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1. I principi del diritto processuale minorile.                            
 
Al fine di comprendere e inquadrare l’istituto  della sospensione del 
processo con messa alla prova dell’imputato minorenne, non si può 
prescindere dall’esplicazione dei principi (a-)tipici del sistema processuale 
penale a carico dei minori.  
Il processo a carico degli imputati minorenni è disciplinato dal Decreto 
del Presidente della Repubblica  22 settembre 1988 n°448 e, ai sensi dell’art. 1 
dello stesso decreto, per le disposizioni in esso non previste, dal codice di 
procedura penale. Le disposizioni del suddetto Decreto operano da lex 
specialis nei confronti del codice di procedura penale. 
Prima dell’emanazione del D.P.R. n°448/1988, il processo minorile era 
disciplinato dalla legge istitutiva del Tribunale per minorenni (R.D.L. 20 Luglio 
1934, n°1404). 
Con la legge 16 febbraio 1987 n°81, il Parlamento delega il Governo 
all’emanazione del nuovo codice di procedura penale. La riforma del processo 
penale investe anche l’ambito minorile: infatti l’art. 3 della legge-delega 
enuncia che “Il Governo della Repubblica è delegato a disciplinare il processo 
a carico di imputati minorenni al momento della commissione del reato 
secondo i principi del nuovo processo penale, con le modificazioni ed 
integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla 
sua maturità e dalle esigenze della sua educazione”; di seguito, l’ art. 3, indica, 
una serie di principi e finalità a cui il processo penale minorile deve tendere. 
In tale contesto viene emanato un autonomo provvedimento legislativo, 
appunto il D.P.R. 448/1988, che recepisce ed attua i principi dell’art. 3 della 
legge- delega . 
La necessità di rinnovare il sistema penale minorile si era  avvertita già in 
campo internazionale: il 29 Novembre 1985 l’Assemblea Generale delle 
Nazioni Unite approva le cosiddette “Regole di Pechino” con lo scopo di 
unificare la disciplina processuale penale minorile nei vari Stati e fissare alcuni
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principi cardine su cui deve ruotare il processo minorile: primo tra tutti 
l’interesse del minore (art. 1). 
Senz’altro, tale documento e i principi della nostra Costituzione sono stati 
da guida al legislatore nella formulazione dei criteri dell’art. 3 della legge-
delega. 
I principi costituzionali a cui il legislatore si è inspirato sono gli artt. 27 e 
31 Cost. . 
In base all’art. 27 Cost. terzo comma, le pene devono tendere alla 
rieducazione del condannato: ebbene, nei confronti dei minori, il principio 
rieducativo assume un significato e un'importanza peculiare, per il fatto che in 
questi soggetti il processo educativo non è compiuto, ma è in evoluzione, 
come la loro personalità. Tutto il sistema penale minorile è, quindi, 
improntato quasi esclusivamente alla rieducazione, che viene considerata un 
interesse-dovere dello Stato, a cui è subordinata la pretesa punitiva. 
L’articolo 31 della Costituzione, al secondo comma, dispone che la 
Repubblica “protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli 
istituti necessari a tale scopo". 
  Nell'ambito della Giustizia minorile proteggere la gioventù significa 
soprattutto preservare il processo educativo in atto nel minore e favorire, 
anzi, avere come obiettivo la sua educazione, tenendo conto della specificità 
della condizione minorile
1
. 
 Il  nuovo processo penale a carico dell’imputato minorenne disciplinato 
dal D.P.R. 448/1988 si caratterizza per la posizione centrale  che assume la 
figura del reo-minorenne e il suo percorso educativo di crescita. 
In tale contesto, l’interesse dello Stato si sposta dal fatto al suo autore: 
l’obiettivo principale non è la punizione del reo ma il recupero del minore 
deviante. L’adolescente, deviante o meno, è in una fase di crescita ed il 
percorso evolutivo non è semplice per tutti. Se l’ambiente in cui si vive non 
offre una stabilità educativa, vengono a mancare i punti di riferimento a cui  il 
                                                           
1
 CESARI, sub art. 28, in AA.VV., Il processo penale minorile, commento al D.P.R.  448/1988, a 
cura di Giostra, Giuffrè,  Milano, 2007, p. 320.
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minore potrà ispirarsi: è qui che scatta il rischio di comportamenti devianti 
che il più delle volte sfociano in violazione di norme giuridiche. Lo Stato, in tali 
casi, volge la sua attenzione al minore per garantirgli la prosecuzione del 
processo di crescita ispirato, però, a modelli socialmente adeguati. 
Ruolo fondamentale è quello dei Servizi minorili. L’art. 6 del D.P.R. 
448/1988 prevede, infatti, che in ogni stato e grado del procedimento 
l’autorità giudiziaria si avvale dei servizi minorili dell’amministrazione della 
giustizia e dei servizi di assistenza istituiti dagli enti locali.  
I servizi minorili, in particolare, fungono da tramite tra l’autorità 
giudiziaria e il minore e assistono quest’ultimo sia sotto il profilo morale che 
giuridico. Essi infatti, vengono tempestivamente informati dell’arresto, del 
fermo e dell’accompagnamento del minore; assistono e controllano il minore 
sottoposto a misura cautelare o messo alla prova; concorrono all’esecuzione 
delle sanzioni sostitutive; forniscono notizie sulla personalità dell’imputato. I 
servizi istituiti presso gli enti locali, invece, proprio per  la conoscenza del 
territorio dove il minore vive, sono delegati  a favorire la risocializzazione e il 
reinserimento  del soggetto nella comunità. 
Altra caratteristica del processo penale minorile è costituita della minima 
offensività del processo: ove possibile, si deve consentire la rapida fuoriuscita 
del minore dal circuito penale. Il processo può risultare dannoso per il minore, 
potendo compromettere uno sviluppo armonico della sua personalità ancora 
in evoluzione; pertanto, il processo, non dovrà comprimere o essere preferito 
alle esigenze educative del minore, né interrompere i processi educativi in 
atto. 
  Al principio di minima offensività va collegato l’ effetto de 
stigmatizzante, in quanto tutela il minore dal rischio, derivante dal processo, 
di “etichettamento” da parte della società
2
.  Sono espressione di questo 
principio: la non pubblicità del dibattimento; il divieto di pubblicazione e di 
                                                           
2
 LOSANA, sub art. 28, in AA. VV., Commento al codice di procedura penale – leggi collegate- I- 
Il processo minorile, coordinato da Mario Chiavario, UTET, Torino, 1994, p. 293.
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divulgazione di notizie idonee a consentire l'identificazione del minorenne; le 
disposizioni restrittive in merito alle iscrizioni nel Casellario giudiziale. 
  Va peraltro, osservato che con le norme contenute nel D.P.R. si è data 
effettiva concretezza al principio espresso dall’ art. 27 Cost. comma 3 secondo 
il quale le pene devono tendere alla  rieducazione del condannato. Dall’esame 
delle disposizioni in esso contenute emerge il ruolo residuale che il legislatore 
ha voluto assegnare alla sanzione, da considerarsi ultima soluzione, a favore di 
un ventaglio di alternative educative caratterizzate più che dalla necessità per 
lo Stato di punire, dalla necessità  del recupero e della risocializzazione del 
minore: soluzioni alternative alla sanzione in senso stretto. 
Nel bilanciamento di interessi tra l’applicazione della pena e il recupero 
del minore lo Stato considera quest’ultimo sicuramente preminente. 
L’interesse principale è costituito dalla protezione dei diritti del minore, 
per favorire lo sviluppo della sua personalità e per promuovere la sua 
educazione. Lo scopo della difesa sociale è subordinato allo scopo principale 
dell'educazione del minore, in quanto nella valutazione del legislatore, la 
prevenzione e protezione attuano una maggiore difesa sociale. 
  La giovane età o l’ambizione di fini educativi di certo non esentano il 
minore di rispondere della propria condotta illecita alla Giustizia: il minore 
deve essere considerato titolare di diritti soggettivi perfetti e va coinvolto nel 
procedimento penale in modo consapevole
3
. 
  L’attuazione di tali principi a cui deve tendere il processo penale, 
comporta e giustifica l’ ampiezza dei poteri e della discrezionalità con cui 
opera il giudice minorile. I parametri normativi che il giudice ha di riferimento 
sono dettati dal legislatore solo in linea di principio: spetterà al giudice 
“cucire” sul minore la soluzione più idonea al suo caso tenendo conto della 
personalità del minore
4
.   
 La previsione normativa di diversi istituti processuali e varie soluzioni 
normative per la definizione anticipata del dibattimento; tendono, inoltre, ad 
                                                           
3
 TONINI, Lineamenti di diritto processuale penale, Giuffrè, Milano, 2005, p. 396. 
4
 GIAMBRUNO, Il processo penale minorile, II° ed., Cedam, Padova, 2003 p. 94
10 
 
intervenire attivamente sull’autore del reato per un recupero sociale dello 
stesso, marginalizzando il più possibile tanto l’applicazione di misure  cautelari 
e carcerarie che lo svolgimento del processo, considerato accadimento 
pregiudizievole per il minore. 
Infine, ulteriore caratteristica del processo penale minorile è la specificità 
delle regole in materia di misure precautelari e cautelari.  All’arresto e al 
fermo, in particolare, si aggiunge l’accompagnamento a seguito di flagranza 
che consiste nell’accompagnare il minore presso gli uffici di polizia giudiziaria 
al fine di consegnarlo all’esercente la podestà genitoriale: tali misure si 
caratterizzano per la facoltatività che spetta alla polizia giudiziaria 
nell’adottare tali provvedimenti. Alle misure cautelari previste per gli adulti si 
aggiungono le prescrizioni, di evidente finalità rieducativa, e il collocamento in 
comunità, volto a limitare il più possibile l’applicazione di altre misure 
cautelari di impatto più traumatico. La durata massima della custodia 
cautelare, rispetto agli adulti, è ridotta della metà se il reato è commesso da 
un minore di anni diciotto e ridotto di due terzi se commesso da un minore di 
anni sedici. 
E’ bene ricordare che quando si parla di processo a carico di minorenni, il 
legislatore si riferisce ai minori ultraquattordicenni; per i minori che non 
hanno compiuto i quattordici anni di età, il legislatore ha imposto la 
presunzione assoluta di non punibilità senza riservare, in tali ipotesi, 
discrezionalità alcuna al giudice. La scelta di non applicare nessuna pena  
matura dalla convinzione che il minore per il suo scarso bagaglio esperienziale 
non ha “consapevolezza adulta del significato criminoso della sua condotta”
5
.  
Nessuna presunzione è prevista per i minori ultraquattordicenni, ossia i 
destinatari delle norme del Decreto: il legislatore non imponendo presunzione 
alcuna affida al giudice il compito di valutare caso per caso se il soggetto è 
dotato della capacità di intendere e volere, tale per cui la sua condotta illecita 
è frutto di una volontà consapevole . 
                                                           
5
 LANZA, La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato 
minorenne, Giuffrè, Milano, 2003, p. 23.