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la vita cittadina nanchinese degli anni Trenta e Quaranta, 
dall’altro racconti e romanzi di matrice realistica ambientati nel 
presente.  
Come nel Fiume Qinhuai di notte, anche nella Storia del 
giuggiolo Ye Zhaoyan compie un viaggio a ritroso nella società 
del passato, per descrivere, assieme all’avventurosa cattura del 
feroce capobrigante Faccia Candida da parte del guerrigliero 
comunista Eryong, le vicissitudini di Xiuyun, una donna 
incompresa e relegata ai margini della società per la sua condotta 
illogica e licenziosa. Giacché le vicende narrate hanno inizio con 
l’invasione giapponese di Nanchino nel 1937 e terminano nel 
1979 con la tragica morte del figlio di Xiuyun, La storia del 
giuggiolo rappresenta dunque una parabola della Storia cinese 
contemporanea.  
La grande attenzione per le possibilità espressive del mezzo 
linguistico e il complesso intreccio dell’opera, che richiamano 
l’attenzione del lettore più sull’arte della narrazione che sullo 
svolgimento della trama, fanno di questo romanzo una delle prove 
migliori dell’esperienza artistica dell’avanguardia. Oltre a ciò, è 
proprio per l’originale trattamento della Storia che Ye Zhaoyan 
entra con La storia del giuggiolo nel novero di scrittori 
d’avanguardia come Su Tong, Ge Fei e Yu Hua: caratteristica 
comune di questi autori è l’immergersi in una narrazione storica 
del tutto aliena alla logica e agli eventi della storiografia ufficiale, 
per riportare in superficie un mondo fantasioso e decadente, 
violento ed erotico. 
La curiosità di comprendere quali significati siano nascosti in 
questo affascinante trattamento della Storia, mi ha spinto a 
indagare tanto il background socioculturale in cui esso si inserisce 
quanto le motivazioni poetiche e ideologiche insite nella visione 
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della Storia degli scrittori d’avanguardia. Il lavoro critico su cui 
questo tema viene sviluppato è diviso in due parti. La prima 
confronta, anzitutto, la concezione storica della letteratura delle 
radici con quella dell’avanguardia, poi osserva i punti in comune 
fra quest’ultima e le teorie postmoderne sulla Storia. La seconda 
analizza la presenza e i significati della Storia nella Storia del 
giuggiolo, alla luce di quanto detto nella prima parte.  
  La narrativa storica d’avanguardia va inquadrata anzitutto nel 
generale processo di risveglio della coscienza storica degli anni 
Ottanta. Mutato il corso politico, molti scrittori s’interrogano 
sulla veridicità della storiografia ufficiale. Gli scrittori della 
letteratura delle radici, nel tentativo di rivitalizzare le risorse 
tradizionali della cultura cinese, s’impegnano in una ricerca 
letteraria che dà grande importanza tanto al recupero di passato e 
tradizione quanto della soggettività, reagendo a una crisi 
d’identità culturale prodotta in primo luogo dalla Rivoluzione 
Culturale. Il dialogo con le radici, però, svela l’impossibilità di 
attualizzare un passato ormai distante e ancorare a esso l’identità 
del soggetto, come dimostra la pubblicazione di Sorgo rosso di 
Mo Yan, dove la realtà storica è trasformata in un pezzo di 
fantasia il cui interesse non è analizzare il passato o la cultura 
tradizionale, ma inventare, per loro tramite, un mondo fortemente 
soggettivo. Gli scrittori d’avanguardia non possono non tenere in 
considerazione la lezione di Mo Yan. Essi infatti fioriscono verso 
la fine degli anni Ottanta, un momento di grandi cambiamenti 
storici e culturali che allontana in maniera irrimediabile questi 
giovani scrittori dal passato. Consci dell’incolmabile distanza che 
separa passato e presente, ciononostante profondamente attratti 
dalla Storia, non si rivolgono a essa per conoscerne la verità, ma 
per trasformarla in un racconto.  
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A tale operazione si possono dare due spiegazioni. La prima è 
il profondo scetticismo degli scrittori d’avanguardia verso la 
possibilità di descrivere il reale e di attingerne la verità. Per loro 
la rappresentazione letteraria è un fatto di stile, e la narrazione è 
essenzialmente un gioco linguistico. La seconda, è la volontà di 
sovvertire i principi dell’ideologia ufficiale, e quindi, a livello 
storico, di abbattere il mito della Storia rivoluzionaria del partito. 
Inserendo nelle loro narrazioni una gran quantità di elementi 
fittizi e giungendo a distorcere i fatti storici tramandati, gli 
scrittori mettono in discussione le verità stesse della Storia scritta 
dal Partito Comunista.  
Mi sembra che il pensiero postmoderno, per quanto sia un 
paradigma culturale sviluppatosi nelle società industriali avanzate 
dell’Occidente, sia utile a interpretare e chiarire i due aspetti 
sopraindicati. Le teorie culturali postmoderne e le realizzazioni 
letterarie del postmodernismo, che approdano in Cina verso la 
metà degli anni Ottanta, sono conosciute e maggiormente 
condivise proprio dagli scrittori d’avanguardia, perché incarnano 
un atteggiamento culturale e un approccio verso la letteratura 
molto distanti dal logos della cultura ufficiale e dai dibattiti 
culturali cinesi dell’epoca.  
Il nocciolo del pensiero postmoderno si può considerare 
l’incredulità verso quelle che esso chiama le metanarrazioni della 
modernità, ovvero i racconti ideologici con cui la modernità 
intende legittimare la Storia umana configurandola come uno 
svolgimento verso un certo fine. Il postmoderno crede che l’idea 
moderna della Storia come progresso necessario, infinito, e 
guidato dall’uomo, in realtà, giustifichi molti soprusi ideologici, e 
vi contrappone una nozione secondo cui la Storia è priva di un 
ordine razionale e un senso comprensivo. Piuttosto, essa è una 
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costruzione umana, con cui i diversi gruppi sociali ricercano il 
significato della propria identità, in termini simbolici, più che 
reali. Il postmoderno, inoltre, professa un atteggiamento di 
radicale relativismo, conseguente al crollo di ogni fondamento 
trascendente per interpretare il reale. Esso si ripercuote anche 
sulla distinzione fra Storia e letteratura, non più tanto netta, che 
viene deliberatamente sfidata da numerosi romanzi 
postmodernisti, come Cent’anni di solitudine, molto popolare fra 
gli scrittori cinesi.  
Così, il rifiuto e la demistificazione della concezione storica 
ufficiale fatta dagli scrittori d’avanguardia possono essere letti 
come un atteggiamento culturale postmoderno, visto che il Partito 
Comunista ha costruito il proprio progetto moderno 
giustificandolo con le leggi ritenute necessarie del progresso 
storico marxista. L’incapacità di rappresentare la realtà storica, 
invece, è interpretabile come una crisi epistemologica 
conseguente alla crisi di valori della modernità cinese, ovvero il 
marxismo.  
Tuttavia, se anche gli scrittori d’avanguardia non narrano il 
passato autentico, ciò non vuol dire che distorcere il vero e 
sostituirlo con la fantasia sia il loro unico obiettivo. Due autori 
come Su Tong e Ye Zhaoyan, per esempio, usano la Storia come 
uno specchio deformante che, riflettendo il passato, illumina 
anche il presente e le sue incertezze, alimentate dalla totale 
perdita del passato ancestrale che produce nel soggetto una crisi 
d’identità e lo priva di legami culturali stabili.  
La seconda parte della dissertazione è dedicata all’analisi della 
Storia del giuggiolo, che ho definito un esempio di metanarrativa 
storiografica perché, oltre a porgere una singolare ricostruzione 
storica che invita il lettore a riflettere sulla possibilità e i limiti 
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della scrittura storiografica, richiama costantemente l’attenzione 
sul processo della narrazione, mostrandone l’artificiosità. Il primo 
paragrafo descrive la trama dell’opera, chiarisce il quadro storico 
in cui è inserita, e illustra, cercando di spiegarne il significato, 
come gli eventi storici si intersecano con le vicende dei 
protagonisti. Il secondo, mostra come la progressione e l’integrità 
dell’intreccio, caratterizzato da una fitta rete di piccoli racconti, 
siano distrutte per mettere in primo piano la struttura narrativa. Il 
terzo è dedicato ai temi ideologici che sottendono al romanzo, 
individuando un parallelo fra la psicologia dei personaggi, nei 
quali la volontà e l’autocoscienza vengono obliterati per lasciare 
spazio a irrazionalità, violenza ed erotismo, e la visione della 
Storia nel romanzo: una Storia soggetta al caso e all’errore, tanto 
quanto dominata da istinti sessuali e violenti.  
La conclusione, infine, vuole puntualizzare che La storia del 
giuggiolo si configura, dopotutto, anche come una ricerca, visto che 
il narratore cerca di compiere un’indagine per venire a capo di 
alcune vicende successe nel passato, ma la sua ricerca fallisce per 
l’irrestibile tendenza della verità a essere oscurata dalla menzogna 
e dall’affabulazione. Ciò non gli impedisce di ricercare e finanche 
sentire un vincolo con i personaggi di cui ha raccontato le vicende e 
il passato, che, ancorché ricostruiti con la fantasia, si fanno 
metafora della toccante esperienza dell’individuo “gettato” nella 
Storia. 
 
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Capitolo Primo 
 
 
 
 
 
Nessuno sapeva che dentro a quella cavità delle mura cittadine, in 
quella spaccatura ruvida e irregolare, potessero nascondersi così 
tanti uomini. Tutti pensavano che fosse una spaccatura e basta, 
un’ombra nera, riparo di serpenti in letargo e cani moribondi per 
la fame. Mentre Faccia Candida conduceva Xiuyun a fare fieno, i 
corvi spaventati abbandonarono in volo il loro rifugio, le farfalle 
si sparpagliarono in volo, topi dalle striature bizzarre guizzarono 
fuori squittendo. I briganti furono accerchiati e annientati. E la 
battaglia ebbe inizio.  
Ciò che preoccupava di più Eryong era che quel maledetto 
buco dentro le mura portasse da un’altra parte. Erano più di sei 
mesi che stava alle calcagna di Faccia Candida: sette mesi interi, 
duecentoundici giorni.  
Stavolta la partita andava chiusa. 
Il finale dimostra che Eryong si stava preoccupando troppo. 
Quell’apertura a forma di bocca di murena non portava da 
nessunissima parte. Faccia Candida nella sua vita di errori ne 
aveva commessi un’infinità, questo però, purtroppo per lui, lo 
pagò con la vita. La pancia del pesce custodiva un deposito di 
munizioni in stato di abbandono, che, sebbene avesse una 
struttura portante di cemento armato, era già stato deformato una 
volta a causa di una tremenda esplosione. L’aver scelto quella 
cavità come nascondiglio e via di fuga, ricordò Eryong a distanza 
di anni, faceva piuttosto credere che lo splendido Faccia Candida 
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di un tempo in realtà fosse un idiota senza pari. Non occorre mica 
essere una volpe, perfino un topolino sa lasciarsi una via per la 
ritirata. 
La primavera del millenovecentocinquanta parve arrivare con 
un po’ di anticipo. Il tempo era secco come d’estate e allo spirar 
della brezza si udiva lo spezzarsi dell’erba secca. Xiuyun cadde 
nella bocca della murena suo malgrado, con la testa proprio 
accanto al petto possente di Faccia Candida, ma d’un tratto, come 
un muro che si schianta, quel petto possente la scostò con un 
sussulto. Il crepitio degli spari divenne un boato, più forte dei 
fuochi di capodanno. 
 
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Capitolo Secondo 
 
 
Ammirata per la sua pelle di pesca, Xiuyun era quel che si dice 
una bella di umili origini. Era figlia di un fruttivendolo. 
All’epoca, nella zona del fiume Qinhuai
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 tutti sapevano che a 
Dongguantou viveva un tale negoziante Xiao, e che questi aveva 
adottato un’unica figlia di nome Xiuyun.  
La nonna di Xiuyun aveva fatto la vita in un bordello, ma pur 
non essendo mai stata fra le favorite, non l’era mancato il suo bel 
colpo di fortuna: un riccone l’aveva riscattata e l’aveva fatta sua 
concubina. Costui divenne più tardi un pezzo grosso della 
politica, però, siccome alla ganza ex-puttana non gli andava di 
rinunciare, mise mano al portafogli per liberarsi del bastardo che 
quella si portava appresso. Quel bastardo era appunto il futuro 
negoziante Xiao. Egli all’età di sedici anni faceva il venditore 
ambulante davanti al tempio di Confucio. Gli affari non gli 
andavano né male né bene. Il negoziante Xiao non era né ricco né 
povero. 
Bastava uno sguardo per capire che Xiuyun non avrebbe fatto 
del male a una mosca. Era un tipino minuto, ma bello in carne. 
Perduta la madre in giovane età, aveva una matrigna, che di 
cognome faceva Zhang, e che, non avendo figli, sperava Xiuyun 
le portasse in casa un buon genero. Sennonché i genitori di questa 
signora Zhang gestivano un monte dei pegni, ed ella per la roba 
migliore aveva un fiuto speciale. Questo no, quell’altro neanche: 
a furia di rinviare la ragazza aveva di già diciannove anni, ma 
ancora non ci si dava alcuna premura. L’anno successivo vennero 
i giapponesi.  
                     
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 Fiume che attraversa Nanchino. 
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Tanto per cominciare, appiccarono il fuoco alla bottega appena 
restaurata; subito dopo, alcuni dei loro soldati si trasferirono nel 
cortiletto dell’esattoria. 
L’esattoria si trovava a ridosso della casa del negoziante Xiao. 
Con l’arrivo dei giapponesi vi cominciò un andirivieni di 
donnine allegre. I giapponesi, però, facendo mostra di voler  
vivere e lasciar vivere, se erano di buon umore davano addirittura 
le caramelle ai bambini del vicolo, per far loro una moina. La 
convivenza pacifica durò qualche mese, finché i soldati, incapaci 
di tenersi a freno, non incominciarono a infastidire le donne del 
circondario. 
Fortuna che nella famiglia Xiao marito e moglie si erano presi 
anzitempo le loro misure, e per un bel po’ di mesi Xiuyun non 
aveva messo il naso fuori. I soldati giapponesi allungarono prima 
le mani sui bersagli facili da acchiappare, e presero di mira la casa 
della comare che lavava loro i panni, dove se la spassavano con 
una tale sfrenatezza da sembrare in visita a un bordello. 
Distribuivano le caramelle ai cinque figli della comare e facevano 
fumare sigarette giapponesi a suo marito, che giaceva sofferente a 
letto. Una giovane passante si trovò davanti all’ingresso della 
casa della comare. Forse attirata dal rumore di risate che veniva 
da dentro, forse incuriosita alla vista dei ragazzi che uscivano a 
rincorrersi con le caramelle variopinte in mano, buttò un occhio: 
il gruppetto di soldati fra le risate la portò in braccio nella camera, 
e la scaricò a fianco della seconda cognata, che se ne stava stesa 
inebetita di traverso. 
Senza un minuto da perdere, le ragazze del vicolo si 
mobilitarono per cercar marito, mentre il negoziante Xiao e la 
moglie capirono che quel loro essere sempre stati così  sofistici si 
dimostrava in fin dei conti un imperdonabile errore. I maschi a un 
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tratto divennero rari e preziosi come l’oro, tanto che perfino i 
quattro sfigati che in vita loro una donna non l’avevano mai 
sfiorata se ne avvantaggiarono per scegliere a loro piacimento. In 
poco tempo il clima circostante cambiò radicalmente, e, a chi a 
casa aveva molte figlie, sembrò quasi una concessione divina 
trovare uomini disposti a sposarle, se solo queste avevano passati 
i tredici quattordici anni.  
Si dice che la buona sorte cada dal cielo. Ecco perché, se ti 
piomba addosso, non c’è modo di scansarla. Ma la buona sorte ha 
anche due gambe; quando viene viene, quando se ne va, addio. 
Un bel giorno Erhan andò col signor Li a casa di Xiuyun; senza 
dire né a né bah si sedette in salotto e attaccò a bere tè. La signora 
Zhang con un sorriso a trentadue denti se lo studiava e se lo 
mangiava con gli occhi, e intanto scherzava col signor Li, un 
tempo garzone del negoziante Xiao, ma poi, essendo uno in 
gamba, diventato anche lui padrone. La Zhang, sazia di guardare 
Erhan, si limitò a parlar col signor Li del più e del meno, e quello, 
da parte sua, non la finiva più di sdilinquirsi con le parole ‘mia 
cara signora, la mia cara signora’. Non aveva la puzza sotto il 
naso di un ricco, anche se da quando  aveva lasciato il negoziante 
Xiao per aprirsi un negozio in proprio gli affari gli erano subito 
andati meglio che a quest’ultimo. La Zhang, di colpo, era 
ringiovanita di dieci anni: non prestando più nessuna attenzione al 
negoziante Xiao, che le sedeva a fianco in un silenzio di tomba, 
chiamò ad alta voce Xiuyun, affinché uscisse a salutare. Xiuyun 
rispose e uscì, elargì a ciascuno uno sguardo colmo di languore e, 
dopo aver versato a ciascuno il tè, tornò nella sua cameretta. 
Quando si voltò per tornare in camera, Erhan si limitò a pensare 
che il pareo indiano di seta verde chiaro che aveva addosso le 
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incorniciava un gran bel sedere. Questa impressione gli sarebbe 
rimasta fino alla morte.  
Le nozze vennero preparate in fretta e furia: in pratica la Zhang 
e il signor Li impacchettarono Xiuyun e la consegnarono a Erhan. 
Quest’ultimo non ignorò di aver fatto un grosso affare, per quanto 
gli restassero delle perplessità che si levò solo l’indomani della 
memorabile prima notte di nozze. Sull’innocenza di Xiuyun ci 
metteva la mano sul fuoco, il fatto era che proprio questa parola, 
innocenza, lo tormentava di rimorso per la propria bassezza. 
Era grazie alle prostitute che il negoziante Li aveva fatto i 
soldi. In quel viavai di puttane che c’era nella zona del fiume 
Qinhuai, era infatti difficile dire quale di loro non avesse 
adoperato la roba della bottega del negoziante Li. Nel suo negozio 
le prostitute erano di casa, e nessun commesso  riusciva a fare 
affari senza essere in intimità con loro. Erhan a tredici anni faceva 
l’apprendista, a quindici aveva già sperimentato  cosa fosse  una 
donna. Con passo baldanzoso portava la mercanzia al bordello, 
dove uomini e donne lo spaventavano con frasi sconce, e alla fine 
venne portato a letto da una donna che poteva essere sua madre e 
che aveva due poppe tanto grandi da poter far la balia a cinque 
bimbi. Se lo staccò di dosso come se l’avesse appena partorito, e 
lo fece infilare sotto la sua nuova trapunta di raso scarlatto. Lei 
invece si rassettò con esasperata lentezza, poi spostò una sedia e 
si sedette accanto al cuscino di Erhan, per parlargli. 
A forza di spendere tutti i suoi risparmi nel bordello, Erhan 
divenne dunque un esperto puttaniere. Meno male che non aveva 
molti soldi, perché questo gli impedì di diventare un libertino a 
tutti gli effetti; d’altra parte, non avere molti soldi equivaleva a 
non potersi sposare, e ciò lo costringeva a frequentare il bordello. 
Insomma rimaneva un libertino dilettante, sempre sull’orlo della 
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depravazione, ma incapace di voltarle le spalle. Presa in moglie 
Xiuyun, dritto come un razzo portò la sposina nel suo paese 
natale; i bordelli di Nanchino erano un grande campo magnetico: 
più lontani se ne stava, meglio era.  
Xiuyun pensò per anni che lei e Erhan, andandosene in 
campagna, avevano commesso un errore enorme, preludio di una 
serie di tragedie e miccia di una reazione a catena di errori. I due 
novelli sposi non avrebbero dovuto abbandonare Nanchino, punto 
e basta; per che motivo Erhan si sottomise in tutto e per tutto al 
volere del suocero, fu una cosa che Xiuyun non capì mai. Di 
sicuro c’era che il negoziante Xiao e la moglie se l’erano fatta 
addosso per la sfrenatezza dei giapponesi, per cui avevano 
schiaffato la figlia al primo che capitava costringendolo a 
portarsela via, e buonanotte al secchio. 
Xiuyun aveva studiato in tutto due anni, solo che in un periodo 
così breve non era stata promossa nemmeno una volta. Figlia 
unica, l’amore non le veniva lesinato, ma per lei il negoziante 
Xiao non era disposto a spendere un soldo più del necessario. 
Correva voce che il denaro che aveva dato al genero in dote fosse 
ancora quello che sua madre aveva messo da parte facendo la 
puttana. Nessuno capiva dove volesse andare a parare con ciò il 
negoziante Xiao; ma di questo fruttivendolo con un unico vestito 
buono per tutte le stagioni,  le cose che la gente non capiva erano 
molte. Ragionando in base al buon senso, il negoziante Xiao non 
avrebbe mai, senza motivo, consegnato al genero una tale somma 
di quattrini, probabile quindi che considerasse la figlia un’inetta, e 
anche a dare i soldi a lei presto o tardi se li sarebbe intascati 
Erhan. Ma ancora più probabile è che non si fidasse della non più 
giovane seconda moglie; per mantenere una donna così un 
patrimonio non sarebbe bastato. 
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Il villaggio natale di Erhan era infestato dai briganti. Laggiù 
cent’anni fa di briganti ne venivano fuori da tutte le famiglie. 
Tutti dicono che all’epoca delle loro scorrerie era un miracolo se 
le chiatte che percorrevano il fiume potevano transitare senza 
pagare un pedaggio. Quindi, per  proteggere il denaro affidatogli 
dal suocero, una volta a casa Erhan si consultò con urgenza con 
suo fratello Eryong. Faccia Candida stava ormai reclutando un 
vero e proprio esercito, e aveva il potere di fare il bello e il cattivo 
tempo. Con la capitale Nanchino ormai abbandonata nelle grinfie 
dei giapponesi, la Cina era nel caos più totale: le rive sabbiose del 
Fiume Azzurro e le distese a perdita d’occhio dei canneti erano il 
luogo ideale per darsi alla macchia. Non essendoci giustizia, 
bisognava farsela da soli, fu opinione di Eryong. Così Erhan, dal 
momento che di soldi ne aveva, cominciò con il comprare due 
pistole. 
In questa zona di gente gagliarda erano molte le famiglie che 
nascondevano armi, e brandire un bastone o impugnare una 
pistola non era certo una cosa fuori dal comune. Ma ogni volta 
che Erhan e il fratello Eryong gareggiavano con in pugno le due 
rivoltelle appena comprate, Xiuyun sapeva solo che il cuore le 
batteva più rapido del normale, come se una mano le martellasse 
forte il petto. Forse è l’intuito femminile che, stranamente, in 
questi frangenti è più affidabile di quello dell’uomo, sta di fatto 
che Xiuyun dentro di lei era convinta che quelle due rivoltelle 
sarebbero state sicura fonte di guai. Per questo, quando gli sgherri 
di Faccia Candida misero la casa a ferro e fuoco e trovarono in 
una fessura del muro i soldi e le pistole, Xiuyun ebbe la 
sensazione di avere già previsto tutto. Proprio come quella strana 
paura di dieci anni dopo, quando, nel vedere Faccia Candida con 
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la Mauser premuta sul petto avrebbe sentito all’improvviso che 
per lui la rovina era dietro l’angolo. 
Fino al momento in cui Erhan venne accoppato come un cane 
randagio, Xiuyun credette di vivere un incubo: come in un incubo 
piangeva, pensando di gridare con tutta la forza che aveva, ma in 
realtà era muta. Allora, il fratello minore Eryong si trovava molto 
lontano, e per fortuna, perché altrimenti la vendetta di dieci anni 
dopo sarebbe stata tutta un’altra storia. Inutile rammentare che 
Erhan aveva un fratello solo, poiché, tanto, con i tempi che 
correvano, non sarebbe rimasto in vita neanche se di fratelli ne 
avesse avuti dieci. 
Come i soldi e le pistole furono scovati, Erhan non disse più 
una parola. Si sedette per terra pieno di terrore, le gambe 
divaricate, in volto un’espressione che Xiuyun conosceva bene. 
Faccia Candida sedeva a cavalcioni di una panca, e ridacchiando 
si  mordicchiava senza posa le unghie. Forse stava aspettando che 
Erhan implorasse perdono, o magari la tirava per le lunghe di 
proposito, perché ancora più persone si facessero attorno a 
vedere. Quelli che avevano familiarità con Faccia Candida 
sapevano che quando si mordicchiava le unghie e ridacchiava, 
nove volte su dieci avrebbe ucciso. 
Erhan se ne stava lì, seduto zitto zitto, mentre si assiepavano 
gli spettatori, e una miriade di occhi lo fissavano. Xiuyun non se 
lo immaginava nemmeno di quale splendore, in questa miriade di 
occhi, scintillassero i suoi. Lacrime gelate continuavano a rigarle 
le guance, in gola le pareva di avere un topo che cercava di 
arrampicarsi fuori. Perché Erhan si incaponisse a star seduto per 
terra come un bambino, non lo sapeva nessuno;  ma forse lui 
stava più comodo così, e, ormai prossimo alla fine, non voleva 
rinunciare a quest’ultimo piacere.