Introduzione
Forse mai nella plurimillenaria storia dell’umanità
1
 un così piccolo 
fazzoletto di terra, quale è la Palestina, è apparso carico di valori e di 
simboli, fonte di tensioni e conflitti, teatro di pellegrinaggi e di guerre, 
oggetto di aspirazioni e nostalgie struggenti
2
. Qui è uno dei principali e 
tumultuosi crocevia delle vicende storico-politiche e del confronto fra popoli 
e imperi, qui è la culla delle tre grandi religioni monoteistiche: ebraismo, 
cristianesimo e islam. Dunque, questo piccolo fazzoletto di terra rappresenta 
il punto di riferimento per quasi tre miliardi di esseri umani. 
Guardando solo ai tempi più recenti il conflitto per la Palestina rappresenta 
un filo costante che ha attraversato tutto il Novecento e che ha segnato in 
modo drammatico l’inizio del nuovo secolo e del nuovo millennio. Appena 
ventisei chilometri quadrati , ma ogni zona è intrisa di storia di ideali e di 
sangue, ne è una riprova la pluralità stessa dei nomi con cui questa terra è 
indicata: Palestina per gli arabi e più in generale per i musulmani, oltre che 
per la geografia moderna; Eretz Israel, cioè Terra di Israele o Terra promessa 
per gli ebrei; Terra di Canaan e Terra del latte e del miele per la narrazione 
biblica.
Storicamente il nome di “ Palestina” venne usato per la prima volta accertata 
dallo storico greco Erodoto, nel V secolo a.C.: “ Palaistine”, nel testo 
erodoteo, voleva dire terra dei Filistei ed era l’equivalente del termine arabo  
“Filastin”; la regione ha, dunque, preso la sua denominazione da uno di quei  
“popoli del mare” che si stabilirono sulla costa mediterranea dell’odierna 
Palestina nell’ultima parte del II millennio a. C.. Il termine divenne di uso 
4
1
  Con  storia  dell’umanità  ci  si  riferisce  alla  storia  conosciuta,  documentata  dai  tesnull  e  dalle  ricerche  
archeologiche.
2
  Termini  unulllizzanull  nel  testo  di    G.  Lannunull  “   Storia  della  Palesnullna ”.Roma,  2001.
corrente con il dominio romano: chiamata dapprima “ Iudaea”, dal nome 
dell’antecedente regno di Giuda, fu poi ribattezzata dall’Imperatore Adriano 
“Syria Palestina”. Nell’accezione moderna  si intende per Palestina il 
territorio affidato nel 1920 dalla Società delle Nazioni al Mandato della Gran 
Bretagna, da cui il termine corrente di “Palestina del Mandato”; ed è in 
questo contesto geopolitico che è nata e si è poi sviluppata  lungo tutto il XX 
secolo la “questione palestinese”, come noi oggi la conosciamo. I paesi 
confinanti hanno assunto e assumono ancora oggi un ruolo importantissimo 
nella questione mediorientale, per questo motivo bisogna sapere che il 
territorio palestinese confina a nord con il Libano e la Siria, a est con la 
Giordania, all’estremo sud con il Golfo di Aqaba, a sud/sud-ovest con il 
Sinai egiziano ed è bagnato ad ovest dal Mediterraneo. Attualmente il 78% 
dei territori costituisce lo Stato di Israele, mentre il restante 22% comprende 
la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, con Gerusalemme est, occupate 
dall’esercito israeliano nel giugno del 1967. Su questi ultimi territori, a 
norma delle risoluzioni dell’Onu, dovrebbe insediarsi il costituendo Stato 
indipendente di Palestina; attualmente parte di essi, ossia i due terzi della 
Striscia di Gaza e poco più del 20% della Cisgiordania, è amministrata 
dall’Autorità nazionale palestinese, mentre Gerusalemme est è stata 
illegalmente annessa da Israele nel 1980.  
Analizzando la situazione palestinese, emerge chiaramente come uno degli 
elementi che, negli ultimi decenni, ha pesato di più è l’ignoranza di gran 
parte dell’opinione pubblica occidentale riguardo la realtà di questa regione. 
Questo deficit conoscitivo è, a mio avviso, il frutto di diversi fattori. Primo 
tra tutti è stato ed è la costante manipolazione dei dati di base inerenti a 
questa regione e che trovano spazio nel senso di colpa del mondo 
occidentale nei confronti degli ebrei, senso di colpa ampiamente giustificato 
dalle persecuzioni antisemite durate quasi dieci secoli e culminate nello 
sterminio hitleriano. Sentendo di “ dovere qualcosa” agli ebrei, l’assoluta 
5
maggioranza degli europei e degli americani ha pensato di potersi 
“scaricare” la coscienza, prima aiutando il movimento sionista a realizzare 
un progressivo insediamento in Palestina e poi fornendo alla politica 
espansionistica di Israele i mezzi materiali e la “copertura morale” necessari 
per realizzarla.  In tal modo è avvenuto  un “ trasferimento di colpevolezza”, 
di cui parlano da molti anni gli intellettuali arabi. Vale a dire un 
trasferimento sia della colpa che dell’obbligo di un risarcimento , dalla 
civiltà occidentale-cristiana a quella arabo-musulmana.
La prima e fondamentale falsificazione è stata quella di presentare la 
Palestina come “terra senza popolo”, da assegnare ad un “popolo senza 
terra”, quando, invece, nel momento in cui il nascente movimento sionista 
coniava questo slogan, la striscia di terra che dal Giordano si estende fino al 
Mediterraneo era già una delle più popolate tra quelle non europee. 
 La situazione potrebbe mutare se si arrivasse a vederla in termini diversi. Se 
si valutasse, cioè, a pieno la tragedia di un popolo che, certamente senza 
propria colpa, ma a causa di una eccezionale congiuntura internazionale e 
culturale, ha perduto la propria terra. Ma a questo punto ci si chiede se 
esporre i veri termini del conflitto mediorientale, parlare apertamente della 
sopraffazione subita dai Palestinesi non significa “ delegittimare” Israele, 
ossia metterne in discussione l’esistenza stessa. Personalmente ritengo che a 
questa possibile domanda debba essere data assolutamente una risposta 
negativa, in quanto una volta che qualcosa, sia pure nella sofferenza e nel 
sangue, è nato ed ha messo le radici, ancora più violento sarebbe, in nome di 
un astratta giustizia, provare a disfarlo. E una prova di questo si ha 
nell’atteggiamento della maggior parte dei Palestinesi, che ormai si 
dichiarano pronti a convivere con Israele. La “giustizia” che questi 
Palestinesi chiedono è, innanzitutto, quella umana ed intellettuale che  è stata 
loro tante volte negata: la comprensione della loro sorte spietata e la 
“compassione” per le loro lunghe sofferenze.
6
Ciò che può nascere da una migliore conoscenza di tutto quanto è avvenuto 
nelle terre del Mediterraneo orientale durante questo secolo è quindi un 
invito, non a nuove distruzioni, ma ad una pace di compromesso, che 
potrebbe rappresentare, oggi, un miglioramento della situazione attuale.
Questa tesi ha ad oggetto gli accordi che hanno caratterizzato la questione 
palestinese dalla Road Map ad Annapolis, con uno sguardo approfondito su 
ciò che è avvenuto antecedentemente alla Road Map.  Questi accordi hanno 
avuto il merito di cercare un compromesso tra le parti, ma non  si sono 
dimostrati efficaci nella loro attuazione. In ogni caso, è importante 
conoscerli ed analizzarli per poter avere una visione più completa della 
questione palestinese, dato che consentono di ricostruire le linee di una 
possibile soluzione del problema.    
7
Capitolo I
Le funzioni dell’Onu e la questione 
palestinese
Il  contributo che ha dato e dà l’Onu all’interno della questione palestinese è 
sicuramente rilevante, data la molteplicità di risoluzioni che sono state 
emanate a tal proposito. Per questo motivo,  appare necessario analizzare il 
lavoro svolto  dalle Nazioni Unite. 
Considerando i compiti affidati all’Onu, ci si rende conto  del rilievo che, in 
questo ambito, deve essere dato ai problemi dell’autodeterminazione e del 
divieto dell’uso della forza,  problemi entrambe al centro della questione 
palestinese.
   Data l’ampiezza dei compiti affidati, appare più semplice individuare le 
materie di cui l’Organizzazione non può occuparsi che quelle oggetto delle 
sue competenze; un importante rilievo assume, a tal riguardo, la norma 
dell’art.2, par.7, della Carta delle Nazioni Unite, in cui viene evidenziato 
come tale Organizzazione non debba intervenire in questioni che 
appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno Stato. 
L’indeterminatezza dei fini, che conferisce all’Onu la natura di ente politico, 
emerge dall’art. 1 della Carta delle Nazioni Unite, dove vengono elencati i 
compiti dell’Organizzazione: il mantenimento della pace  e della sicurezza 
internazionale; lo sviluppo di relazioni amichevoli fra gli Stati, fondate sul 
rispetto del principio dell’uguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione 
dei popoli; il conseguimento della collaborazione internazionale in campo 
economico, sociale, culturale ed umanitario; la diffusione della tutela dei 
8
diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo senza distinzione di razza, di 
sesso, di lingua, e di religione. Tra i problemi che hanno più coinvolto l’Onu, 
negli anni immediatamente successivi alla nascita dell’Organizzazione,  
hanno assunto un rilievo prevalente quelli relativi al mantenimento della 
pace. Tra il 1950 e il 1960 l’attenzione dell’Onu si è concentrata soprattutto 
sulla decolonizzazione, nel quadro del principio di autodeterminazione dei 
popoli. Negli anni ’70 particolare rilievo è stato dato alla collaborazione in 
campo economico, sociale, culturale ed umanitario, nella speranza ( che 
purtroppo ancora oggi resta tale) di eliminare o almeno attenuare le gravi 
disuguaglianze esistenti fra gli Stati e, quindi, di assicurare a tutti gli uomini 
pari dignità  ed un avvenire migliore
1
 .
In relazione al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, 
bisogna evidenziare il ruolo svolto dal  Consiglio di Sicurezza, che ha il 
compito di tutelare la pace, attuando una serie di misure idonee a ristabilirla. 
La funzione conciliativa espressa dall’articolo VI della Carta ha per oggetto 
questioni solo potenzialmente idonee a turbare la pace, esplicandosi in 
ordine alle controversie “la cui continuazione sia suscettibile di mettere in 
pericolo la pace e la sicurezza internazionale”
2
. Il capitolo VII, invece, ha ad 
oggetto crisi internazionali in atto e, precisamente, ha ad oggetto l’esistenza 
“ di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di 
aggressione”
3
. La diversa gravità della situazione da fronteggiare si riflette 
nei diversi strumenti che il Consiglio di Sicurezza ha a disposizione in base 
all’uno o all’altro capitolo. L’atto tipico attraverso il quale si esplica la 
funzione conciliativa,  in base al capitolo VI, è, infatti, la raccomandazione, 
che è priva di forza vincolante. Il capitolo VII, invece, oltre a  prevedere la 
possibilità di adottare raccomandazioni, stabilisce il potere del Consiglio di 
9
1
  Si  veda  a  tal  proposito    il  testo  di  B.  Confornull  “ Le  Nazioni  Unite ”  .  Padova,  2000.
2
  A  tal  proposito  si  veda  il  capitolo  VI  art  33,  36,  37  della  Carta  delle  Nazioni  Unite.
3
  Definizione  espressa  dall’art.39  capitolo  VII  della  Carta  delle  Nazioni  Unite.
emanare sia decisioni
4
, cioè atti che vincolino gli Stati cui si indirizzano , sia 
risoluzioni di carattere operativo
5
 , cioè atti con i quali il Consiglio di 
Sicurezza non si indirizza agli Stati, ma delibera di intraprendere esso stesso 
determinate azioni.  
Tali risoluzioni sono state adottate anche riguardo alla questione palestinese, 
in particolare sono stati adottati atti di varia natura. Sono state, infatti, 
adottate le misure previste dall’ art. 39, capitolo VII della Carta delle Nazioni 
Unite, nel quale rientrano anche quelle risoluzioni che, nell’indicare 
procedimenti o termini di regolamento, adottano contemporaneamente una 
delle altre misure  previste dal capitolo VII, come le misure provvisorie ex 
art. 40 o le misure implicanti o non implicanti l’uso della forza ex art.41 e 
42. Esempi di queste risoluzioni combinate ad altre misure previste dal 
capitolo VII,  sono, in relazione alla problematica mediorientale,  le 
risoluzioni n. 50 del 1948 e n. 338 del 1973 che, occupandosi di conflitti 
armati tra Israele e Stati arabi, invitavano le parti a cessare il fuoco e 
ricorrere alla mediazione . 
Una crisi internazionale qualificabile come minaccia o violazione della pace 
o atto di aggressione può svilupparsi su lunghi periodi e con fasi alterne, 
come nel caso della questione palestinese, tali da richiedere,  di volta in 
volta, interventi di intensità diversa . Così,  il Consiglio di Sicurezza è stato 
costretto sia ad adottare contemporaneamente più misure, sia a riprendere 
misure provvisorie anche dopo aver adottato altre risoluzioni in base al 
capitolo VII, ad esempio dopo aver raccomandato procedure di regolamento 
in base all’articolo 39 o dopo aver deliberato misure non implicanti, o 
addirittura implicanti, l’uso della forza
6
 . L’elenco delle misure non 
implicanti l’uso della forza, previste dall’articolo 41 della Carta, non è 
10
4
  Art.  41  del  capitolo  VII  della  Carta  delle  Nazioni  Unite.
5  
Art.  42  del  capitolo  VII  della  Carta  delle  Nazioni  Unite.
6
  Si  veda  a  tal  proposito  B.  Confornull  “ Le  Nazioni  Unite ”,  Padova,  2000,    p.  187.  
tassativo, in quanto una qualsiasi decisione o raccomandazione del Consiglio 
di Sicurezza che chieda agli Stati membri , esplicitamente o implicitamente, 
di tenere contegni, i quali suonino come sanzioni nei confronti di un 
determinato Stato, sono inquadrabili sotto l’articolo  41. Un esempio  
potrebbe essere  quel genere di risoluzione  cui il Consiglio ricorre spesso e 
che consiste nel dichiarare invalidi certi atti statali interni. E’ il caso della 
risoluzione  n. 252 del 1968, adottata  contro Israele e ribadita in delibere 
successive
7
, nella quale si legge che il Consiglio “considera che tutte le 
norme e gli atti legislativi e amministrativi adottati da Israele, incluse le 
espropriazioni di terre, diretti a modificare lo status di Gerusalemme, sono 
invalidi …”
8
.
11
7
  Come  ad  esempio  la  risoluzione  del  20.08.1980  n.  478.
8
  A  tal  proposito  si  veda  il  testo  della  risoluzione  n.  252  del  21.05.1968
Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza : la n. 
242 del 1967 e la n. 338 del 1973
Considerando le risoluzioni adottate dall’Onu  all’interno della  questione 
palestinese, non si può prescindere dall’analizzare   due risoluzioni 
estremamente importanti, adottate dal Consiglio di Sicurezza: la n.242 del 
1967 e la n. 338 del 1973. Queste due risoluzioni sono  state richiamate da 
molti accordi di pace, quali, ad esempio gli Accordi di Oslo e il 
Memorandum di Wye River, così come vedremo successivamente.
Nella risoluzione n. 242 del 1967 il Consiglio di Sicurezza, esprimendo la 
propria preoccupazione per la grave situazione in Medio Oriente, e, 
mettendo in evidenza l’inammissibilità dell’acquisizione di territorio per 
mezzo della guerra e la necessità di lavorare per una pace equa e duratura, 
nella quale ogni Stato dell’area possa vivere in sicurezza, afferma che il 
rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite richiede la creazione di 
una pace equa e duratura in Medio Oriente, che dovrebbe includere 
l’applicazione dei due seguenti principi: il ritiro delle forze armate israeliane 
dai territori occupati nel recente conflitto e il rispetto della sovranità, 
dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di ogni Stato nell’area e 
del diritto di vivere in pace all’interno di confini sicuri e riconosciuti, liberi 
da ogni minaccia o atto di forza. Il Consiglio di Sicurezza richiede, inoltre, al 
Segretario Generale di nominare un rappresentante speciale in Medio 
Oriente, al fine di creare e mantenere contatti con i paesi interessati, per  
promuovere un accordo e per incentivare gli sforzi di assistenza per 
12
raggiungere una sistemazione pacifica e accettata,  in conformità con le 
clausole e i principi della presente risoluzione
9
.
Una volta analizzato il contenuto della risoluzione è importante capire 
dinanzi a quale tipo di risoluzione ci troviamo, se siamo di fronte ad una 
risoluzione organizzativa o di fronte ad una risoluzione operativa. Partiamo 
dal presupposto che una risoluzione organizzativa è la risoluzione che 
istituisce organi o provvede ad eleggerne i membri ed è caratterizzata dal 
fatto che gli effetti immediati non sono configurabili come obblighi degli 
Stati membri, in quanto tali risoluzioni creano un diritto obbiettivo che è 
difficile tradurre in termini di rapporti giuridici, in termini di diritti ed 
obblighi. Le risoluzioni operative, invece,  sono quelle che prevedono 
un’azione condotta dall’Organizzazione, per azione dell’Onu si intende 
un’azione direttamente condotta dall’Organizzazione
10
. Questa distinzione 
(tra risoluzioni organizzative e risoluzioni operative) non deve essere 
necessariamente  intesa in maniera netta, in quanto una stessa risoluzione 
può avere al contempo carattere organizzativo ed operativo, allorquando, 
anziché prevedere che una certa azione sia svolta da un organo preesistente, 
istituisca un organo sussidiario ad hoc, qual è appunto il caso della 
risoluzione n.242 del 1967. In questa risoluzione, infatti, come abbiamo già 
avuto modo di verificare , viene istituito un organo sussidiario ad hoc, che, in 
questo specifico caso, è un rappresentante speciale in Medio Oriente, che ha 
il compito di creare e mantenere contatti con i paesi interessati per 
promuovere un accordo e per raggiungere una sistemazione pacifica. Nello 
stesso tempo, però, la risoluzione n.242 del 1967 rappresenta una decisione 
vincolante del Consiglio di Sicurezza, in quanto  ha ad oggetto decisioni a 
13
9
  A  tal  proposito  si  veda  il  testo  di  C.  Enderlin  “ Storia  del  fallimento  della  pace  tra  Israele  e  Palesnullna.  La  
ricostruzione  dei  negozianull  di  pace,  ufficiali  e  segrenull,  a  parnullre  dall’assassinio  di  Yitzhak  Rabin  nel  1995  fino  
alla  seconda  innullfada”,  Roma,  2003,  p.288.
10
  La  differenza  tra  risoluzioni  organizzanullve  ed  operanullve  è  analizzata  nel  testo  di  B.  Confornull  “ Le  Nazioni  
Unite ”  Padova,  2000,    pp.288-‐290.
tutela della pace non implicanti l’uso della forza ex articolo 41 della Carta. 
Esaminando le disposizioni del capitolo VI e VII della Carta, infatti, si 
evince che il Consiglio ha normalmente potere di mera raccomandazione, ma  
può ricorrere a decisioni vincolanti solo nel quadro dell’articolo 41 della 
Carta, cioè quando ritenga di trovarsi in presenza di crisi così gravi da 
richiedere misure sanzionatorie
11
. 
Sulla scia della risoluzione n. 242 del 1967, il Consiglio di Sicurezza, 
considerato il mancato miglioramento della situazione, ha adottato, il 22 
ottobre del 1973, la risoluzione n. 338. In essa il Consiglio richiede a tutte le 
parti partecipanti al conflitto di cessare il fuoco e di terminare 
immediatamente tutte le attività militari, dando, in questo modo, inizio 
all’implementazione della risoluzione 242 del 1967. Stabilisce, inoltre, la 
necessità di iniziare i negoziati fra le parti interessate, volti a ristabilire ed 
equilibrare la situazione mediorientale.  Una possibile domanda da porsi è, 
allora, se sussiste, in questo caso, un obbligo di negoziazione per gli Stati. In 
realtà, poiché, in questo caso, ci troviamo dinanzi ad una risoluzione 
vincolante del Consiglio di Sicurezza, visto e considerato il contenuto della 
risoluzione stessa, alla luce della quale devono essere adottate delle misure 
che non implicano l’uso della forza ex art.41 capitolo VII della Carta, vi è un 
obbligo di negoziazione da parte degli Stati, che , attraverso lo strumento 
dell’accordo, devono pervenire ad una situazione che tuteli la pace e 
garantisca l’applicazione dei diritti fondamentali a tutti gli uomini.  
14
11
  A  tal  proposito  B.  Confornull  “ Le  Nazioni  Unite ”.  Padova,2000,  p.287.  
Il ruolo dell’Assemblea generale
 Secondo l’articolo 24 della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio ha la 
responsabilità principale del mantenimento della pace. Ciò comporta che, 
durante l’esercizio da parte del Consiglio di Sicurezza delle funzioni 
assegnategli dalla Carta nei riguardi di una controversia o nei riguardi di una 
situazione qualsiasi, l’Assemblea generale non deve fare alcuna 
raccomandazione riguardo a tale controversia o situazione, a meno che non 
sia richiesta dal Consiglio di Sicurezza
12
. In realtà, si è tanto discusso in 
passato sulla competenza dell’Assemblea ad intraprendere azioni a tutela 
della pace e, più specificatamente, a deliberare misure del tipo di quelle 
previste dal capitolo  VII della Carta. Tale competenza è stata sostenuta da 
taluni alla luce della stessa Carta, da molti in base a norme che si sarebbero 
formate per consuetudine
13
. Presupponendo l’incompetenza piena ed 
assoluta dell’Assemblea a ricorrere a misure che implichino l’uso della 
forza, ci si chiede se l’Assemblea possa decretare misure del tipo previsto 
dall’articolo 41, ossia quelle che non implicano l’uso della forza. E, poiché 
l’Assemblea non ha poteri vincolanti in tema di tutela della pace, l’unico 
problema sarebbe quello di chiedersi se possa raccomandare misure del 
genere. Un’interpretazione obiettiva della Carta fa propendere per 
l’affermazione dell’incompetenza dell’Assemblea , sempre che non si tratti 
di risoluzioni che si limitino a ribadire sanzioni già decise o raccomandate 
dal Consiglio di Sicurezza, invitando gli Stati ad applicarle, come è avvenuto 
15
12
  A  tal  proposito  si  veda  l’arnullcolo  12  della  Carta  delle  Nazioni  Unite.
13
  Tale  tema  cosnulltuì  l’oggenullo  di  accanite  dispute  donullrinali  tra  il  1950  e  il  1960,  epoca  in  cui  l’Assemblea,  
sonullo  la  spinta  degli  Stanull  Uninull,  manifestò  la  tendenza  a  sosnulltuirsi  al  Consiglio  di  Sicurezza  nella  funzione  di  
mantenimento  della  pace,  una  volta  constatata  la  paralisi  di  quell’organo  per  l’esercizio  del  dirinullo  di  veto.  
Successivamente  l’importanza  del  tema  è  andata  anullenuandosi  data  l’incapacità  dell’  Assemblea  a  
proseguire  nella  strada  intrapresa  come  conseguenza  dell’enorme  aumento  del  numero  di  membri  e  della  
rilunullanza  delle  Grandi  Potenze  a  consennullre  azioni  efficaci  da  parte  di  un  organo  così  allargato  e  sempre  
meno  da  loro  controllabile.  
in relazione al disconoscimento degli atti di governo di Israele nei territori 
arabi occupati. 
Per quanto riguarda le Dichiarazioni di princìpi  dell’Assemblea generale, 
queste sono indirizzate agli Stati e  concernono non solo rapporti 
internazionali, ma anche e soprattutto rapporti interni alle varie comunità 
statali. Deve essere evidenziato come tali Dichiarazioni non abbiano 
carattere obbligatorio. Alla luce della Carta, infatti, esse appaiono come mere 
raccomandazioni , di carattere generale e solenne, a cui gli Stati restano 
liberi di conformarsi. Ciò nonostante, esse svolgono un ruolo assai 
importante ai fini dello sviluppo del diritto internazionale e del suo 
adeguamento alle esigenze di solidarietà e di indipendenza.
La risoluzione n.194 dell’11 dicembre del 
1948 adottata dall’Assemblea generale
  
 Approfondendo il tema delle risoluzioni dell’Assemblea generale, bisogna 
ricordare la risoluzione n. 194 dell’11 dicembre del 1948, nella quale 
l’Assemblea generale, avendo considerato la situazione in Palestina,  ha 
espresso il suo profondo apprezzamento per i progressi raggiunti attraverso i 
buoni uffici del Mediatore delle Nazioni Unite nel promuovere una 
regolazione pacifica della situazione futura della Palestina. Viene  creata una 
Commissione di conciliazione costituita da tre  Stati membri delle Nazioni 
Unite e vengono invitati i governi e le autorità interessati ad ampliare lo 
scopo delle negoziazioni  a cercare un accordo tramite negoziati, condotti 
con la Commissione di conciliazione. L’Assemblea, in questa occasione, ha 
16
disposto la protezione  dei luoghi sacri, degli edifici religiosi e dei siti in 
Palestina e la garanzia del libero accesso ad essi, in conformità con i diritti 
esistenti  e con la prassi storica. Inoltre, ha stabilito che, visto il 
collegamento con tre religioni di diffusione mondiale, all’area di 
Gerusalemme deve essere accordato un trattamento speciale, separato dal 
resto della Palestina e quest’area deve essere posta sotto l’effettivo controllo 
delle Nazioni Unite, tutto ciò  viene disposto, richiedendo al Consiglio di 
Sicurezza di compiere degli sforzi per assicurare la smilitarizzazione di 
Gerusalemme nel più breve tempo possibile. 
Importante è ora capire quali compiti siano stati dati alla Commissione di 
conciliazione, creata attraverso questa risoluzione e formata da tre stati: la 
Francia, la Turchia e gli Stati Uniti. Prima di tutto è esplicato il compito 
della Commissione di assumere , se ritenuto necessario, la funzione data al 
Mediatore delle Nazioni Unite sulla Palestina; viene evidenziato il compito 
di mettere in atto le funzioni e le direttive specifiche affidategli dalla 
presente risoluzione e viene, infine, affidato alla Commissione il compito di 
assumere, su richiesta del Consiglio di Sicurezza, tutte le funzioni ora 
assegnate al Mediatore delle Nazioni Unite sulla Palestina o alla 
Commissione di tregua delle Nazioni Unite dalle risoluzioni del Consiglio di 
Sicurezza
14
.
17
14
  Si  veda  a  tal  proposito  il  testo  di  C.  Enderlin  “ Storia  del  fallimento  della  pace  tra  Israele  e  Palesnullna.  La  
ricostruzione  dei  negozianull  di  pace,  ufficiali  e  segrenull,  a  parnullre  dall’assassinio  di  Yitzhak  Rabin  nel  1995  fino  
alla  seconda  innullfada”  ,  Roma,  2003,p.285.