Premessa  
 
 
 
2 
 
 
Ecco dunque la motivazione di questo nostro studio: valutare con la massima 
generalità possibile l’opportunità ed i modi offerti al clinico per interagire con i dati 
oggettivi disponibili. 
Benché i risultati di questo studio siano generali, ovvi motivi di ordine pratico ci 
hanno consentito di realizzarli e sperimentarli in una sola delle classi metodologiche 
elencate: quella dell’esplorazione statistica dei dati. Tale categoria di metodi è tutt’altro 
che esigua, racchiudendo una molteplicità di metodi utili per individuare preliminarmente 
quelle direzioni “privilegiate” di indagine che sono ricavabili dall’esame del vettore 
aleatorio, che di volta in volta, racchiude la struttura statistica dei dati da esplorare. A tale 
categoria metodologica appartengono l’analisi fattoriale, l’analisi delle componenti 
principali, la regressione lineare multipla, il multidimensional optimal scaling, l’analisi 
dell’omogeneità (detta anche analisi multipla delle corrispondenze, in breve AO) e 
l’insieme delle tecniche di elaborazione ottima dei segnali che comprendono oltre ai 
metodi di filtraggio ottimo, anche le tecniche statistiche note come analisi delle 
componenti indipendenti. 
I dati ed i risultati, ottenuti con i vari metodi scelti, per essere efficaci e fornire al 
clinico indicazioni significative in maniera immediata, necessitano della mediazione di 
opportuni strumenti di rappresentazione grafica. Per questo, nostro ulteriore obiettivo è 
affrontare lo studio dei limiti percettivi del sistema visivo umano. Tale studio è teso a 
ricavare delle indicazioni che, osservate nella rappresentazione dei dati, permettano di 
ottenere delle forme di visualizzazione in cui l’osservatore percepisca l’informazione 
specifica con il minore sforzo possibile. 
Si intuisce subito che non sarebbe possibile condurre lo studio sino alla 
sperimentazione sul campo conservando un orizzonte di indagine così vasto.  
Abbiamo dunque operato la scelta individuando quale metodo di riferimento 
l’analisi dell’omogeneità, poiché consente di rappresentare le grandezze in modo 
uniforme (indipendentemente dalla loro natura nominale, ordinale o quantitativa) e di 
inserire nella casistica anche soggetti con profilo paziente non completamente noto. 
 Inoltre, elemento questo che accomuna le diverse tecniche di analisi multivariata, il 
metodo AO meglio valorizza la concezione iterativa del processo cognitivo anche quando 
la conoscenza iniziale è scarsa. Come asserito da L. Fabbris “…se e finché il livello di 
conoscenza non è sufficiente a formulare una teoria, si possono analizzare i dati in una 
prospettiva esplorativa. Esplorare i dati significa descrivere in forma sintetica le 
esplorazioni raccolte al fine di evidenziare le strutture di relazione implicite che li 
  
Premessa  
 
 
 
3 
 
 
percorrono e permettere così al ricercatore di inventare moduli interpretativi aderenti 
alla realtà…Le procedure esplorative euristiche, in quanto hanno carattere intuitivo, 
analogico, previsionale e danno risultati…”  da verificarsi in modo rigoroso. Ecco 
dunque che nel suo insieme l’analisi dei dati comprenderà un’alternanza tra una fase 
esplorativa e una detta confermativa. 
 In definitiva si individua così quale obiettivo di questo studio l’interazione del 
clinico con i dati in entrambe le direzioni, da un lato quello delle metodologie di analisi 
multivariata, che appunto ci ha portato alla scelta dell’AO, dall’altro la valutazione dei 
vincoli imposti dalla sensibilità percettiva della visione dell’uomo per realizzare 
rappresentazioni grafiche efficienti. 
  
4 
 
Capitolo I: 
La percezione visiva 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Introduzione 
Le tecniche di visualizzazione permettono di trasformare complessi insiemi di dati in 
rappresentazioni visive significative, di facile comprensione ed interpretazione. Tali 
rappresentazioni consentono di apprezzare maggiormente la struttura dell’informazione 
contenuta nei dati rispetto a quanto è possibile ricavare dalla loro osservazione in forma 
numerica o codificata.  
Una simile affermazione trova palese conferma nell’esempio proposto da F. J. Anscombe 
[1]. Anscombe propone quattro serie di dati caratterizzate dagli stessi indici 
statistici e dalle quali, applicando la regressione lineare, si perviene allo stesso 
modello. 
 
Serie 1  Serie 2  Serie 3 Serie 4  
X Y X Y X Y X Y 
10,00 8,04 10,00 9,14 10,00 7,46 8,00 6,58 
8,00 6,95 8,00 8,14 8,00 6,77 8,00 5,76 
13,00 7,58 13,00 8,74 13,00 12,74 8,00 7,71 
9,00 8,81 9,00 8,77 9,00 7,11 8,00 8,84 
11,00 8,33 11,00 9,26 11,00 7,81 8,00 8,47 
14,00 9,96 14,00 8,10 14,00 8,84 8,00 7,04 
6,00 7,24 6,00 6,13 6,00 6,08 8,00 5,25 
4,00 4,26 4,00 3,10 4,00 5,39 19,00 12,50 
12,00 10,84 12,00 9,13 12,00 8,15 8,00 5,56 
7,00 4,82 7,00 7,26 7,00 6,42 8,00 7,91 
5,00 5,68 5,00 4,74 5,00 5,73 8,00 6,89 
 
Tabella 1: Serie proposte da Anscombe 
 
 
  
Capitolo I:   La percezione visiva 
 
 
 
5 
 
n° osservazioni (N): 11 
valor medio delle serie X: 9.00 
valor medio delle serie Y: 7.50 
equazione della retta di regressione: Y=3+0.5*X 
errore standard della stima della pendenza: 0.118 
coefficiente di correlazione (r): 0.82 
quadrato del coefficiente di correlazione (r
2
): 0.67
Tabella 2: Alcuni indici statistici delle serie di Anscombe 
 
Dai dati riportati in tabella 1 e alla luce dell’uguaglianza del modello cui si perviene, si 
sarebbe indotti a pensare che tali serie siano frutto di analoghi fenomeni e che siano 
caratterizzati da analoga variabilità. Così non è come si può vedere facilmente allorché si 
provveda a rappresentare le serie su dei piani cartesiani (vedi figura 1). 
 
Figura 1: Diagrammi delle serie di Anscombe e dei modelli lineari derivanti 
dalla regressione lineare 
  
Capitolo I:   La percezione visiva 
 
 
 
6 
 
Osservando i grafici si deduce come la serie 1 possa derivare da rilevazioni sperimentali, 
che la serie 2 possa discendere dal campionamento della  funzione y=y(x) e non contiene 
valori anomali, mentre le serie 3 e 4 individuano due relazioni lineari con ognuna un 
punto anomalo (outlier). Si noti inoltre come siano i punti anomali a condizionare il 
calcolo della retta di regressione nelle serie 3 e 4; eliminati questi le rette che meglio 
approssimano i dati sono quelle che passano per essi, in quanti i punti giacciono su una 
retta. Si conclude perciò che il modello a cui la regressione lineare conduce è adeguato 
solo per la prima serie. 
Potevamo pervenire alle stesse conclusioni dalla semplice osservazione della tabella dei 
dati?  La risposta è ovviamente negativa. 
Questo illuminante esempio dimostra come un’adeguata forma di visualizzazione 
consenta una maggiore comprensione dell’informazione contenuta nei dati, permettendo, 
in particolare, di evidenziare le strutture che in essi sono celate.  
Per queste sue capacità, la visualizzazione si propone come strumento idoneo per essere 
utilizzato nell’analisi esplorativa dei dati. 
Ma quali sono le regole da seguire affinché i vantaggi offerti dalla visualizzazione  
possano essere sfruttati  al meglio?  
In questo capitolo cercheremo di dare risposta a questa domanda.  
Partendo dall’esame della neurofisiologia alla base del processo di visione, cercheremo di 
valutare le prestazioni del sistema visivo. Proseguiremo indagando sui processi che 
permettono una più immediata comprensione di quanto osservato. Concluderemo con 
delle linee guida da seguire per ottenere forme di visualizzazione efficaci utilizzabili 
come strumento alternativo, o quanto meno complementare, ai metodi di analisi statistica 
multivariata finalizzati all’analisi esplorativa dei dati. 
 
Neurofisiologia della percezione visiva 
Il meccanismo fisiologico che consente la percezione visiva è caratterizzato da una 
notevole complessità ed in parte è ancora ignoto. Nonostante ciò il numero di distretti 
anatomici implicati nella visione è contenuto ed il percorso dell’informazione 
relativamente semplice. L’informazione visiva, acquisita tramite i fotosensori retinici, 
viene convogliata mediante il nervo ottico a delle strutture subcorticali, denominate 
nuclei genicolati laterali, e da questi alla corteccia visiva. 
Le strutture anatomiche implicate nella visione ed i loro collegamenti funzionali sono 
mostrati in figura 2. 
  
Capitolo I:   La percezione visiva 
 
 
 
7 
 
Alla base del processo visivo ci sono una fase di acquisizione dell’immagine ed una 
successiva elaborazione ed interpretazione della scena osservata. 
La retina è il distretto preposto all’acquisizione dell’informazione, mentre la base della 
percezione cosciente, intendendo con ciò tutti i processi di elaborazione che consentono 
di passare dall’immagine retinica all’elaborazione della scena, è da ricercarsi nella 
corteccia visiva. 
La fase di interpretazione è necessaria poiché l’informazione visiva, per come acquisita 
dalla retina, costituisce un codice di informazione mutevole: variazioni di illuminazione 
della scena osservata o del punto di osservazione modificano l’immagine retinica pur non 
alterandone il significato.  
Esaminiamo in dettaglio gli apparati preposti all’acquisizione e all’interpretazione 
dell’immagine. 
 
 
Figura 2: Distretti anatomici implicati nella visione 
(da Zeki S., “L’elaborazione dell’immagine visiva”, Le Scienze n°291, novembre 1992) 
NERVO 
OTTICO
RETINA 
NUCLEO 
GENICOLATO
LATERALE 
CORTECCIA VISIVA PRIMARIA (V1) 
  
Capitolo I:   La percezione visiva 
 
 
 
8 
 
La retina [2] 
La retina è la parte fotosensibile dell’occhio. Essa è caratterizzata da una struttura 
stratificata, illustrata in figura 3, che dall’esterno all’interno comprende lo strato 
pigmentato, lo strato dei fotorecettori (bastoncelli e coni), la membrana limitante esterna, 
lo strato granulare esterno, lo strato plessiforme esterno, lo strato granulare interno, lo 
strato plessiforme interno, lo strato delle cellule gangliari, lo strato delle fibre nervose e la 
membrana limitante interna.  
 
Lo strato pigmentato è composto di melanina, un pigmento di colore nero; questo serve 
ad impedire che la luce non assorbita dai fotorecettori venga riflessa all’interno del bulbo 
oculare. Se ciò avvenisse, infatti, si avrebbe un’illuminazione diffusa della retina che 
pregiudicherebbe la percezione dei contrasti e quindi la percezione nitida della scena 
osservata. 
 
 
 
 
Figura 3: Struttura della retina 
(da Polyak, The Retina, Chicago, University of Chicago Press.) 
  
Capitolo I:   La percezione visiva 
 
 
 
9 
 
La retina contiene una moltitudine di cellule neuronali, distinguibili in fotorecettori, 
cellule orizzontali, bipolari, amacrine e gangliari, organizzate ed interagenti tra loro in 
maniera differente a seconda delle diverse zone retiniche. 
I coni, responsabili della visione cromatica, e i bastoncelli, cui si deve la visione 
crepuscolare, sono gli elementi sensibili alla luce (fotorecettori o fotocettori). 
Entrambi i tipi di fotorecettore sono formati da quattro segmenti funzionali: il segmento 
esterno, il segmento interno, il nucleo e il corpo sinaptico. Le uniche differenze 
morfologiche tra coni e bastoncelli stanno nelle dimensioni e nella forma del segmento 
esterno (cilindrica per i bastoncelli, conica per i coni da cui la denominazione). 
Il segmento esterno contiene la sostanza fotosensibile in concentrazione massiccia, 
arrivando ad essere il 40% della massa di tale porzione cellulare. 
Il segmento interno contiene il citoplasma ed i corpuscoli cellulari, mentre il corpo 
sinaptico permette la connessione del fotorecettore con le altre cellule neuronale che 
costituiscono i successivi stadi della catena visiva. 
I coni si distinguono in tre tipi a seconda della lunghezza d’onda della radiazione 
luminosa a cui sono sensibili. Si hanno coni sensibili alla radiazione luminosa rossa, blu e 
verde. La sensibilità alle diverse lunghezze d’onda va ricercata nelle diverse capacità di 
assorbimento delle sostanze fotosensibili presenti al loro interno e che sono denominate 
fotopigmento blu – sensibile, fotopigmento rosso – sensibile e fotopigmento verde – 
sensibile. Si è osservato sperimentalmente che le curve di sensibilità spettrale dei coni ai 
vari tipi di colore sono essenzialmente uguali alle curve di assorbimento dei tre tipi di 
pigmenti presenti nei coni. Tali curve sono riportate in fig.4, dove è riportato anche il 
campo di assorbimento della rodopsina, pigmento alla base dell’attivazione dei 
bastoncelli. 
Da tale curve si nota un picco di assorbanza per lunghezze d’onda pari a 445 nm, 535 nm 
e 570 nm per i coni del blu, del verde e del rosso rispettivamente, mentre la rodopsina, 
sostanza fotosensibile dei bastoncelli, ha il massimo di assorbimento per λ  pari a 505 nm. 
Alla base della percezione cromatica c’è un diverso grado di attivazione dei vari tipi di 
coni. Con un’attivazione massimale dei coni del blu (attivazione al 100%), con gli altri 
fotocettori cromatici inattivi (attivazione 0%), percepiamo un colore blu corrispondente al 
codice di attivazione 0:0:100 nella rappresentazione RGB. E’ proprio questa serie di 
rapporti di attivazione cromatica che il sistema interpreta come sensazione di colore. Al 
variare di questi rapporti si riescono a percepire tutti i colori dello spettro visibile. 
Un discorso a parte merita la percezione del bianco. Questa è frutto di una stimolazione 
contemporanea con intensità circa uguale di tutti i tipi di fotocettori cromatici. Ciò è 
  
Capitolo I:   La percezione visiva 
 
 
 
10 
 
legato anche al fatto che al bianco non corrisponde alcuna lunghezza d’onda 
nell’intervallo del visibile (400 – 700 nm), essendo questo il frutto di una combinazione 
di tutte le lunghezze d’onda dello spettro.  
L’assenza o l’esiguo numero di coni di un tipo determina cecità o debolezza cromatica 
per le lunghezze d’onda di competenza per quello specifico genere di fotocettori. Tipico è 
il caso della cecità per il rosso - verde  causato dalla mancanza di coni sensibili al rosso o 
al verde, anche se si può riscontrare debolezza o assenza di percezione per il blu. 
Il meccanismo fotochimico alla base dell’attivazione dei fotorecettori è complesso e non 
lo tratteremo in dettaglio. Basti sapere che, quando una radiazione luminosa colpendo un 
fotocettore attiva la sostanza fotosensibile, si genera un’iperpolarizzazione dell’intera 
membrana cellulare. Tale iperpolarizzazione, detta potenziale recettoriale, raggiunge il 
suo massimo in circa 0,3 secondi e dura per circa un secondo nei bastoncelli, mentre per i 
coni tali durate sono circa quattro volte minori. L’intensità del potenziale recettoriale è 
circa proporzionale al logaritmo dell’intensità dello stimolo luminoso incidente. Tale 
relazione logaritmica è di estrema importanza poiché grazie ad essa il nostro sistema 
visivo può discriminare intensità luminose in una gamma enormemente più ampia di 
quanto sarebbe possibile con un legame di diretta proporzionalità. Con tale meccanismo 
si contiene la differenza del potenziale di membrana a poche decine di mV a fronte di una 
variazione dell’intensità luminosa di parecchi ordini di grandezza. 
 
Figura 4: Assorbimento dei pigmenti fotosensibili dei fotorecettori retinici alle
varie lunghezze d’onda della luce visibile 
(Marks, Dobelle e MacNichol, Science, 143/1181, 1964 e Brown e Wald, Science, 144/45, 1964) 
  
Capitolo I:   La percezione visiva 
 
 
 
11 
 
Il potenziale recettoriale, che si genera inizialmente nel segmento esterno del fotocettore 
attivato, si propaga a tutta la membrana cellulare, fino a raggiungere i corpi sinaptici, per 
conduzione elettrotonica
1
. Qui il fotocettore rilascia un neurotrasmettitore eccitatorio (si 
presume essere il glutamato) che consente la sinapsi, quindi la propagazione dello 
stimolo, ai successivi strati neuronali della retina, cellule orizzontali e bipolari. Queste a 
loro volta propagano lo stimolo, sempre per conduzione elettrotonica, alle cellule 
amacrine che lo convogliano alle cellule gangliari. Solamente a livello delle cellule 
gangliari si ha la codifica dell’informazione dello stimolo luminoso sotto forma di treni di 
impulsi (potenziale di azione), con frequenza di scarica proporzionale al potenziale di 
sinapsi. La conversione è necessaria in quanto la conduzione elettrotonica, pur essendo 
capace di garantire la trasmissione tra le varie cellule considerato lo stretto contatto tra i 
vari corpi cellulari, è inadeguata alla trasmissione dalle cellule gangliari al cervello a 
causa delle grandi distanze in gioco.  
Le cellule orizzontali stabiliscono connessioni laterali tra i corpi sinaptici dei fotocettori 
ed anche con i dendriti delle cellule bipolari. La funzione di queste cellule è fornire un 
sistema, detto di inibizione laterale, basilare per una fedele trasmissione 
dell’informazione al sistema nervoso centrale, in particolare di quella relativa ai fronti di 
contrasto presenti nell’immagine. Quando un settore retinico è stimolato da un fascio 
luminoso, non si ha una propagazione dell’eccitazione a tutta la retina perché la 
trasmissione dello stimolo attraverso le cellule orizzontali lo impedisce. Tale 
impedimento si ottiene inibendo l’area circostante a quella stimolata. E’ probabile che 
alcuni tipi di cellule amacrine contribuiscano ulteriormente al fenomeno dell’inibizione 
laterale.  
Di cellule amacrine ne sono state individuate una trentina di tipi, ognuna delle quali è 
sensibile ad un diverso tipo di stimolo (ad esempio variazioni improvvise di 
illuminazione della scena o direzione dello stimolo luminoso). Data la specificità della 
risposta di questi interneuroni, si può affermare che le cellule amacrine concorrono ad 
una prima analisi dei segnali visivi, analisi che ha luogo prima ancora che questi lascino 
la retina. 
Le cellule gangliari sono localizzate nello strato più interno della retina e l’insieme dei 
loro assoni forma il nervo ottico, canale di comunicazione tra retina e sistema nervoso 
centrale. 
                                                     
1
 L’importanza della conduzione elettrotonica risiede nel fatto che essa consente una conduzione 
graduata dell’intensità del segnale conseguente allo stimolo. 
  
Capitolo I:   La percezione visiva 
 
 
 
12 
 
La maggior parte delle cellule gangliari non è sensibile al livello attuale di illuminazione 
della scena, ma risponde solo al contrasto tra aree retiniche diversamente illuminate. Ciò 
è frutto del fenomeno dell’inibizione laterale che abbiamo già trattato. 
Una singola cellula gangliare può essere stimolata da tutti i tipi di coni o solo da alcuni. 
Quando la cellula gangliare riceve terminazioni da tutti i tipi di fotocettori cromatici essa 
trasmette un segnale analogo per ogni colore dello spettro, quindi non trasmette al sistema 
nervoso centrale alcuna informazione utile alla discriminazione dei colori.  
Esistono invece cellule gangliari che ricevono segnali eccitatori da un solo tipo di coni 
mentre sono inibite da coni relativi ad altri colori. Tale organizzazione si verifica, ad 
esempio, tra i coni del blu (eccitatori) ed una combinazione di coni verdi e rossi (inibitori) 
determinando una relazione reciproca tra i colori blu e giallo secondo un meccanismo di 
“opponenza cromatica”. Lo stimolo che afferisce al cervello da cellule gangliari di tipo a 
contrasto cromatico contiene l’informazione relativa al colore. Infatti, grazie 
all’opponenza cromatica, tali cellule vengono eccitate da un dato colore ma inibite dal 
colore opponente. In conseguenza a ciò, il grado di eccitazione della cellula fornisce al 
sistema nervoso centrale informazione sul rapporto esistente tra colore eccitante ed 
inibitorio nella scena osservata, quindi un’indicazione sul grado cromatico. 
Si può allora affermare che l’analisi dei colori inizia già a livello retinico, almeno per 
quel che concerne la fase di codifica dell’informazione cromatica. 
Le cellule gangliari preposte alla trasmissione dell’immagine visiva e del colore sono 
dette cellule X. Sono le più numerose tra le cellule gangliari (circa il 55% del totale) sono 
caratterizzate da dimensioni dell’ordine dei 10 – 15 µ m di diametro e con le loro fibre 
nervose trasmettono segnali nel nervo ottico alla velocità di circa 14 m/s. 
Le cellule gangliari di tipo W costituiscono il 40% delle cellule gangliari. Hanno 
diametro inferiore ai 10 µ m e trasmettono segnali nel nervo ottico alla velocità di 8 m/s. 
Sono eccitate in massima parte dai bastoncelli, hanno campi recettivi ampi e sembrano 
specialmente idonee alla rilevazione di movimenti direzionali all’interno del campo 
visivo. E’ possibile che queste giochino un ruolo importante anche per la funzione visiva 
del sistema dei bastoncelli in condizioni di oscurità. 
Le cellule gangliari di tipo Y sono le cellule gangliari contraddistinte dalle maggiori 
dimensioni: il loro diametro può raggiungere i 35 µ m. Il loro numero è contenuto (circa 
5% del totale) e sono in grado di trasmettere i loro segnali al cervello a velocità elevata, 
fino a 50 m/s. Queste cellule rispondono, come parte delle cellule amacrine, a rapide 
variazioni dell’immagine visiva, sia che questi siano cambiamenti di illuminazione che 
  
Capitolo I:   La percezione visiva 
 
 
 
13 
 
movimenti rapidi all’interno della scena osservata. La loro riposta, pressoché istantanea, 
informa il sistema nervoso centrale della variazione ed è in grado di fornire le 
informazioni appropriate a far deviare lo sguardo verso il nuovo stimolo visivo. 
Nella retina si distinguono due diversi tipi di sistemi visivi: uno “antico” basato sui 
bastoncelli e uno “recente” basato sui coni e quindi responsabile della percezione 
cromatica. Il sistema visivo “recente” è caratterizzato da cellule neuronali e fibre nervose 
più grosse che assicurano una maggiore velocità di trasmissione al cervello dello stimolo 
visivo rispetto al sistema “antico”. Il sistema visivo “recente” trova la sua collocazione 
nella regione della fovea, piccola porzione centrale della macula (zona centrale della 
retina) caratterizzata da elevata acuità visiva. La fovea contiene solo coni; questi hanno 
delle caratteristiche speciali che li rendono particolarmente adatti a cogliere i dettagli 
della scena osservata. La loro dimensione è inferiore a quella dei coni periferici: solo 1,5 
µ m di diametro contro 5 – 8 µ m. Inoltre nella fovea si ha un’associazione di tipo uno a 
uno tra coni e le fibre nervose afferenti al cervello. Ciò garantisce un’elevata specificità 
degli stimoli trasmessi al cervello ed è quindi responsabile dell’alta acuità visiva della 
regione foveale e della forte predisposizione alla percezione dei dettagli di questa 
porzione retinica. Tale rapporto di innervazione è proprio della fovea, infatti mediamente 
su ogni fibra nervosa convergono le terminazioni di circa sessanta bastoncelli e due coni. 
In particolare, nella periferia retinica, su ogni fibra nervosa possono convergere anche 
duecento bastoncelli. Tale situazione determina un’ovvia diminuzione dell’acuità visiva, 
per contro si ottiene invece una maggiore sensibilità alla luce determinata da un processo 
di sommazione delle risposte dei singoli fotocettori convergenti su una stessa fibra 
nervosa. 
Per come sono strutturati, il sistema visivo basato sui coni e quello fondato sui bastoncelli 
hanno proprietà complementari: l’uno consentendo di percepire i dettagli è da ritenersi 
collegato alla visione cognitiva, legata fortemente al livello di attenzione, l’altro, legato 
alla visione precedente l’attenzione quindi svincolato dal livello di concentrazione, 
consente una visione d’insieme della scena osservata (il famoso “colpo d’occhio”) in cui 
informazioni dettagliate si potranno percepire solo grazie ad una successiva indagine 
visiva. 
Tali concetti, basilari per l’analisi delle forme di visualizzazione, saranno ripresi ed 
approfonditi in seguito. 
 
  
Capitolo I:   La percezione visiva 
 
 
 
14 
 
La corteccia visiva [3] 
« … Per conoscere ciò che è visibile, il cervello non può dunque limitarsi ad analizzare 
le immagini presentate alla retina, ma deve costruirsi un mondo visivo… » [Zeki, 1992]. 
A tale fine il cervello ha sviluppato un complesso meccanismo neuronale caratterizzato 
da una spiccata “divisione del lavoro” le cui basi anatomiche sono aree corticali distinte e 
sottoregioni specializzate in determinate funzioni visive. 
Da esperimenti condotti sul macaco e poi estesi all’uomo, Zeki ha dimostrato che la 
corteccia visiva associativa o prestriata è composta da svariate aree separate dall’area V1, 
corteccia visiva primaria o striata, dalla regione denominata V2. Ognuna di queste aree, 
denominate V3, V3A, V4 e V5, è specializzata nella percezione di un diverso attributo 
dell’immagine osservata. 
Sappiamo che l’area V5 elabora le informazioni relative al movimento, la V4 si occupa 
del colore e parzialmente della forma, infine la V3 e la V3A sono attivate dalla forma ma 
come V5 sono totalmente insensibili all’aspetto cromatico.  
La funzione di V1 e V2 è quella di distribuire le informazioni visive alle aree 
specializzate della corteccia prestriata. Per fare ciò, al loro interno sono presenti strati 
cellulari sensibili ai vari aspetti visivi. Tali cellule non hanno particolari capacità di 
elaborazione, servono solo a riconoscere il tipo di informazione per poi convogliarla in 
maniera congruente al distretto corticale preposto ad elaborarla. Proprio per la funzione 
che svolgono, essenzialmente di smistamento dell’informazione visiva, le regioni V1 e 
V2 vengono sempre attivate qualunque sia l’attributo da elaborare. 
Trascurando i complessi aspetti morfologici di V1 e V2, che sono alla base 
dell’interazione tra queste regioni corticali e le aree che elaborano gli attributi visivi, 
possiamo affermare che nella corteccia visiva esistono quattro sistemi paralleli di analisi 
dell’immagine osservata. Di questi sistemi uno, dovuto a V1 e V5, è finalizzato all’analisi 
del movimento, uno a quella del colore mentre i restanti elaborano la forma di quanto 
osservato. 
Un danno alle regioni della corteccia prestriata impedisce la percezione degli attributi 
visivi la cui elaborazione sarebbe competenza delle zone lese. La letteratura specializzata 
riporta numerosi casi. Tra le patologie più frequenti l’acromatopsia, incapacità di 
percepire i colori, causata da un danno a V4 e la acinetopsia, che impedisce la percezione 
di oggetti in movimento conseguenza di lesione a livello di area V5. Lesioni alle aree V1 
e V2 causano generalmente cecità totale, anche se in qualche sporadico caso rimangono 
  
Capitolo I:   La percezione visiva 
 
 
 
15 
 
delle capacità visive di tipo specializzato alle quale però il paziente non è in grado di 
associare alcun significato. 
 
Figura 5: Attivazione delle varie zone della corteccia visiva per stimoli visivi
diversi (a sinistra: immagini a colori, a destra: immagini in movimento) 
(da Zeki S., “L’elaborazione dell’immagine visiva”, Le Scienze n°291, novembre 1992)