La tutela penale dell’ambiente e delle Aree Naturali Protette 
- Marco Ghelfi - 
 
 
 
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CAP. I : IL DIRITTO PENALE DELL’AMBIENTE. 
FONTI E RIPARTI DI COMPETENZA 
 
 
1. Diritto dell’ambiente e diritto penale dell’ambiente.  
 
La trattazione di una materia complessa e disorganica come quella del c.d. “diritto 
dell’ambiente” rende imprescindibile, già di per sé, il tentativo di individuare in 
concreto l’ambito di operatività delle disposizioni che ne fanno parte: manca nella 
realtà dei fatti un complesso organico di norme, e la produzione delle stesse 
avviene spesso in modo confuso e disordinato, senza registrare il benché minimo 
sforzo da parte del legislatore per individuare un pur labile punto di collegamento 
tra le singole materie trattate.  
La nozione di “ambiente” si presenta per tradizione come assolutamente vaga e 
mutevole, ed il tentativo di fornirne una esaustiva definizione, operato da più 
parti anche a livello legislativo
1
, ha portato a risultati caratterizzati da una 
inevitabile genericità, connaturata all’essenza del concetto stesso di ambiente
2
. 
Detta situazione risulta altresì generata dalla imprescindibile contrapposizione fra 
                                                          
1
 Così, ad esempio, l’art. 1, comma 2, della l. n. 349/1986 (“Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in 
materia di danno ambientale”), indicava i compiti del ministero stesso individuandone il campo di azione nella 
“...promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della 
collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la 
difesa delle risorse naturali dall’inquinamento”, fornendo dunque elementi utili per l’individuazione del concetto in 
esame. Ancora il Consiglio CEE, nel 1983, ratificava la nozione di ambiente come “insieme degli elementi che, nella 
complessità delle loro reazioni, costituiscono il quadro, l’habitat e le condizioni di vita dell’uomo, quali sono in realtà 
a quali sono percepiti”. 
In giurisprudenza, l’ambiente è stato considerato come “un insieme, che pur comprendendo vari beni e valori, quali 
la flora e la fauna, il suolo, l’acqua etc. si distingue ontologicamente da questi in quanto si identifica in una realtà 
priva di consistenza materiale, ovvero in un contesto senza forma come è stato detto con espressione particolarmente 
efficace. Ed è alla nozione di ambiente come complesso di cose che racchiude un valore collettivo costituente specifico 
oggetto di tutela che, in sostanza, si riferisce la l. 349/86” (Cass. Civ. n. 4362 del 9 Aprile 1992); infine, nel progetto di 
legge n. 3282 relativo all’inserimento nel c.p. del titolo VI-bis (relativo ai “delitti contro l’ambiente”) veniva prevista 
l’introduzione di un art. 452 bis in cui era precisato che “agli effetti della legge penale l’ambiente è nozione unitaria 
comprensiva delle risorse naturali, sia come singoli elementi che come cicli naturali e delle opere dell’uomo protette 
dall’ordinamento per il loro interesse ambientale, artistico, archeologico, architettonico e storico”. 
2
 Con difficoltà evidenziata anche da A. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari II, Milano, 
1993, 427. Nella medesima opera l’autore esclude altresì la possibilità di ricorrere al testo costituzionale per individuare 
elementi definitori della nozione di ambiente. 
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3
esigenze di tutela ambientale ed esigenze di sviluppo socio-economico, in un 
quadro generale che ha conseguentemente portato alla realizzazione di un 
sistema normativo in perenne bilico tra spinte naturalistiche ed interessi 
industriali: ed è chiaro come questo abbia sovente implicato parecchie 
contraddizioni interne alla normativa in materia. 
In concreto dunque, non potendosi ricavare una nozione unitaria del concetto in 
esame, può affermarsi come la stessa dovrà essere ricavata di volta in volta 
tenendo conto delle diverse prospettive di veduta del legislatore stesso, il quale, 
nella maggior parte dei casi, individua in un singolo elemento (aria, acqua, suolo, 
paesaggio, e via dicendo) l’oggetto del suo interesse
3
. 
   
Considerazioni del tutto analoghe potranno essere avanzate anche qualora si 
tenti di fornire una precisa definizione di “diritto penale dell’ambiente”, concetto 
che, ovviamente, interessa in particolar modo il nostro discorso.  
Preliminare sarà anzitutto chiarire come la classificazione in esame si presenti  di 
tipo meramente convenzionale. La stessa risulta infatti essere fissata sulla scorta 
di principi generali del diritto penale, che individuano tale branca non in base alla 
materia trattata od alla collocazione che trovano le singole disposizioni, bensì 
considerando le conseguenze positivamente previste per i casi in cui siano 
trasgrediti i dettami normativi: nel concetto di diritto penale dell’ambiente 
rientreranno dunque tutti quei precetti che, perseguendo un’efficacie tutela 
dell’ambiente stesso, prevedono puntuali sanzioni penali come conseguenza della 
loro inosservanza.                                                                                                                
La complessità delle disposizioni in esame, determinata non solo dalla loro 
menzionata disorganicità, ma anche dai frequenti richiami ad aspetti tecnici che 
sovente ne rendono più difficoltosa la lettura
4
, ha determinato l’esigenza di 
guardare alle stesse con un’ottica che tenga conto di tali peculiarità, 
individuandone anzitutto una propria dimensione rispetto al generale concetto di 
diritto dell’ambiente. 
                                                          
3
 L. Ramacci, Manuale di diritto penale dell’ambiente, Padova, 2002, 16. 
4
 Si pensi, ad esempio, a quelle norme che contengono riferimenti a principi propri della chimica o della fisica. 
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4
Ma la richiamata specificazione non può essere automaticamente tradotta in 
un’autonomia da riconoscersi al diritto penale ambientale, o almeno non con 
riferimento all’ordinamento giuridico penale nel suo insieme. 
L’impossibilità di qualificare il concetto in esame quale branca del tutto 
indipendente del diritto penale risiede, infatti, non solo nella mancanza di un 
reale coordinamento fra le disposizioni in materia, ma anche nel fatto che lo 
stesso soggiace comunque a quelli che sono i principi generali del diritto penale, 
distinguendosi in seno al richiamato ordinamento unicamente in ragione 
dell’oggetto della tutela: l’ambiente, appunto. 
Tenendo inoltre conto delle partizioni del diritto penale elaborate in dottrina
5
, si 
potrà sicuramente affermare come le disposizioni penali ambientali si presentino 
come dotate di una ulteriore caratteristica: esse si collocano infatti quasi 
esclusivamente nell’ambito del cd. diritto penale complementare (o speciale), 
risultando elaborate da leggi speciali che delineano precise fattispecie di reato, e 
solo in minima parte appartengono al cd. diritto penale fondamentale, che, com’è 
noto, è quello contenuto nel codice penale. 
La menzionata peculiarità, tipica come detto del diritto penale ambientale, pur 
sollevando tradizionalmente diverse perplessità si pone come frutto di una scelta 
precisa da parte del legislatore
6
. 
Il dibattito in materia è da sempre molto acceso, e la dottrina si è da tempo divisa 
fra coloro che considerano opportuna una integrazione dello stesso codice penale 
per mezzo dell’inserimento di nuove fattispecie, che prevedano dunque reati 
specificamente ecologici
7
, ed altri autori che, dal canto loro, ritengono più idonea 
una sistemazione di nuovi crimini nelle legislazioni speciali a tutela dei singoli 
beni ambientali
8
. 
La risoluzione della diatriba nella seconda direzione poggia, a livello legislativo, su 
precise scelte poste in essere per garantire una protezione dell’ambiente il più 
concreta possibile: la semplice previsione di nuovi “reati ecologici” da inserire nel 
                                                          
5
 In particolare F. Mantovani, Diritto penale, Padova, 1992, 136. 
6
 G. Gregori, P. J. Da Costa Jr., Problemi generali del diritto penale dell’ambiente, Padova, 1992, 40. 
7
 Così  F. Bricola, Politica criminale e politica penale dell’ordine pubblico, in La questione criminale, 1975, 221. 
8
 Così invece F. Finlandese, La tutela penale dell’ambiente. Aspetti generali, in Giustizia penale, 1983, 594. 
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5
codice, e ciò prescindendo da una valida organizzazione amministrativa dei beni 
ambientali, si rivela infatti inidonea ad offrir loro un’efficacie protezione. 
E’ in particolare affermando la natura necessariamente sussidiaria dell’intervento 
penale in materia ecologica che, per alcuni autori, risulta giustificata la strada 
prescelta
9
. 
A prescindere da ciò è comunque indubitabile che la degradazione ambientale 
non possa essere affrontata esclusivamente con strumenti di tipo repressivo, né 
tanto meno con norme penali completamente svincolate da collegamenti 
funzionali e sistematici con discipline amministrative dirette alla prevenzione 
delle infrazioni.  
E’ forse in tale prospettiva che potrà essere condivisa l’esistenza di numerose ed 
eterogenee discipline di settore, le quali, pur offrendo un quadro disorganico e 
frammentato dell’insieme delle norme poste a tutela dell’ambiente, tentano di 
perseguire in maniera più incisiva ed articolata una concreta protezione dei 
singoli beni ambientali. 
 
 
                                                          
9
 A. Pototschnig, Gli inquinamenti dell’aria e dell’acqua: evoluzione della disciplina normativa, in Gli 
inquinamenti.Profili penali, Atti del V Simposio di studi di diritto e procedura penali, promossi dalla Fondazione 
Luzzani, Milano, 1974, 45.  
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6
2. Il reato ecologico: costruzione della fattispecie e sua lesione. 
 
La previsione di reati specificamente ecologici, sia essa contenuta nel codice 
penale od espressa in leggi speciali, si pone, comunque, come unico modo per 
assicurare ai valori ambientali quella protezione immediata di cui abbisognano 
nell’era presente
10
. 
Tale risultato potrà anzitutto essere ottenuto arricchendo la tipologia penalistica 
dei beni tutelati, alla cui violazione sono connessi puntuali provvedimenti 
repressivi o preventivi, con beni naturali autonomamente intesi: la presenza di 
sempre più articolate categorie di tali “beni-interessi ecologici” accanto a quelle 
tradizionali riferite ad acqua, aria e suolo (si pensi all’evoluzione delle disciplina a 
tutela degli animali, delle piante, degli equilibri climatici, e via dicendo), 
testimonia chiaramente lo sforzo del legislatore per rendere effettiva la protezione 
dell’ecologia nel suo insieme. Ma è altrettanto chiaro come il  muoversi in tale 
direzione, avendo cura cioè di soffermarsi in maniera puntuale sui differenti 
aspetti che possono essere coinvolti in un’effettiva tutela ambientale, non sempre 
garantisce interventi coordinati e coerenti: neanche con riferimento alla 
medesima materia.  
Il problema immediatamente conseguente è quello relativo alla possibilità o meno 
di riconoscere carattere tassativo alle richiamate fattispecie. 
Il ricorso ad una descrizione dettagliata ed esauriente dei comportamenti vietati, 
ancorché auspicato da quell’esigenza di determinatezza delle stesse fattispecie 
che caratterizza la moderna legislazione penale, è, nella realtà dei fatti, assai 
difficile da perseguire: è proprio detta difficoltà determina nella formulazione delle 
norme ecologiche un certo numero di peculiarità. 
Anzitutto può essere rilevata la tendenza ad accentuare nella costruzione delle 
norme penali in questione l’indicazione di quello che è il fine perseguito, anche a 
scapito della precisa descrizione del fatto vietato: in tali ipotesi, la valorizzazione 
formale delle finalità del disposto comporta una sorta di sopravalutazione 
dell’oggetto della tutela rispetto alla fattispecie concreta, nel senso che 
                                                          
10
 G. Gregorio, P. J. Da Costa Jr, Problemi generali, cit., 48. 
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7
quest’ultima funge unicamente da indizio dell’avvenuta lesione del bene giuridico, 
la cui esatta accezione potrà ricavarsi solo valutando elementi esterni a quelli 
descrittivi contenuti nella norma stessa
11
. 
Nella loro effettiva applicazione tali tipi di norme affidano una grande 
discrezionalità al giudice, prestandosi dunque agli incerti destini forniti da una 
interpretazione giurisprudenziale di tipo evolutivo.  
Ma anche nei casi in cui il legislatore dà maggior rilievo alla descrizione del fatto 
rispetto alle finalità perseguite dalla norma, a ben vedere le cose non cambiano 
un granché. 
Le proposizioni normative in parola lasciano infatti trasparire spesso un ampio 
grado di indeterminatezza dato dal fatto che raramente si riferiscono  ad elementi 
naturalistici, costrette come sono a descrivere oggetti che, per forza di cose, 
debbono la ragione della  loro sussistenza alle condizioni attuali della cultura e 
della civiltà: si pensi ad esempio alle nozioni di “inquinamento”, “degradazione”, 
“costruzione”, “scarico” e via dicendo, sulle quali si regge ogni legislazione penale 
ecologica
12
. 
 
La precaria formulazione dei reati ecologici costituisce così indizio sicuro di come 
la costruzione della lesione-tipo dei beni giuridici in questione risulti 
preminentemente attestata sulla frontiera del pericolo piuttosto che su quella del 
danno: tale regola ha, in particolare, valore pressoché generale in tema di delitti 
di inquinamento atmosferico e marino, ossia in tutte quelle ipotesi in cui non sia 
possibile calcolare in maniera precisa il nesso causale dei contributi offerti da 
molteplici agenti inquinanti ad un’unica lesione dell’ambiente.  
Poiché il danno costituisce un’alterazione della situazione preesistente ad opera 
dell’azione di un soggetto
13
, sarà tale quel reato che comporti un’effettiva e 
riscontrabile lesione di un bene ambientale protetto: ipotesi di reati ambientali 
così configurati non sono estremamente frequenti in materia di inquinamento, e 
ciò a causa della loro difficoltosa applicabilità, ma, ancorché episodici, fattispecie 
                                                          
11
 C. Palazzo, Il principio di determinatezza nel diritto penale, Padova, 1979, 329. 
12
 C. Cicala, La tutela dell’ambiente nel diritto amministrativo, penale e civile, Torino, 1977, 93. 
13
 Secondo la classica definizione fornita da Carnelutti, Il danno e il reato, Padova, 1930, 17. 
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8
contenenti le richiamate caratteristiche possono essere rinvenute, ad esempio, in 
tema di tutela delle acque. 
Proprio in virtù dei menzionati presupposti, la concezione dei reati in esame quali 
reati di pericolo ha esercitato un grande fascino sul legislatore moderno, sia per il 
fatto che, in un certo senso, ha reso le cose più semplici, sia per la buona prova 
che tale tendenza ha dato di sé in altri rami del diritto penale complementare. 
La peculiarità del reato di pericolo risiede nel fatto che legge trasferisce il 
momento consumativo dello stesso da quello della “lesione” a quello della 
“minaccia”
14
, in maniera che il suo perfezionamento venga in essere nel momento 
in cui il bene tutelato si trovi in una condizione oggettiva di possibile
15
 o 
probabile
16
 lesione: dal punto di vista politico criminale il ricorso a tali fattispecie 
permette di realizzare congiuntamente finalità di repressione e di prevenzione, 
permettendo così di avanzare la frontiera protettiva di quei beni e valori 
considerati meritevoli di particolare tutela. 
Ultima annotazione va fatta relativamente alla tradizionale distinzione dottrinale 
fra pericolo concreto e pericolo astratto (o presunto): mentre nella prima ipotesi la 
reale sussistenza del pericolo stesso dovrà essere accertata caso per caso, nella 
seconda eventualità non sarà necessaria una analoga operazione, poiché la 
minaccia al bene protetto (e, dunque, l’integrazione del reato) viene dedotta dalla 
legge per il solo fatto che sono stati integrati gli estremi della fattispecie in 
oggetto. 
 
 
                                                          
14
 Richiamando la tradizionale definizione di Antolisei, Reati formali e materiali, reati di pericolo e di danno, in 
Rivista penale, 1922, 16. 
15
 Così secondo R. Petrocelli, L’antigiuridicità, Padova, 1959, 118. 
16
 Così, invece, secondo M. Gallo, I reati di pericolo, ne Il foro penale, 1969, 38. 
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9
3. Ambiente e Costituzione. 
 
Preliminare risulta anzitutto registrare come nella Costituzione italiana non vi sia 
alcuna disposizione che consideri l’ambiente in maniera diretta, tanto che 
dottrina e giurisprudenza erano originariamente pervenute, con non poco 
travaglio, alla costruzione della nozione giuridica dell’ambiente in modo assai 
limitato e talora anche frammentario: il percorso accennato aveva preso le mosse 
da un lavoro interpretativo avente ad oggetto gli artt. 2, 9 e 32 del testo 
costituzionale, contenenti dispositivi a tutela, rispettivamente, dei diritti 
inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali in cui svolge la sua personalità, del 
paesaggio e della salute. 
Il quadro in tal modo delineato portò ad affermare come non potesse essere 
riconosciuto all’ambiente un rilievo giuridico autonomo, ponendosi lo stesso come 
concetto che finiva con il ricomprendere eterogenei istituti volti alla tutela delle 
bellezze paesistiche e culturali, alla lotta contro gli inquinamenti ed alla tutela del 
territorio (attività urbanistica). 
In un primo sviluppo parte della dottrina si soffermò in particolare su di una 
lettura congiunta delle attività tutelate secondo i principi richiamati dagli artt. 9 e 
32 Cost.
17
: i risultati raggiunti portarono ad affermare come la nozione di 
ambiente finisse con il racchiudere quanto ineriva ad una coerente e scrupolosa  
gestione sanitaria, unitamente ad un’altrettanto efficace attività urbanistica 
territoriale. 
Le argomentazioni addotte a sostegno di tali conclusioni risiedevano nella pacifica 
relazione esistente fra ciascun individuo e l’ambiente che lo circonda,  con una 
corretta qualità di vita direttamente dipendente dal naturale contesto in cui, 
necessariamente, ciascun individuo risulta inserito.  
Ma anche il richiamato filone dottrinale, unitamente ad altri che, ad esempio, 
ritenevano il concetto di ambiente come concernente le energie e le risorse 
naturali e culturali, appariva in qualche modo limitativo: lo stesso risultava infatti 
                                                          
17
 Mentre ai sensi dell’art. 9 Cost. “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e 
tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, il disposto dell’art. 32 Cost. statuisce che 
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività…”. 
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10
ridotto ad una situazione giuridica soggettiva individuale, trascurando dunque la 
dimensione collettiva del concetto in esame ed i suoi connessi risvolti 
pubblicistici. 
Ed è proprio in detta prospettiva che andranno richiamati parte degli interventi 
giurisprudenziali operati in materia dalla Corte costituzionale, che hanno portato 
all’elaborazione di una nozione giuridica dell’ambiente sicuramente più consona a 
quelle che sono le sue reali sfumature. 
Nel soffermarsi dunque su quelli che sono i stati i citati interventi del Collegio in 
materia, potrà essere anzitutto richiamata la l. n. 349/1986, istitutiva del 
Ministero dell’ambiente: il contenuto del testo normativo, fornendo altresì alcune 
indicazioni sulla cui scorta poteva individuarsi il concetto di ambiente, ha indotto 
proprio la Suprema Corte ad evidenziare lo sforzo compiuto dal legislatore per 
dare “riconoscimento specifico alla salvaguardia dell’ambiente come diritto 
fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività”, nonché 
per “creare istituti giuridici per la sua protezione”
18
. 
La Corte ha successivamente avuto modo di precisare come l’ambiente stesso si 
ponga quale “elemento determinativo della qualità della vita” dell’essere umano, la 
cui protezione persegue dunque non finalità meramente naturalistiche, bensì 
l’esigenza di assicurare, secondo valori diffusi in seno all’intera collettività, un 
idoneo habitat naturale in cui l’uomo possa vivere ed agire: la tutela ambientale, 
pur anche non in maniera diretta, risulta comunque imposta da quei precisi 
precetti costituzionali che sono appunto gli articoli 9 e 32 Cost., ed il concetto 
stesso di ambiente “assurge a valore primario ed assoluto” proprio in virtù delle 
richiamate disposizioni
19
. 
Una definizione ancor più esaustiva ed appagante del concetto in esame è stata 
infine fornita in una più recente sentenza della Corte
20
, nella quale viene 
affermato come, “in una corretta e moderna concezione”, l’ambiente stesso 
costituisce un valore costituzionale dal contenuto costantemente integrabile 
poiché, in esso, risultano sommati tutta una serie di ulteriori valori non 
                                                          
 
18
 Corte Cost., sent. 28 luglio 1987, n. 210. 
 
19
 Corte Cost., sent. 17 dicembre 1987, n. 641.  
 
20
 Corte Cost., sent. 7 maggio 1994, n. 302. 
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11
unicamente limitabili al solo aspetto estetico-culturale, sanitario od ecologico 
dello stesso. Un’effettiva e completa tutela non potrà infine prescindere da una 
concreta partecipazione sia dei competenti soggetti pubblici, nel rispetto del 
trincio di leale collaborazione, sia dei membri della collettività statale, dei quali 
non potrà ovviamente trascurarsi il positivo contributo per un’effettiva tutela dei 
beni ambientali
21
.     
I menzionati interventi da parte della Corte, unitamente ad altri successivi, hanno 
dunque dato la possibilità di delineare in maniera sufficientemente chiara il 
valore conferito all’ambiente dal testo costituzionale: in occasione degli stessi il 
Collegio ha inoltre avuto modo di sottolineare più volte, sempre ribadendo la 
rilevanza che riveste una concreta tutela ambientale, il ruolo svolto in materia dal 
diritto penale (dell’ambiente), giustificando la severità delle sanzioni previste 
considerandole quale imprescindibile deterrente alle purtroppo continue 
violazioni dei dispositivi in materia. 
 
  
                                                          
 
21
 G. Di Nardo, G. Di Nardo, I reati ambientali, Padova, 2002, 5. 
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12
4. Proliferazione di fonti e criteri ordinatori. Accenni alle fonti. 
 
L’accennata assenza di un qualsiasi riferimento diretto all’ambiente nel testo 
costituzionale, unitamente al ritardo con cui la Suprema Corte ha preso posizione 
in materia, hanno avuto rilevanti ed ovvie ricadute sull’intero sistema normativo, 
riversandosi sul piano formale e procedimentale della produzione del diritto e 
favorendo fenomeni di produzione extra ordinem: tali incertezze sul piano 
dogmatico hanno così comportato vere e proprie “rotture” con lo stesso sistema 
delle fonti, ed in parte anche con quei principi che ne sorreggono la sistematica
22
. 
Una delle caratteristiche precipue del diritto ambientale risulta peraltro essere la 
accentuata proliferazione delle fonti abilitate ad innovarne i contenuti oggettivi, e 
la mancanza di un reale coordinamento fra i diversi livelli di produzione 
normativa (internazionale, comunitario e nazionale) ha come inevitabile epilogo 
l’alta probabilità di conflitti ed incongruenze, che possono appunto investire 
norme e discipline promanate da organi appartenenti ad istituzioni differenti. 
Le vie per ovviare a dette situazioni si discostano, come poc’anzi accennato, da 
quelle che sono le strade generalmente percorribili: escluso risulta sicuramente il 
possibile ricorso al criterio gerarchico, consideratane la inadeguatezza a risolvere 
antinomie tra norme appartenenti ad ordinamenti che, quand’anche 
reciprocamente coordinati, si presentano come autonomi e distinti. 
Ritenendo generalmente inutilizzabili anche altri criteri tipici dell’ordinamento 
interno (non solo gerarchico dunque, ma anche cronologico, e via dicendo), sono 
state cercate e proposte soluzioni alternative: parte della dottrina si è così 
appellata al fine della “migliore protezione dell’ambiente”, con conseguente 
prevalenza da riconoscersi a quella disposizione che assicuri un livello di tutela 
ambientale più efficace
23
. 
Altri ancora, con ovvio riferimento a contrasti insorti con normative comunitarie, 
hanno richiamato direttamente quel principio di sussidiarietà sancito nel trattato 
                                                          
22
 Come osservato da B. Caravita, A. Morrone, Fonti di diritto ambientale, in Diritto dell’ambiente, Bologna, 2001, 
59. 
23
 Tesi sostenuta fra l’altro da T. Scorazzi, Il coordinamento tra norme nazionali, comunitarie e internazionali, in 
previsione di un testo unico in materia ambientale, in Razionalizzazione della normativa, Milano, 1994, 39.