7
parte dei casi, agire in maniera indiretta, finanziando i movimenti o le milizie 
che volevano al potere, oppure rifornendo di armi i governi amici.
1
 
In ogni caso, le superpotenze cercavano di non entrare palesemente negli 
affari africani, anche se il risultato finale corrispondeva a quello di un intervento 
diretto. E quando l’impiego dello strumento militare era tanto vistoso da non 
poter essere nascosto, veniva presentato come una forma di protezione della 
democrazia prima e come missione umanitaria poi. Di certo, il ruolo sempre 
maggiore di un’opinione pubblica sempre più presente e, soprattutto, informata, 
induceva i governi alla prudenza nell’affrontare questioni che avrebbero potuto 
provocare una crisi di consenso interno. 
Molti leader africani decisero di affiliarsi ad uno dei due blocchi sia per 
motivi ideologici sia, soprattutto, per usufruire di quegli aiuti che le due 
superpotenze utilizzavano come mezzo privilegiato per esercitare un’influenza 
politica interna.
2
 
                                              
1
 Sulle sfere d’influenza in Africa durante e dopo la Guerra Fredda vedi: J. Agnew, S. Corbridge, 
Mastering Space, New York, 1995. 
2
Sul tema vedi: G.R. Olsen, Western Europe’s Relations with Africa since the End of the Cold War, in 
“Journal of Modern African Studies” vol. 35 n° 2, Cambridge, 1997. 
 8
Alcuni fra essi, rifiutando quel mondo occidentale dal quale si erano 
liberati solo da pochi anni, nel tentativo di ritagliarsi una maggiore ricchezza, 
scelsero il blocco sovietico, dando vita ai cosiddetti socialismi africani. 
Le nuove credenze politiche ed ideologiche furono un fattore motivante 
per molti movimenti di resistenza e seppure nessuno di questi potesse comunque 
essere interamente ridotto alla scelta in favore di questo o quel blocco, non vi è 
dubbio che dalla propria collocazione essi si attendevano una forma di 
legittimazione internazionale, oltre che aiuti concreti. 
Gran parte dei movimenti di resistenza optò per un orientamento a 
sinistra, adottando dei modelli socialisti fino alle forme più radicali del 
marxismo-leninismo, ma non mancavano quelli che adottarono versioni più 
moderate del modello socialista.
3
 
Fu Nkrumah, primo Presidente del Ghana nel 1960, a dare forma e 
diffusione alla nozione di neocolonialismo, inteso come forma di dominio degli 
interessi stranieri sul capitale nazionale delle ex colonie dopo l’indipendenza, 
realizzato attraverso il controllo delle élite locali.
4
 E da tale neocolonialismo 
                                              
3
Un esempio di moderazione può essere, almeno nella sua prima fase, il socialismo ujamaa, attuato in 
Tanzania dal 1956 dal Presidente Julius Nyerere. 
4
A.M. Gentili, Il leone e il cacciatore, Roma, 1996, p.358. 
 9
occorreva liberarsi, emarginando queste élite attraverso l’appoggio, l’alleanza e 
finanziamenti dei paesi socialisti. 
Durante la Guerra Fredda, e specialmente negli ultimi anni, a differenza 
dell’Europa, l’Africa non fu un continente stabile. Ciò si dovette, 
essenzialmente, a due fattori. 
Alla fine degli anni Settanta, una rivoluzione ideologica si affermò nelle 
istituzioni finanziarie internazionali. Le teorie neoclassiche della crescita 
economica trainata dal mercato prevalsero sulla teoria che assegnava una 
funzione centrale all’azione dello Stato in campo economico. Per mantenere gli 
aiuti e i finanziamenti internazionali, i Capi di Stato africani furono allora 
costretti a ridurre le proprie amministrazioni, liberalizzare i prezzi e cancellare o 
ridimensionare le opere pubbliche in corso. 
Alcuni Stati riuscirono a resistere sfruttando la conflittualità tra i due 
blocchi e negoziando le condizioni per sottoporsi al patronato di una delle 
superpotenze. Gli unici che riuscirono veramente a superare questo shock 
economico improvviso furono tuttavia quei regimi che esportavano le materie 
prime e le risorse naturali più richieste dal mercato mondiale, come Gabon, 
Nigeria e Zaire. 
 10
Gli anni Ottanta videro poi l’inizio del sostegno attivo alle campagne di 
destabilizzazione da parte dei due blocchi. Truppe straniere si stanziarono in 
Africa, giocando un ruolo di primo piano in molti conflitti africani. 
Durante questi anni, fu normale che le maggiori potenze rifornissero di 
armi, assistenza tecnica e logistica i loro clienti ed amici africani sperando che 
essi potessero prevalere nei loro conflitti civili interni. Gli Stati Uniti, ad 
esempio, fornirono assistenza militare alla Liberia, alla Somalia, al Sudan e 
all’Unita
5
 dell’Angola
6
. 
L’Urss invece diede armi all’Etiopia, al Governo del Mozambico e al 
Mpla
7
 dell’Angola, che si opponeva agli attacchi dell’Unita armato dagli 
americani, distinguendosi come il maggior fornitore di aiuti militari ai governi 
amici africani. 
In molti casi, anche il Belgio e, soprattutto, la Francia mandarono truppe 
in aiuto dei regimi delle loro ex colonie, non riuscendo a resistere alla 
tentazione di intervenire in territori che consideravano ancora come proprie 
dipendenze. 
                                              
5
União Nacional para a Independência Total de Angola. 
6
Per approfondimenti cfr.: S.J. Stedman, Conflict and Conciliation in Sub-Saharan Africa, Cambridge-
USA, 1996. 
 11
Il tentativo di portare nelle proprie sfere d’influenza i nuovi Stati africani 
generò una sorta di nuovo Scramble for Africa
8
, nel quale gli Stati africani 
beneficiarono di aiuti tecnologici, logistici o personali in cambio di un supporto 
ideologico e, ovviamente, di un mercato in più da sfruttare da parte della 
potenza donatrice. Molti leader africani approfittarono dello scontro fra i 
blocchi per ricevere quanti più aiuti possibili da entrambi gli schieramenti, con 
comportamenti ambigui che facevano leva sulla rivalità tra le due sfere 
d’influenza. 
L’Africa fu interpretata dalle grandi potenze come un’arena da 
conquistare per fini strategici, ideologici ed economici, anche se nel Continente 
Nero non si raggiunsero mai quei livelli di tensione di altre parti del mondo. 
Le due superpotenze si affrontarono in Africa attraverso azioni 
“indirette”, senza mai venire in contatto diretto. I contrasti esistevano, è vero, 
ma erano intesi come tentativo dell’una o dell’altra di prevalere in un ambito 
quasi “sperimentale”; laddove l’esperimento fosse risultato vittorioso, forse si 
sarebbe usato stavolta su scala mondiale. 
                                                                                                                                   
7
Movimento Popular de Libertação de Angola. 
8
L’espressione Scramble for Africa venne usata per la prima volta per descrivere la “zuffa” che si 
scatenò fra le potenze europee per la spartizione dell’Africa decisa al Congresso di Berlino del 1884. 
 12
L’Africa fu quindi usata come “banco di prova” dalle due superpotenze 
che, comunque, sapevano che nessun contrasto in quel continente avrebbe mai 
portato ad una escalation nucleare, anche per la mancanza di interessi strategici 
propriamente vitali, almeno nella regione dell’Africa sub-sahariana.
9
 
Sotto questo profilo, paradossalmente, per gli Stati più stabili, la Guerra 
Fredda fu un momento molto florido, seppure i conflitti e gli scontri covassero 
sotto la cenere.
10
 
Nel dicembre del 1988, gli Stati Uniti presiedettero alla firma 
dell’accordo di pace che avrebbe portato le truppe sudafricane, cubane e 
sovietiche a ritirarsi dall’Angola, dando l’indipendenza alla Namibia. 
Tre anni dopo, il Governo del Mpla e l’Unita poterono così firmare la 
temporanea cessazione delle ostilità a Lisbona nel maggio del 1991, sei giorni 
dopo che le ultime truppe cubane erano ripartite dall’Angola. La sconfitta 
dell’Urss in Africa è quindi maturata parallelamente alla ritirata di Mosca 
dall’Europa Centro-Orientale. 
                                              
9
Sulle sfere d’influenza africane vedi: C. Landsberg, F. Kornegay, The Western Powers, South Africa 
and Africa: Burden Sharing, Burden Shift, and Spheres of Influence, Centre for policy Studies, Cape 
Town, 1998. 
10
Sul conflitto Usa-Urss in Africa cfr.: O. Furley, Conflict in Africa, London, 1995 e K. Somerville, 
Foreign Military Intervention in Africa, New York, 1990. 
 13
L’uscita dei cubani e dei sovietici dall’Angola mise fine all’influenza del 
blocco sovietico nella regione. Gli Stati Uniti rimpiazzarono il Sudafrica come 
principale sostenitore dell’Unita in opposizione al Governo del Mpla. 
Erano state verosimilmente le risorse naturali e la posizione strategica 
dell’Angola ad aver attirato l’amministrazione Bush, dato che l’Africa aveva 
sempre faticato a trovare spazi, fino a quel momento, nella politica estera 
americana. 
1.2. L’Africa dal contrasto Usa-Urss alla competizione franco-
americana 
1.2.1. La politica sovietica in Africa 
Come si è già detto, la politica estera sovietica in Africa aveva un punto 
fermo nella promozione delle idee rivoluzionarie e nella preservazione del 
socialismo nel continente. Nell’Africa australe, l’Urss si appoggiava all’Angola 
e al Mozambico, che si erano date, sotto le direttive sovietiche, dei regimi 
politici di impronta marxista-leninista. L’Urss era anche il principale fornitore 
di assistenza militare e logistica dell’African National Congress in Sud Africa.
11
 
                                              
11
Per un quadro generico dei rapporti sovietici con l’Africa vedi: C. Cocker, NATO, the Warsaw Pact 
and Africa, London, 1985. 
 14
In Angola, il supporto militare sovietico era finalizzato a garantire il 
controllo della capitale Luanda al Mpla e di conseguenza il controllo sulla vitale 
estrazione di petrolio nell’énclave di Cabinda, a nord di Luanda. Perdere il 
controllo della capitale avrebbe voluto dire compromettere lo sfruttamento delle 
risorse di questa énclave. 
Tuttavia, pur essendo rivali sia politicamente che militarmente 
nell’Africa Sud-Occidentale, il Sud Africa e l’Unione Sovietica, mantennero un 
patto di ferro sul mercato dei diamanti e dell’oro. La De Beers poté così 
tranquillamente, anche nel pieno della Guerra Fredda, estrarre diamanti dalle 
miniere nel nord dell’Angola.
12
 
Esaminando la politica sovietica nei riguardi degli Stati dell’Africa 
centro-meridionale è evidente come le motivazioni commerciali ed economiche 
avessero giocato un ruolo di primo piano. 
La fornitura sovietica di armi ai vari movimenti rivoluzionari non portava 
all’Urss alcun particolare ritorno finanziario, poiché quasi nessun movimento 
aveva a disposizione valuta per pagare le forniture sovietiche. Però, queste 
                                              
12
Sui rapporti fra l’Urss e l’Africa australe cfr.: K. M. Campbell, Southern Africa in Soviet Foreign 
Policy, London, 1988. 
 15
forniture procuravano vantaggi di natura politica che sarebbero potuti essere 
utili in un secondo tempo. 
Invece, la vendita di armi ai governi rendeva anche contropartite 
finanziarie: l’Angola ha pagato i rifornimenti d’armi da parte sovietica con le 
risorse provenienti dalla vendita all’Occidente del petrolio estratto a Cabinda. 
L’Urss, inoltre, riceveva il 75% del pescato annuo oltre che dell’Angola anche 
del Mozambico che, evidentemente, non era in grado di fornire di meglio.
13
 
1.2.2. I rapporti Urss-Sud Africa 
Il principale obiettivo economico dell’Unione Sovietica nell’Africa 
australe era verosimilmente rappresentato dalle riserve minerarie locali, e lo 
stesso era per il principale rivale sovietico nella regione, il Sud Africa.
14
 
Per più di trent’anni, l’Urss e il Sud Africa hanno controllato il mercato 
internazionale delle gemme di qualità e buona parte del mercato dell’oro, con 
scambi di informazioni, di esperti e di tecnologia. Queste relazioni clandestine 
nell’ambito del mercato dei diamanti, dell’oro e del platino, in apparenza, 
contrastavano con il desiderio dell’Unione Sovietica di veder scoppiare la 
                                              
13
Cfr. C. Cocker, Op. Cit., London, 1985. 
14
Per approfondimenti sui rapporti fra Urss e Sud Africa e soprattutto per ciò che riguarda l’intesa 
commerciale con la De Beers vedi: K.M. Campbell, Op. Cit., London,1988, ed anche R.A. Siddiqui, 
Sub-Saharan Africa: a Sub-Continent in Transition, Aldershot, 1993. 
 16
rivoluzione in Sud Africa, attestato dalla fornitura di armi all’African National 
Congress. 
Il Sud Africa possedeva rilevanti riserve di minerali fra i quali il cromo, 
un ingrediente essenziale per la produzione di metalli anti-corrosione usati per 
la produzione di aerei militari, navi e carri armati. E poiché il cromo si può 
trovare solo in Sud Africa e nello Zimbabwe, oltre che nella stessa Urss, un 
embargo di questo materiale contro gli Stati Uniti li avrebbe resi più vulnerabili 
di uno, per esempio, di petrolio. Lo stesso discorso si potrebbe fare per il 
manganese, il vanadio e il platino.
15
 
La strategia sovietica nei diversi mercati minerari si basava unicamente 
su stretti rapporti segreti col Sud Africa, che erano finalizzati al mantenimento 
dei prezzi più alti possibili. Su questo punto esisteva un’evidente saldatura 
d’interessi tra Mosca e Pretoria. Le ingenti entrate di valuta erano infatti 
indispensabili per le economie di entrambi i Paesi. 
Per il Sud Africa, contava soprattutto il prezzo dell’oro. L’oro e i 
diamanti erano infatti per Pretoria l’unico mezzo per interagire col mercato 
mondiale, nessun altro prodotto potendo giustificare il rischio di essere 
                                              
15
Cfr.: J. Agnew, S. Corbridge, Op. Cit., New York, 1995. 
 17
condannati dall’opinione pubblica per intrattenere delle relazioni con uno Stato 
che praticava apertamente l’apartheid.
16
 
1.2.3. L’accordo dell’Unione Sovietica con la De Beers 
Questa spiegazione della collaborazione tra Unione Sovietica e Sud 
Africa, in teoria, cozza col fatto che la Anglo-American Corporation of South 
Africa, e la sua compagnia sorella, la De Beers Consolidated Mines of South 
Africa, controllavano la maggior parte dei mercati dell’oro, del platino e 
diamanti del mondo occidentale. 
La sola De Beers gestiva oltre l’80% del mercato mondiale di diamanti di 
qualità.
17
 In apparenza il Sud Africa non avrebbe quindi avuto motivo di cercare 
una collaborazione con l’Urss che lo avrebbe portato a rinunciare ai propri 
privilegi monopolistici. Ma fu proprio la volontà di non perdere del tutto questa 
situazione vantaggiosa a far propendere per la strada dell’accordo. 
Infatti, la scoperta di giacimenti diamantiferi in Siberia rischiava di 
compromettere la posizione della De Beers sul mercato mondiale. Così la De 
                                              
16
Cfr.: K. M. Campbell, Op. Cit., London, 1988. 
17
Cfr.: M. Bapuwa, Rénegociation des contrats miniers, in “Jeune Afrique Economie” n°259, Paris, 
1998. 
 18
Beers decise di far entrare l’Urss nel suo cartello, anticipando delle conseguenze 
che sarebbero state altrimenti inevitabili. 
Sul piano internazionale, tuttavia, il Sud Africa aveva rotto le relazioni 
con Mosca a causa della scoperta di complicità sovietiche con il partito 
comunista sudafricano.
18
 In queste condizioni, le prospettive per un accordo non 
erano certo delle migliori. 
La De Beers propose allora di acquistare l’intera produzione sovietica di 
diamanti ad un prezzo che sarebbe stato rinegoziato ogni anno. Questo accordo 
andò in porto, ma restò segreto per ovvie ragioni di politica internazionale. 
Da quando la politica sovietica ufficiale iniziò a sostenere la lotta di 
liberazione nazionale sudafricana contro i settler bianchi, l’Urss insistette 
affinché la De Beers negasse l’esistenza di qualsiasi relazione commerciale con 
essa. Non sarebbe certo stato positivo per la propaganda sovietica che si 
rendesse palese al mondo che mentre il Cremlino finanziava la lotta di 
liberazione sudafricana, allo stesso tempo intratteneva relazioni commerciali 
con la più importante azienda appartenente al mondo dei settler bianchi. 
                                              
18
Per approfondimenti vedi: J. Stedman, Conflict and Conciliation in Sub-Saharan Africa, Cambridge-
USA, 1996. 
 19
Ovviamente, la De Beers fu ben felice di tenere segreto l’accordo che le 
garantiva il dominio incontrastato del mercato dei diamanti. L’Urss agiva a 
favore della De Beers anche in Angola, usando la sua influenza per convincere 
l’Mpla a fare accordi con la De Beers, che commercializzava così i diamanti 
grezzi estratti dalla miniere angolane.
19
 
Anche l’oro era un oggetto delle relazioni Urss-Sud Africa. Nonostante 
manchi un consenso generale riguardo al coordinamento fra i due Paesi su 
questo mercato e non ci sia una documentazione evidente di collusione, ci sono 
numerosi esempi di comunicazione fra Urss e Sud Africa in materia di controllo 
e gestione del mercato aurifero. Non c’è dubbio sul fatto che i due Stati si 
consultassero su tutti gli aspetti: dall’esplorazione alla ricerca, dalla produzione 
alla commercializzazione. Ma la funzione di questi meeting così discreti 
sembrava essere più quella di riuscire a capire le intenzioni dell’altro e di 
scambiarsi informazioni utili per entrambi piuttosto che di concordare una vera 
e propria strategia di vendita e di sfruttamento come è stato fatto con i 
diamanti.
20
 
                                              
19
Cfr.: M. C. Simonet, L’Angola, in “Afrique contemporaine” numero speciale, Paris, 1997. 
20
Cfr.: G. Hamilton, Les multinationales européennes en Afrique du Sud, Genève, 1986. 
 20
I due Stati detenevano anche il 95% della produzione mondiale di 
platino: un accordo tacito esisteva per mantenerne alto il prezzo. L’Urss agiva 
per preservare il carattere lucrativo di questo mercato insieme col Sud Africa, 
mentre quest’ultimo destabilizzava militarmente l’Angola e il Mozambico, i 
maggiori alleati sovietici nell’Africa australe. 
Intanto, l’Urss continuava a dichiarare di non avere alcun tipo di contatto 
col Sud Africa, la “cittadella razzista dell’apartheid”.
21
 
1.2.4. L’impegno cubano e sovietico in Angola e le sue conseguenze a 
lungo termine 
Il conflitto in Angola e Namibia è probabilmente il punto dove le due 
superpotenze sono venute maggiormente a contatto nella loro politica estera 
africana. 
Per circa due decenni, una parte del sub continente australe è stata infatti 
un campo dove l’antagonismo Est-Ovest si poteva sviluppare senza rischiare di 
degenerare in un confronto militare globale, inevitabilmente nucleare, ancorché 
avesse comunque luogo un conflitto armato. 
                                              
21
Izvestiya, 18/4/81- Mosca.