economici, i quali compresero che continuare la guerra a fianco della Germania 
avrebbe portato l’Italia alla catastrofe. 
Allo stesso tempo anche sul piano militare la guerra, che nel 1940 apparve 
erroneamente facile e breve, sembrava perduta. L’esercito “male armato e 
moralmente depresso per le sconfitte subite, non era molto efficiente come 
strumento di guerra neppure per la difesa del territorio nazionale”
4
. I vertici 
militari e politici italiani si resero conto così, che solo l’eliminazione di 
Mussolini avrebbe sganciato l’Italia dall’alleanza con la Germania nazista. Le 
forze politiche conservatrici, preoccupate di salvaguardare gli equilibri sociali 
costituiti e la continuità delle istituzioni, cercarono una via d’uscita dalla crisi. 
Dall’estate-autunno 1942
5
 antifascisti moderati, fascisti “revisionisti” e militari 
iniziarono con prudenza e riservatezza a tessere trattative per eliminare 
Mussolini e per uscire dalla guerra mediante una soluzione politica. Al centro 
delle trattative vi era il re e il ministro della Real casa, conte Acquarone. 
Vittorio Emanuele, presumibilmente dalla primavera del ’43, cominciò a 
pensare alla possibilità di un’azione di forza contro Mussolini , la quale dopo 
varie oscillazioni divenne irrevocabile solo pochi giorni prima del 25 luglio. Il 
sovrano affidò al conte Acquarone, al generale Ambrosio e al maresciallo 
Badoglio, il compito di escogitare un piano per la destituzione di Mussolini
6
. I 
militari infatti disponendo dell’esercito erano gli unici ad essere in grado di 
superare eventuali resistenze fasciste mantenendo allo stesso tempo l’ordine 
pubblico e istituzionale. 
                                                           
4
G. CANDELORO, Storia dell'Italia moderna, vol. 10, Feltrinelli, Milano 1993, pp. 164-165. 
5
Cfr. DE FELICE, Op. cit. pp. 1089-1260; G. OLIVA, Op. cit. pp. 46. 
6
 Ambrosio, essendo Capo di Stato Maggiore Generale dal febbraio 1943, aveva nelle proprie mani il 
controllo delle forze armate ed era conscio del fatto che l’Italia non poteva continuare a combattere a 
fianco della Germania; Badoglio, che dal dicembre 1940 non ricopriva più la carica di Capo di Stato 
Maggiore Generale, aveva conservato sufficiente autorevolezza all’interno dell’esercito e allo stesso 
tempo poteva vantare il suo distacco dal fascismo che lo aveva fatto oggetto di una campagna 
denigratrice e lo aveva poi completamente emarginato.  
Vittorio Emanuele III° contemporaneamente si avvalse dei fascisti “revisionisti” 
per la copertura costituzionale del “colpo di stato”
7
.Tale gruppo era costituito da 
un’insieme di personalità che nel corso nel corso del Ventennio avevano svolto 
un’azione “moderatrice” e che aveva cercato di contrastare l’entrata in guerra 
dell’Italia.
8
 
Il gruppo politico era guidato da Dino Grandi, presidente della Camera dei fasci 
e delle corporazioni, che già il 3 giugno 1943 si recò in visita al re, al quale 
espose i suoi timori per la gravità della situazione e la necessità di un intervento 
della Corona. Il re tuttavia era ancora titubante sul da farsi, ma invitò Grandi ad 
avere fiducia ed a “fare di tutto per mettere in moto la macchina del Gran 
Consiglio”
9
. 
Vittorio Emanuele e il conte Acquarone avevano dei precisi obiettivi politici 
dopo la realizzazione del colpo di stato: la continuità della monarchia e delle 
istituzioni era l’obiettivo principale della Casa Reale, che intendeva poi togliere 
di mezzo il fascismo senza lasciare spazio ad reazioni nostalgiche. Ma per 
realizzare questi obiettivi il re doveva assicurarsi una parvenza di 
costituzionalità che legittimasse la destituzione di Mussolini
10
. Con questa meta 
Dino Grandi e il gruppo dei fascisti “revisionisti” nel luglio 1943 avevano 
criticato apertamente la guida del paese e la condotta della guerra che Mussolini 
aveva perseguito negl’ultimi due anni
11
. Alle critiche Mussolini rispose che 
avrebbe convocato il Gran Consiglio, l’organo supremo del regime fascista, che 
non era stato più convocato dal dicembre del 1939. 
                                                           
7
 La definizione di “colpo di stato del 25 luglio” è entrata nel linguaggio comune anche se in principio 
di diritto non vi fu alcun colpo di stato, dal momento che il re si servì dell’articolo 5 dello Statuto per 
riprendere il comando delle forze armate e l’iniziativa politica che nel Ventennio aveva delegato a 
Mussolini. 
8
 G. OLIVA, Op. cit. pp. 47. 
9
 Intervista di Dino Grandi a “Epoca”, 10 aprile 1966, in G. CANDELORO, Op. cit. vol. 10, pp. 178. 
10
G. OLIVA, Op. cit. pp. 48.  
11
 Il 16 luglio si tenne una riunione a Roma dei gerarchi del fascismo, nella quale emersero le critiche 
a Mussolini. Cfr. G. CANDELORO, Op. cit. vol. 10, pp. 183. 
Sembra che Vittorio Emanuele III° abbia comunicato ad Ambrosio la decisione 
di attuare il colpo di stato soltanto la sera del 19 luglio
12
. Quel giorno infatti il 
re conobbe il risultato del convegno di Feltre, nel quale Mussolini si incontrò 
con Hitler a Villa Gaggia
13
. Durante i colloqui, Mussolini non seppe trovare il 
coraggio di dire al capo nazista che l’Italia ormai stremata non poteva più 
continuare la guerra.
14
 Il Führer promise che sarebbero stati mandati ulteriori 
aiuti, a patto che l’Italia difendesse la parte peninsulare, mentre le forze 
tedesche avrebbero difeso quella settentrionale. 
Il timore che l’esautorazione di Mussolini provocasse la reazione delle forze 
fasciste (in particolare della M.V.S.N.) aveva spinto Vittorio Emanuele e i suoi 
collaboratori a predisporre un piano dettagliato per l’arresto del Duce. Questo 
era stato messo a punto da Carmine Senise, l’ex capo della polizia sostituito da 
Mussolini il 14 aprile 1943 con il fascista ferrarese Renzo Chierici
15
, e come 
egli stesso scrisse nelle sue memorie
16
 prevedeva: “1- il fermo di Mussolini 
nello stesso palazzo Reale; 2- blocco immediato delle centrali telefoniche della 
presidenza del Consiglio e del ministero dell’Interno; 3- scioglimento del partito 
nazionale fascista; 4- incorporazione della milizia nel regio esercito; 5- 
militarizzazione, se necessaria, del corpo delle guardie di pubblica sicurezza; 6- 
eventuale militarizzazione del personale ferroviario e postelegrafico”. 
                                                           
12
 G. CANDELORO, Op. cit. vol. 10, pp. 191. 
13
 Erroneamente l’incontro tra i due dittatori è passato alla storia come l’incontro di Feltre, ma questo 
si svolse nella villa del senatore Gaggia, sita nel comune di San Fermo, a sette chilometri da Belluno. 
Cfr. DE FELICE, Op. cit. pp. 1340-1402. 
14
 Cfr. F.W. DEAKIN, La brutale amicizia. Mussolini, Hitler e la caduta del fascismo italiano, 
Einaudi Editore, Torino 1990, pp. 538-558. Presente all’incontro era anche il Capo di Stato Maggiore 
Generale Ambrosio, il quale voleva che Mussolini riferisse a Hitler la decisione dello Stato Maggiore 
di ritirare l’Italia entro quindici giorni dalla guerra. F.W. DEAKIN, Op. cit. pp. 549. 
15
 G. CANDELORO, Op. cit. vol. 10, pp. 173. 
16
 C. SENISE, Quando ero capo della polizia. 1940-1943, Roma 1946, pp. 197-198, in G. OLIVA, 
Op. cit. pp. 20.  
La famosa riunione del Gran Consiglio, che segnò la fine del regime fascista, 
iniziò alle 17 del 24 luglio 1943
17
. Essa fu aperta da una relazione di Mussolini 
sulla situazione militare, il quale concluse che era essenziale continuare la 
guerra a fianco della Germania. Dopo alcuni interventi, Grandi lesse l’ordine 
del giorno da lui presentato , che invitava il Capo del Governo a rimettere nelle 
mani del re tutte le sue cariche e che il sovrano assumesse il comando delle 
forze armate e l’iniziativa di decisione politica. Alla mozione di Grandi 
votarono favorevolmente più della metà dei presenti (19 membri su 28) e 
Mussolini amareggiato tolse la seduta dichiarando che avrebbe portato al re 
l’ordine del giorno approvato.  
Il giorno seguente Mussolini si recò a Villa Savoia, dove Vittorio Emanuele III° 
lo mise al corrente sulla sua decisione di sostituirlo con il maresciallo Badoglio. 
Alle proteste di Mussolini, che “per più di vent’anni aveva imposto la sua 
volontà al [re] e all’Italia intera”
18
, il sovrano non diede bada, e ricusandole 
sbrigativamente , licenziò l’ex Duce del fascismo. Il suo arresto, da parte di due 
ufficiali dei carabinieri, avvenne all’uscita di Villa Savoia, da dove venne 
condotto con un’ambulanza alla caserma dei carabinieri di via Legnano.  
Alla sera alle 22.45 la radio trasmise il comunicato di “Sua Maestà il Re e 
Imperatore” nel quale annunciava “le dimissioni dalla carica di Capo del 
Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato di Sua Eccellenza il Cavaliere 
Benito Mussolini” e la nomina a “Capo del Governo, Primo Ministro, 
Segretario di Stato, il Cavaliere, Maresciallo d’Italia, Pietro Badoglio”
19
. Più 
tardi vennero trasmessi dalla radio altri due comunicati, firmati uno da Vittorio 
Emanuele III° e l’altro da Badoglio. Il re annunciava agli italiani di aver preso 
nelle proprie mani il comando delle forze armate, mentre Badoglio dichiarava di 
                                                           
17
 Per ulteriori dettagli sulla seduta del Gran Consiglio si veda F.W. DEAKIN, Op. cit. pp. 590-611; 
G. CANDELORO, Op. cit. pp. 185-188; DE FELICE, Op. cit. pp. 1340-1402. 
18
 G. CANDELORO, Op. cit. vol. 10, pp. 192. 
19
 Il testo del comunicato radio trasmesso il 25 luglio 1943 è stato tratto da, G. CANDELORO, Op. 
cit. vol. 10, pp. 192. 
aver assunto “il governo militare del paese” e che la guerra continuava, 
mantenendo “fede alla parola data”, al fianco della Germania
20
. 
All’annuncio dei comunicati radio del 25 luglio in tutta Italia la popolazione 
scende in piazza per festeggiare la caduta del fascismo, che nell’immaginario 
collettivo rappresentava la fine della guerra e di tutto quanto essa aveva 
rappresentato negl’ultimi due anni. Uomini e donne in queste ore sventolano 
bandiere tricolori e inneggiano “all’Italia, a casa Savoia, al re, al maresciallo 
Badoglio, alle forze armate, alla pace”
21
. Accanto alle manifestazioni di 
lealismo patriottico si registrano scoppi di malcontento popolare verso il 
fascismo, che variavano dagli slogan contro Mussolini, alla distruzione dei 
simboli del regime ,di busti ed immagini del Duce, alla devastazione delle sedi 
del Fascio
22
. Ma tali manifestazioni popolari anche se esuberanti non furono 
brutali e ancor meno sanguinarie, poiché prevalse nel cuore della gente la voglia 
di pace, non l’odio
23
. 
Le reazioni fasciste tanto temute da Vittorio Emanuele III° e dai suoi 
collaboratori non si verificarono. I dirigenti nazionali del PNF, primo in testa il 
segretario del partito Scorza, e i gerarchi piccoli e grandi, colti dallo 
smarrimento e dall’ansia di garantirsi la sicurezza personale, cercarono rifugio e 
non diramarono nessun ordine alle federazioni provinciali. L’esercito occupò la 
sede romana del PNF senza incontrare alcuna opposizione. Si riscontrarono 
soltanto isolati episodi di resistenza da parte di alcuni reparti della milizia, 
                                                           
20
 Ibidem. 
21
 G. OLIVA, Op. cit. pp. 15. 
22
 Ibidem, pp. 13-19. 
23
 Le immagini di questi giorni sono significative del desiderio della folla di manifestare il suo zelo 
antifascista, si veda M. CERVI, a cura di, 25 luglio - 8 settembre ’43. Album di una disfatta, Rizzoli, 
Milano 1993. L’esercito invece ne sparse di sangue, poiché applicò rigorosamente le disposizioni 
delle autorità militari, che ordinarono di passare per le armi chiunque avesse violato le norme dello 
stato d’assedio. 
frutto dello sbandamento e della smobilitazione che l’arma fascista aveva 
subito
24
. 
Il 25 luglio le forze armate anglo-americane occupavano più dei due terzi della 
Sicilia e da ovest e da sud si dirigevano con dodici divisioni verso Messina. 
Nell’isola tentavano di contrastare l’avanzata degli Alleati solo quattro divisioni 
tedesche, che erano perlopiù incomplete. Altre quattro divisioni tedesche erano 
dislocate, una in Sardegna, due nell’Italia meridionale, e una corazzata a circa 
100 chilometri a nord di Roma
25
. Per le forze armate italiane non sarebbe stato 
difficile sconfiggere le truppe tedesche nell’Italia centro - meridionale, o 
almeno ostacolare la ritirata a quelle che combattevano in Sicilia, se 
all’indomani del 25 luglio il nuovo governo avesse proclamato la sospensione 
delle ostilità nei confronti degli anglo - americani, e avesse preso la decisione di 
far guerra ai tedeschi
26
. Ma Vittorio Emanuele III° e Badoglio assunsero invece 
un’atteggiamento prudente verso i tedeschi, intavolando con essi trattative, allo 
scopo di guadagnare tempo e poter così condurre con cautela i negoziati con gli 
anglo-americani
27
. I primi contatti del nuovo governo italiano con l’alleato 
tedesco avvennero il 28 luglio attraverso l’addetto militare a Berlino, generale 
Marras, che per incarico di Badoglio, propose a Hitler un’incontro con Vittorio 
Emanuele III°. Il Führer respinse la proposta adducendo come motivazioni che 
la “situazione militare non gli permetteva di allontanarsi”
28
. La risposta infatti 
non poteva che essere negativa poiché egli, già aveva sempre considerato la 
monarchia come una lacuna del regime fascista, che oppugnava il carattere dello 
stato totalitario, ora dopo la destituzione del suo amico e maestro Mussolini, il 
re gli appariva come un traditore. 
                                                           
24
 G. OLIVA, Op. cit. pp. 20-23. 
25
 G. CANDELORO, Op. cit. vol. 10, pp. 200. 
26
 G. CANDELORO, Op. cit. vol. 10, pp. 201. 
27
 Ibidem , pp. 201. 
28
L. BOLLA, Perché a Salò, diario della Repubblica Sociale Italiana, a cura di G. B. GUERRI, 
Bompiani, Milano 1982, pp. 86.  
La monarchia aveva giocato un duro colpo alla Germania nazista, che stava 
conducendo con tutti i mezzi a disposizione una “guerra totale”. Il problema 
principale per i tedeschi era quello di estendere la loro forza bellica sul territorio 
italiano. Il destino, infatti, delle due divisioni tedesche che combattevano in 
Sicilia dipendeva dalla sincerità di Badoglio e del re di continuare la guerra a 
fianco del Terzo Reich. Questa però al Quartier Generale del Führer veniva 
valutata con estrema cautela e si pensava già al “tradimento” italiano
29
. Hitler 
infatti, la sera del 25 luglio dopo aver appreso la notizia della sostituzione di 
Mussolini con Badoglio, diede l’ordine al generale Jodl di far marciare verso la 
capitale la IIIª divisione corazzata che distava a circa due ore da Roma
30
. Hitler 
credendo che il fascismo italiano fosse solo stordito, “sperava di restaurare [con 
un colpo di mano lampo] il governo fascista a Roma”
31
, ma avrebbe dovuto 
avere contemporaneamente il controllo completo dell’Italia settentrionale, nel 
caso in cui Badoglio non mantenesse la parola data. Il dittatore nazista, forse in 
una delle sue notti insonni, aveva escogitato un piano per la cattura del re e 
della famiglia reale, e per ricostituire un governo fascista nella capitale. A tale 
scopo Hitler aveva inviato a Roma il generale dei paracadutisti Student e 
l’ufficiale delle SS Otto Skorzeny. Questi si incontrarono con il colonnello 
Dollmann, rappresentante di Himmler a Roma, e lo misero al corrente del piano 
del Führer. 
Lo stesso Dollmann, nelle sue memorie
32
 ricorda che giudicò il progetto una 
pazzia e allo stesso modo lo considerò il comandante supremo in Italia 
Kesselring. Solo la mediazione dell’ “inviato” di Hitler, Dietrich (che doveva 
scoprire i piani del “tradimento”), riuscì a far ravvedere il Führer 
sull’impossibilità di attuare il colpo di mano. A questo punto Skorzeny e 
Student si dedicarono alle indagini su dove fosse stato imprigionato Mussolini. 
                                                           
29
 F.W. DEAKIN, Op. cit. pp. 656. 
30
 Ibidem , pp. 657. 
31
 Ibidem , pp. 667. 
32
 E. DOLLMANN, Roma nazista,  Milano 1949, pp. 190-196. 
Alla fine di luglio dopo le agitazioni e le tensioni dei giorni del Colpo di Stato, 
la situazione si era normalizzata. Evitata la temuta reazione fascista e 
un’immediato intervento tedesco, repressa la mobilitazione di piazza attraverso 
la militarizzazione del territorio, il nuovo governo doveva decidere come far 
uscire l’Italia dalla guerra e quale politica interna perseguire. Per quanto 
riguarda quest’ultima, il primo consiglio dei ministri del governo Badoglio, il 
27 luglio deliberò una serie di misure atte alla liquidazione del fascismo 
(soppressione del PNF, incorporazione della M.V.S.N. nell’esercito), che 
avevano un chiaro significato propagandistico e tendevano a “dimostrare 
all’opinione pubblica la volontà di procedere allo smantellamento dell’apparato 
fascista”
33
. Allo stesso tempo vennero presi dei provvedimenti per 
l’orientamento dell’opinione pubblica attraverso il controllo della stampa, la 
quale doveva risultare “affidabile e omogenea”
34
. Veniva infatti istituito il 
servizio di censura preventiva e “si chiedeva ai prefetti di imporre direttori di 
loro gradimento”
35
. Assieme alle disposizioni in materia di ordine pubblico e 
all’impiego delle truppe in funzione antipopolare, queste misure miravano 
all’attuazione di un preciso piano di politica interna: la difesa incondizionata 
dell’assetto politico, sociale e istituzionale del paese, attraverso l’esercito e la 
vecchia classe dirigente del Ventennio, meno compromessa col fascismo
36
. 
Più difficile si configurava per Badoglio e i suoi collaboratori far uscire l’Italia 
dalla guerra, e nei quarantacinque giorni di vita del governo, questi manifestò 
incertezza nel condurre sia le trattative con gli anglo-americani, sia nei rapporti 
che parallelamente venivano condotti con la Germania. Le prime iniziative per 
stabilire un contatto con gli anglo-americani vennero affidate ad emissari senza 
                                                           
33
 G. OLIVA, Op. cit. pp. 64. 
34
 Ibidem , pp. 64. 
35
 Ibidem , pp. 65. 
36
 Ibidem , pp. 65. 
accrediti ufficiali, e solo la missione a Lisbona del generale Castellano convinse 
Roosvelt e Churchill delle reali intenzioni dell’Italia
37
. 
Mentre ai primi di agosto venivano fatti i primi tentativi per stabilire un contatto 
con gli Alleati, le relazioni ufficiali tra Germania e Italia compirono un passo 
avanti con un incontro fra i ministri degli Esteri e i Capi di Stato Maggiore delle 
due nazioni. Al convegno, che si tenne a Tarvisio il 6 agosto 1943, 
parteciparono da parte tedesca Ribbentrop e Keitel, e da parte italiana Guariglia 
e Ambrosio; ad accompagnare la delegazione italiana vi erano inoltre il 
colonnello Dollmann e il barone Mackensen, ambasciatore tedesco a Roma. 
L’incontro era stato sollecitato da Ribbentrop allo scopo di discutere la mutata 
situazione italiana e con quello di chiarire i rapporti politici e militari tra i due 
paesi. Durante la seduta mattutina, limitata alla situazione politica, Ribbentrop 
chiese di avere dei “chiarimenti”. “Il tono e il contegno” di Ribbentrop, ricorda 
Dollmann
38
, furono “di una freddezza [talmente ] offensiva [che] da ogni frase e 
da ogni mossa emanava la più cordiale disistima per il nuovo governo italiano”. 
Guariglia rispose al ministro degli Esteri tedesco che il mutamento avvenuto 
sulla scena politica italiana era “d’ordine puramente interno”
39
, e che non 
avrebbe modificato i rapporti tra i due Stati. Nel pomeriggio dello stesso giorno 
si incontrarono i Capi di Stato Maggiore dei due paesi. Entrambi avevano lo 
stesso intento, quello di evitare una rottura dei loro rapporti, al fine di 
guadagnare tempo. I tedeschi miravano essenzialmente a concludere, per quanto 
possibile con il consenso degli italiani, la mobilitazione lungo il confine italo-
tedesco già iniziata dopo il 25 luglio; gli italiani acconsentirono alle richieste 
                                                           
37
 Castellano incontrò a Lisbona il 16 agosto 1943 il Capo di Stato Maggiore di Eisenhower, generale 
Smith, e il generale inglese Kenneth Strong, ai quali dichiarò l’interesse dell’Italia per uno sbarco 
anglo-americano nella penisola, che garantisse la continuità dello Stato monarchico e che lo 
proteggesse dalle rappresaglie tedesche. Per ulteriori dettagli sulle trattative con gli Alleati si veda: 
F.W. DEAKIN, Op. cit. pp. 682-704, G. CANDELORO, Op. cit. vol. 10, pp. 205-214; G. OLIVA, Op. 
cit. pp. 82-88. 
38
 E. DOLLMANN, Op. cit. pp. 202-203. 
39
 F.W. DEAKIN, Op. cit. pp. 676. 
tedesche per assicurarsi ulteriore tempo, in modo da poter portare avanti con 
prudenza i negoziati con gli anglo-americani. La conferenza di Tarvisio fu 
l’ultimo atto della cooperazione ufficiale, nel quadro dell’Asse Roma-Berlino, 
tra il Terzo Reich e il Regno d’Italia
40
. 
Alla fine di agosto (il 28 del ’43) il generale Castellano ritornò dalla sua 
missione a Lisbona con i termini militari della resa ricevuti dagli Alleati, i quali 
il primo settembre vennero accettati da Vittorio Emanuele III°
41
. Il 3 settembre 
1943, nell’accampamento alleato di Cassibile (in Sicilia) alla presenza di 
Eisenhower e di altri ufficiali del Comando Alleato, Castellano e Smith 
firmarono l’armistizio; era stato convenuto che esso sarebbe entrato in vigore 
dopo cinque giorni, con un annuncio trasmesso per radio da Badoglio. Il 
comunicato del capo del governo venne trasmesso dalla radio alle 19.45 dell’8 
settembre. Con questo si annunciava che Badoglio aveva chiesto al generale 
Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo, un 
armistizio e che ogni ostilità nei confronti degli anglo-americani dovesse 
cessare da parte delle forze italiane
42
. Della notizia della resa incondizionata 
dell’Italia i tedeschi erano in quel momento già a conoscenza, poiché poco più 
di un’ora prima, l’incaricato d’affari tedesco a Roma, Rahn, l’aveva appresa 
dalla radio americana. Lo stesso giorno, alle dodici, Rahn aveva ricevuto 
l’assicurazione da Vittorio Emanuele III° che “l’Italia non capitolerà mai” e che 
avrebbe continuato “sino alla fine la lotta a fianco della Germania, con la quale 
l’Italia è legata per la vita e per la morte”
43
. 
In quel momento le forze armate italiane furono abbandonate al loro destino, 
nessun ordine preciso era stato a loro impartito per fronteggiare la reazione 
tedesca
44
. La mancanza di direttive all’esercito dimostra che Badoglio e il re 
                                                           
40
 Ibidem, pp. 678-681. 
41
 Ibidem, pp. 705. 
42
 G. CANDELORO, Op. cit. vol. 10, pp. 221-222. 
43
 Citato da F.W. DEAKIN, Op. cit. pp. 707, si veda la nota 2 per risalire alla fonte della citazione. 
44
 Soltanto il 2 settembre 1943 lo Stato Maggiore dell’Esercito aveva diramato la famosa Memoria 44 
OP., che impartiva ai Comandi d’armata alcune disposizioni poco chiare sulla necessità di reagire ad 
non pensarono alla difesa armata della capitale, ma che preferirono fuggire da 
Roma
45
. 
Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943 il maresciallo Badoglio lasciò la 
capitale assieme a Vittorio Emanuele III° e alla famiglia reale. La fuga del re e 
di Badoglio verso Pescara assume a questo punto significati diversi. Da un lato 
si può supporre che il re intendesse salvare la monarchia e la continuità dello 
Stato, mettendo la sua persona al sicuro da qualche colpo di mano tedesco. Ma 
questi aveva trascurato il fatto (o forse no) che così facendo avrebbe lasciato la 
capitale nelle mani feroci dei tedeschi. Se la fuga del re è poco giustificabile, 
quella di Badoglio lo è ancor meno. Come capo del governo, l’ “eroe di Addis 
Abeba”, avrebbe dovuto rimanere a Roma per comandare l’esercito impegnato 
nella difesa della capitale. Ma non solo, egli avrebbe dovuto perlomeno 
impartire al generale Carboni e al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Roatta 
ordini precisi sul da farsi. Invece assieme a Badoglio e alla famiglia reale 
fuggirono anche i generali che avrebbero dovuto manovrare la macchina 
militare italiana, per tentare di far fronte alla reazione tedesca dopo l’armistizio. 
Quando Badoglio con la famiglia reale giunse al molo di Ortona a Mare (nelle 
vicinanze di Pescara) per salire sulla corvetta Baionetta (che li avrebbe portati a 
Brindisi, sede del futuro “Regno del Sud” ) essi trovarono sul posto la quasi 
totalità dello Stato Maggiore, fra questi anche Ambrosio e Roatta. Badoglio li 
avrebbe dovuti far fucilare come fuggiaschi, invece a Brindisi li riconfermò nei 
loro incarichi, cosa che procurò alla fuga di Pescara una fama ancor più 
ignominiosa. 
 
 
 
 
                                                                                                                                                                                     
eventuali attacchi tedeschi ; si veda al proposito G. CANDELORO, Op. cit. vol. 10, pp. 217-218 ; U. 
CORSINI-R. LILL, Alto Adige 1918-1946, Bolzano 1988 , pp. 342. 
45
 G. CANDELORO, Op. cit. vol. 10, pp. 218. 
CAPITOLO PRIMO 
 
L’OCCUPAZIONE MILITARE DELL’ITALIA 
Il crollo del fascismo nelle regioni di confine con il Reich tedesco 
Il crollo del regime fascista fu salutato con gioia, come nel resto d’Italia, anche 
nelle due regioni confinanti con il Terzo Reich, ovvero nella Venezia Giulia e 
nell’Alto Adige. L’orientamento filonazista del regime e la condotta della 
guerra sempre più contrastante con gli interessi italiani, aveva ancor prima del 
25 luglio isolato il fascismo, facendogli perdere quella base di suffragio 
popolare, che negli ultimi vent’anni esso aveva ottenuto. In questo modo si 
spiega la prontezza con cui quasi tutti abbandonarono il fascismo, e che mai 
prima d’ora avevano fatto opposizione al regime, ma che negli ultimi tempi 
dimostrarono sempre più di disapprovarlo. 
La notizia del colpo di stato, come in tutta Italia, giunse nella Venezia Giulia 
improvvisa, e solo le più alte autorità militari furono poche ore prima 
preavvertite, di apprestarsi ad affrontare situazioni di emergenza. Queste non si 
verificarono, e il passaggio di poteri poté svolgersi senza riscontrare reazioni 
fasciste
46
, malgrado il nuovo governo Badoglio, avesse provveduto alla 
militarizzazione del territorio, in modo tale da “stroncare in origine qualunque 
perturbazione dell’ordine pubblico, anche se minima e di qualsiasi tinta”
47
. Il 
mantenimento dell’ordine pubblico, mediante l’instaurazione dello stato 
d’assedio, anche a Trieste come altrove produsse sanguinosi incidenti tra la 
popolazione, che manifestava il suo antifascismo e la sua voglia di libertà. 
Manifestazioni operaie, lungi dall’essere violente e sanguinarie, si svolsero 
                                                           
46
 E. APIH, Italia. Fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia (1918-1943), Laterza, Bari 1966, pp. 
447-448. 
47
 Ibidem , pp. 449-450 , da F. ALVESI, La ribellione degli italiani ,Torino 1956 , pp. 16. 
nelle città dei cantieri di Monfalcone e di Trieste, e sono “la prima risposta 
politica aperta non solo al regime fascista ma anche alle nuove autorità”
48
. 
L’Alto Adige fu la prima regione dello Stato italiano ad avvertire gli effetti 
della mutata situazione politica italiana
49
. La sua posizione geografica (al 
confine con il Reich tedesco) e la compresenza di due gruppi nazionali, l’austro-
tedesco, l’altro italiano, fecero in modo che nella regione di confine la caduta 
del fascismo aprisse uno spiraglio a nuove prospettive politiche. Il gruppo 
sudtirolese infatti non poteva che rallegrarsi della fine del regime mussoliniano, 
che durante il Ventennio con ogni mezzo lo aveva isolato e sistematicamente 
colpito, a causa della sua diversa nazionalità
50
. La prevedibile prospettiva che si 
apriva a queste genti, ovvero l’affermazione del partito e del regime 
nazionalsocialista, non era per tutti i sudtirolesi migliore della precedente. Gli 
uomini che avevano avversato il nazismo, anche se fedeli alla loro nazionalità 
austro-tedesca, “si sentivano ora esposti alle prevedibili ritorsioni dei nazisti di 
casa e di quelli dilaganti d’oltre Brennero, armati e pronti ad assumere il 
governo del paese”
51
. Queste erano le stesse paure del gruppo linguistico 
italiano, che aveva sì salutato con gioia il crollo del fascismo nella speranza 
significasse la fine della guerra, ma temeva le rivalse del gruppo tedesco 
appoggiato dai nazisti locali
52
. Nei quarantacinque giorni del governo Badoglio 
in Alto Adige non si verificarono disordini o reazioni pubbliche rilevanti, ma 
regnava un clima di attesa, pervaso di preoccupazione per il futuro. Solo nelle 
file naziste locali continuava il lavoro preparatorio “in vista della fase militare e 
politica successiva”
53
. 
                                                           
48
 G. FOGAR , L’antifascismo operaio monfalconese fra le due guerre, Vanelista, Milano 1982, pp. 
288. 
49
 U. CORSINI-R. LILL , Alto Adige 1918-1946, Bolzano 1988 , pp. 339. 
50
 Come allo stesso modo fece il fascismo nella Venezia Giulia, nei confronti della minoranza slava. 
51
 U. CORSINI-R. LILL , Op. cit. pp. 346. 
52
 Ibidem, pp. 347. 
53
 Ibidem, pp. 348.