4
Introduzione
Consumatori sempre più coscienti rispetto alle conseguenze ambientali delle
proprie scelte d’acquisto e consumo a partire dagli anni ’70 hanno spinto alla
formazione di movimenti ambientalisti che hanno trovato consensi dilaganti
mettendo le basi per la nascita della Green Economy.
Le imprese di tutto il mondo hanno visto in questo un’opportunità di mercato,
considerando gli ambientalisti come un limitato segmento (non soddisfatto dalle
alternative offerte sul mercato) disposto a pagare un premium-price per un
prodotto con un minore impatto ambientale; questo approccio si è rivelato però
limitativo: non esiste un consumatore orientato in ogni caso alle scelte di
consumo ecologico (a prescindere dalle prestazioni qualitative e dall’efficacia
d’uso), ma numerose tipologie di consumatori e clienti che, in diverse circostanze,
si dimostrano più propensi all’acquisto di prodotti eco-compatibili (per questo
motivo le percentuali di consumatori ecologici sono molto diverse nei differenti
settori).
Il green marketing diventa una strategia che mira alla promozione su una scala
competitiva molto più ampia della “nicchia ambientalista”, fornendo alle imprese
che dimostrano impegni concreti in un modello di sviluppo sostenibile, una
possibilità per aumentare le vendite e per migliorare l’immagine aziendale.
La presente tesi si propone di analizzare le potenzialità della sostenibilità
ambientale, sinergicamente integrata nel modello di business aziendale, come
strumento di marketing per le imprese.
In via preliminare viene condotta un’analisi della letteratura sul tema, volta ad
inquadrare le tematiche rilevanti per il presente lavoro: dalla nozione di sviluppo
sostenibile e del nuovo paradigma della Green Economy, i cui i concetti chiave
sono l’efficienza, la minimizzazione degli impatti sugli ecosistemi e la moderna
concezione di scarti e rifiuti come risorse; ai nuovi consumatori, attori chiave del
processo di cambiamento in atto, caratterizzati da sempre maggiore maturità,
competenza e consapevolezza; alle imprese, realtà in cui questo paradigma va
a concretizzarsi garantendo vantaggi sotto l’aspetto produttivo, finanziario, delle
risorse umane e del marketing.
Tralasciando la trattazione della tematica del CRM - Cause Related Marketing -
che, pur perseguendo obiettivi etici, deraglia in parte dal percorso di sviluppo
sostenibile necessario per una trasformazione ‘’green’’ dell’economia, si è scelto
di trattare e valorizzare gli aspetti che premiano campagne di marketing volte a
sensibilizzare e comunicare gli aspetti più concreti di uno sviluppo in tal senso,
ossia tramite l’integrazione di pratiche di Corporate Social Responsibility (CSR)
che, cambiando effettivamente l’orientamento del core business, garantiscono i
risultati più tangibili.
5
Infine servendosi di un questionario compilato da soggetti eterogenei, si propone
di analizzare le potenzialità di questa leva nella crescita aziendale, valutando
come li consumatori possono giudicare la brand reputation e modificare le proprie
abitudini di acquisto.
6
Capitolo 1 - Analisi della letteratura
1.1 - Lo sviluppo sostenibile e la Green Economy
La maggiore spinta alla nascita del paradigma dello sviluppo sostenibile si ha da
parte del movimento ambientalista e alla sua diffusione nel mondo, se pur con
sfaccettature diverse a seconda del periodo e delle aree geografiche.
Lester (1998) descrive la sua evoluzione in diverse fasi: da una prima (che dalla
fine dell’Ottocento arriva agli anni Sessanta) in cui un’ideale conservazionista -
preservazionista si diffonde principalmente tra gli intellettuali in seguito alla
preoccupazione per l’effetto a lungo termine di innovazioni tecnologiche ed
industriali caratterizzanti questo periodo; una seconda nel trentennio 60-90 in cui
le preoccupazioni si ampliano alla conservazione delle specie animali a rischio e
alla qualità della vita minacciata da inquinamento ed utilizzo di pesticidi,
riscuotendo una sempre maggior attenzione da parte della collettività, fin quando
a partire dagli anni Novanta si arriva ad integrare sempre più tematiche globali
(effetto serra, buco nell’ozono e salvaguardia della biodiversità) portando le
diverse organizzazioni ambientaliste a diventare più uniformi e connesse tra loro.
Parallelamente all’evoluzione di questi movimenti, gli allarmi degli scienziati
attirano inevitabilmente anche l’attenzione delle istituzioni. Nel 1983 viene istituita
dall’ONU la Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo (WCED), al fine
di proporre delle strategie per il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile per il
Terzo Millennio.
Frutto di questa Commissione, presieduta da Gro Harlem Brundtland, fu ‘’Our
common future’’, documento meglio conosciuto come Rapporto Brundtland, al
cui interno viene per la prima volta definito il concetto di sviluppo sostenibile come
«uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la
possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri» (WCED,1987).
Va detto che questa definizione presenta dei limiti, non chiarendo quali siano i
bisogni a cui fa riferimento e il loro variare a livello geo-politico e culturale; essa
viene pertanto criticata, tra gli altri, dall’ambientalista indiano Amupam Mishra,
secondo il quale il fatto di utilizzare il tenore di vita occidentale come metro porti
all’imposizione di questo da parte di tutti i governi, tanto che per raggiungerlo i
paesi più arretrati arrivano a vendere il proprio patrimonio naturale, culturale e
umano a mercati e speculatori occidentali.
Tuttavia, quella del Rapporto Brundtland, rimane la definizione istituzionale più
condivisa, da cui si evince sia che le generazioni future hanno gli stessi diritti di
quelle presenti (equità intergenerazionale) e sia, più indirettamente, un
riferimento alla parità dei diritti di persone appartenenti ad una stessa
generazioni, indipendentemente dalle realtà economiche e geo-politiche di
7
provenienza (equità intragenerazionale). Dal documento emerge lo stretto
legame tra salvaguardia dell’ambiente, benessere sociale e attività economica, e
si deduce che solo uno sviluppo armonioso di questi tre pilastri potrà essere
sostenibile nel lungo periodo. Essi sono legati da una moltitudine di connessioni
e di conseguenza non possono essere considerati singolarmente, ma solo con
una visione sistemica, per valutare l’effetto della modifica di una dimensione sulle
altre due.
L’Earth Summit di Rio de Janeiro (1992) mette delle solide basi per la diffusione
della consapevolezza ambientale a livello mondiale, ammettendo, per la prima
volta, che i modelli di produzione e consumo diffusi nei paesi industrializzati sono
la più grande causa di deterioramento dell’ambiente e che l’unico modo per
frenare questo processo sia far crescere le economie riducendo l’uso di energia
e materiali.
Oggi una gran parte delle aziende considera ancora l’abbandono del sistema
energetico basato sul carbonio come un progetto teorico, lontano dalle possibilità
pratiche, ritengono che la situazione attuale derivante dalla crisi economica del
2008 non permetta certamente di sostenere costi rilevanti in investimenti volti a
cambiare il modello di business; c’è il rischio che molti governi, proprio per non
imporre investimenti alle imprese prima di una solida ripresa, decidano di
ritardare ogni serio programma d’azione circa la salvaguardia di clima e ambiente
fino a quando la crisi economica non sarà risolta.
Si sta tuttavia diffondendo la crescente consapevolezza della necessità assoluta
di affrontare insieme, in un’ottica sistemica e non separatamente, la crisi
economica e quella ambientale.
Si inizia a parlare di Green Economy, cioè ‘’un’economia capace di usare
con efficienza l’energia e le materie prime, di intervenire sull’ecosistema senza
danneggiarlo, di guardare i rifiuti come una fase del continuo divenire delle merci
e non come un elemento da espellere con fastidio dal ciclo produttivo’’
(Cianciullo, 2010), ma come lo stesso autore fa notare l’aggettivo ‘’Green’’
dovrebbe essere pleonastico: l’economia deve essere per sua natura green
essendo per definizione il ‘’Razionale utilizzo delle risorse disponibili per un
determinato uso” (Vocabolario Garzanti, 2015); cosa c’è di razionale in
un’economia come quella dominante, che richiede sempre più risorse, mentre
queste declinano pericolosamente e si sbarazza di scarti e rifiuti minando
all’integrità degli ecosistemi che consentono la vita?
Dai calcoli del Global Footprint Network, la nostra domanda di risorse è
attualmente pari a quella di 1,5 Pianeti Terra. I dati ci mostrano che se le cose
continuano così l’Earth Overshoot Day (il giorno in cui vengono esaurite le risorse
che il pianeta rinnova nel corso dell’anno solare) sarà sempre più vicino all’inizio
dell’anno e nel 2030 i consumi richiesti dalla Terra saranno pari al doppio delle
risorse che il pianeta genera annualmente.