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Introduzione 
Per anni il ruolo delle donne all’interno della mafia è stato trascurato dagli studiosi che 
si sono occupati del fenomeno, considerando queste ultime come un soggetto debole, 
incapace di azioni criminali e assoggettate alla volontà dell’uomo d’onore. Si tratta di 
una visione che ha avuto delle conseguenze anche sul piano giudiziario, al punto che 
fino al 1982 infatti le donne appartenenti a contesti mafiosi hanno generalmente goduto 
dell’impunità giudiziaria.
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Con il passare del tempo il ruolo delle donne all’interno delle organizzazioni criminali è 
tuttavia cambiato, e con esso si è modificata anche la rappresentazione che nei prodotti 
culturali che si occupano di narrare storie e fatti di mafia, si dà delle donne. Questo è 
avvenuto soprattutto come conseguenza del fenomeno del pentitismo che ha portato 
molte donne, mogli o sorelle dei pentiti, a parlare per la prima volta per sostenerli o 
attaccarli per la loro scelta, e al numero sempre crescente di donne coinvolte in attività 
di stampo mafioso che sono state arrestate e condannate dalla giustizia (Dino 1998; 
Puglisi 2005). 
L’obiettivo di questo lavoro di tesi è quello di cercare di capire se esista o meno un 
cambiamento nel modo con cui vengono raccontate le donne in alcuni prodotti culturali 
sulla criminalità organizzata, cercando in particolare di capire come vengono 
rappresentate le donne e il loro percorso di emancipazione, se di emancipazione si può 
parlare, e di che tipo di emancipazione si tratti. La scarsità di studi che hanno analizzato 
la rappresentazione delle figure femminili nei prodotti culturali di mafia è ciò che mi ha 
spinto a prendere in esame questo aspetto, al fine di comprendere ancor meglio come 
le donne sono viste all’interno di un contesto criminale e come vengono rappresentate 
le dinamiche di genere interne a Cosa Nostra. Nella mia analisi ho fatto riferimento a 
diversi studi sul ruolo delle donne in contesto mafioso (Dino 1998, Siebert 1998, Ingrascì 
1994, Puglisi 2005) che hanno messo in luce alcuni aspetti legati ai compiti che la donna 
ha nella famiglia e con i figli, oltre che i valori che è chiamata a  rispettare in quanto 
appartenente a un contesto criminale ben preciso. Gli studi di Vegna (2017) e Buonanno 
(2013) sono invece stati utili perché hanno per prime osservato l’immagine delle figure 
femminili trasmessa in alcuni film e fiction di mafia. 
I prodotti scelti in questo lavoro hanno tutti come soggetto Cosa Nostra e non altre 
forme di criminalità organizzata presenti sul territorio italiano: Camorra, ‘Ndrangheta e 
Sacra Corona Unita. Questa scelta è stata dettata sia dal fatto che i prodotti mediatici 
incentrati sulla criminalità organizzata generalmente rappresentano storie relative alla 
mafia siciliana, sia perché il binomio sottomissione/emancipazione che riguarda la 
donna di mafia è particolarmente interessante in Cosa Nostra (Vegna 2017), dove si 
                                                           
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 Fino a questa data infatti non si hanno mai avuto casi di donne condannate per associazione mafiosa, a 
causa dello stereotipo in vigore sulla donna ignara degli affari e delle attività criminali che ha condizionato 
la magistratura. Si credeva in particolare che le donne di mafia, nei casi i cui venivano colte in fragranza di 
reato, agissero per motivi legati all’affetto nei confronti dei famigliari e quindi venivano assolte perché 
non erano loro a decidere in prima persona (Vegna 2017). Nel 1982, con la legge Rognoni-La Torre verrà 
invece affermata  e riconosciuta la piena punibilità della donna.
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possono trovare donne che in passato sembravano essere subordinate ma che negli 
ultimi anni hanno assunto un ruolo e una posizione differente (Puglisi 2005). In Camorra 
e ‘Ndrangheta la situazione è peraltro diversa, in quanto le donne hanno in maggior 
misura ruoli di comando e prendono decisioni importanti al pari degli uomini (Saviano 
2005; Pacifici 2015).  
 
Negli storici film sulla mafia, infatti, la donna è quasi sempre stata rappresentata come 
una figura invisibile e non rilevante all’interno della storia, andando a rafforzare lo 
stereotipo di donna succube e vittima del sistema mafioso (Vegna 2017): le produzioni 
che, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, hanno portato sullo schermo pellicole 
con protagonisti clan mafiosi di origine italiana, e  che sono diventate poi famose in tutte 
il mondo (vedi “Il padrino” (1972)), hanno dato origine a quello che è stato chiamato il 
filone della mafia story, film incentrati sui boss di potenti famiglie spesso in lotta con 
altre famiglie locali, in cui le donne svolgevano semplicemente il ruolo di mogli e madri. 
Questo ruolo si è poi mantenuto anche in molti film prodotti in Italia, come nel caso di 
alcune figure femminili presenti in “La siciliana ribelle” (2008) e “Placido Rizzotto” 
(2000). 
Ma in anni recenti il ruolo della donna sembra essere concepito sotto un’altra luce e, 
rompendo con lo stereotipo vigente, hanno cominciato a essere prodotti film e fiction 
con donne più forti e autonome, non più assoggettate alla morale mafiosa, e questo 
sembra ricalcare un cambiamento effettivamente avvenuto anche nella realtà. Donne 
che hanno scelto di collaborare con la giustizia in seguito a eventi tragici in famiglia a 
causa della mafia, o donne cha hanno invece scelto di acquisire una maggiore autonomia 
all’interno di questo mondo acquisendo posizioni di rilievo nel clan. Questa nuova 
visione della donna è visibile in alcuni film e fiction recenti come “I cento passi” (2000) 
e “Squadra Antimafia” (2009-2016), dove le figure femminili non vengono più 
presentate come vincolate alla volontà maschile, ma sono invece capaci di decisioni 
autonome e indipendenti. 
Il lavoro che quindi viene qui presentato è diviso in tre parti. Nel primo capitolo vengono 
affrontate le diverse teorie e visioni che sono nate in relazione all’origine e allo sviluppo 
della mafia, dalle teorie “culturaliste” di Mosca, Schneider, Pitrè ecc., passando per le 
teorie economiche di Arlacchi, Gambetta e Catanzaro, fino alle teorie più recenti che 
hanno esaminato la mafia da un punto di vista multidimensionale analizzando diversi 
aspetti che hanno permesso di comprendere da una prospettiva più competa il 
fenomeno. Successivamente è stato affrontato il ruolo della donna in contesto mafioso, 
i compiti e i doveri a cui deve adempiere, primo fra tutti l’educazione dei figli al fine di 
tramandare i valori di Cosa Nostra nel tempo, facendo riferimento ad alcuni studi 
particolarmente rilevanti nel campo (Dino 1998, Siebert 1998, Puglisi 2005). Il capitolo 
si conclude con la metodologia utilizzata per l’analisi del binomio 
sottomissione/emancipazione femminile nelle figure osservate, andando a elencare le 
dimensioni a cui ci si è riferiti per l’analisi dei prodotti culturali.
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Il secondo capitolo si occupa della subordinazione della donna in contesto mafioso 
attraverso l’analisi di alcune figure femminili tratte da tre film: “La siciliana ribelle”, 
“Placido Rizzotto” e “Angela” (2002). Dai primi due sono state prese in esame le figure 
di Rosa Mancuso, Lia e la madre, che trasmettono l’immagine di donne completamente 
condizionate dal contesto in cui vivono. Con “Angela” invece è emerso un ruolo diverso 
della donna, più attivo e intraprendente, ma comunque sempre vincolata dall’autorità 
del marito mafioso.  
Infine, nel terzo capitolo, dopo una breve introduzione sui cambiamenti che hanno 
riguardato la percezione della donna nella criminalità organizzata negli ultimi decenni, è 
stato trattato l’aspetto dell’emancipazione della donna di mafia, attraverso l’analisi di 
tre figure: Felicia Bartolotta (dal film “I cento passi”) e Rita Atria (dal film “La siciliana 
ribelle”), che, ribellandosi ai dettami mafiosi, hanno trovato un proprio affrancamento 
dalla morale di Cosa Nostra, e Rosy Abate, dalla fiction “Squadra Antimafia”, che viene 
rappresentata ai vertici mafiosi con un ruolo e una posizione che sono al pari di quelli di 
un uomo d’onore. 
 
Quello che emerge dall’analisi è la presenza di tre diverse tipologie di donne all’interno 
dei contesti mafiosi nei prodotti culturali che, a seconda dei casi, sono fedeli alla morale 
mafiosa o se ne allontanano cercando un affrancamento dall’ambiente in cui sono 
cresciute. Ma il tipo di emancipazione di cui si può parlare, soprattutto per quanto 
riguarda le figure prese in considerazione nel terzo capitolo, non può essere considerata 
tale nel suo vero significato, poiché alla donna in contesto mafioso non è permessa una 
piena affermazione della propria individualità e libertà e anche nei casi di maggior 
allontanamento della cultura e dal sistema sociale della criminalità organizzata, 
l’emancipazione non può dirsi effettivamente realizzata.
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1. Interpretazioni sociologiche sulla mafia e ruolo della 
donna in Cosa Nostra 
 
1.1 Le diverse teorie sull’origine e le caratteristiche di Cosa Nostra 
Il fenomeno della criminalità organizzata, e in particolare la nascita e la diffusione del 
fenomeno mafioso, sono stati affrontati già a partire dalla fine dell’Ottocento in diversi 
ambiti (etnografico, storico, sociologico, letterario ecc.), seppur con prospettive 
differenti a seconda del periodo storico di riferimento e di ogni disciplina che se ne è 
occupata. Diverse linee di pensiero si sono sviluppate e hanno preso forma dallo studio 
e dalla riflessione in merito.  
In questo capitolo si vogliono prendere in esame i diversi filoni d’indagine sulla 
criminalità organizzata, a partire da quello di inizio Novecento che considera la mafia 
come espressione della cultura e del modo di pensare del Sud, passando per gli studiosi 
che analizzano il fenomeno dal punto di vista economico, fino ad arrivare alle teorie sulla 
mafia che la considerano come un sistema culturale organizzato, potente e in continua 
evoluzione.  
In questi studi è stata presa prevalentemente in esame la mafia siciliana, comunemente 
conosciuta come Cosa Nostra, che è stata sempre in qualche modo considerata per tutto 
il Novecento la “mafia per eccellenza”, soprattutto per la sua capacità di imporsi in 
ambito nazionale con modalità e azioni (come per esempio le stragi dei magistrati
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) che 
ne hanno affermato la potenza. È infatti recente l’interesse degli studi sulla criminalità 
organizzata verso la Camorra e la ‘Ndrangheta, dovuti principalmente alla loro crescita 
e maggiore infiltrazione nel tessuto sociale. 
1.1.1 Teorie culturaliste 
Il termine mafia compare per la prima volta in ambito teorico tra fine Ottocento e 
inizio Novecento, coniato da studiosi come Giuseppe Alongi, Giuseppe Pitré e Gaetano 
Mosca, che la definivano come prodotto della cultura meridionale, in particolare 
siciliana, dando origine a quelle che sono state chiamate teorie culturaliste.  
Inizialmente non si faceva riferimento a qualcosa di negativo quando si parlava di mafia 
e la sua origine dipendeva principalmente dall’assenza dello Stato in questi territori, 
come è riportato per esempio nella famosa inchiesta sulla situazione socioeconomica 
del Meridione, condotta da Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino nel 1876, in cui si 
indicava “l’origine della mafia nella mancanza di un’autorità come quella statale che 
dettasse regole e ordine a livello sociale” (Cristaldi 2016). 
                                                           
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   Sono molti i magistrati e altri uomini della giustizia che hanno pagato con la vita la lotta alla mafia, tra 
i quali si ricordano Pio La Torre e il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinati nel 1982, Rocco 
Chinnici, ucciso il 29 luglio del 1983, Giovanni Falcone, morto nella strage di Capaci il 23 maggio 1992, e 
la strage di Via D’Amelio il 19 luglio dello stesso anno, in cui perse la vita Paolo Borsellino. Tramite 
questa strategia di carattere terroristico Cosa Nostra si impone come la mafia per eccellenza, sfidando lo 
Stato e la giustizia come mai era stato fatto in precedenza.