4
Indispensabile per la mia ricerca bibliografica, si è rivelata la “Biblioteca 
Internazionale di cinema e fotografia Mario Gromo” di Torino, nella quale 
sono riuscito, con facilità e disponibilità da parte del personale di servizio, a 
reperire gran parte della bibliografia wilderiana e, soprattutto, vecchi numeri di 
riviste storiche (i primi numeri di “Filmcritica”, per esempio) ed a ritrovare, 
proprio in questi articoli d’epoca (metà anni Quaranta, primi anni Cinquanta), 
il germe che sta alla base della mia tesi, e cioè che i quattro film da me 
prescelti per un’analisi, potessero essere considerati – e dunque analizzati – 
come una tetralogia chiusa e compiuta sulla società americana. 
Dopo aver letto approfonditamente il materiale bibliografico accumulato e 
dopo un’ulteriore visione dei quattro film, ha preso spazio in me l’idea 
d’impostare il lavoro come l’analisi di una tetralogia – quasi un’opera unica in 
quattro episodi – su quelli che ho deciso di chiamare gli “sconfitti” wilderiani, 
personaggi assai simili tra di loro ed in gran parte caratterizzati da spirali 
narrative decrescenti e negative, e d’impostare come sfondo costante della 
dissertazione proprio la società americana e le sue principali caratteristiche 
socio-economiche. 
Una volta stabilito l’oggetto della mia dissertazione – gli sconfitti sullo 
sfondo partecipe della società americana – ho cominciato a stendere quello che 
sarebbe stato l’indice – ed il canovaccio – del mio lavoro. 
Il primo capitolo è dunque dedicato a quella che è l’ipotesi principe della 
mia tesi di laurea, ovvero l’impostazione stabile di una possibile tetralogia. Si è 
trattato d’introdurre i principali riferimenti bibliografici che parlassero 
(avessero parlato) apertamente di comunanze forti tra i quattro film e di 
esaminare, assai genericamente, le similitudini più evidenti all’interno della 
filmografia limitata di questo studio – narrativamente, esteticamente – ed il fil 
rouge sotteso alle quattro opere: la figura dello sconfitto wilderiano.  
Nello stesso tempo, nel paragrafo successivo, ho dedicato spazio alla figura 
di Wilder critico della società americana, per sottolineare come, in questi 
quattro film, il regista austriaco, pur non diventando un pubblico accusatore, 
imbastisca lo sfondo delle proprie storie con l’intento di criticare velatamente 
ed intelligentemente le basi della società statunitense in cui ha scelto di vivere 
e di lavorare. 
 5
Il secondo capitolo, vero e proprio snodo centrale dell’intero lavoro, è 
dedicato unicamente all’universo dei personaggi che abitano i quattro film 
della tetralogia ed è il tentativo di rimarcare, attraverso un’analisi il più 
possibile trasversale, i forti punti in comune e le rare differenze tra gli sviluppi 
narrativi e gli attanti che se ne fanno partecipi. 
Ho introdotto così la figura dell’uomo sconfitto wilderiano e dedicato un 
lungo paragrafo (“Quattro sconfitti esemplari”) all’analisi trasversale dei 
quattro protagonisti dei rispettivi film, sponde ideali per dimostrare l’assoluta 
similitudine e la sorprendente univocità di questi quattro eroi negativi, sino al 
punto di poterli considerare come lo sviluppo di un unico carattere suddiviso in 
quattro esibizioni narrative distinte. 
Dopo aver analizzato gli altri sconfitti che popolano l’universo della 
tetralogia (“Altri sconfitti”), mi sono dedicato all’analisi di quei personaggi 
definibili come “integrati” e che, nella loro integrazione al sistema, palesano le 
differenze più sostanziali nei confronti dei quattro sconfitti esemplari e degli 
altri sconfitti. 
Esaminati da vicino i personaggi, mi sono dunque dedicato alle dinamiche 
ed ai temi che ruotano – facendoli muovere – attorno ai gruppi di attanti dei 
rispettivi film: si è trattato dunque di parlare del diffuso ricorso al 
mascheramento (caratteriale più che fisico) dei personaggi, della tendenza alla 
mistificazione, vera e propria prassi della gran parte dei personaggi della 
tetralogia. Nel paragrafo dedicato a questo tema, ho inserito un sottoparagrafo 
teso a sottolineare l’ampio ed intelligente ricorso, da parte di Wilder, della 
profondità di campo nella messa in scena dell’inganno, andando così ad 
elaborare tecnicamente e filmicamente una prassi narrativa. 
Successivamente ho dedicato la mia attenzione all’interazione tra i 
personaggi, analizzando soprattutto la figura del triangolo e le sue diverse 
modulazioni all’interno dei rispettivi film, la figura della spirale e quella del 
cerchio, vere e proprie forme narrative dell’uomo sconfitto, per poi 
soffermarmi, in chiusura del capitolo secondo, attorno al centrale tema del 
denaro e del possesso, vero e proprio centro motore di ogni singolo film, 
soprattutto laddove viene a porsi come discrimine sociale.  
 6
E’ in questa sede (“Denaro e potere: il possesso come discrimine sociale”) 
che ho avuto occasione di parlare ancora una volta di Wilder come critico della 
società americana, anche se più specificatamente che nel primo capitolo e con 
l’ausilio dei rapporti tra personaggi e delle loro rispettive traiettorie. 
Il terzo capitolo è dedicato, infine, ad analizzare lo sfondo sul quale si 
sviluppano le rispettive storie della tetralogia. Il piglio dell’analisi è sempre 
trasversale e mira ad approfondire, sia esteticamente che tematicamente, il 
ruolo della città, del paesaggio e, più in generale, degli ambienti, che fanno da 
sfondo partecipe alle traiettorie narrative degli sconfitti wilderiani, venendosi a 
collocare visivamente a cavallo tra quello che ho chiamato il mondo diurno 
della vita quotidiana ed il mondo notturno della corruzione e del malaffare. 
Un ruolo singolare e preminente viene giocato dalla scala, che si colloca 
profondamente nella determinazione dei rapporti di forza tra i personaggi, e 
dall’automobile, oggetto che viene ad assumere, metaforicamente, un ruolo 
determinante in tre film su quattro. 
Il quarto, brevissimo capitolo, è dedicato alle conclusioni dell’intero lavoro, 
alla conferma fattiva dell’impostazione di una tetralogia sugli sconfitti. 
L’impostazione data alla mia tesi di laurea è trasversale, proprio per rendere 
conto delle forti similitudini tematico-estetiche all’interno dei quattro film e per 
rinsaldare, in un’analisi obliqua, l’ipotesi iniziale che puntava a generare una 
tetralogia coesa e conchiusa. 
L’obiettivo che mi ero posto inizialmente è così andato confermandosi col 
passare delle pagine e con l’approfondimento graduale dei singoli film 
considerati in gruppo.  
Posso dunque ritenere confermata la mia ipotesi sull’esistenza di una 
tetralogia degli sconfitti wilderiani e, nello stesso tempo, considerare lo spazio 
artistico di questi quattro film come un cantuccio personale dell’autore, 
dedicatosi nel prosieguo della propria carriera ad altri temi e, soprattutto, a tinte 
assai meno fosche. 
 7
 
1. Capitolo primo. Ipotesi di tetralogia 
 
 
 
 
 
 
 
 
1.1. America amara: l’uomo sconfitto wilderiano 
 
L’ipotesi alla base di questa tesi di laurea è che i quattro film di Billy 
Wilder presi in esame - La fiamma del peccato (1944), Giorni perduti (1945), 
Viale del tramonto (1950) e L’asso nella manica (1951)
2
 - costituiscano una 
tetralogia e possano essere analizzati, considerata l’unitarietà tematica, 
narrativa ed estetica, in modo univoco e trasversale, che tenga conto dei loro 
forti punti in comune ed imbastisca su di questi l’ipotesi di una tetralogia 
dell’uomo sconfitto (degli sconfitti) sullo sfondo dell’America amara. 
Esaminando gli scritti riguardanti la filmografia di Billy Wilder, si scopre 
che il primo studioso a parlare di una “trilogia sull’America amara” (mancava 
all’appello L’asso nella manica, uscito nel 1951) è stato, nel 1950, il critico 
cinematografico Guido Aristarco, in un articolo che recensiva Viale del 
tramonto alla sua uscita italiana: 
 
“Con Sunset Boulevard l’austriaco Billy Wilder chiude, dopo Double 
indemnity («La fiamma del peccato», 1944) e The lost week-end («Giorni 
perduti», 1945), un’interessante se pur discutibile trilogia. Queste opere, in un 
certo senso e entro determinati limiti, sono tre pagine sull’«America 
amara»”
3
. 
                                                 
2
 I titoli originali sono rispettivamente: Double indemnity, The lost week-end, Sunset Boulevard, 
Ace in the hole (poi mutato dalla distribuzione americana in The big carnival) 
3
 Guido Aristarco, Viale del tramonto in “Cinema”, numero 49,  aprile 1951, p. 180 
 8
 
Nel medesimo articolo, solo qualche riga più avanti, Aristarco poneva in 
evidenza quelli che sono i punti in comune e le similitudini all’interno del 
sistema rappresentato dai tre film da lui presi in esame. Egli ritrovava analogie 
sia sul piano prettamente tecnico-narrativo (il racconto retrospettivo con la 
voce fuori campo), sia su quello più semplicemente contenutistico, con i 
personaggi spesso privi di dignità umana, inseriti in contesti sociali ugualmente 
cinici ed incancreniti, che si macchiano dei delitti e delle colpe più sporche 
(l’omicidio, l’alcolismo, l’arrivismo sociale, la corruzione morale). 
Ad estendere la definizione di trilogia ad una più ampia tetralogia, 
includente anche L’asso nella manica, ci penserà nel 1958 la prima biografia 
italiana dedicata a Billy Wilder dal critico letterario Oreste Del Buono, che 
parlerà de L’asso della manica come “la quarta opera della tetralogia”
4
 ed 
individuerà nella mordace ed autorevole vena critica nei riguardi della società 
americana (“Billy Wilder finisce per risultare un pubblico accusatore”
5
), il leit-
motiv di questa opera unica in quattro parti, con al centro il genere umano 
tutto, che secondo Del Buono (ed è un’idea mutuata da Wilder) “è debole, 
troppo debole”
6
. 
Sulla stessa lunghezza d’onda si pone anche Lino Lionello Ghirardini che, 
nel 1959, scriveva a proposito de L’asso nella manica: 
 
“[…]Wilder, mettendosi nella scia delle sue opere precedenti, ha voluto 
anche dare un quadro rappresentativo di taluni aspetti della cosiddetta 
«America amara»: e si deve ammettere che c’è perfettamente riuscito”
7
 
 
I quattro film che questa tesi prende in esame costituiscono visibilmente e 
con nettezza un cantuccio personale dell’autore, tematicamente ed 
esteticamente separato dal corpo dell’intera filmografia wilderiana.  
                                                 
4
 Oreste Del Buono, Billy Wilder, Guanda, Parma, 1958, p. 31 
5
 Ivi, p. 35 
6
 Ibidem 
7
 Lino Lionello Ghirardini, Storia generale del cinema: 1895-1959. Il cinema sonoro, Marzorati, 
1958, p. 946 
 9
Dopo L’asso nella manica, infatti, Wilder abbandonerà quelli che Godard 
ha definito ironicamente i “grandi soggetti umani”
8
, riponendo il tono amaro, 
grottesco e cinico del dramma (del noir, del film sociale, della critica di petto 
alla società americana, del suo espressionismo tematico e visivo di matrice 
europea) e si dedicherà quasi senza esclusioni al versante della commedia, per 
quanto agrodolce essa diventi in talune opere, non abbandonando dunque 
completamente il piglio critico della prima parte di carriera, ma virandolo 
sensibilmente verso un più edulcorato ed innocuo senso del comico. 
Le similitudini all’interno dei quattro film al centro di questa dissertazione, 
sono realmente sostanziose ed anche facilmente identificabili, sia per quanto 
riguarda l’aspetto prettamente narrativo e tematico (soggetti, sceneggiature, 
temi ricorrenti, sistema dei personaggi, tecniche narrative) sia per quanto 
concerne l’aspetto visivo, estetico e filmico (grammatica registica, 
illuminazione, scenografia, location).  
Pur ammettendo che il ricorso a taluni aspetti dell’”America amara” 
rappresenti un forte punto di comunanza tra i quattro film, è bene sottolineare 
come, al centro della tetralogia, ci sia soprattutto la figura dell’uomo sconfitto 
e, più in generale, quello che potremmo chiamare un intero universo di 
sconfitti.. 
Wilder rivolge così la sua critica pungente e pessimista alla figura che 
Maurizio Grande, nella sua biografia sul regista austriaco
9
, ha definito come la 
figura del “vinto”: vinti - sconfitti, malati, falliti, cinici, senza speranza - sono i 
quattro protagonisti dei rispettivi film: Walter Neff, l’introverso assicuratore de 
La fiamma del peccato; Don Birnam, lo scrittore fallito che si rifugia 
nell’alcool di Giorni perduti; Joe Gillis, lo sceneggiatore incompreso dalle case 
di produzione hollywoodiane di Viale del tramonto; Charles Tatum, il 
giornalista spietato e cinico de L’asso nella manica.  
                                                 
8
 Con queste parole, il regista francese Jean-Luc Godard si riferisce ai drammi della prima fase 
della carriera di Wilder, in un articolo che apre agli apprezzamenti sulla commedia agrodolce 
wilderiana della seconda fase (Irma la douce e Avanti!), “Cahiers du cinéma”,  n. 150 - 151, 
dicembre 1963 
9
 Maurizio Grande, Billy Wilder, Moizzi, Milano 1979 
 10
 Inevitabilmente discendenti risultano  le rispettive parabole di questi “eroi” 
all’interno della narrazione filmica (tre di loro muoiono al capolinea della 
propria singolare traiettoria; soltanto uno, il Don Birnam di Giorni perduti, 
giunge a quella che si disegna come un’incerta ed ingannevolmente 
consolatoria riscossa). 
Il mondo poetico che Wilder dipinge in questi quattro film è improntato ad 
un fatale pessimismo, derivato da una completa sfiducia nella capacità 
dell’essere umano di combattere contro il male che è in lui, di opporsi alla 
casualità degli eventi e all’ambiente ostile che lo circonda. 
 
“Da questa mancanza di capacità, soprattutto di ordine morale, sono 
caratterizzati gli «eroi» di Wilder - che sono poi eroi del nostro tempo - 
condannati specialmente dalla loro stessa natura alla finale rovina”
10
. 
 
Questi quattro uomini sconfitti sono caratterizzati dal loro sofferente 
isolamento, da un’esclusione consciamente od inconsciamente desiderata e 
sempre e comunque passivamente accettata come unica soluzione: Walter Neff 
si rifugia nel suo piccolo e buio appartamento di due stanze, non coltiva 
amicizie e alcun tipo vita sociale al di fuori dell’ambiente lavorativo, prima del 
fatale incontro con la bella e tremenda Phyllis Dietrichson; Don Birnam rifiuta 
l’amore della dolce e generosa Helen St.James e l’affetto preoccupato del 
proprio fratello, preferendo loro la fragile felicità abitata d’incubi della sbornia 
solitaria; Joe Gillis lavora, solitario e dimesso, nella sua piccola stanza di 
motel, battendo e ribattendo sceneggiature che sono immancabilmente scartate 
dalla produzione, trovando accidentale rifugio nella mortuaria e decadente 
dimora di Norma Desmond, fantasma dell’isolamento per eccellenza; Charles 
Tatum, infine, si ritira in una piccola città di provincia dove non accade mai 
nulla, dopo essere stato cacciato con severità da un grosso giornale cittadino 
per il suo comportamento scorretto e vizioso.  
I quattro protagonisti risultano, perlomeno all’apparenza, degli uomini 
semplici che svolgono altrettanto comuni professioni. Ciò che li 
contraddistingue - quasi come un marchio, un segno distintivo comune - è una 
                                                 
10
 Lino Lionello Ghirardini, op. cit. , p. 943 
 11
debolezza profonda e radicata, che li spinge, una volta caduti nel gorgo da loro 
stessi creato, a deragliare in traiettorie senza speranza e senza vie d’uscita, a 
crollare inevitabilmente sempre più in basso, lungo i piani inclinati di storie 
impietose, inabili a tal punto da non avere la forza di frapporre alla loro rovina 
la benché minima resistenza. C’è in loro, a ben vedere, un istinto assoluto e 
latente di autodistruzione, che non può che esplodere a contatto con le storie 
nel quale il destino avverso li ha collocati. 
Essi denotano, allo stesso tempo, una forte dose di aspro cinismo nei 
confronti della vita, dei personaggi coi quali si relazionano, di loro stessi. Il 
loro piglio amaro non è mai esattamente critica o autocritica, ma qualcosa di 
più simile ad un’abrasiva disillusione, un’accettazione passiva della propria 
atavica debolezza, del crimine e della malattia, del fallimento e della 
perversione. Agli eroi sconfitti di Wilder è preclusa la ribellione. Essi si 
adagiano blandamente sulle traiettorie disegnate per loro dal destino e 
dall’ambiente sociale in cui sono immersi. Il ravvedimento finale, quando 
giunge, è sempre ed immancabilmente tardivo: è  loro la peculiarità di non 
vivere mai a tempo, perennemente disorientati nei ritmi costanti e cadenzati di 
una società che tende ad emarginarli non appena rallentano il passo, alienandoli 
in tal modo dal contesto, allorché tentano la seppur minima resistenza, 
foss’anche legata al crimine e al decadimento morale. Accettare e comprendere 
la propria debolezza ereditaria comporta il distaccato abbraccio della morte 
come unica soluzione. In una società appiattita su vuoti modelli, la morte è 
l’unico gesto decisivo, l’unica possibile reazione. 
I quattro eroi sconfitti della tetralogia wilderiana hanno in comune un forte 
ed irrefrenabile istinto di raccontare. Ognuno di loro, in modi diversi e secondo 
traiettorie peraltro non dissimili, racconta la propria storia o storie immaginarie 
che derivano direttamente dal proprio modus vivendi (è il caso del giornalista 
Charles Tatum, inventore di menzogne); ciascuno di loro palesa una generosa 
tendenza a mistificare i fatti e mentire agli altri, filtrando gli avvenimenti 
oggettivi attraverso una soggettività costantemente tesa alla propria discolpa e 
mai ad una più distaccata analisi del meccanismo delle colpe. 
Sconfitti, isolati, cinici, ciarlieri e bugiardi, i protagonisti della tetralogia 
wilderiana rappresentano il principale e più immediato punto in comune tra i 
 12
quattro film, il filo rosso che lega le quattro pellicole in un’ipotetica ed unica 
tetralogia sull’uomo sconfitto sullo sfondo dell’”America amara”. 
Non appare dunque esagerato sostenere che i quattro uomini rappresentino 
le diverse modulazioni di un unico personaggio principale - l’uomo sconfitto, 
appunto, l’”eroe” wilderiano -, che si muove con traiettorie simili all’interno di 
una lunga storia suddivisa in quattro episodi esemplari, in un crescendo 
esponenziale di colpa, cinismo, cattiveria e spietatezza, che giunge, con L’asso 
nella manica, al proprio culmine.  
Secondo tale logica, il debole ed introverso assicuratore Walter Neff de La 
fiamma del peccato lo possiamo ritrovare vittima dell’alcool e dell’isolamento 
più malato nel Don Birnam di Giorni perduti, con nella mente una storia da 
raccontare e nel corpo un vizio che gli impedisce di raccontarla, in una 
castrazione artistica simbolica e apparentemente senza speranza. E ancora, 
l’alcolista ravveduto e assediato dai vecchi fantasmi lo possiamo ritrovare nel 
Joe Gillis di Viale del tramonto, fintamente liberato dalle catene del vizio, ma 
impantanato in sceneggiature che hanno perso smalto e originalità; fino a 
giungere così al Charles Tatum de L’asso nella manica, dove lo sceneggiatore 
fallito ha seguito quello che era l’unico tragitto percorribile verso un’apparente 
normalità (e Joe Gillis ne parla davvero nel precedente film
11
), tornare al 
proprio paese per fare il giornalista di un piccolo quotidiano locale, in attesa 
del grosso colpo che ne risollevi la mediocrità. E, neanche a dirlo, Tatum non 
si limita a cercare il grande colpo: egli lo costruisce da sé (eco dello 
sceneggiatore che fu Gillis), inscenando quel grande carnevale che riassume, 
tirandone le somme, l’intera vicenda dell’uomo sconfitto wilderiano e, 
chiaramente, della società americana tutta. 
L’uomo sconfitto è dunque il protagonista principale e l’asse portante di 
questa tetralogia antropocentrica e a suo modo disperata (disperante), il legame 
più forte e facilmente riscontrabile tra i quattro film presi in esame. 
                                                 
11
 “A quanto sembrava non avevo quel che ci voleva ed era arrivato il momento di chiudere con 
l’affare Hollywood e tornare a casa. Se avessi impegnato tutte le mie cianfrusaglie avrei fatto 
abbastanza soldi per comprare il biglietto dell’autobus e tornare in Ohio, a quel lavoro da 
trentacinque dollari a settimana dietro a una scrivania del Dayton Evening Post, se c’era ancora”. 
Così parla Joe Gillis in Billy Wilder, Viale del tramonto. La sceneggiatura completa, Elleu 
cinema, Roma, 2003, p. 16 
 13
Per confermare la nostra ipotesi basterebbe citare le parole di Fernaldo Di 
Giammatteo, laddove egli sostiene che “Wilder mostra di credere all’esistenza 
di un solo tipo umano, arido, spietato, sconvolto nell’intimo, corroso da 
un’atavica tendenza all’immoralità, negato all’ideale”
12
. 
Assai omogeneo, l’abbiamo accennato, risulta l’intero sistema dei 
personaggi all’interno della tetralogia (l’universo degli sconfitti) e le geometrie 
dinamiche che derivano dai loro rapporti e che attraversano i quattro film in 
modo ottimamente congeniato. 
Le figure femminili sono anch’esse di fattura assai simile e mostrano molti 
punti in comune in tre film su quattro. Esse sono intuitivamente divisibili in 
figure diaboliche e presenze salvifiche, anche se la suddivisione ideale, come 
vedremo nel secondo capitolo, è quella che separa i personaggi sconfitti da 
quelli integrati. 
Sul primo versante abbiamo la Phyllis Dietrichson de La fiamma del 
peccato, tipica “femme fatale” da film noir classico, tutta ammiccamenti 
sessuali e affascinante disonestà, esteticamente provocante e moralmente 
guasta; la Norma Desmond di Viale del tramonto, complessa figura di donna 
mantide e predatrice, malata nel profondo e famelica divoratrice di uomini e 
vecchi sogni ormai irrealizzabili; la Lorraine Minosa de L’asso nella manica, 
cinica e interessata donna materialista, glaciale in un ambiente torrido, che non 
esita a fingere artefatto amore per il marito moribondo, soltanto al fine di 
arricchirsi economicamente e consentirsi, in tal modo, una fuga più agevole e 
quindi definitiva. 
Sul versante opposto si collocano quelle che potremmo chiamare presenze 
salvifiche, appartenenti all’universo degli integrati. Fanno la loro comparsa la 
pura e sincera Lola Dietrichson de La fiamma del peccato, donna bambina 
debole ed infantile, vittima dei disegni di morte della matrigna Phyllis e breccia 
improvvisa nel cuore inaridito dell’irrecuperabile Walter Neff; la combattiva e 
amorevole Helen St.James di Giorni perduti, ragazza borghese di buone 
abitudini e curata esteriorità, che tenta in ogni modo di sottrarre l’uomo che 
ama dalle grinfie sempre più taglienti del vizio dell’alcool; la solare e vitale 
                                                 
12
 Fernaldo Di Giammatteo, L’audacia di Billy Wilder, in “Sunset Boulevard: sceneggiatura”, 
edizioni Bianco&Nero, Roma, 1952, p. 15 
 14
Betty Shaefer di Viale del tramonto, giovane e talentuosa sceneggiatrice 
appartenente alla nuova generazione, inserita a pieno titolo nel nuovo mondo 
produttivo di Hollywood e per questo motivo sul versante opposto rispetto 
all’incancrenita Norma Desmond e al perduto Joe Gillis; la madre di Leo 
Minosa ne L’asso nella manica, vaga presenza nel torrido universo del grande 
carnevale messo in scena dalle menzogne di Tatum, donna ingrigita e triste che 
si dedica al rito anacronistico della preghiera. 
Il sistema dei personaggi è poi ulteriormente arricchito (e reso stabile) da 
personaggi contorno tutt’altro che secondari, anch’essi intuitivamente 
suddivisibili tra personaggi sconfitti ed integrati. Essi ricoprono ruoli di 
un’importanza vitale all’interno dell’economia narrativa delle rispettive storie, 
nelle quali fungono spesso da contraltare e contrappunto al personaggio 
principale - l’eroe sconfitto -, combattendolo o assecondandolo, imbeccandolo 
o avversandolo, rapportandosi a lui secondo legami mutevoli, destinati perlopiù 
a fallire.  
A questa schiera di personaggi appartiene la figura paterna di Barton Keyes 
in La fiamma del peccato, vero e proprio personaggio “coscienza” per il 
giovane e colpevole Walter Neff, figura odiata/amata dal protagonista lungo gli 
assi della colpa sui quali si muove; il distaccato e preoccupato barman Nat in 
Giorni perduti, uomo che bada al sodo degli affari senza esimersi da qualche 
acidula stoccata moralistica che gli appiani la coscienza; l’incancrenito e 
mortifero valletto Max Von Mayerling in Viale del tramonto, personaggio 
annichilitosi volontariamente soltanto per assecondare le follie della sua 
padrona ed ex moglie Norma Desmond, uomo geloso ed orgoglioso avversario 
del giovane Joe Gillis; l’aspirante giornalista Herbie Cook ne L’asso nella 
manica, giovane dalla purezza ancora intatta e materiale duttile per le mani 
pesanti di Charles Tatum; il direttore del giornale di Albuquerque Jacob 
Q.Boot, uomo dalla forte integrità morale e professionale, personaggio che 
ricorda da vicino il Barton Keyes de La fiamma del peccato nel suo essere 
“personaggio coscienza” rispetto all’eroe sconfitto della storia. 
L’universo diegetico dei quattro film è abitato, in definitiva, da un sistema 
di personaggi stabile e coeso, omogeneo e similare nella distribuzione dei ruoli 
e nella tracciatura delle traiettorie narrative.  
 15
Al sistema dei personaggi fa da sfondo la medesima società rigida e 
raggelata di chiaroscuri, schematica e straniante, nella quale l’uomo è come 
immerso in un dilagante e denso magma, campo di battaglia e di sconfitta 
dentro al quale i personaggi rivestono sino in fondo il proprio ruolo, senza 
sensibili mutamenti di funzione, racchiusi entro la circolarità senza alternative 
di storie simili e di conclusioni praticamente identiche in tre casi su quattro, 
con la parziale e sorprendente eccezione di Giorni perduti. La circolarità 
narrativa racchiude nei suoi contorni precisi e netti tutte e quattro le storie, 
rappresentando un altro importante punto in comune tra i quattro film, vero e 
proprio connotato costante dell’intera tetralogia. Le storie raccontate nei 
quattro film, infatti, possiedono la medesima e inarrestabile circolarità 
narrativa (l’esempio più lampante è Giorni perduti, come vedremo in seguito): 
terminano sempre laddove sono cominciate, racchiuse entro i paletti della 
narrazione-confessione di alcuni personaggi, inglobando e serrando così 
quell’universo di ruoli e traiettorie umane che ne fanno, in definitiva, quattro 
analisi di determinati “casi umani” sullo sfondo della società statunitense. 
All’interno delle fondamenta di questa circolarità, le dinamiche tra 
personaggi in ciascun film rivelano altrettanto significative similitudini, 
modulate spesso sulla figura del triangolo, che racchiude a sua volta in sé, 
nonostante la loro importanza sfumata, le figure della coppia maschile e della 
coppia maschio-femmina. Abbiamo così triangoli d’una certa importanza in La 
fiamma del peccato (Neff - Phyllis - Lola, e altri che vedremo), in Giorni 
perduti (Birnam - Nat – Helen, e altri più sottili), in Viale del tramonto (Gillis - 
Norma - Betty) ed infine in L’asso nella manica (Tatum - Lorraine Minosa - 
Leo Minosa).  
La figura della coppia maschile agisce con una forte polarizzazione 
soprattutto in La fiamma del peccato, con l’unione/contrapposizione tra Neff e 
Keyes, ma anche, in modo diverso, negli altri film: in Giorni perduti la coppia 
maschile si instaura sui lati opposti di un bancone di bar tra Nat e Don Birnam, 
in Viale del tramonto combatte all’interno della fatiscente dimora di Norma 
Desmond tra il giovane Gillis e il vecchio Max Von Mayerling, in L’asso nella 
manica lega e separa il moribondo Leo Minosa allo spietato Charles Tatum, 
formando probabilmente la coppia maschile più complessa dell’intera 
tetralogia. 
 16
Dal punto di vista della coppia maschio-femmina, modulata su canoni 
d’amore e di sessualità (spesso vorace), gli esempi sono diversi eppur simili 
all’interno dei quattro film: La fiamma del peccato instaura la coppia malata (e 
bruciata dalla passione interessata) tra Phyllis ed Neff e una parallela coppia 
sana (lo schema è figlia/padre) tra la giovane Lola e lo stesso Neff; Giorni 
perduti genera, accanto alla classica coppia d’innamorati Birnam - Helen 
St.James, la particolare coppia (inclusa nei triangoli della storia) tra lo stesso 
Birnam e la bottiglia d’alcool, in una sorta di tradimento fuori dai canoni, in cui 
il terzo polo è rappresentato non da una persona fisica, ma da un vizio malato; 
Viale del tramonto oppone la coppia oscura e mortifera Gillis - Desmond a 
quella vitale e luminosa tra Gillis e Betty Shaefer; L’asso nella manica, film 
avaro di rapporti umani spontanei, genera, senza sottolinearla in alcun modo e 
quasi respingendola, la coppia guasta Tatum - Lorraine Minosa, legame che 
sarà fatale all’eroe sconfitto della storia, così come accadrà alla quasi totalità 
delle coppie sopra indicate. Ne deriva, infine, che la solitudine è l’unico 
legame senza rischi per i personaggi. 
Dalla modulazione complessa dei rapporti  tra personaggi derivano storie 
mai troppo complesse, nelle quali è ravvisabile, da parte di Wilder, una visione 
manichea di fondo. Ogni personaggio si ritrova a scegliere se campeggiare 
dalla parte del bene (della luce, della vita, dell’onestà, del lavoro) o da quella 
del male (delle ombre, della morte, del cinismo, dell’isolamento), senza avere 
possibilità di ripensamento o di completo e profondo ravvedimento. I 
personaggi di Wilder, nei quattro film della tetralogia, assai difficilmente 
passano il confine tra ruolo positivo e ruolo negativo, portando così sino alla 
fine la loro scelta iniziale - spesso inconscia e non cercata - di condivisione del 
crimine e di dissoluzione morale. I pentimenti tardivi di alcuni protagonisti non 
devono dunque ingannare: nei paraggi della morte ogni ravvedimento perde di 
potenza e si trasforma nell’ultimo, disperato gesto alla ricerca di un’insperata 
assoluzione.  
Nello stesso modo, i personaggi che da subito campeggiano sul versante 
positivo delle storie, non vengono distolti dal loro percorso rettilineo sul crinale 
della parte buona. Se essi palesano delle incertezze, queste sono dovute alla 
giovane età, all’incertezza atavica del genere umano, all’abile rete di menzogne 
costruita ad arte da altri personaggi appositamente per ingannarli.  
 17
Altro tema ricorrente che muove le fila dei rapporti tra personaggi, è il 
binomio tra sesso (amore) e denaro. Tale paradigma viene enunciato in tutta la 
sua brutalità nel noir per eccellenza che è La fiamma del peccato. Dice l’eroe 
sconfitto Walter Neff, al principio del film e della sua tardiva confessione: 
“L’ho ucciso per i soldi e per una donna. E non ho avuto i soldi e non ho avuto 
la donna”
13
. 
 Su questa dicotomia, dunque, si basa interamente La fiamma del peccato, 
con la spregiudicata Phyllis Dietrichson che modula a suo favore entrambe i 
poli del binomio (detiene la sessualità aggressiva, s’illuderà di detenere il 
denaro), ma anche Viale del tramonto, dove, al posto del denaro (che non è 
assente, ma assai meno importante), s’inserisce come secondo polo del 
paradigma, quello della visibilità, dei riflettori puntati, del pieno inserimento 
nel sistema produttivo della nuova Hollywood, per cui i personaggi sono divisi 
nettamente tra coloro che hanno posto nel mondo del cinema e coloro che da 
quel mondo ne sono stati allontanati per sempre e cercano, divorati da sogni 
irrealizzabili, di ottenere il lasciapassare definitivo per un loro ritorno 
nell’universo dorato dello star system. Non dissimile, per valori posti in campo, 
risulta L’asso nella manica, nel quale i giochi di scambio ed inganno si fanno 
più complessi, ruotando, mirabilmente manipolati, attorno al denaro ed alla 
ricerca di notorietà, al potere più in generale, sia esso quello mistificatorio della 
parola scritta (il giornale) o quello carnevalesco dell’intrattenimento più 
aggressivo: la sessualità scivola sul fondo, sempre pronta a riemergere 
nell’aggressiva e cinica fisicità di Lorraine Minosa, donna annoiata per 
eccellenza. 
All’interno delle differenti traiettorie di inganno e auto inganno sopra 
stabilite, Wilder inserisce uno dei temi a lui più cari, che verrà sviluppato sul 
versante della commedia in maniera mai ripetitiva e sempre più ricca di 
sfumature: il tema è quello della maschera che, in questa tetralogia, è 
modificato in quello della mistificazione, delle identità fittizie e della 
sostituzione. Travestimento e sostituzione si dimostrano motori della dinamica 
wilderiana. 
                                                 
13
 Billy Wilder, Double indemnity, 1944