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Introduzione 
 
La Repubblica del Sudan del Sud, nasce ufficialmente il 9 luglio 2011 a 
seguito del referendum, tenutosi dal 9 al 15 gennaio 2011. Il percorso 
che ha condotto all’indipendenza e alla formazione di una nuova 
nazione è stato lungo e tortuoso. Prima dell’indipendenza il Sudan del 
Sud faceva parte del più grande stato africano, il Sudan. Le ragioni 
che hanno portato il popolo della regione meridionale a chiedere 
l’indipendenza hanno radici molto profonde, e riguardano soprattutto 
la diversità etnica, religiosa e culturale tra nord e sud; infatti, a fronte 
di un nord basato sulla sharia, si è da sempre contrapposto un sud di 
credo prevalentemente animista e cristiano. La lotta per 
l’indipendenza è iniziata intorno al 1955 quando, dopo la liberazione 
del Sudan dalla dominazione anglo-egiziana, il governo centrale si 
rifiutò di rispettare gli accordi di costituire uno stato federale lasciando 
ampia autonomia al sud. Tale evento comportò l’aumento delle 
tensioni che si trasformarono presto in un vero e proprio conflitto 
durato diciassette anni, fino al 1972, anno in cui nacque il South 
Sudan Liberation Movement (SSLM), la prima struttura unificata per le 
forze separatiste; in quello stesso anno furono firmati gli Accordi di 
Addis Abeba, che ponevano fine al conflitto, e concedevano al Sud una 
singola regione amministrativa con vari e definiti poteri 
amministrativi. Tuttavia la tregua non durò a lungo, infatti, il nuovo 
leader del governo di Khartoum, Numairi, decise di non mantenere gli 
accordi di Nairobi, imponendo di fatto la sharia a tutto il Sudan. Così 
durante i primi anni ottanta l’ala militare del Splm, il Sudan People’s 
Liberation Army (Spla) reagì con forza a questa imposizione; nel giro 
di pochi anni la rivolta si espanse a tutta la regione meridionale. Il 
conflitto del Sudan, meglio noto come seconda guerra civile sudanese, 
è stata una tra le più violente e lunghe dalla fine della seconda guerra 
mondiale. Il conflitto termina nel 2005 con la firma del Comprehensive
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Peace Agreement, ossia un insieme di accordi firmati da entrambe le 
parti in lotta; l’accordo stabiliva che dopo un periodo di transizione di 
sei anni e undici mesi, la regione meridionale del Sudan, avrebbe 
potuto, dopo un referendum popolare, dichiarare la propria 
indipendenza. Nel corso della nostra analisi abbiamo voluto 
approfondire il caso della secessione del Sudan del Sud, analizzando i 
fattori che hanno portato alla nascita di un nuovo stato indipendente e 
internazionalmente riconosciuto; la secessione del Sud Sudan ha 
comportato diverse problematiche non solo al governo di Khartoum, 
ma anche all’intera regione centrale dell’Africa coinvolgendo la 
comunità internazionale, rappresentata sia dai diversi stati coinvolti 
nel processo di pace, sia dalle organizzazioni regionali e internazionali,  
come le Nazioni Unite. E’ bene sottolineare che il processo di 
secessione è un processo lungo e con conseguenze difficili da 
prevedere sia per chi la subisce, sia per chi la ottiene. Le 
problematiche portate dalla secessione non sono solamente politiche,  
ma toccano in particolar modo le norme di diritto internazionale. Il 
rapporto esistente tra secessione e diritto internazionale ha sempre 
destato l’interesse dei giuristi: in particolar modo è  l’emergere di un 
nuovo stato a scapito di un altro che suscita l’attenzione, perché da 
ciò ne deriva lo sconvolgimento della società internazionale e le 
fondamenta sulle quali questa si basa. Il problema della secessione è 
che essa si pone tra due principi che costituiscono le fondamenta del 
diritto internazionale; da un lato il diritto all’autodeterminazione, che è 
sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, e dall’altro lato il diritto degli 
Stati all’integrità territoriale. Questa dicotomia tra autodeterminazione 
e integrità territoriale divide gli studiosi e di fatto rende la secessione 
un atto non universalmente riconosciuto, la cui applicazione comporta 
nella maggior parte dei casi lunghe guerre e il non riconoscimento 
delle entità costituite da parte della comunità internazionale. Questo 
non è il caso che ci accingiamo a studiare; la Repubblica del Sudan del 
Sud, ha dovuto affrontare una guerra più che ventennale per
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raggiungere la propria indipendenza, ma questa è stata poi resa 
legittima dalla volontà del popolo attraverso il referendum, e 
riconosciuto dalla comunità internazionale. Data la complessità della 
questione, abbiamo deciso di iniziare la nostra analisi parlando, nel 
primo capitolo, della secessione nel diritto internazionale. L’analisi che 
verrà fatta nel primo capitolo, parte dal principio di 
autodeterminazione, quindi dal suo inserimento nella Carta delle 
Nazioni Unite e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, in 
cui si afferma l’importanza della volontà del popolo di legittimare la 
propria forma di governo; al principio in questione viene data la 
qualifica di diritto in seguito al suo inserimento nei Patti delle Nazioni 
Unite, sui diritti Civili e Politici uno, e sui diritti Economici, Sociali e 
Culturali l’altro, adottati entrambi nel 1966. Nel corso della nostra 
analisi, abbiamo seguito lo sviluppo normativo del principio di 
autodeterminazione, della sua collocazione nei Patti internazionali e 
nelle Convenzioni, che hanno reso il principio un vero e proprio diritto 
all’autodeterminazione; prima però di continuare con l’analisi di tale 
sviluppo, abbiamo preferito soffermarci sull’importanza di chiarire il 
significato di tale principio, ossia abbiamo cercato di capire cosa si 
intendesse per diritto all’autodeterminazione. In tal senso abbiamo 
operato la classica distinzione tra autodeterminazione interna ed 
autodeterminazione esterna. Abbiamo inoltre ritenuto indispensabile 
offrire in concomitanza con il significato del concetto di 
autodeterminazione il significato di popolo, poiché riteniamo di 
fondamentale importanza, per i fini della nostra analisi, capire chi 
siano i destinatari dell’autodeterminazione. Questo concetto è 
fondamentale perché, come vedremo nell’ultimo capitolo della nostro 
lavoro, spiega il motivo dell’importanza della consultazione popolare, e 
perché dà legittimità allo stato di nuova formazione. Ma tornando al 
primo capitolo, vedremo come il diritto di autodeterminazione si 
sviluppa all’interno del corpo normativo internazionale, per giungere 
poi alla domanda sull’esistenza o meno di un diritto di secessione. La
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questione sull’esistenza o meno del diritto di secessione è stato 
oggetto di diversi studi e diverse interpretazioni. Il riconoscimento di 
tale diritto infatti, va contro un altro diritto riconosciuto agli stati: 
quello di preservare la propria integrità territoriale; tuttavia nelle 
norme di diritto internazionale non vi è nessun riferimento a un pieno 
riconoscimento di tale diritto così come non vi è nessun esplicito 
divieto alla secessione. In mancanza quindi di una norma che esplichi 
lo status giuridico della secessione, non possiamo che basarci 
sull’interpretazione delle norme di diritto internazionale vigenti. Nel 
corso del capitolo abbiamo fatto riferimento, al pensiero del Tancredi, 
il quale afferma che possa desumersi dal diritto internazionale una 
serie di elementi che guidano gli stati a una secessione legittima. 
Secondo Tancredi è importante che gli stati al fine di essere 
riconosciuti seguano determinate regole tra le quali: il consenso 
popolare, l’assenza di un coinvolgimento militare, sia diretto che 
indiretto, e infine il rispetto del principio dell’uti possidetis. Vedremo 
nel corso della nostra analisi come tale ultimo principio sia di 
fondamentale importanza, specialmente in Africa dove i confini 
nazionali sono di nuova formazione. Lo scopo del principio di integrità 
territoriale è quello di proteggere lo Stato dalla perdita diretta o 
indiretta del controllo sul proprio territorio; tuttavia per godere del 
principio di integrità territoriale gli stati devono rispettare alcune 
regole fondamentali, come: il rispetto dei diritti umani e il 
riconoscimento del diritto di autodeterminazione. E’ la stessa 
Risoluzione dell’Assemblea Generale 3382(XXX) del 10 novembre 
1975 che riconosce che il principio di unità territoriale non può essere 
considerato una garanzia per tutti gli Stati ma solo per quelli che 
rispettano i principi di diritto internazionale, riconoscono il diritto di 
autodeterminazione, e hanno un governo democratico rappresentativo 
dell’intera popolazione; quindi è in base a queste limitazioni che si 
inserisce la possibilità per i popoli di chiedere l’autodeterminazione. 
Nell’ultimo paragrafo del primo capitolo, analizzeremo i casi
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secessionisti e vedremo come questi possono essere di due tipi, vi 
sono infatti, quei casi in cui la secessione avviene per via di un 
accordo tra le parti, è il caso questo del Senegal dal Mali ad esempio; 
oppure vi sono casi in cui la sola richiesta di secessione comporta lo 
spargimento di sangue, ad esempio come nel caso del Biafra o del 
Sudan del Sud. E’ bene ricordare che, nonostante il diritto 
internazionale non vieti la secessione, la comunità internazionale, e 
nel caso specifico, l’OUA si sono sempre dimostrate avverse al 
riconoscimento dell’autodeterminazione secessionista. Chiuderemo il 
primo capitolo consci del fatto che il diritto alla secessione è 
sicuramente riconosciuto ai popoli, ma tale riconoscimento si scontra 
spesso con la volontà dei governi di proteggere la loro sovranità sul 
proprio territorio e diventa perciò difficile per i movimenti secessionisti 
ottenerne la legittimazione. Inoltre la mancanza di una norma esplicita 
sulla secessione porta gli stati e le organizzazioni internazionali a 
preferire il principio dell’uti possidetis rispetto a quello di secessione. 
Vedremo nel secondo capitolo che ciò è particolarmente vero in Africa, 
dove l’OUA ha fatto dell’integrità territoriale degli stati un obiettivo 
della sua esistenza. L’organizzazione quando è stata chiamata ad 
intervenire nei casi di conflitti interni degli stati ha sempre fatto 
riferimento alla difesa intransigente della sovranità. Come avremo 
modo di spiegare nel corso del secondo capitolo questo atteggiamento 
dell’OUA è dovuto alla recente costituzione degli Stati africani i cui 
confini sono stati delineati dopo il processo di decolonizzazione. 
Questa priorità ha portato l’OUA a mettere in atto meccanismi ad hoc 
per la risoluzione delle controversie, i quali hanno prediletto il 
raffreddamento delle tensioni e il contenimento dei conflitti, cercando 
però di non entrare nel merito delle cause di quest’ultimi ed evitando 
in questo modo di schierarsi a favore di una o dell’altra fazione. Come 
vedremo anche nell’ultimo capitolo della nostra analisi, l’intervento 
delle organizzazioni regionali ha sicuramente dato un apporto 
importante per il contenimento dei conflitti ma ciò non è servito alla
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soluzione del problema. Tutto ciò è deducibile da una serie di casi che 
andremo ad analizzare nel corso del secondo capitolo; ci è sembrato 
opportuno, prima di affrontare la secessione del Sudan, prendere in 
considerazione diversi casi secessionisti susseguitesi in Africa. Tale 
esigenza risiede nel voler verificare l’esistenza di elementi comuni nei 
vari casi secessionisti e come questi contribuiscano a chiarire il 
rapporto tra secessione e diritto internazionale. Seguendo questa 
logica affronteremo i casi più importanti degli ultimi anni: la 
secessione dell’Eritrea dall’Etiopia, le vicende delle isole Comore e del 
Somaliland, per giungere infine al caso del Sudan. La secessione del 
Sudan del Sud, come avremo modo di vedere rappresenta un caso 
unico nella storia delle secessioni nel continente africano, in primo 
luogo per la durata e la violenza scatenata durante il conflitto, in 
secondo luogo perché ad animare le rivendicazioni del sud non vi 
erano solo le solite motivazioni di carattere politico ed economico, ma 
soprattutto latenti sentimenti religiosi, etnici e culturali. Vedremo 
come in particolar modo è stato il fattore religioso a scatenare la 
seconda guerra civile tra il nord islamico e il sud cristiano, animista. 
L’importanza del caso del Sudan, risiede anche nel numero di Paesi 
che sono stati coinvolti nel suo processo di pace. Il Sudan confina con 
nove Paesi e noi ne approfondiremo il coinvolgimento diretto e 
indiretto nei colloqui di pace e nei negoziati tra Khartoum e Juba. Tra i 
diversi tentativi di riconciliazione di particolare rilevanza risulteranno: 
l’accordo firmato a Nairobi nel 1998 tra Khartoum e il Spla, che 
prevedeva l’indizione di un referendum popolare per decidere sulle 
sorti del paese, e il Comprehensive Peace Agreement. L’accordo di 
Nairobi si rivelerà importante poiché con tale accordo viene 
riconosciuto al popolo del Sudan il diritto all’autodeterminazione, e 
questo riconoscimento di riflesso concede al governo di Khartoum di 
poter godere a pieno titolo del principio di integrità territoriale anche 
se rimane il fatto che il popolo del Sud Sudan non si è mai sentito 
rappresentato da Khartoum. Al secondo trattato, il Comprehensive
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Peace Agreement, firmato a Nairobi il 9 gennaio del 2006, 
dedicheremo un intero paragrafo, perché come vedremo rappresenta 
il punto di svolta nella storia del Sudan in quanto pone fine a due 
decenni di guerra civile tra il Sud e il governo centrale del Nord. 
L’accordo di pace è il risultato di sei accordi distinti che si pongono 
diversi obiettivi: il Protocollo di Machakos con il quale le parti 
concordano un quadro generale sui principi di governance, sul 
processo di transizione e sulle strutture di governo; il Protocollo on 
security arrangements; il Protocollo on wealth-sharing; il Protocollo on 
Power-sharing; il Protocollo sulla risoluzione del conflitto nel Kordofan 
meridionale, nella provincia di Nuba e nel Blue Nile State; e infine il 
Protocollo sulla risoluzione del conflitto nella regione Abyei. Come 
vedremo l’obiettivo comune agli accordi è quello di porre una tregua 
alla guerra civile, instaurare un periodo di transizione politica durante 
il quale le strutture di governo avrebbero dovuto essere adattate in 
modo da consentire la convivenza e la collaborazione tra Cpn e 
Splm/A; l’obiettivo primario rimaneva comunque l’unità del Sudan, la 
possibilità di una secessione non era stata contemplata inizialmente, 
anche se il CPA prevedeva alla fine del periodo di transizione, della 
durata di sei anni, l’indizione di un referendum con il quale il popolo 
del Sud avrebbe potuto decidere se continuare a far parte del Sudan o 
decidere della propria indipendenza. L'accordo ha creato il governo 
autonomo del Sud Sudan (Goss), con una costituzione propria, basata 
su leggi consuetudinarie e valori non appartenenti alla sharia. 
L’implementazione dell’accordo non è stato privo di problemi, anzi fin 
da subito è stato chiaro come nonostante la tregua, il problema non 
fosse stato ancora risolto; a peggiorare le cose nel 2005, vi fu la 
morte di John Garang, il presidente della regione meridionale, e il 
fondatore del Splm, da quel momento in poi l’ala più conciliante del 
partito non esisterà più, e le tensioni tra nord e sud aumenteranno, 
inoltre nel 2008 il Presidente al-Bashir è stato condannato dalla Corte 
Penale Internazionale per crimini contro l’umanità e genocidio. Negli
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anni seguenti i preparativi per il referendum, si sono tenuti in un clima 
di ostilità legata soprattutto ai confini della regione Abyei, che per 
lungo tempo ha rappresentato la fonte di ricchezza del paese. Data 
l’impossibilità di trovare una soluzione alla disputa, le due parti 
coinvolte hanno deciso di sottoporre la questione ad un Panel. Il Panel 
è giunto ad una decisione il 22 luglio 2009, risolvendo in gran parte i 
problemi relativi ai confini tra Nord e Sud, e lasciando poi le sorti del 
Paese nelle mani del popolo che è stato chiamato a decidere sulla 
secessione nel gennaio 2011. Nel corso del nostro lavoro vedremo 
come in realtà la questione sulla provincia Abyei è ancora irrisolta, 
infatti il referendum previsto, con il quale il popolo di Abyei avrebbe 
dovuto decidere se far parte del Sudan o del Sudan del Sud, è stato 
rimandato a data da stabilire. Discutere del caso di Abyei e delle altre 
due regioni del Sudan, il Kordofan meridionale e il Blue Nile State, ci è 
sembrato doveroso per avere una visione completa delle 
problematiche del Sudan, che hanno reso la sua secessione un caso 
sui generis. Queste tre regioni si trovano al confine tra la parte 
islamica del Sudan, quindi il Nord, e la parte cristiana del Sudan, cioè 
quella che oggi costituisce il Sud Sudan, e sono state per lungo tempo 
le “trincee” durante la guerra civile, sopportando gran parte del peso 
della guerra, sia in termini economici, sia in termini di vite umane. 
Vedremo come, mentre per il Kordofan meridionale e il Blue Nile, sia 
stato concesso una certa autonomia, anche se rimangono sotto il 
controllo di Khartoum, la regione Abyei è ancora oggi oggetto di forti 
tensioni tra Khartoum e Juba. Come vedremo, durante i negoziati per 
la regione di Abyei , tenutesi in Etiopia nel mese di ottobre 2010, il 
PCN ha suggerito la scissione della regione, e con esso anche la 
divisione delle sue ricchezze tra Sudan e la parte meridionale. La 
proposta è stata, comunque, considerata inaccettabile e quindi 
respinta. Sia il Sudan che il Sudan del Sud, si sono impegnate a 
raggiungere un accordo per risolvere la questione in occasione del 
prossimi incontri. La questione di Abyei è molto delicata, ed è
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importante che venga risolta presto, poiché da essa dipende 
l’equilibrio precario di tutta la regione. Come abbiamo accennato la 
secessione del Sudan ha avuto delle ripercussioni non solo interne, ma 
anche e soprattutto esterne; data la grandezza dello Stato, la 
questione sudanese ha coinvolto la maggior parte dei paesi confinanti. 
Nel corso del nostro lavoro analizzeremo le posizioni e le prospettive 
assunte dagli stati confinanti con il Sudan nel suo lungo cammino 
verso la secessione. Come vedremo tutti gli stati coinvolti nel processo 
di pace hanno cercato di mediare il conflitto cercando di non 
appoggiare né una parte né l’altra e  sono sempre stati favorevoli 
all’unità del Sudan, anche se la maggior parte di loro ha sempre dato 
sostegno ai movimenti secessionisti del sud; a questi ha fatto 
eccezione l’Egitto che si è sempre schierato a favore di Khartoum e 
non ha fatto parte dell’IGAD per l’implementazione del CPA. Il 
coinvolgimento di questi stati è stato fondamentale per il processo di 
pace e il corretto svolgimento del referendum. Concluderemo il 
secondo capitolo del nostro lavoro facendo un accenno al disastro del 
Darfur, non si può infatti parlare del Sudan senza soffermarsi sulla 
tragedia consumatasi nella regione occidentale del Paese. Come 
vedremo la vicenda del Darfur è da considerarsi una storia a sé, che 
non entra direttamente nel merito della questione sulla secessione; 
tuttavia, gli avvenimenti del Darfur hanno attirato l’attenzione della 
comunità internazionale in Sudan, e ciò è stato un fattore importante 
anche per gli avvenimenti relativi alla guerra civile che si stava 
consumando tra Khartoum e Juba. Concluderemo il nostro lavoro 
trattando nel terzo e ultimo capitolo dell’importanza che le 
consultazioni popolari hanno svolto in Sudan, del ruolo di mediazione 
svolto sia dalla comunità internazionale sia dalle organizzazioni 
regionali, e infine daremo un doveroso sguardo all’intervento delle 
Nazioni Unite in Sudan, che si è esplicato con l’invio delle missioni di 
pace, sia in Darfur, sia a Khartoum. Procedendo con ordine, parleremo 
innanzi tutto di quanto sia stato difficile per il popolo sudanese
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giungere al referendum che di fatto ha stabilito la secessione del 
Sudan del Sud dal Sudan, e che ha dato legittimità al nuovo Stato. 
Vedremo come il referendum del Sudan non possa essere considerato 
solo l’espressione della democrazia, ma è stata una vera e propria 
trattativa tra Khartoum e Juba per la spartizione del potere e della 
ricchezza. La strada che ha portato al referendum del 2011, è stata 
piena di ostacoli, posti da entrambe le parti in lotta; vedremo come il 
Ncp ha più volte provato a mettere pressione al Splm chiedendo di 
rimandare il voto, e sostenendo che non era possibile tenere  il 
referendum senza aver stabilito in precedenza i confini tra Nord e Sud, 
il partito di al-Bashir ha focalizzato la propria attenzione su una serie 
di contestazioni prettamente legali, prima fra tutte quella secondo cui 
la convocazione del referendum il 9 gennaio sarebbe avvenuta in 
violazione del Southern Sudan Referendum Act, il quale stabilisce che 
tra la registrazione degli elettori e la pubblicazione delle liste elettorali 
debbano trascorrere almeno tre mesi. Vedremo che è proprio in 
questo contesto di continua tensione che la consultazione popolare 
assume un significato importante, poiché ha allineato gli interessi 
politici dei due partiti agli interessi dello stato; il referendum ha 
costretto le parti politiche a cooperare sia per il loro reciproco 
vantaggio, sia per il beneficio del Sudan. La consultazione popolare 
avrà un significato molto importante per il Sudan, in quanto non solo 
legittimerà la secessione del Sud Sudan, ma costituirà per i due 
governi un test per esaminare e negoziare le strutture di governance 
nel periodo post-referendum, alla luce della necessità di dover 
modificare la Interim National Costitution (INC). La diretta 
partecipazione del pubblico diventa, quindi, sempre più un principio 
base sul quale costruire la nuova Costituzione, poiché riflettendo la 
volontà popolare, aumenta la sua legittimità e la sua credibilità. 
Inoltre tale processo di partecipazione popolare crea un maggior 
senso di identità nazionale  di senso civico del popolo sudanese che 
fino al luglio 2011 si era sempre sentito escluso dal governo. Nella
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parte finale del nostro lavoro parleremo del ruolo giocato dalla 
comunità internazionale, facendo riferimento anche al nostro Paese 
che insieme alla troika, composta da Stati Uniti, Regno Unito e 
Norvegia, ha lavorato per la mediazione fino alla firma degli accordi di 
pace del CPA. Sottolineeremo come alcuni stati, in particolar modo, 
Cina e Stati Uniti, sono intervenuti in Sudan non solo per le loro 
ideologie terzomondiste, ma anche per i propri interessi economici. 
Tuttavia, riconosceremo l’importanza del ruolo svolto da tutta la 
comunità internazionale in collaborazione con l’Igad e l’UA per lo 
sforzo compiuto nella ricerca di una mediazione in Sudan. Infine 
parleremo del Sudan e le Nazioni Unite, facendo particolare 
riferimento alle missioni inviate in Sudan dall’ONU, contribuendo al 
raggiungimento di una tregua tra il Cpn e il Splm. Inizieremo la nostra 
analisi dal 1997, quando il Segretario Generale delle Nazioni Unite, 
designa Mohamed Sahnoun suo consigliere speciale per l’Africa, con il 
compito di seguire da vicino le vicende del Sudan. Parleremo delle 
risoluzioni approvate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, 
facendo particolare riferimento a quelle relative l’approvazione 
dell’invio di missioni in Sudan, come la risoluzione 1547, con la quale 
ordina l’istituzione di una missione di pace chiamata UNAMIS ( United 
Nations Advance Mission). L’UNAMIS che sarà incaricata di facilitare i 
contatti con le parti interessate e di preparare l’introduzione del 
progetto delle Nazioni Unite per il sostegno alla pace. Vedremo come, 
le Nazioni Unite hanno operato molto in Sudan, sia nel processo di 
pace tra Nord e Sud, sia in Darfur. Cercheremo di capire se 
l’intervento dell’ONU sia stato importante o meno per la pace, e come 
sia stato gestito il difficile periodo transitorio che dalla firma del 
Comprehensive Peace Agreement ha portato al referendum del 2011.