strategie atte allo 
sfruttamento congeniale ed il più possibile funzionale delle risorse economiche (che sono 
aumentate cospicuamente) estratte dal bilancio dall’Unione europea allo scopo di incentivare  
la crescita delle aree beneficiarie. 
Il primo segnale fu dato dall’istituzione, attraverso il regolamento n. 2089 del 1985 del 
Consiglio, dei Programmi integrati mediterranei (Pim), creati per armonizzare e gestire la fase di 
transizione dovuta all’ allargamento, sia per i nuovi paesi aderenti, ma specialmente per le 
regioni meridionali di stati già appartenenti alla Comunità (ovvio pensare al Mezzogiorno), le 
quali rischiavano di subire un contraccolpo dalle adesioni dei tre paesi precedentemente 
menzionati. I Pim sono risultati essere uno strumento di legame tra le realtà europee del mar 
Mediterraneo, dovevano avere carattere pluriennale e l’ elaborazione spettava alle autorità 
regionali con successiva approvazione da parte della Commissione europea. La spesa dei 
programmi era cofinanziata dalla Comunità fino al 70 %, tramite il Fesr ed il Feoga.    
 Tra il 1985 ed il 1986, sono stati ripensati e riorganizzati i Fondi strutturali  la 
formulazione dell’Atto unico europeo 
7
. Da questo sono state fornite la basi per il verificarsi di 
una politica di coesione effettiva, destinata a controbilanciare in maniera efficace le 
conseguenze dei vincoli che sarebbero stati attuati pochi anni più tardi, in seguito alla nascita 
del mercato comune europeo (Maastricht 1992). L’integrazione di diverse politiche tra gli stati 
europei, ha rafforzato l’autorità delle istituzioni e degli organismi dell’Europa unita, generando 
meccanismi che vedono allontanare automaticamente i contesti regionali e periferici della vita 
della Comunità, in un’ottica di interdipendenza tra i paesi membri che coinvolge 
primariamente le città e le zone economicamente più avanzate, limitando conseguentemente le 
                                                          
6
 Gli stati di cui si componeva la Comunità diventarono così 12, dopo la precedente adesione di 
Danimarca, Irlanda e Regno Unito datata 1973 (il referendum interno vide negare l’ingresso della Norvegia)    
7
 Da Il Sole 24 ore, 16 giugno, 2005: “L’Aue è entrato in vigore nel luglio del 1987, segnando un passo 
cruciale per il definirsi di uno spazio europeo unico sotto il profilo commerciale e doganale. Esso stabilì 
l’abbattimento di barriere in materia di circolazione di persone, merci, servizi e capitali tra gli Stati membri della 
Cee”.    
 8
opportunità di emergere per le zone arretrate socioeconomicamente e non direttamente 
coinvolte dallo sviluppo legato alla produzione ed alla circolazione dei flussi finanziari. Di qui 
si è accentuata in modo preventivo l’attenzione verso la politica di coesione, con l’intento di 
favorire le regioni meno prospere tra cui quelle del sud Europa. L’Atto unico ha consentito 
che il riguardo per la coesione economica e sociale della Comunità aumentasse 
sostanzialmente: il Consiglio europeo di Bruxelles del febbraio 1988, oltre ad assumere la 
denominazione di “Fondi strutturali” invece che di “Fondi settoriali di solidarietà”, ha 
modificato sensibilmente i meccanismi riguardanti i finanziamenti, portando ad una crescita 
graduale nel corso dei cinque anni successivi, fino al raggiungimento di quasi il 30% dell’intero 
bilancio comunitario, l’entità degli stanziamenti derivanti dai Fondi strutturali. Inoltre, il 
suddetto Consiglio ha unificato i fondi sotto il profilo normativo congiuntamente con più 
nitidi e specifici quadri circa gli obiettivi da raggiungere, uniformando il funzionamento dei 
finanziamenti regionali devoluti dalla Comunità secondo alcuni criteri basilari. 
 È stato attraverso la pubblicazione del Regolamento n. 2052 del 1988 
8
 (seguito 
nell’immediato da altri regolamenti dedicati al funzionamento dei singoli fondi, e rafforzato 
cinque anni più tardi dal Reg. n. 2081/93), che si sono avute ulteriori conferme sull’intenzione 
di rendere maggiormente forte e comprensibile l’attività dei fondi strutturali. In esso figurano 
gli obiettivi tracciati in previsione degli effetti che sarebbero stati generati dall’integrazione 
derivante dal Trattato di Maastricht. Il Regolamento, infatti, ha sancito i criteri validi per tutto 
il decennio seguente (verrà modificato nel 1999) in modo da migliorare la gestionalità dei 
fondi, innanzitutto concentrandoli nei settori di principale necessità, stabilendo i metodi e 
perseguendo delle programmazioni pluriennali di medio termine per lo sviluppo regionale. 
Esso si riferisce ampiamente al principio di cofinanziamento, secondo cui gli stanziamenti 
economici comunitari non possono sostituirsi completamente all’ intervento finanziario dei 
governi o delle amministrazioni ed enti locali. Inoltre è stato evidenziato l’esercizio della 
pratica fondata sul principio di corresponsabilità, che prevede che rispondano in maniera 
condivisa, circa i progetti da eseguire, dalla fase di ideazione, nell’applicazione e nel momento 
della conclusione, l’Unione (tramite la Commissione), le autorità ministeriali dei governi 
nazionali e gli enti pubblici amministrativi locali, o altri soggetti endogeni attuatori dei singoli 
progetti.  
                                                          
8
 Regolamento (Cee) N. 2052 del 24 giugno 1988, relativo alle missioni dei Fondi a finalità strutturali, 
alla loro efficacia e al coordinamento dei loro interventi e di quelli della Banca europea degli investimenti, degli 
altri strumenti finanziari esistenti. In tale documento sono elencate le regioni ammissibili all’obiettivo primario dei 
fondi strutturali: Andalucia, Asturias, Canarias, Extremadura, Comunidad Valenciana, Castilla-La Mancha, 
Castilla y Leòn, Murcia, Galicia, Canarias, Ceuta y Melilla per la Spagna, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, 
Calabria, Sicilia, Campania, Sardegna per l’Italia, l’Irlanda del nord nel Regno Unito, i dipartimenti oltre 
l’Atlantico appartenenti alla Francia e l’intero territorio per quanto riguarda Portogallo, Grecia ed Irlanda.      
 9
Ancora sul finire degli anni ottanta, la Commissione ha provveduto all’elaborazione di 
un sistema di calcolo per disporre di un quadro oggettivo che fornisse una graduatoria di 
prosperità delle singole aree regionali. Tale classificazione è stata articolata su tre fasce di 
livello di benessere denominate «Nuts» (nomenclatura delle unità statistiche territoriali) 
9
.   
 L’Atto unico europeo ha dunque aperto una strada importante per la politica regionale 
della Comunità, la quale alcuni anni dopo sarebbe sfociata nella stesura di un apposito Titolo, 
“Coesione economica e sociale”, del Trattato di Maastricht del 1992 
10
. Tale periodo, la 
seconda metà degli anni ottanta, oltre a sancire una consistente crescita della politica regionale, 
si configura come il momento del concreto nascere della volontà d’integrazione europea, 
intesa nella generalità delle sue politiche.   
La situazione della regione europea inizia quindi a tendere verso un’integrazione dai 
lievi caratteri federali, intesi a responsabilizzare le entità locali europee grazie alla ricezione dei 
fondi strutturali, favorendo in tal modo un rapporto tra Bruxelles (istituzioni centrali) e le 
entità periferiche regionali, in un contesto strutturale paritario per l’accesso alle risorse 
stanziate per la politica regionale, che scavalchi le autorità statali. Comincia ad essere avvertita 
l’esigenza di conferire maggior potere alle istituzioni locali e periferiche che sono a margine del 
sistema dell’Unione, cercando di controbilanciare gli effetti dell’interdipendenza tra attori 
statuali, tenendo conto delle istanze delle singole regioni, in una prospettiva che può essere 
definita dalle caratteristiche glocali. É una politica che presenta vasti tratti di intervento 
solidale, in particolar modo la politica regionale è lo strumento chiave per consentire la 
formazione di un Europa in cui non vincano le disparità sociali ed un’iniqua possibilità di 
crescita, ma oltre a simboleggiare tale peculiarità, la ricerca di coesione tra i territori europei è 
una premessa fondamentale nel discorso di unitarietà tra stati aderenti ad una medesima entità  
che è unica nel suo insieme di caratteristiche, a cui è preferibile fornire un’ossatura forte ed al 
contempo più omogenea possibile, da cui ne tragga beneficio il complesso progetto europeo. 
 
                                                          
9
 Commissione europea, Direzione generale della Politica regionale, Le politiche regionali i territori 
dell’Europa, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2004, p.56: “nomenclatura 
adottata dall’Istituto statistico delle Comunità europee (Eurostat) allo scopo di disporre di uno schema unico e 
coerente di ripartizione territoriale. Nei programmi attuali di sviluppo regionale, l’obiettivo 1 dei fondi strutturali 
riguarda principalmente le regioni Nuts 2, mentre l’obiettivo 2 interessa territori di livello Nuts 3. La 
classificazione a tre livelli, è stata istituita da Regolamento (Ce) n.1059/2003 del Parlamento europeo e del 
Consiglio, del 26 maggio 2003. La dimensione media delle classi di unità amministrative è considerata dal punto 
di vista della popolazione facendo riferimento ai seguenti limiti: da 3 a 7 milioni (Nuts1); da 800 000 a 3 milioni 
(Nuts2); da 150 000 a 800 000 (Nuts3). In ogni Stato membro possono sussistere ulteriori livelli di dettaglio, 
decisi dallo stesso Stato membro, inferiori al livello Nuts 3”.         
10
 “…la Comunità mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle 
regioni meno favorite o insulari, comprese le zone rurali”. 
 10
Tabella 1 – Ripartizione dei fondi strutturali devoluti ai singoli stati nel 1986  
 
Fonte: Commissione europea, Relazione sulla politica regionale 
Bruxelles, 1988 
 
 
1.1.3. Una rappresentanza per le regioni   
 Un ulteriore sintomo del progresso dell’Unione sotto l’aspetto federalista, nel senso di 
relazioni dirette tra gli organi centrali comunitari e le autorità pubbliche regionali locali, è stata 
la nascita, nel 1988, del Consiglio consultivo delle autorità regionali e locali. La creazione di 
tale organo fu voluta fortemente dalla Commissione che lo ha istituito, ed è la manifestazione 
della volontà delle entità substatali di organizzarsi autonomamente per poter assumere un 
ruolo attivo nella vita politica dell’Unione, specie nelle fasi inerenti la gestione dei fondi 
strutturali.  
 Dopo circa tre anni di esistenza, soprattutto grazie alle pressioni tedesche, il suddetto 
Consiglio consultivo delle autorità regionali e locali è stato posto in discussione. In seguito, nel 
1994, è nato un organo a cui si tentava di conferire maggiore autorevolezza,  il Comitato delle 
regioni (Cdr). Le funzioni ed i poteri del Cdr all’interno delle istituzioni europee sono di natura 
strettamente consultiva. I pareri espressi sono tali, per cui non vi è alcun vincolo nell’attività 
politica che possa derivare dalle indicazioni del Comitato. Ma il fattore che conferisce maggior 
significato all’esistenza del Cdr, è che le realtà regionali possono disporre di un canale diretto 
con le istituzioni centrali dell’Unione, congiuntamente con la presenza di uffici delle singole 
regioni presso la Commissione. Il Comitato é un mezzo grazie al quale le regioni cercano di 
sfuggire al controllo dei propri governi nazionali perché avvertono l’importanza di dialogare 
 11
direttamente con i vertici comunitari, nel tentativo di sottrarre il più possibile le politiche 
strutturali europee alle logiche stato-centriche che influenzano già quasi tutte le politiche 
comunitarie. Va comunque sottolineato che talvolta le autorità regionali “dispongono anche di 
altri canali di influenza politica da utilizzare, tra cui lo stesso Consiglio dei ministri nei casi in 
cui i governi nazionali di paesi con una forte struttura governativa subnazionale consentano ai 
rappresentanti regionali di partecipare alle loro delegazioni su determinate materie. Il Cdr è 
tuttavia rafforzato dal fatto che molti suoi membri sono politici esperti a livello regionale e 
locale che si adoperano molto attivamente affinchè il comitato non sia limitato al ruolo di 
cassa di risonanza che molti governi desidererebbero avesse” 
11
. 
 Lo status giuridico del Comitato delle regioni è quello di organo consultivo del 
Consiglio, della Commissione e del Parlamento  europeo. “Il Cdr, su propria iniziativa, 
formula regolarmente pareri sulla politica regionale e su qualsiasi argomento che ritiene debba 
essere discusso in seno all’Unione. Inoltre, deve essere obbligatoriamente consultato su 
tematiche relative ai seguenti ambiti: coesione economica e sociale, reti infrastrutturali 
transeuropee, sanità pubblica, istruzione, cultura, politica del lavoro, politica sociale, ambiente, 
formazione professionale e trasporti. I membri del Comitato, nominati dal Consiglio 
dell’Unione su proposta degli stati membri, devono aver ricevuto un mandato elettorale, 
regionale o locale oppure da parte di un’assemblea eletta” 
12
. 
È inoltre doveroso riportare che talvolta le regioni, come nel caso della Campania, 
decidono di investire nella creazione di una propria sede di rappresentanza permanente in 
quello che è il quartiere comunitario di Bruxelles (una sorta di mini ambasciate potrebbero essere 
definite), onde garantirsi una considerevole visibilità nei confronti degli organi comunitari e 
verso le altre realtà regionali europee. Tale aspetto è un segnale incoraggiante riguardo il 
carattere internazionale che le realtà regionali stanno assumendo, un ulteriore sintomo 
dell’autonomia crescente e dell’ europeizzazione dei singoli territori. 
Pertanto, nella pagina, si riporta la pagina web di presentazione della sede di Bruxelles 
dell’ente regionale campano. 
                                                          
11
 N. Nugent, The Government and Politics of the European Union, terza ediz. a cura di Sandro Gozi, il 
Mulino, Bologna, 2001, p. 317. 
12
 Commissione europea, Direzione generale della politica regionale, Al servizio delle regioni, ufficio delle 
pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2004, p. 30.   
 12
 
REGIONE CAMPANIA  
RAPPRESENTANZA DI BRUXELLES 
Al fine di rafforzare i legami con l'Europa, il Presidente della Regione Campania On.le Antonio 
Bassolino; ha inaugurato il 27 maggio 2002 la Rappresentanza di Bruxelles della Regione. 
  
La Rappresentanza della Regione Campania, Servizio dell'Area Generale di Coordinamento Gabinetto 
del Presidente, è situata nel cuore della city comunitaria. 
 
AMBITI DI ATTIVITA' E FUNZIONI 
Attraverso la Rappresentanza di Bruxelles, la Regione Campania si propone di realizzare un efficace 
sistema di relazioni con le Istituzioni comunitarie nelle materie di competenza regionale. 
  
A tale scopo cura: 
 ξ  gli adempimenti connessi ai rapporti tra le Istituzioni comunitarie e la Regione; 
 ξ  il reperimento e l'analisi delle informazioni utili all'attività legislativa svolta dalla Regione 
Campania con particolare riferimento alla legislazione comunitaria; 
 ξ  l'attività di documentazione e di informazione della legislazione comunitaria; 
 ξ  lo sportello informativo sulle attività produttive regionali e sulle iniziative di divulgazione di 
prodotti campani al servizio anche di Enti pubblici e privati; 
 ξ  la promozione, anche mediante azioni sul territorio, dell'immagine e dei prodotti regionali; 
 ξ  i rapporti con la comunità campana in Belgio; 
 ξ  il monitoraggio delle opportunità di finanziamento per le iniziative regionali; 
 ξ  le azioni di supporto ai competenti servizi regionali circa l'iter comunitario di selezione ed 
approvazione di programmi e di progetti di interesse regionale; 
 ξ  l'attività di supporto a favore degli Enti locali della Campania e/o Enti di rilevanza nazionale; 
 ξ  l'assistenza e supporto all'attività del Presidente e del Governo Regionale. 
 
Brochure scaricata dal sito web istituzionale www.regione.campania.it  
 13
1.2. Concentrazione delle risorse dei fondi strutturali del periodo 1994-1999 
13
        
 
Sono qui descritte le caratteristiche di gestione dei fondi, affiancati dalla nascita dello 
Strumento finanziario orientativo per la pesca (Sfop), a cui vanno aggiunte le 13 Iniziative 
comunitarie.  
Nel quinquiennio 1994-1999, i fondi strutturali sono stati indirizzati verso aree meno 
agiate in base a sei obiettivi (di cui l’ultimo è stato istituito nel 1995 al momento dell’adesione 
di Austria, Finlandia e Svezia) che ne hanno delineato i criteri di assegnazione. 
- L’obiettivo 1 era mirato allo sviluppo ed all’adeguamento strutturale delle regioni in 
forte ritardo di crescita. Salvo alcune deroghe particolari, erano ammissibili le regioni di livello 
Nuts 2, con Prodotto interno lordo pro capite inferiore al 75% della media comunitaria. Le 
regioni che erano soggette al suddetto obiettivo comprendono circa il 26% della popolazione  
degli stati allora membri. Le risorse finanziarie destinate erano 96.200 milioni di ecu (prezzi 
1992), circa il 68% dell’intera somma devoluta dall’Ue attraverso gli stanziamenti strutturali. 
L’obiettivo 1 implicava l’utilizzo di tutti i fondi strutturali, Fesr, Fse, Sfop e Feoga sezione 
orientamento, il finanziamento comunitario poteva ricoprire sino al 75% del costo totale dei 
singoli interventi strutturali, l’80% nei paesi in cui interveniva il Fondo di coesione ed 
addirittura l’85% nelle regioni ultraperiferiche e le isole greche maggiormente defilate sotto 
l’aspetto geografico, periferiche dunque. La Comunità poteva coprire invece massimo la metà 
se il finanziamento era diretto alle imprese.  
- L’obiettivo 2 era dedicato alla riconversione delle regioni e delle zone in industriali in 
declino. Per potervi accedere vi erano tre condizioni che delineavano l’ammissibilità delle 
regioni. Queste erano un tasso di disoccupazione superiore alla media degli stati membri, una 
percentuale di posti di lavoro nel comparto industriale superiore alla media ed una flessione 
dell’occupazione sempre nel settore dell’industria. Nel periodo 1994-99 tale obiettivo ha 
coperto circa il 16%, coinvolgendo il Fondo europeo di sviluppo regionale ed il Fondo sociale. 
Come per gli altri obiettivi che seguono, ad eccezione del primo dunque, esso poteva 
finanziare al massimo il 50% del costo totale dei singoli progetti strutturali ed il 30% se 
l’investimento era da realizzare attraverso l’investimento nelle imprese private. 
- L’obiettivo 3 era posto per contrastare la disoccupazione di lungo termine e favorire 
l’inserimento professionale dei giovani e delle persone che rischiavano l’esclusione dal mercato   
del lavoro. Inoltre si poneva la finalità di incrementare le pari opportunità tra uomini e donne, 
                                                          
13
 I dati specifici riportati sono tratti dalla pubblicazione Commissione europea Politiche strutturali 2000-
2006, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2000.     
 14
ed era applicato verso le regioni non comprese nel primo obiettivo. Il Fondo sociale europeo 
era deputato al finanziamento del terzo obiettivo.  
- L’obiettivo 4 era volto a favorire l’adattamento dei lavoratori ai mutamenti industriali 
ed all’evoluzione dei sistemi di produzione. Anch’esso veniva sostenuto esclusivamente dal 
Fse e seguiva le stesse proporzioni degli altri obiettivi nel finanziamento degli interventi.  
- L’obiettivo 5a era relegato all’adeguamento delle strutture agricole e della pesca ed era  
finanziato attraverso il Feoga sezione orientamento e lo Strumento finanziario di orientamento 
per la pesca. Attraverso questo gli interventi, sono state migliorate le condizioni strutturali 
nella pesca e nel settore agricolo di tutta l’Unione, sono stati offerti delle indennità 
compensative per le zone agricole particolarmente svantaggiate. Inoltre l’obiettivo 5a ha 
compiuto finanziamenti tesi ad una migliore ed adeguata commercializzazione dei prodotti e 
mirava a favorire l’insediamento dei giovani agricoltori europei. Esso si estendeva a tutti i 
territori europei con programmazioni complementari per le zone appartenenti all’ambito del 
primo obiettivo, formulando misure proprie nel caso delle regioni non coinvolte dall’obiettivo 
1. L’obiettivo 5b, dedicato al sostenimento dello sviluppo delle zone rurali particolarmente  
fragili, era diretto alle aree che, oltre a presentare un scarso sviluppo dell’economia, avevano 
un alto numero di occupati nel settore agricolo da cui però il reddito tratto era modesto. 
Un’altra caratteristica di ammissibilità era la tendenza della zona interessata ad un costante 
spopolamento. La sezione “b” del quinto obiettivo era sostenuta da tutti i fondi strutturali, 
tranne lo Sfop, e ricopriva circa il 9% dell’intera cittadinanza comunitaria.   
- L’obiettivo 6 , infine, era dedicato a rendere possibile la crescita delle regioni a 
scarsissima densità di popolazione. Era specifico per le aree finlandesi e svedesi che 
presentavano una densità al massimo di 8 abitanti/Km². Il sesto obiettivo racchiudeva tutte e 
quattro le tipologie dei finanziamenti strutturali, coprendo lo 0,4% della popolazione 
comunitaria.  
Accanto a tali obiettivi si delineavano tredici iniziative comunitarie; Interreg II, 
riguardante la cooperazione transfrontaliera, le reti energetiche e la cooperazione nel settore 
dell’assetto del territorio; l’iniziativa relativa all’occupazione, divisa in quattro sezioni qui 
descritte: Occupazione now, per la promozione delle pari opportunità per le donne e del loro 
accesso alle professioni del futuro con particolare riguardo agli incarichi direttivi. Occupazione 
Horizon, indirizzata al miglioramento delle prospettive occupazionali per i disabili. 
Occupazione Gioventù, rivolta all’inserimento nel mercato del lavoro dei giovani con meno di 
venti anni nonché  privi di qualsiasi qualifica o formazione di base. L’ultimo dei quattro era 
Occupazione Integra che cercava di integrare le persone a rischio di esclusione sociale e 
mirava a prevenire situazioni di razzismo e xenofobia. Le altre iniziative comunitarie erano 
 15
Leader II per lo sviluppo rurale, Adapt per l’adattamento dei lavoratori ai mutamanti 
industriali e della società dell’informazione, PMI per favorire l’aumento della competitività 
delle piccole e medie imprese, Urban per la rivitalizzazione delle zone urbane altamente 
degradate, Konver per favorire la diversificazione economica delle regioni dipendenti dal 
settore della difesa, Regis II per l’integrazione delle regioni ultraperiferiche, Retex rivolto alla 
diversificazione economica delle regioni dipendenti dall’industria del tessile e 
dell’abbigliamento, Resider II per la riconversione delle zone siderurgiche, Rechar II per la 
riconversione dei bacini carboniferi, Peace per il sostegno al processo di pace e riconciliazione 
tra le comunità cattolica e protestante in Irlanda del Nord e, infine, l’iniziativa denominata 
Pesca dedicata alla diversificazione economica delle zone dipendenti particolarmente dalla 
pesca.   
 
 
Tabella 2 – Ripartizione per obiettivi dei finanziamenti strutturali devoluti ai singoli stati. 
Periodo 1994-1999 (cifre in milioni di ecu)   
 
 
 
 
 16
1.3. Competitività, sviluppo sostenibile e coesione in Europa  
 
Il completamento del mercato unico, l’introduzione dell’euro e gli aiuti strutturali 
hanno favorito un maggior tasso di convergenza all’interno dell’Unione e una migliore 
stabilità. Ciò sicuramente non è stato sufficiente a formare un territorio coeso, in grado di 
affrontare unitariamente le sfide poste dalla globalizzazione che richiedono un nuovo modello 
di sviluppo economico basato specialmente sulla conoscenza. Tale processo richiede una 
diversificazione dell’economia, un ampliamento delle capacità di governance e quindi 
migliorare le capacità istituzionali. Esso presuppone altresì la creazione di opportunità per le 
imprese, l’adeguamento delle strategie dedicate all’occupazione, così come dei sistemi educativi 
e delle politiche sociali. In particolar modo alla luce dell’allargamento a 25 Stati membri, le 
disparità regionali dell’Unione Europea sono state molto accentuate, facendo nascere la 
necessità di un miglior coordinamento e di una maggiore considerazione dei divari in materia 
di competitività regionale, sviluppo sostenibile e di una complessiva coesione sociale.  
Promuovendo la solidarietà tra i popoli dell’Unione, al fine di incentivare la coesione 
tra le aree del continente, i fondi strutturali assumono un ruolo chiave nella vita dell’Ue. Gli 
strumenti finanziari strutturali offrono l’esercizio di un impatto sostanziale al miglioramento 
delle condizioni di vita dei cittadini delle regioni più povere dell’Unione europea. “È stato 
calcolato che circa un terzo dell’aumento di prodotto interno lordo nelle regioni 
maggiormente svantaggiate, sia da attribuire ai fondi stanziati a titolo degli strumenti 
strutturali”
14
.  
Le disparità regionali vengono misurate raffrontando il Pil pro capite, espresso in 
parità di potere d’acquisto, con la media europea. Anche se vi è dunque maggior convergenza, 
continuano ad esservi spaventosi divari sociali ed economici tra le regioni europee. Tra il 1988 
ed il 2003, Spagna, Portogallo e Grecia (investiti anche dal Fondo di coesione) hanno fatto 
registrare importanti segnali di crescita, avvicinandosi molto alla media comunitaria del 
Prodotto interno lordo pro capite. Nello stesso periodo il Pil delle principali regioni 
beneficiarie del primo obiettivo dei fondi strutturali, è passato mediamente dal 63 al 71 % della 
media delle regioni dell’Unione.   
A parte rari casi, l’impatto della politica di coesione non può essere messo in 
discussione, perché l’effetto sotto l’aspetto macroeconomico è considerevole. Il valore delle 
politiche che cercano di contribuire ad un’omogeneità di benessere della realtà europea nel suo 
insieme, è da osservare anche in qualità di studio ed analisi di potenzialità regionali inesplorate 
o inespresse sulle quali l’Unione preme molto. In effetti, sarebbe limitato offrire opportunità 
                                                          
14
 Commissione europea, Relazione sull’impatto dei fondi strutturali, Bruxelles, 2002.   
 17
di sviluppo sociale ed economico senza agire in previsione di un’autonomia futura delle 
regioni meno prospere, in grado di crescere e competere con le proprie energie oltre che con 
l’aiuto, finanziario e logistico, reso disponibile dalla Comunità attraverso le politiche regionali e 
la ricerca di coesione. L’Ue come realtà politica nel suo complesso (come dovrebbe essere 
intesa abitualmente), attraverso la convergenza dei suoi territori ed il conseguente 
rafforzamento della propria identità e unità, compie concreti investimenti sul proprio futuro 
oltre a devolvere risorse per i cittadini delle aree marginali. In tal modo, il rendimento 
economico europeo nel suo insieme può trarne benefici concreti.       
  I fondi strutturali e la loro attuazione quindi, sono un’importante strumento per 
l’integrazione politica ed economia dell’Unione, promuovendo uno spirito di collaborazione 
solidale tra le diverse aree continentali. La politica di coesione è volta a sostenere le priorità 
che sono state fortemente espresse tra il 2000 ed il 2001. Altrettanto importanti sono gli 
accordi di partenariato tra il settore pubblico ed il privato, il miglioramento delle capacità 
istituzionali in materia di ideazione ed attuazione delle politiche, la cultura della valutazione 
degli effetti dei finanziamenti strutturali oltre che una maggior trasparenza delle attività, 
accompagnata dallo scambio di buone pratiche ed aperto dibattito sia tra le istituzioni centrali 
e quelle periferiche, sia tra quest’ultime. Ad ogni modo, è da tenere in considerazione la 
valutazione ed il miglioramento di tutte le pratiche e delle esperienze che figurano come 
elementi del sistema di esecuzione delle politiche regionali, onde consentire l’approfondimento 
della qualità della governance in qualsiasi contesto o situazione. 
La filosofia basilare dei fondi strutturali volti a favorire la coesione tra le disparate 
realtà regionali dell’Unione europea, prevede la promozione del principio di sussidiarietà
15
 ed 
una corretta governance. Il partenariato tra soggetti pubblici ed operatori privati, la 
programmazione pluriennale elaborata in base ad un’attenta analisi delle opportunità, delle 
debolezze e delle potenzialità di una regione, la gestione decentrata dunque, sono tutte 
pratiche volte a garantire una massima efficacia delle strategie europee in funzione delle 
                                                          
15
 Il principio di sussidiarietà è volto a garantire che le decisioni prese siano quanto più possibile vicine al 
cittadino, verificando costantemente che l'azione da intraprendere a livello comunitario sia giustificata rispetto 
alle possibilità offerte a livello nazionale, regionale o locale. Concretamente, per le questioni che non sono di sua 
esclusiva competenza l'Unione interviene soltanto se la propria azione è da considerarsi più efficace rispetto ad 
un'azione intrapresa a livello nazionale, regionale o locale. Il principio di sussidiarietà è strettamente legato ai 
principi di proporzionalità e di necessità, secondo cui l'azione dell'Unione non può andare al di là di quanto è 
necessario per il conseguimento degli obiettivi del trattato. Il Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992 
ha stabilito gli elementi fondamentali della nozione di sussidiarietà nonché le linee direttrici per l'interpretazione 
dell'articolo 5 (ex articolo 3B) che accoglie la sussidiarietà nel trattato sull'Unione europea. Le conclusioni del 
Consiglio sono state inserite in una dichiarazione che serve da pietra angolare al principio di sussidiarietà. Con 
l'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, l'approccio globale che discende dalla dichiarazione anzidetta è stato 
accolto in un protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al trattato 
istitutivo della Comunità europea. La Commissione europea redige annualmente un rapporto  destinato al 
Consiglio europeo ed al Parlamento europeo, rapporto che è principalmente dedicato all'applicazione del 
principio di sussidiarietà. 
 18
regioni. Queste però presuppongono una gestione corretta dei fondi, un aggiornamento 
rapido e costante degli amministratori delle aree beneficiarie, una sviluppata etica inerente gli 
stanziamenti economici pubblici, uno spirito di collaborazione ed una forte dedizione, oltre 
che senso di responsabilità, verso il comune progetto europeo. La politica di coesione 
dovrebbe migliorare le capacità delle regioni intensificando le pratiche di buon governo nel 
rispetto della sussidiarietà. Attraverso la consapevolezza degli operatori delle proprie azioni, 
può essere offerto un chiaro valore aggiunto in termini di concepimento ed attuazione dei 
progetti da realizzare. Questa è l’unica metodologia applicabile allo scopo di rendere davvero 
proficue le azioni strutturali realizzabili attraverso i finanziamenti devoluti dalle autorità 
europee centrali a quelle periferiche.    
 
 
1.3.1. Lisbona e Göteborg 
Il Consiglio Europeo di Lisbona del 2000, ha definito una politica per un “nuovo 
obiettivo strategico per l’Unione, allo scopo di rafforzare l’occupazione, la riforma economica 
e la coesione sociale nel quadro di un’economia basata sulla conoscenza” 
16
. L’obiettivo più 
frequentemente citato nel suddetto Consiglio, ovvero fare dell’Europa l’economia basata sulla 
conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita 
economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro ed una maggior coesione sociale, si 
fondava su una riforma di tipo economico e sociale. 
La strategia di Lisbona ha invitato le istituzioni comunitarie ed i paesi membri, a far 
riferimento ad una serie di misure nel campo delle riforme economiche e sociali, attraverso le 
quali propendere ad un tasso di crescita economica del 3%. Per quanto concerne i problemi 
pertinenti l’occupazione, il Consiglio ha posto l’obiettivo di innalzarne il tasso al 70% entro il 
2010, con particolare riguardo all’inserimento professionale delle donne. Altre strategie 
dichiarate a Lisbona hanno mostrato la volontà di favorire la creazione di uno spazio di ricerca 
unico europeo, ponendo l’attenzione sul processo di integrazione in modo che anche la ricerca 
scientifica e tecnologica inizi ad usufruire di un campo di condivisione e collaborazione 
europeo. 
Se Lisbona 2000, nell’ambito della coesione sociale tra le aree europee, ha posto 
l’accento sulla necessità di innescare meccanismi tali da poter incrementare l’occupazione, il 
Consiglio europeo tenutosi a Göteborg l’anno seguente, ha enfatizzato l’importanza di dare 
priorità alla sostenibilità dello sviluppo dell’Unione europea. 
                                                          
16
 Commissione europea, Direzione generale della politica regionale, Le politiche strutturali e i territori 
dell’Europa, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2002, p. 33.  
 19
Lo sviluppo sostenibile è inteso come un progresso che oltre essere in grado di 
soddisfare i bisogni del momento, non pregiudichi quelli delle generazioni future. Il Consiglio 
del 2001 ha dunque arricchito la precedente strategia di Lisbona con la tematica ambientale 
che si affianca alla riforma economica ed alla coesione sociale. 
“La strategia prevede che tutte le principali politiche dell’Unione, con ovvio riguardo 
alla coesione territoriale regionale, vengano meticolosamente sottoposte ad una valutazione 
d’impatto sotto il profilo della sostenibilità. Si dovrà pertanto prestare particolare attenzione ai 
cambiamenti climatici limitandone gli effetti, introdurre sistemi di trasporto sostenibile, ridurre 
quindi i rischi per la salute pubblica e gestire le risorse naturali in maniera più responsabile. 
Uno degli obiettivi prefissati a Göteborg deriva dal protocollo di Kyoto, dunque la necessità di 
diminuire ulteriormente l’emissione dei gas ad effetto serra entro il 2012 di una percentuale 
pari all’ 8% rispetto ai livelli del 1990. In Europa tali emissione avevano fatto registrare una 
diminuzione del 3,5% nel 2000” 
17
. 
   Tra le attività dell’Unione si annovera dunque una strategia concreta volta a 
conseguire i risultati, in tema di clima e difesa dell’ecosistema nel suo complesso, stabiliti a 
Kyoto. A differenza di altre potenze, l’Europa ha manifestato anche recentemente notevole 
attenzione verso tale delicatissima questione.   
 
 
1.3.2. Competitività delle regioni e fondi strutturali 
 La competitività regionale può essere definita come la capacità di una singola regione 
di anticipare le sfide socioeconomiche interne ed esterne, adeguandosi efficacemente ad esse, 
creando nuove opportunità economiche tra cui nuovi posti di lavoro qualitativamente migliori 
per i propri residenti. Tale capacità dipende da una serie di fattori tra cui il volume degli 
investimenti pubblici e privati, il capitale umano, la qualità delle infrastrutture, la produttività 
effettiva del lavoro, la validità delle capacità delle istituzioni locali, il capitale sociale, le risorse 
in materia di ricerca ed innovazione e l’accesso ai mercati. Decisiva in tale prospettiva è la reale 
tenuta delle amministrazioni pubbliche, poiché da queste dipende la promozione e la crescita 
del territorio regionale. Inoltre, è solo in un contesto socioeconomico positivo, che può 
verificarsi un’attrattività propizia per gli investimenti, sia endogeni che provenienti al di fuori 
del contesto specifico regionale. 
  
 
                                                          
17
 Commissione europea, Direzione generale della politica regionale, Competitività, sviluppo e coesione in 
Europa; Da Lisbona a Göteborg, ufficio delle pubblicazioni ufficiali della Comunità europee, Lussemburgo, 2003, p. 
14.