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Introduzione 
Le banche popolari sin dalla loro origine hanno costituito una realtà del tutto 
peculiare ed innovativa all’interno del sistema bancario italiano. L’assenza di un 
capitale di comando, il principio del “voto capitario” e, parimenti, l’assenza di una 
legislazione specifica in grado di definirne gli aspetti fondamentali hanno da sempre 
reso le banche popolari tra i fenomeni di più difficile valutazione. Nel corso degli 
ultimi anni tali istituti hanno ottenuto dei risultati reddituali – e di tenuta al rischio – 
decisamente migliori rispetto alla maggior parte delle banche tradizionali 
dimostrando ancora una volta di essere un player fondamentale per il sistema 
bancario nazionale. Già da qualche anno, tuttavia, le Autorità del settore hanno 
ritenuto che fosse giunto il momento di modificare una legislazione divenuta oramai 
obsoleta ed incapace di cogliere pianamente la complessità di alcuni Gruppi da anni 
aperti al mercato, con delle basi proprietarie ampiamente diversificate ed operanti 
anche in territori ben distanti dalle aree di insediamento originarie
1
.  
L’obiettivo del presente lavoro è stato quello di rispondere ad alcune domande 
fondamentali, tra cui: 
 
 È davvero necessario che una riforma, come quella proposta dal Governo 
attuale, vada a modificare le caratteristiche fondamentali che da sempre sono 
state alla base del successo di tale settore? 
 Le maggiori banche mutualistiche possono ancora essere definite “popolari” 
pur avendo raggiunto valori di bilancio in molti casi superiori rispetto alle 
principali banche tradizionali? 
 Qual è stato il valore che questi istituti hanno generato per l’intera economia? 
 
Per comprendere le modalità con cui si è provato a dare una risposta a tali 
interrogativi è stato opportuno tenere conto delle tre “prospettive” che hanno portato 
alla realizzazione dello studio. La prima è stata la prospettiva storico-regolamentare 
riguardante l’intero settore bancario popolare italiano; un’analisi preliminare relativa 
                                                 
1
 Capriglione F. [2015].
7 
 
alle vicende storiche ed ai mutamenti della normativa che hanno portato alla 
formazione dell’attuale contesto è stata propedeutica allo studio condotto. La 
seconda è stata la prospettiva degli avvenimenti recenti con la quale si è posto 
l’accento sulla solidità (economico-finanziaria-patrimoniale) delle banche popolari e 
sulla capacità delle stesse di mantenere il rapporto con la propria clientela 
caratteristica; obiettivo di questa indagine è stato quello di mostrare come il 
contributo di tale settore sia stato fondamentale per il finanziamento ed il 
sostentamento dell’economia reale, a fronte delle difficoltà vissute durante la recente 
crisi finanziaria dagli istituti bancari tradizionali. La terza è stata la prospettiva degli 
impatti futuri con la quale si è provato a dare una visione di quelli che potranno 
essere le conseguenze della recente riforma approvata dal Governo sul sistema 
bancario in generale e sull’economia del paese.  
L’intero studio è stato strutturato in tre parti. I contenuti dell’elaborato sono stati 
fortemente collegati alle prospettive di cui sopra, specie in termini di finalità 
prevalenti di ciascuna partizione.  
Nella prima parte è stata ripercorsa la storia delle banche popolari e le modalità con 
le quali tali istituti sono riusciti a radicarsi così fortemente sul territorio. Un focus 
particolare è stato condotto sulla governance di questi intermediari che li ha resi 
diversi dalle banche tradizionali (voto capitario e limiti al possesso azionario). Il 
tema fondamentale che è emerso in questa fase è stato relativo alla debolezza della 
normativa passata; la necessità da parte del regolatore europeo di adottare una 
regolamentazione diversa per le banche popolari rispetto agli altri istituti, data la loro 
particolare natura e le loro particolari finalità prevalenti, è sembrata una condizione 
imprescindibile ai fini del sostenimento del settore. 
La seconda parte, che ha costituito il nucleo centrale dell’intero elaborato, ha fornito 
un contributo in termini di verifica della solidità economico-patrimoniale delle 
principali banche popolari e del rispetto degli obiettivi tipici degli intermediari 
finanziari a stampo mutualistico; nel condurre questa analisi si è cercato di tenere 
sempre la bussola orientata verso gli avvenimenti che a livello macroeconomico 
hanno interessato il sistema bancario italiano e la sua capacità di generare ricchezza. 
Il dato più interessante dell’analisi è stato relativo alla capacità, da parte delle banche 
considerate, di mantenere delle performance tendenzialmente positive anche durante
8 
 
gli anni della crisi finanziaria a fronte delle difficoltà vissute dai principali istituti 
non popolari. Questo punto ha rappresentato il tema fondamentale intorno al quale i 
critici della riforma hanno mosso le proprie accuse al Governo. 
La terza parte è stata probabilmente la più interessante in quanto si è effettuato uno 
studio della riforma del settore approvata a marzo 2015, se ne sono verificati gli 
eventuali impatti , sia sulla clientela servita che sul comparto bancario in generale, e 
si sono riprese delle critiche mosse alla riforma stessa da professionisti e studiosi. 
Ampio spazio in questa fase è stato dedicato alla presentazione delle possibili 
operazioni di consolidamento che potranno essere poste in essere nel momento in cui 
gli istituti interessati avranno ultimato la trasformazione in società per azioni. A 
questo punto dello studio è stata inevitabile la realizzazione di un confronto tra 
l’Italia ed il resto dell’Europa; tale confronto ha posto le basi essenzialmente sulle 
diversità, dal punto di vista normativo, presenti tra i vari paesi nonché sui punti di 
forza e di debolezza di ciascuna legislazione. 
L’analisi congiunta della normativa e delle esperienze più recenti ha fornito un 
quadro chiaro di come le autorità governative si siano adeguate ai cambiamenti 
macroeconomici ma ha evidenziato, al contempo, come tale riforma avrebbe potuto 
(o dovuto) avere delle caratteristiche diverse sotto numerosi aspetti. L’obiettivo del 
presente lavoro di tesi non è stato, tuttavia, quello di dare un giudizio sulla positività, 
o meno, della riforma; si sono studiate le cause che hanno portato all’approvazione 
della stessa e quelli che saranno gli eventuali impatti, cercando di tenere a mente le 
caratteristiche storiche e le finalità prevalenti delle banche popolari, guardando, 
dunque, alla riforma con gli occhi delle banche interessate, del regolatore europeo ed 
infine, ma assolutamente non per importanza, con gli occhi dei risparmiatori italiani.
10 
 
1.1 Il valore di un sistema dalle radici profonde 
 
Il fenomeno delle banche popolari da sempre ha suscitato un notevole interesse nel 
mondo  finanziario, ma non solo. Sin dalla loro nascita infatti economisti, politici e 
professionisti provenienti da ogni settore hanno dibattuto a lungo sull’importanza che 
tali istituti hanno rivestito per l’economia del paese e varie proposte di modificare la 
legislazione in materia sono state sistematicamente avanzate. L’intera questione è 
stata negli ultimi mesi al centro dell’attenzione mediatica in quanto è stata convertita 
in legge il 24 marzo 2015 la proposta del governo di trasformare gli istituti popolari 
con un attivo superiore ad 8 miliardi di euro in società per azioni quotate. La portata 
di questo intervento normativo, che è andato a modificare proprio gli aspetti 
fondamentali che da anni hanno caratterizzato le banche popolari, e che è stata 
esaminata  successivamente, è stata considerevole e per poter meglio esprimere un 
giudizio circa la validità di tale riforma nonché valutare gli impatti della stessa 
sull’intero sistema è stato necessario comprendere le caratteristiche di questo settore 
partendo dalle origini dello stesso. 
La nascita delle banche popolari è riconducibile a quanto avvenuto in Germania nel 
corso della seconda metà del 1800, ed in particolare è stata frutto degli studi di due 
uomini di quell’epoca: Franz Herman Shulze e F. Wilhelm Raffeisen
2
.  
La Germania è stata in Europa tra i paesi più restii a prendere parte al generale 
processo di industrializzazione che stava interessando il vecchio continente della 
seconda metà dell’800. Alla fine di questo processo, tuttavia, il paese era totalmente 
cambiato: da territorio prevalentemente agricolo con industrie per lo più artigianali e 
manifatturiere, alla vigilia della prima guerra mondiale diventò la nazione industriale 
europea più potente. È stata comunemente accettata l’idea che a svolgere un ruolo 
decisivo per l’espansione della Germania sono state proprio le banche, con i loro 
finanziamenti alle industrie soprattutto belliche, e le idee di Schulze e Raffeisen
3
. 
Queste due figure diventate note in Germania, ma non solo, per le loro politiche di 
stampo liberal-riformatrici sono stati considerate come i padri fondatori delle unioni 
cooperative del credito bancario. La loro volontà è stata quella di aiutare le classi più 
                                                 
2
 Romano G. [2013]. 
3
 Pittaluga G., Morelli P. e Seghezza E. [2005].
11 
 
povere che, in quanto tali, spesso sono state considerate dal sistema bancario 
tradizionale come “soggetti non bancabili” e dunque si sono esposte a meccanismi di 
usura tramite finanziamenti da parte di soggetti, in genere privati, che hanno 
applicato tassi di interesse e vincoli alla restituzione di quanto prestato non 
sopportabili da tali controparti.  Essenzialmente è stato  considerato non bancabile 
colui che non fosse in possesso dei collateral tipicamente accettati dalla finanza 
tradizionale, ossia un lavoro fisso, delle proprietà su cui la banca poteva rivalersi in 
caso di mancata restituzione di quanto prestato o una terza parte che potesse garantire 
il finanziamento. Gli unici “collateral” che queste persone erano in grado di offrire 
erano il proprio lavoro, la propria capacità di produrre, la dedizione e l’onestà. 
L’idea, quindi, è stata quella di dare anche alle categorie economiche più modeste 
una possibilità di avvalersi di organismi di erogazione del credito e di godere, quindi, 
di forme di tutela pari a quelle garantite ai soggetti considerati “bancabili”
4
.  
Essere da parte dei soggetti meno solidi dal punto di vista finanziario è sempre stata 
la ragione sociale delle Casse Rurali ed Artigiane prima, e delle Banche Popolari poi. 
Per questo fin dalla nascita di tali istituti è stata scelta la “forma associativa della 
cooperazione di credito” in quanto tale forma ha permesso, da un lato, di raccogliere 
i mezzi finanziari decisamente modesti degli associati e, dall’altro, di procurare 
capitale a condizioni favorevoli evitando che tali soggetti fossero costretti ad 
intrattenere rapporti con usurai.  
Questa idea, rivoluzionaria specie se teniamo conto del contesto storico da cui 
deriva, non ebbe difficoltà a trovare  il consenso della Germania prima e dell’intera 
Europa subito dopo. Infatti tale forma associativa ha rapidamente varcato i confini 
della Germania ed è arrivata in Italia dove nel 1864 è stata fondata la prima banca 
popolare italiana: la Banca Popolare di Lodi.  A portare in Italia il pensiero e le teorie 
di Shulze-Raffeisen è stato Luigi Luzzati.  Luzzati, giurista ed economista italiano 
fondatore della Banca Popolare di Milano e sin da giovane età interessato al mondo 
della cooperazione bancaria, ha avuto un compito ancora più difficile, probabilmente, 
dei suoi due contemporanei tedeschi. Infatti tale modello, affinché fosse in grado di 
funzionare, ha necessitato di una fase iniziale di adattamento alle diverse realtà locali 
in quanto esso era basato su un forte legame con il territorio e su rapporti diretti con i 
                                                 
4
 Saccomanni F. [2010].
12 
 
membri delle comunità locali
5
. Il modello pensato dalla Germania non poteva essere 
traslato in Italia sic et simpliciter, o tanto meno in qualsiasi altro paese, senza che 
fosse stato posto in essere in via preliminare un processo di adattamento alla 
specifica realtà di riferimento. Secondo il modello di Shulze, infatti, le Banche 
Popolari dovevano detenere un capitale proprio formato da azioni di grosso taglio e 
ciascun socio avrebbe dovuto sottoscrivere almeno un’azione. Solo ed 
esclusivamente a questi, inoltre, la banca avrebbe potuto concedere prestiti. La 
funzione del capitale sarebbe stata quella di rappresentare, in caso di default della 
banca, il primo fondo di esercizio ma non era preclusa la possibilità per l’istituto di 
effettuare una raccolta, sotto forma di depositi, anche da parte di  non soci 
corrispondendo ad essi un interesse
6
. In questo modello le condizioni fondamentali 
poste alla base del successo erano tre: 
 
 Che tali depositi non superassero, al massimo, il quadruplo del capitale 
sociale versato; 
 Che fosse applicato e mantenuto per tutta la vita dell’organizzazione il 
principio della responsabilità illimitata; 
 Che la maggior parte degli utili conseguiti fosse accantonata a riserva o 
venisse investita in iniziative di utilità sociale. 
 
Si tratta sicuramente di una visione molto chiusa volta a limitare, se non ad evitare 
del tutto, qualsiasi fattore di disturbo che possa pregiudicare la continuità e la solidità 
della banca nonché la capacità della stessa di concedere finanziamenti in primo luogo 
ai soci.  
Sebbene tale impostazione conobbe, come anticipato, un grande successo in 
Germania, Luzzati intervenne proprio su queste condizioni fondamentali quando ha 
portato tale modello in Italia. Egli in primo luogo ha abolito il principio della 
responsabilità illimitata. Pur volendo garantire come primo fine la solidità della 
banca insieme alla capacità di finanziare i soci, il Luzzati ha ritenuto che un 
                                                 
5
 Tarantola A. [2009]. 
6
 Saccomanni F. [2010].