6
grande novità 
(3)
. In tema di regime interpositorio è sufficiente guardare, ad esempio, 
all’articolo 2112 del codice civile ante novella ed alla ormai abrogata legge 1369/60 
per capire che esiste una vera e propria corrispondenza biunivoca fra questione 
economica e tutela del diritto al lavoro 
(4)
. 
Non stupisce, perciò, alla luce dell’articolo 85 comma 1, del decreto legislativo 
276/2003, l’attuale alleggerimento del “sistema-impresa”, anche sotto il profilo della 
pura e semplice organizzazione aziendale 
(5)
, legata alla continua ricerca  da parte 
dell’imprenditore di una maggiore efficienza produttiva, con la relativa riduzione dei 
costi del personale, per  svincolarsi da alcuni oneri e vincoli giuridico-amministrativi 
come, e soprattutto, l’eccessiva ricerca della stabilità del posto di lavoro. Una cosa è, 
tuttavia, il tentativo di modernizzare  regole giuridicamente antiche  adattandole al 
sistema economico in continuo fermento, come già aveva provato a fare il nostro 
Legislatore con il lavoro interinale 
(6)
, altra sono “(…) le convinzioni [ed i] (…) 
desideri  (…) dopo la “rottamazione” di una normativa tanto remota e (…) simbolo 
di rigidità (…) [che hanno spinto] le attese di una massa di “utenti”, suggestionate 
dal messaggio di flessibilità e di modernizzazione del decreto Biagi, (…) malgrado le 
avvertenze degli stessi ideatori della riforma, [verso la]  facile equazione per cui 
                                                 
(3)
 Per R. DEL PUNTA, Le molte vite del divieto di interposizione nel rapporto di lavoro, in RIDL, 2008, II, 129: “Il 
tema delle esternalizzazioni, e delle regolazioni che faticosamente cercano di rincorrerle (quanto meno entro i confini 
nazionali) è stato affrontato, in più occasioni in un’ampia prospettiva funzionalistica, in effetti più adatta a valorizzare 
le interrelazioni dinamiche tra i diversi istituti (in primis, fra la cessione di ramo d’azienda e l’appalto di opere e 
servizi)  (...)”, con riferimento anche allo scritto di R. DE LUCA TAMAJO (a cura di), I processi di esternalizzazione. 
Opportunità e vincoli giuridici, ESI, Napoli, 2002. 
(4)
 R. DE LUCA TAMAJO, op. ult. cit., 168: “(…) Massimamente esposto a questa feconda contaminazione è il diritto 
del lavoro che trova financo origine d’essere nelle trasformazioni nel modo di produrre (…)  e che  nel suo corso 
evolutivo appare costantemente influenzato da variabili organizzative e socio-enonomiche (…)”. 
(5)
 Cfr., in questo ambito e con un certo senso critico, R. DEL PUNTA, Le molte vite del divieto di interposizione nel 
rapporto di lavoro, cit., 129-130: “Il punto di domanda, anzitutto sull’interrogativo preliminare, è giustificato dal fatto 
che, nel dibattito seguito alla riforma del 2003, (…) L’incertezza degli addetti è stata captata dal sensibile mondo degli 
operatori, soprattutto dei servizi, nel quale ha cominciato a circolare la convinzione che gli appalti di manodopera 
fossero stati “liberalizzati”, e che la somministrazione di manodopera fosse stata restituita, senza distinguo, alla 
legalità (…)”. 
(6)
 Cfr. D. SCHIEK, Lavoro tramite agenzia: dalla emarginazione all’accettazione, in M. TIRABOSCHI (a cura di), Le 
esternalizzazioni dopo la riforma Biagi, Giuffrè, Milano, 2006, 95-96: “(…) il lavoro tramite agenzia (…)  è [stato] una 
via per trovare un accesso ad un mercato del lavoro sempre più chiuso attraverso una mera riduzione del costo del 
lavoro. La situazione [poteva] divenire più vantaggiosa per il lavoratore nel caso di scarsità di manodopera. Tuttavia 
esiste una speranza che, al di là di metodi primitivi di risparmio sul costo del lavoro, il lavoro tramite agenzia possieda 
anche un aspetto qualitativo nel senso di incrementare le opportunità di flessibilità (…)”. 
 7
l’abrogazione della legge 1369 del 1960 non poteva non aver comportato anche il 
superamento tout court del divieto di interposizione (…)” 
(7)
 .  
La “Legge Biagi”, allora, si inserisce oggi 
(8)
, nel mondo globalizzato e nel 
“sistema-paese”, come fattore conciliativo fra domanda ed offerta di lavoro così 
come la 1369/60 cercò, durante il nostro boom economico, di porre un limite, seppur 
in maniera non totalmente idonea 
(9)
, al pesante problema del caporalato 
(10)
. La 
vigente costruzione giuridica, pertanto, si interseca con l’impresa sia per non far 
perdere ad essa terreno nel mercato globale, sia per far sì che la stessa non si trovi ad 
avere competitors di Paesi stranieri, comunitari e non, in cui le limitazioni giuridiche 
e le tutele del lavoro salariato siano più leggere di quelle proposte dall’ordinamento 
italiano.  
Occorre chiedersi, in questo contesto, come si possa conciliare, nel campo delle 
esternalizzazioni, la regolazione del mercato del lavoro ed una nuova idea di gestione 
delle risorse umane. Per parte della dottrina “Dal punto di vista dell’analisi 
economica, tra le regole, le convenzioni, le leggi che regolano l’utilizzo della mano 
d’opera, conviene distinguere quelle che rientrano nel campo della tutela dei 
lavoratori (…) da quelle che vertono sulla tutela dell’impiego (…). Le prime sono 
                                                 
(7)
 R. DEL PUNTA, Le molte vite del divieto di interposizione nel rapporto di lavoro, cit., 130-131 con riferimento 
anche a M. TIRABOSCHI, Le riforme del mercato del lavoro dell’ultimo decennio: un processo di liberalizzazione?, in 
RIDL, 2006, I, 477 ss. . 
(8)
 Come afferma M. TIRABOSCHI, Esternalizzazioni del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli 
inconciliabili?, in M. TIRABOSCHI (a cura di), Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi, cit., 1-38: “(…) Da questo 
punto di vista (…) lo shock prodotto dalla nuova normativa può essere una occasione utile per rinnovare gli strumenti 
tradizionali di gestione delle risorse umane. Ciò che è certo è che si registra un profondo cambiamento  nella 
concezione del diritto del lavoro e delle tecniche di tutele del lavoro che da sempre lo caratterizzano (…)”. 
(9)
 Vd. F. CARNELUTTI, Contratto di lavoro subordinato altrui, in RDC, 1961, I, 503, quando afferma che: “(…) al 
solito la legge è stata redatta con l’inabilità tecnica che costituisce ormai un carattere costante della nostra 
legiferazione sempre più improvvisata (…)”. Per un approfondimento sull’importanza della redazione legislativa,  vd. 
F. LANCHESTER, <<Drafting>>  e procedimento legislativo in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Bulzoni, Roma, 
1990, 25-42, per il quale: “(…) L’analisi del “drafting”, inserito nell’ambito del “processo” legislativo, può (…) 
portare ad una valutazione incisiva sia del modo di redazione dei testi normativi (…) sia delle forme di ripartizione 
delle competenze (…) [poiché] In questo contesto il drafting diviene un’attività molto delicata e di alta valenza politico-
giuridica, perché può condizionare l’interpretazione delle varie disposizioni contenute nell’Atto parlamentare, (…) 
influenzando la soluzioni di casi concreti, con difficoltà non facilmente risolvibili (…)”. 
(10)
 Cfr., in merito, P. ICHINO, Il contratto di lavoro, Vol. I, in Trattato di diritto civile, già diretto da A. CICU, F. 
MESSINEO e continuato da L. MENGONI, XXVII, tomo 2, Giuffrè, Milano, 2000, 407-408, secondo cui: “(…) Da 
tempo invocata dalle confederazioni sindacali (…)  parzialmente anticipata dal[la]  (…)  L. 13 marzo 1958 n. 264 e 
soprattutto dall’intervento della contrattazione collettiva, accompagnata nel suo iter parlamentare dal coevo intervento 
dottrinale sull’interposizione fraudolenta nei rapporti di lavoro (…), appoggiata da un arco di forze politiche 
amplissimo, [la norma de qua] interviene finalmente a disciplinare la materia colmando le lacune emerse in proposito 
nel codice civile (…)”. 
 8
una componente del costo del lavoro. Le seconde, invece, incidono sui costi di 
aggiustamento determinando il grado di <<flessibilità>> di quest’ultimo: infatti, 
quanto più il regime a protezione dell’impiego è forte, tanto più la flessibilità è 
debole (…)”. A detta degli economisti, infatti, “(…) L’Europa (soprattutto 
continentale) risentirebbe di ordinamenti del lavoro troppo rigidi che nuocerebbero 
allo sviluppo e all’impiego, (…) [ma] si deve tuttavia segnalare una certa evoluzione 
[dell’OCSE] (…) che passa da[ll’] annunciare una semplice deregolamentazione del 
mercato ad una soluzione che sviluppa invece un miglior raccordo tra 
<<flessibilità>> e <<sicurezza>> [vale a dire] (…) una flexicurité (…)” 
(11)
.  
In questo campo Biagi, sempre attento a coniugare il cambiamento con i 
problemi sociali, ha osservato che “Il mercato e l’organizzazione del lavoro si stanno 
evolvendo con crescente velocità: non altrettanto avviene per la regolazione dei 
rapporti di lavoro. (…) [con] il passaggio definitivo dalla <<vecchia>> alla 
<<nuova>> economia, (…) il sistema regolativo dei rapporti di lavoro ancor oggi 
in Italia e, seppur con diversi adattamenti, in Europa, non è più in grado di cogliere 
– e governare - la trasformazione in atto. (…) Il quadro giuridico istituzionale ed i 
rapporti costruiti dalle parti sociali, quindi il diritto del lavoro e le relazioni 
industriali, devono cogliere queste trasformazioni in divenire, agevolandone il 
governo. (…) devono [cioè] trovare le convergenze per coltivare una nuova 
progettualità nella gestione delle risorse umane e dei rapporti collettivi di lavoro, 
modernizzando il sistema delle regole che dovrà diventare sempre più concordato e 
meno indotto dall’attore pubblico (…)” 
(12)
.  
La “Legge Biagi”, quindi, “(…) ci consegna un vero e proprio diritto delle 
risorse umane che vede nelle regole del lavoro non più un arido corpus normativo 
                                                 
(11)
 J. GAUTIE’, Gli economisti contro le tutele del mercato del lavoro: dalla deregolazione alla flexicurité, in DRI, 1/ 
2005, 5 ss. .   
(12)
 M. BIAGI, Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione dei rapporti di lavoro, in RIDL, 2001, I,  
257-289. Oggi in L. MONTUSCHI, M. TIRABOSCHI e T. TREU (a cura di), Marco Biagi - Un giurista progettuale, 
Giuffrè, Milano, 2003, 148-182.  
 9
(…), ma (...) uno strumento al servizio dei lavoratori e delle imprese (…) [e] della 
sfida della competitività (…)” 
(13)
.  
Non è, quindi, un mero problema di divisione socio-politica fra chi vuole 
mantenere gli esistenti diritti della ipercitata “classe operaia” e chi cerca con cautela 
di modificarli 
(14)
, quanto di adattare le norme  allo sviluppo reale dell’economia al  
fine di creare una maggiore e migliore occupazione senza che sia leso quel senso di 
libertà e giustizia sociale 
(15)
 che il nostro Costituente ha posto alla base del quadro 
normativo nazionale in quanto il mercato non può essere mai lasciato agire da solo al 
fine di evitare disuguaglianza sociale o addirittura nuove forme di asservimento 
(16)
. 
Le regole legali, però, non vanno mai di pari passo con l’evoluzione economica 
in quanto l’inseguimento continuo dei cicli economici  da parte del mercato del 
lavoro spesso non ottengono gli effetti positivi sperati 
(17)
. Rinnovare, però, il mercato 
del lavoro stesso è una necessità imprescindibile che richiede sforzi complessi ed 
eterogenei che partano dall’ambito comunitario in quanto “(…) Ciò che viene oggi 
richiesto agli operatori pratici ma anche alle parti sociali e agli studiosi del diritto 
del lavoro è quello di provare ad abbandonare una cultura (anche giurisprudenziale) 
costruita sul sospetto e sulla diffidenza (…)” 
(18)
. 
                                                 
(13)
 M. TIRABOSCHI, Esternalizzazioni del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli inconciliabili?, 
cit., 38. 
(14)
 Per un approfondimento politico sulle nuove posizioni “riformiste” della sinistra italiana, si rimanda al Bollettino 
ADAPT (a cura di T. PIZZO), edizione speciale n. 22 del 28/06/2007 in www.fmb.unimore.it.   
(15)
 A. PERTINI, Discorso d’insediamento, in Avanti!, Anno 94, n. 48 del 26/2/1990. 
(16)
 Così P. ICHINO, Il contratto di lavoro, cit., 15-17, quando afferma che: “(…) Tutto induce a pensare che  proprio a 
questa esigenza si sia riferito il nostro legislatore costituente, quando ha posto tra i compiti essenziali della Repubblica 
quello della tutela del lavoro (…) [in quanto] l’imprenditore (…) è  informato (…) assai meglio del lavoratore (…) 
[per cui] Anche in riferimento a questo dato caratteristico del mercato del lavoro si pone l’esigenza di un intervento 
riequilibratore dell’ordinamento, cui sembrano corrispondere i principi costituzionali (…)”. 
(17)
 M. BIAGI (a cura di), Mercati e rapporti di lavoro, Commentario alla legge 24 marzo 1997 n. 196, Giuffrè, Milano, 
1997, 21-36. Oggi in L. MONTUSCHI, M. TIRABOSCHI e T. TREU (a cura di), Marco Biagi - Un giurista 
progettuale, cit., 103-116,  in cui si evidenzia che: “(…) E’ tuttavia innegabile che, per essere realmente incisiva, una 
politica economica e industriale (…) debba fondarsi anche su un adeguata strumentazione giuridico istituzionale (…) 
[senza necessariamente] rimuovere le tutele fondamentali che, nel nostro ordinamento, accompagnano le diverse 
tipologie di lavoro (…)”.  
(18)
 M. BIAGI (a cura di), Il nuovo lavoro a termine, Commentario al d.lgs. 6 settembre 2001 n. 368, Giuffrè, Milano, 
2002, 3-20. Oggi in L. MONTUSCHI, M. TIRABOSCHI e T. TREU (a cura di), Marco Biagi - Un giurista progettuale, 
cit., 32-49, che ci ricorda che: “(…) E’ da anni che sociologi ed economisti ci avvertono che il mercato e 
l’organizzazione del lavoro si stanno evolvendo con crescente velocità, e che il sistema di regolazioni dei rapporti di 
lavoro pensato per un modello fordista-tayloristico non è più in grado di cogliere e governare la trasformazione in atto 
(…)”. 
 10
Gli interessi imprenditoriali, comunque, mentre politica e diritto del lavoro si 
sforzavano di cercare mediazione sociale ed adattamento giuridico, già si 
interessavano in real time alle costruzioni giuridiche del trasferimento d’azienda, 
dell’appalto (fattispecie queste che si dirigono verso prestazioni rese al di fuori della 
vetusta concezione fordista e taylorista di “fabbrica”). Talmente forte è stata l’istanza 
di terziarizzazione che, spesso, si sono utilizzate anche operazioni societarie di un 
certo grado e livello come lo scorporo e la cessione di un ramo funzionalmente 
autonomo d’impresa, già prima dell’intervento legislativo per cui “(…) 
‘Smaterializzazione’ ed ‘esternalizzazione’, che si collocano tra le più appariscenti 
tendenze degli odierni processi produttivi, mettono  (…) in discussione (…) alcune 
categorie concettuali normative, costruite sul ben diverso paradigma dell’impresa 
fordista e, al tempo stesso, impongono di considerare quali siano i capisaldi 
garantistici da preservare anche di fronte al nuovo che avanza (…)” 
(19)
.  
 
2.      Il problema “garanzia versus flessibilità”. 
 
Garantire la stabilità del posto di lavoro in Italia ha sempre rappresentato un 
punto fermo per la legislazione giuslavoristica, soprattutto in virtù del disposto 
costituzionale e della cosiddetta normativa antifraudolenta. Negli ultimi due decenni 
l’introduzione della flessibilità nel mercato del lavoro per molti avrebbe messo in 
seria discussione la conquista del “posto fisso”. Bisognerebbe, invece, verificare se 
detta flessibilità abbia toccato gli strumenti di difesa del lavoratore  o se le nuove 
tipologie lavorative abbiano avuto effetti negativi sulla continuità del lavoro e 
sull’impianto generale dei diritti dello stesso prestatore  in quanto solo “(…) Nella 
convinzione che (…) governando i processi normativi reali  e non mediante vincoli e 
divieti insostenibili, che poi alimentano pratiche contra legem, si garantisce 
concretamente la qualità del lavoro e l’investimento nella persona come fattore 
                                                 
(19)
 R. DE LUCA TAMAJO, Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, cit., 169. 
 11
competitivo e dunque capitale dell’impresa (…)” 
(20)
. L’attesa di un  mercato del 
lavoro moderno che non stravolga le garanzie lavoristiche conquistate nel XX secolo 
è certo ancora grande ed incerta. Tra le tipologie flessibili introdotte nell’ultimo 
decennio ha visto, ad esempio, nel lavoro in affitto una buona intermediazione, 
mentre nelle collaborazioni coordinate e continuative una prospettiva molto bassa per 
i giovani  che ha favorito solo una forte riduzione contributiva per le imprese 
(21)
.     
Il nostro Legislatore, sempre e comunque  attento a tali aspetti, dopo la legge 
1369/60, per evitare forme di sfruttamento e nel tentativo di adeguarsi al vento delle 
novità economiche, ha percorso perciò una via cauta e d’ingegneria giuridica 
sindacalmente mediata, prima con il contratto di fornitura e la prestazione di lavoro 
temporaneo di cui alla legge 197/96 o “Pacchetto Treu” e, poi, con la 
somministrazione introdotta dal decreto legislativo 276/03, che non si è discostata 
dalla tradizione del binomio “tutela-flessibilità” e che ha definitivamente permesso 
l’epocale passaggio dalla demonizzazione 
(22)
 della dissociazione datoriale alla liceità 
dell’interposizione con forti vincoli regolamentari. 
 
3.      Nota metodologica. 
 
Questo lavoro si propone di analizzare la storia e lo stato dell’arte della materia 
per verificare come le scelte o l’esigenza di “esternalizzazione” spesso si impongano 
motu proprio e come il Legislatore debba riuscire, con normative più moderne, a far 
quadrare, a volte con estrema difficoltà e resistenze,  il cerchio 
(23)
.  
                                                 
(20)
 M. TIRABOSCHI, Esternalizzazioni del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli inconciliabili?, 
cit., 38. 
(21)
 Così A. ACCORNERO, Nuovi rapporti e rappresentanza, in DRI, 1/2005, 60-69, per il quale: “(…) L’interinale era 
l’idealtipo del lavoro temporaneo (…) che veniva chiamato body renting (…) [ed] ha risolto onestamente [alcuni] 
problemi aziendali (…) [con una]  paga del lavoratore (…) buona (…) e solitamente puntuale (…), [mentre la 
co.co.co.] idealtipo del nuovo lavoro autonomo di seconda generazione (…), Al di là della remunerazione, spesso 
insoddisfacente, (…)  fa (…) desiderare [ai lavoratori] di diventare dipendenti veri anziché camuffati (…)”. 
(22)
 Per R. DE LUCA TAMAJO, op. ult. cit., 171: “(...) si tratta di una diffidenza che, almeno in parte, ha una sua 
ragion d’essere, perché i processi in questione presentano una marcata ambivalenza. Accanto a fattispecie per così 
dire virtuose (…) si collocano ipotesi che disegnano una catena di subappalti, i cui anelli affondano nel lavoro 
sommerso o pericoloso oppure perseguono la delega a terzi di mere operazioni (…) a danno del personale (...)”. 
(23)
 Per M. TIRABOSCHI, Esternalizzazioni del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli 
inconciliabili?, cit., 1-38, “(…) la disciplina dei fenomeni interpositori e della esternalizzazione delle relazioni di 
lavoro costituisce una delle novità maggiori della riforma Biagi (…) [in quanto la sua] sfida aperta  (…) non è di certo 
 12
Per dirla con parole più semplici, il fenomeno interpositorio passa attraverso 
l’accettazione politico-sociale e l’integrazione giuridica di esso con la struttura 
aziendale che richiede continuamente un sostanzioso decentramento produttivo, 
rimanendo comunque fermo il leit motiv del problema, cioè il grado ed il tipo di 
subordinazione che si viene a creare fra datore e conduttore della prestazione 
lavorativa 
(24)
. Proprio per questo, quando alla fine degli anni ’90, si pose mano 
all’introduzione del lavoro interinale e delle co.co.co., il sindacato si trovò di fronte al 
dilemma di “(…) come rappresentare queste due modalità, che apparivano al tempo 
stesso insidiose e intriganti, senza <<sporcarsi le mani>> con rapporti ambigui 
rispetto alla dipendenza (…)” 
(25)
 . 
Problemi e prospettive di politica di diritto del lavoro che si riferiscono ai 
mutati scenari interni ed internazionali 
(26)
 danno la stura a nuove fasi di analisi 
evolutiva dei fenomeni in esame. Sono, quindi, sempre più necessari coraggio ed 
onestà intellettuale per ritoccare (e riformare in melius) i meccanismi del processo di 
flessibilità effettiva ed incalzante sollecitata dal mercato del lavoro per poter a capire 
fino a che punto si possa incidere non tanto e non solo nell’alveo dell’apparato 
produttivo-economico, quanto e soprattutto nel rispetto dell’ambito giuridico delle 
fasce sociali più deboli, poiché  “(…) Il processo di globalizzazione economica e 
finanziaria, e la rivoluzione post-fordista ad esso connessa, pare aver trasformato le 
                                                                                                                                                                  
di poco conto, soprattutto sul versante della gestione delle risorse umane e del corretto funzionamento del mercato del 
lavoro (…). Per ridare effettività – e credibilità – al diritto del lavoro la scelta del legislatore è stata quella di affidare 
a chi sta in azienda un quadro di regole duttili e concretamente esigibili (…)”. Di posizione opposta la versione di G. 
CREMASCHI nell’intervista a S. GUIDI, Il Welfare della discordia, in Famiglia Cristiana, Anno LXXVII, n. 40 del 
7/10/2007, 40-44: “(…) Io ritengo che questa legge coroni, in maniera negativa, una legislazione cominciata negli anni 
’90; una legislazione che ha praticamente legalizzato tutte le forme di lavoro precario (…)”. 
(24)
 Con un certo senso critico, vd. G. ORLANDINI, Sciopero e servizi pubblici essenziali nel processo di integrazione 
europea – Uno studio di diritto comparato e comunitario, Giappichelli, Torino, 2003, 1: “(…) La fabbrica “flessibile” 
ha eroso la capacità organizzativa dei sindacati, indebolendone radicalmente il potere; questi (…) hanno spesso (…) 
accetta[to] di controllare le spinte rivendicative in nome dei vincoli della di compatibilità economica. Al pari 
dell’intervento politico degli Stati, anche la logica dell’azione sindacale nazionale ha finito per accettare di essere 
subordinata agli obiettivi di stabilità economica (…)”. 
(25)
 A. ACCORNERO, Nuovi rapporti e rappresentanza, cit., 67, per il quale: “(…) Ciò deve far riflettere: forse il focus 
della rappresentanza va spostato dai <<nuovi lavori>> al lavoro nuovo ed ai nuovi lavoratori, mediante 
un’organizzazione sindacale che sappia e possa rispecchiare l’identità e tutelarla oltre l’orizzonte della contrattazione 
(…)”. 
(26)
 Cfr. O. KAHN-FREUND, A Lawyer’s Reflections on Multinationals Corporations, in Jo. Ind. Rel. (Aus.), 1972,  
356: “(…)  With the growth of multinational enterprise, management becomes to a large extent an International power- 
where is the countervailing power? (…) The entire basis of our thinking on collective industrial relations and collective 
labour law is destroyed by this development (…)”. 
 
 13
parole del padre del pluralismo in una lucida profezia.[ed] I vincoli di competitività 
imposti dal mercato globale hanno giustificato il radicale ripensamento dei sistemi di 
welfare (…)” 
(27)
. 
 Come aspetto metodologico, nell’analisi storico-giuridica che segue, per 
evidenziare le fasi che hanno portato a tale ripensamento  del welfare, verrà  utilizzata 
la tripartizione dell’evoluzione del diritto del lavoro italiano esposta da Ghera e che 
fa riferimento “(…) a [tre] grandi linee (…) [che] in larga misura si intrecciano, 
sovrapponendosi, nel corso dei medesimi periodi di tempo: 1) la fase della prima 
Legislazione Sociale, in cui le leggi  (…) si presentano soprattutto come norme 
eccezionali rispetto al diritto privato comune; 2) la fase dell’incorporazione  (…) nel 
diritto privato e (…) nell’ambito della codificazione civile; 3) la fase della 
costituzionalizzazione  (…)” 
(28)
 . 
 
                                                 
(27)
 G. ORLANDINI, op. ult. cit., 1. La profezia di cui alla nota precedente appare oggi abbastanza calzante e 
preoccupante quando si afferma, come A. TRIPI, Esternalizzare i servizi per modernizzare il paese, in Italia Oggi 
dell’11/12/2207, che: “(…) Secondo molti analisti, l’impresa nel prossimo futuro tenderà a essere un’azienda senza 
sede, inserita in un’economia globale intrinsecamente senza confini, e l’attenzione per il cliente sarà sempre più al 
centro del business (…)”. Più  condivisibile qui appare il ragionamento di A. ACCORNERO, Nuovi rapporti e 
rappresentanza, cit., 68, ed affermare che: “(…) Lavoro standard e non standard vanno tenuti insieme da una rete 
protettiva ben al di là degli <<ammortizzatori sociali>>, che oggi penalizzano chi si muove di più, non stabilizzano gli 
impieghi precari e non risarciscono i percorsi accidentati. Invece ogni impiego e ogni suo spezzone devono maturare 
anzianità, contributi, diritti. Ci vuole, insomma, per tutti, un welfare all’altezza della <<grande trasformazione>> 
post-fordista (…)”. 
(28)
 E. GHERA, Diritto del lavoro, Cacucci, Bari, 1991,  9.