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Introduzione 
 
 
 
I primi studi svolti in campo criminologico hanno preso in considerazione 
solamente l’autore del reato, trascurando totalmente l’importanza della vittima. 
La Scuola Classica ha maggiormente dato importanza ai fatti, piuttosto che alla 
personalità degli individui coinvolti nel reato. Il Positivismo ha poi sopperito  
alla mancanza della Scuola Classica, ma gli studi si sono concentrati solamente 
sul criminale. La Difesa Sociale, maggiormente volta ad umanizzare la reazione 
al delitto, si è occupata della vittima in misura superiore rispetto agli indirizzi 
precedenti, anche se le preoccupazioni per le sorti dell’uomo delinquente finirono 
per lasciarla in ombra. 
Già da queste brevi note è possibile intuire che gli studi sul ruolo della vittima 
e sulle dinamiche di vittimizzazione sono stati a lungo trascurati. La persona che 
subiva un reato spesso non veniva tenuta nella giusta considerazione, sia dagli 
organi di pubblica sicurezza, sia dall’opinione pubblica. Eppure, la vittima di un 
reato è quella che contribuisce in maggior misura alla scoperta dell’illecito, il suo 
atteggiamento, le sue azioni e la violenza subita imprimono una prima 
rappresentazione del delinquente e della criminalità in generale, influendo 
notevolmente alla  ricostruzione dei fatti. Le circostanze che portano al 
concretizzarsi di un delitto non devono essere considerate come unicamente 
prodotte dal criminale, ma spesso l’azione illecita è caratterizzata anche dalla 
presenza o da un particolare atteggiamento messo in pratica da coloro che 
verranno poi danneggiati. L’approfondimento del ruolo avuto dalla vittima nella 
genesi del reato, può portare ad un aumento delle conoscenze sui fenomeni 
criminali, mettendo così nelle mani delle forze dell’ordine mezzi più efficaci per 
prevenire e combattere la criminalità. 
Il focus della presente tesi è quello di evidenziare l’importanza e l’evoluzione  
dello studio della vittima, all’interno della scienza criminologia, al fine di 
migliorare le conoscenze sulla criminogenesi e sulla criminodinamica. L’analisi 
approfondita delle caratteristiche e delle interazioni che si sviluppano tra la 
vittima e l’offensore durante il perpetrarsi dell’azione criminosa possono portare
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ad una maggiore comprensione del delitto e alla disposizione, sul piano pratico, 
di una serie di elementi per permettere una prevenzione più efficace del crimine.  
Si è cosi voluto esaminare la fenomenologia dell’omicidio – attraverso 
un’analisi vittimologica sugli omicidi volontari avvenuti in Emilia Romagna nel 
quadriennio dal 2000 al 2003 – per far luce su un reato particolarmente efferato, 
che crea un alto allarme sociale e che spesso porta il cittadino ad avere una 
sovrastima ed una errata raffigurazione del fenomeno. Si cercherà di 
approfondire gli ambiti all’interno dei quali si sviluppa il delitto e la relazione 
che lega la vittima al suo carnefice, in modo da poter evidenziare le 
caratteristiche delle persone coinvolte nel reato e le varie tipologie di scenario 
omicida che maggiormente si presentano. 
Prima di passare a definire la fenomenologia dell’omicidio è doveroso ribadire 
come solo di recente la vittima abbia conquistato l’attenzione che si merita, 
attraverso la diffusione dei primi studi vittimologici, incentrati sull’analisi del 
rapporto che si viene a creare tra la vittima e l’autore del reato durante l’intera 
situazione criminosa: «la vittimologia si può considerare quella branca della 
criminologia che si interessa della vittima di un crimine e di tutto ciò che a questa 
si riallaccia, come la sua personalità, cioè i suoi tratti biologici, psicologici e 
morali, la sue caratteristiche socio culturali, le sue relazioni con l’autore del reato 
ed infine il suo ruolo e l’eventuale influenza nella genesi e nella dinamica del 
delitto» [Balloni 1983: 238]. 
Pertanto, nei primi quattro capitoli illustrerò la nascita della disciplina, 
partendo da una veloce rassegna di come si sono modificati il ruolo e la visibilità 
della vittima all’interno delle diverse società, nel corso della storia. Indicando poi 
quali sono stati i principali studiosi che hanno contribuito, attraverso i loro 
lavoro, alla diffusione della scienza vittimologica, procedendo con 
un’approfondita analisi del loro pensiero e delle loro opinioni riguardanti le 
principali considerazioni, gli scopi e i futuri sviluppi di questa nuova materia.  
In particolare, nel secondo capitolo si sottolinea l’importanza della relazione, 
che si sviluppa durante l’azione criminosa, tra la vittima e l’autore. Inoltre 
attraverso l’approfondito esame di due ricerche svolte in materia, si cercherà di 
evidenziare come si è modificata, nel pensiero degli studiosi,  la nozione di 
responsabilità attribuita alla vittima nella genesi del reato, passando dalla
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condizione di forte provocazione, espressa da Wolfgang [1958], ad una, più 
completa, concezione di partecipazione della vittima al reato, caratterizzata 
dall’individuazione dei vari gradi in cui è possibile classificare l’interazione. 
Quest’ultimo pensiero, promosso efficacemente per mezzo di una ricerca di 
Avison [1975], è divenuto la base di partenza per lo sviluppo degli studi 
vittimologici riguardanti la relazione vittima/criminale.  
Il terzo capitolo sarà incentrato sull’analisi dei fattori di “predisposizione 
vittimogena”. Verranno attentamente esaminate le concezioni dei diversi autore 
riguardo a quei fattori che possono favorire il pericolo di subire una 
vittimizzazione. Più precisamente ci si riferisce alle caratteristiche riguardanti 
l’aspetto bio-fisiologico, sociale e psicologico della vittima. In seguito 
illustreremo le principali classificazioni che gli studiosi hanno prodotto nei 
confronti della persona offesa dal reato, partendo innanzitutto dalla 
differenziazione tra le vittime reali e quelle che, invece, non hanno subito alcun 
crimine. Infine, verrà velocemente messo in luce lo stereotipo che i criminali si 
formano nei confronti della persona verso cui sarà indirizzato il delitto.    
Successivamente nel quarto capitolo saranno descritte le tematiche che 
interessano lo stato di equilibrio psicologico della vittima nel corso e in seguito 
alla manifestazione criminosa. Problematiche che possono eventualmente 
produrre effetti significativi sul suo comportamento e sugli atteggiamenti che le 
persone vittimizzate possono intraprendere in seguito all’esperienza avuta sia per 
rispondere ad un eventuale stato di sofferenza psichica, sia per cercare di ridurre 
il rischi di una futura vittimizzazione. Inoltre verranno affrontati, in breve, alcuni 
dei principali aspetti dell’ordinamento giuridico legati al ruolo assunto dalla 
vittima all’interno del sistema penale italiano e conseguentemente a questo 
verranno illustrate le più rilevanti leggi in materia di riparazione del danno 
subito.  
Infine, nel quinto ed ultimo capitolo, attraverso l’analisi degli omicidi 
volontari avvenuti in Emilia Romagna nel quadriennio dal 2000 al 2003 si 
cercherà di fornire un’accurata descrizione della fenomenologia del delitto, 
cercando di stabilire se le probabilità di subire un certo di tipo di reato sono 
equamente distribuite tra tutti gli individui, oppure se vi sono determinate 
persone che, in virtù di particolari caratteristiche, sono più esposte al rischio di
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vittimizzazione. In particolare, si vuole esaminare le caratteristiche delle persone 
coinvolte nel reato, l’eventuale relazione che le lega e lo scenario in cui si è 
sviluppato l’omicidio, andando ad indagare l’ambito in cui si è sviluppata 
l’azione criminosa e il movente che ha spinto l’assassino a compiere un gesto 
così efferato. In ultimo si andrà a confrontare i dati raccolti con quelli messi a 
disposizione da altre ricerche simili che hanno preso in considerazione il ruolo 
della vittima all’interno della dinamica omicida nel nostro Paese.
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1. Lo sviluppo degli studi vittimologici  
  
 
 
1. L’evoluzione del ruolo della vittima nel corso della storia 
 
Il ruolo di vittima, nel corso della storia ha subito diverse modificazioni, in 
relazione all’importanza e alla visibilità che acquisiva all’interno della società. 
Questi significati riflettono l’evoluzione storica sia di concetti legali, sia delle 
diverse definizioni che vengono attribuiti alla nozione di “responsabilità 
individuale”.  
L’analisi della vittima, del suo comportamento, del suo atteggiarsi e dei suoi 
rapporti con il reo, sono un aspetto di grande rilevanza, sia per la componente di 
tipo psico-criminologico, sia per la componente che privilegia l’aspetto giuridico 
[Gulotta e Vagaggini 1976]. Tuttavia, è indiscutibile cha l’attenzione nei riguardi 
della vittima sia a lungo mancata. 
Nonostante, dai tempi più antichi, il crimine sia considerato un grande 
pericolo per l’equilibrio e la stabilità sociale, si procede nell’accertamento della 
responsabilità del delitto solo dopo che questo è stato compiuto. Pertanto, in 
passato, una persona oggetto di una condotta criminosa, al fine evitare il rischio 
di future “vittimizzazioni”, per proteggere la propria incolumità, doveva reagire 
al torto subito in modo aggressivo e violento, così da vendicarsi spietatamente. 
Come chiaramente esemplificato dal codice di Hammurabi
1
, la giustizia veniva 
quindi ad essere espressa via di passaggio, un patto individuale.  
Successivamente, con l’evoluzione della società, il controllo sociale, e la 
responsabilità di elargire pene per i reati commessi, è passato dall’individuo al 
gruppo di parenti. Le famiglie, i clan o le tribù potevano funzionare solo 
attraverso il rispetto di solide regole sociali e il crimine inizia così ad essere visto 
come destabilizzante per la società. In questo modo il delinquente diventa 
                                                 
1
 Il codice di Hammurabi (XVIII sec. a.C.) rappresenta la più antica raccolta di leggi che ci sia pervenuta 
integra. Si tratta di norme che mirano a dare un’organizzazione della vita sociale (es. rapporti di lavoro, 
salario, ecc.). Ma soprattutto dal codice emerge chiaramente il principio ispiratore della “legge del 
taglione”, in base alla quale al colpevole spettava una pena simile alla colpa commessa e al dolore inferto 
alla vittima.
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responsabile oltre che per aver causato un danno ad un altro individuo, per aver 
messo in pericolo l’integrità sociale. In altri termini, il reo e “la sua famiglia” 
erano considerati colpevoli in misura maggiore per aver compromesso la stabilità 
della tribù, piuttosto che per le conseguenze intrinseche del reato commesso [Bisi 
e Faccioli 1996]. Però, nonostante il controllo sociale passi nelle mani della 
famiglia, continua l’espiazione delle pene per mezzo della vendetta, che viene 
così ad essere considerata faida di sangue. 
Con il passare del tempo si andò verso l’estinzione della faida di sangue, 
sostituita dalla negoziazione e da un compenso finanziario. Si andò così in contro 
al declino del concetto di responsabilità collettiva a favore del sistema di 
compromesso, un metodo tendente ad evitare ritorsioni attraverso un indennizzo 
monetario o comunque economico. Il compenso veniva determinato in base alla 
natura del delitto, all’età, al sesso e alla classe sociale a cui apparteneva la 
vittima. E comunque nella maggior parte dei casi per l’accordo sul effettivo 
ammontare del risarcimento era di fondamentale importanza l’intervento della 
tribù [Balloni 1989]. 
A mano a mano che il potere centrale di una comunità diventava più forte, 
l’influenza dello Stato sul compromesso andò aumentando: come risultato, la 
comunità, il capo della tribù o il re reclamavano una parte del compenso 
destinato alla vittima, sotto forma di commissione per aver ottenuto una 
riconciliazione fra le parti. La porzione di compenso reclamato dallo Stato 
aumentò gradualmente fino a coprire l’intera somma versata, arrivando così a 
monopolizzare l’istituto della pena. In seguito, lo Stato attraverso la costituzione 
del diritto penale, divenne unico promotore dell’azione penale nei confronti del 
accusato, mentre i diritti della parte lesa, come ad esempio il risarcimento del 
danno, continuarono ad essere tutelati nell’ambito del diritto civile [ibidem]. 
In questo modo, il prevalere del bisogno di pace portò alla creazione di un 
ordinamento giuridico al di sopra delle parti in lotta. E oltre al giusto compenso 
da accordare alla vittima in funzione dell’offesa subita, con lo sviluppo del 
sentimento sociale si fece strada la necessità di procedere ad un accurato esame 
delle condizioni psico-fisiche dell’imputato, nel momento in cui è stato 
commesso il fatto, con il preciso scopo di accertare la capacità di 
autodeterminarsi.
9 
 
 L’analisi della personalità e dell’ambiente del reo, diventarono la base dello 
sviluppo degli studi criminologici, di natura psicologica, psichiatrica o 
sociologica. Di conseguenza per lungo tempo l’oggetto esclusivo delle ricerche 
criminologiche furono i delinquenti. 
Solo da qualche decennio, in questo frangente si è aperta una nuova 
prospettiva, rappresentata dall’elevato aumento di interesse per la vittima e per il 
suo ruolo di protagonista all’interno del fatto criminoso. Lo studio della vittima 
costituisce, un ambito di ricerca estremamente recente. Infatti è solo dalla metà 
del secolo scorso che le agenzia di controllo sociale e i gruppi di ricerca hanno 
preso in attenta considerazione la vittima di un delitto e la sua influenza nella 
genesi del crimine. 
Fino a pochi anni fa chi subiva un reato poteva, di fatto, soltanto sperare di 
poter collaborare con gli inquirenti o come soggetto in grado di fornire 
spiegazioni circa il delitto commesso e i suoi autori, o come testimone in un’aula 
di tribunale [Williams 1991]. 
 
 
2. Gli scopi perseguiti dalla vittimologia 
 
L’etimologia del termine “vittimologia” comprende il vocabolo latino 
“victima” e quello greco “logos”, resi in italiano “vittima” e “discorso”.  
In ambito giuridico il termine “vittima” non viene usato in modo uniforme, 
anzi compare alternativamente in varie forme, quali “parte lesa”, “persona 
offesa”, ecc. Anche le circostanze cui esso viene riferito sono molteplici, 
potendosi intendere per vittima sia il soggetto passivo del reato, quanto l’oggetto 
materiale del reato, e non sempre questi due concetti sono coincidenti. 
Inoltre da un punto di vista strettamente legale la “vittima” di un crimine può 
essere definita sia una persona fisica, che una persona giuridica, compreso lo 
Stato. Come messo in evidenza da Tranchina [1975], ne deriva la possibilità che 
in determinate situazioni la concezione giuridica di “vittima del fatto criminoso” 
e quella criminologia finiscano con il differenziarsi in modo sostanziale. 
A tal proposito allargando l’ambito degli studi verso una concezione più 
umanistica, orientata verso la scienza sociale e psicologica con il termine
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“vittimologia”, rapidamente diffusosi nella seconda metà del secolo scorso, ci si 
riferisce ad una materia che ha per oggetto l’analisi della vittima di un crimine, 
della sua personalità, delle sue peculiarità biologiche, psicologiche, morali, 
sociali, culturali, delle suoi legami con il crimine e del ruolo che ha assunto nella 
genesi di un evento criminoso. 
Il termine “vittimologia” viene introdotto, nel linguaggio criminologico, dallo 
psichiatra americano F. Wertham: « …non si può comprendere la psicologia 
dell’omicida se non si comprende la sociologia della vittima. Ciò di cui noi 
abbiamo bisogno è di una scienza della vittimologia» [1949]. 
In realtà, però, l’esatta paternità del termine non è così certa, in quanto alcuni 
autori
2
 l’attribuiscono a Mendelsohn che ha utilizzato tale sostantivo all’interno 
della sua opera Una Nouvelle Branche de la Science Bio-Psychosociale: la 
Victimologie: «Il problema della criminalità deve essere studiato anche in altri 
termini, sotto l’aspetto della personalità della vittima, dal punto di vista 
preventivo e curativo, biologico, psicologico e sociologico. Questa nuova scienza 
costituirà ciò che noi chiamiamo per la prima volta vittimologia» [1956: 95]. 
A mio avviso una delle definizioni più complete, in grado di inquadrare 
l’intero ambito degli studi vittimologici ci viene data da Gulotta [1976], secondo 
l’autore con il termine vittimologia «si designa una disciplina che ha per oggetto 
lo studio della vittima del crimine, della sua personalità, delle sue caratteristiche 
biologiche, psicologiche, morali, sociali e culturali, delle sue relazioni con il 
crimine e del ruolo che ha assunto nella genesi del crimine». Oltre a questo, un 
ulteriore area di indagine che deve essere necessariamente approfondita dagli 
studi vittimologici è l’importanza del rapporto tra la vittima e l’autore di un 
reato. Inoltre la vittimologia si deve impegnare a fornire risposte concrete 
riguardanti la prevenzione della vittimizzazione e la riparazione del danno subito 
in conseguenza di un crimine, non solo in relazione a elementi materiali ma 
anche a livello di assistenza fisica e psicologica.  
Per cui secondo l’autore italiano la vittimologia deve assolvere ad un duplice 
obiettivo: 
- preventivo, volto a ridurre il numero delle vittime e le occasioni di diventare 
vittima, individuando ed eliminando i fattori che favoriscono il processo di 
                                                 
2
 Tra questi si rircordano: Cornil [1959], Ranjeva [1964], Schülert [1956].
11 
 
vittimizzazione e fanno aumentare il rischio di recidività, da compiersi 
attraverso l’esame delle caratteristiche individuali, ambientali e sociali della 
vittima, senza trascurare il ruolo assunto dalla vittima all’interno del reato ed 
il rapporto che lega quest’ultima all’autore del delitto; 
- riparativo, volto a ridurre l’impatto degli effetti del reato sulla vittima, 
attraverso un attenta analisi dei fattori prodotti in conseguenza del delitto e 
della loro influenza su aspetti fisici, psichici e materiali della vittima, al fine 
di evidenziare gli effetti a breve e a lungo termine così da permetterne il 
recupero. 
Alle due funzioni proposte da Gulotta si deve aggiungere quella di fornire 
elementi conoscitivi fondamentali per la spiegazione delle azioni criminali 
[Strano 2003], attuata attraverso la ricerca empirica e la costruzione di indicatori 
in grado di mettere in risalto l’andamento del fenomeno delittuoso così da 
suggerire linee guida per politiche di prevenzione e sicurezza veramente efficaci 
nell’opera di riduzione della vittimizzazione. Infine, sempre in relazione 
all’importanza degli studi di ricerca essi devono essere utilizzati anche per 
verificare l’impatto e l’efficacia delle procedure attuate per minimizzare 
l’influenza dei fattori consequenziali al delitto sulla vittima, così da permettere 
l’estinzione di eventuali traumi che possano pregiudicare il corretto 
reinserimento nella società. 
Attraverso gli studi teorici e la ricerche effettuate sul processo di 
vittimizzazione e i suoi effetti, la vittimologia si occupa dunque di definire le 
seguenti aree di indagine: 
- il ruolo della vittima nella criminogenesi e nella criminodinamica; 
- il rapporto tra la vittima e l’autore del reato; 
- la presenza di eventuali le caratteristiche che favoriscono la vittimizzazione; 
- l’individuazione statistica delle vittime, così da determinare se vi sono 
particolari tipologie di persone che risultano più soggette a subire specifici 
tipi di reati; 
- la percezione che ha il reo nei confronti della vittima e viceversa; 
- gli effetti consequenziali al reato, in termini materiali e non, che possono 
condizionare la vittima;
12 
 
- quali interventi riparativi è possibile intraprendere nei confronti della vittima, 
stimandone concretamente l’impatto e l’efficacia che riescono a conseguire; 
- quali misure e strumenti siano i più idonei per garantire una migliore 
prevenzione al fine di ridurre i rischio di diventare vittima; 
- il ruolo della vittima nel processo. 
 
Naturalmente anche altri autori si sono impegnati nel cercare di delineare 
l’ambito in cui si doveva muovere questo nuovo filone di studi che ha preso vita 
nel secondo dopoguerra.  
Secondo Fattah «l’obbiettivo della vittimologia è lo sviluppo attraverso lo 
studio approfondito della vittima, di un insieme di regole generali, di principi 
comuni e di altri tipi di conoscenze che possano contribuire allo sviluppo, 
all’evoluzione ed al progresso delle scienze criminologiche e giuridiche, 
permettendo una migliore comprensione del fenomeno criminale, del processo 
criminogeno, della personalità e del carattere pericoloso del delinquente. D’altra 
parte essa intende fornire conoscenze scientifiche valide sulle cause del crimine, 
dipendenti dalla vittima, che siano di natura tale da poter essere utilizzate sul 
piano pratico, in modo da poter tracciare le linee di una politica di prevenzione 
efficace» [1971: 11-12]. 
L’autore prosegue affermando che: «oltre a questo contributo alle scienze 
sociali la vittimologia assolve anche un dovere assai importante di fronte alla 
giustizia penale. L’applicazione dell’attuale legge penale esige necessariamente 
una chiara distinzione tra la vittima e il delinquente. Tale distinzione non di 
facile interpretazione, in quanto la linea che separa i due protagonisti del 
contenzioso penale non è sempre definita in modo sufficientemente preciso. Il 
criminale e la sua vittima non si possono definirsi così chiaramente differenti, 
come il bianco ed il nero, ma al contrario sono spesso in ugual misura 
responsabili dell’atto commesso. Pertanto solamente attraverso uno scrupoloso 
esame individuale delle due parti, delle loro personalità, delle loro interrelazioni, 
delle loro relazioni e considerando il ruolo che ciascuna ha assunto nell’evento 
criminoso, risulta possibile formulare una giusta valutazione della responsabilità 
penale per l’atto in causa» [ibidem: 11-12].
13 
 
Mendelsohn ritiene che la vittimologia debba individuare ed analizzare i 
fattori comuni alle diverse fattispecie di vittime, per determinare in che misura le 
loro reazioni, uguali o differenti, influiscano sull’origine del comportamento 
vittimale, di conseguenza la vittimologia dovrebbe perseguire i seguenti scopi: 
a) lo studio della personalità della vittima; 
b) l’identificazione, soprattutto tramite l’utilizzo di tecniche psicoanalitiche, 
degli elementi psichici del “comportamento criminogeno” esistente 
all’interno della “coppia penale”, componenti che determinano 
l’avvicinamento (e di frequente il contatto psico-sociale antecedente al 
crimine) tra la vittima ed il criminale; in altre parole, la scoperta del 
potenziale di recettività vittimale; 
c) lo studio della personalità di quelle vittime nei confronti delle quali non 
interviene una terza persona, in maniera particolare ci si riferisce agli 
incidenti stradali e agli infortuni sul lavoro; 
d) lo analisi dei mezzi di prevenzione per quei soggetti che evidenziano una 
tendenza a divenire vittime e dei metodi psico-pedagogici necessari a mettere 
in atto un difesa appropriata; 
e) l’individuazione dei criteri di trattamento terapeutico essenziali per non 
incorrere in quella che viene definita la “recidività vittimale”. 
Oltre a questo è necessario ricordare che nei rapporti con la giustizia e la 
società, spesso, alcune vittime definiscono come arrogante ed insolente il 
comportamento tenuto da alcuni operatori della giustizia nei loro confronti, quali 
ad esempio, avvocati, magistrati e poliziotti. È importante sottolineare come, a 
volte, le vittime possono percepire l’apparato giudiziario come una seconda fonte 
di vittimizzazione e, per tutto ciò, sono costrette o preferiscono evitare di non 
denunciare il reato subito, come sovente si verifica nei casi di violenza carnale. 
Mendelsohn manifestò già nel 1959 la necessità di mettere in pratica alcune 
iniziative, al fine di promuovere lo studio della vittimologia, come la 
convocazione di un Primo Congresso Internazionale di Vittimologia, al quale 
sarebbero stati invitati tutti gli operatori interessati alla terapia e profilassi della 
vittima; ed inoltre la creazione di una Commissione Internazionale Permanente 
che ponesse le basi per un Istituto Mondiale di Ricerche Vittimologiche, con il
14 
 
concorso dell’Unesco e di altre istituzioni internazionali. Tale commissione 
avrebbero dovuto svolgere i seguenti compiti: 
a) la creazione di una biblioteca per permettere la raccolta di tutto il materiale 
scientifico, al fine di riunire il maggior numero possibile di interventi inerenti 
ai problemi vittimologici; 
b) la preparazione di uno schedario bibliografico internazionale; 
c) il perfezionamento di questionari tipo, dei criteri di misura ed un’unica 
terminologia internazionale, atta a rispondere alle necessità della vittimologia; 
d) l’organizzazione di un servizio statico internazionale; 
e) sovrintendere alla formazione di commissioni specializzate per l’analisi degli 
incidenti stradali, infortuni sul lavoro, della prostituzione, dell’alcolismo, 
delle tossicomanie, ecc. Tali commissioni, utilizzando il punto di vista 
criminologico avrebbero dovuto collaborare con le istituzioni competenti, 
prestando una maggiore attenzione all’aspetto preventivo del problema; 
f) prevedere la realizzazione di una Clinica Centrale di Vittimologia in un 
importante centro europeo; 
g) dare origine a un Centro di Propaganda, per fornire al grande pubblico la 
possibilità di conoscere e seguire le raccomandazioni della profilassi 
vittimale, specialmente per quanto riguarda gli incidenti stradali, quelli sul 
lavoro, l’alcoolismo, la prostituzione e i reati contro la morale, al fine di poter 
collaborare alla creazione di piani di intervento concordati con le istituzioni 
competenti; 
h) incoraggiare la creazione di istituti nazionali del tipo descritto, 
l’organizzazione di corsi e conferenza nelle università e la collaborazione con 
riviste scientifiche internazionali, nell’intento di promuovere la scienza 
vittimologia. 
Alcune delle idee qui proposte erano avveniristiche per l’epoca, ma 
sicuramente furono di grande importanza per porre in rilievo il diffondersi di 
questa nuova disciplina.