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Introduzione 
 
Il fenomeno di cd. ‘overqualification’ in Italia assume caratteristiche 
peculiari rispetto al contesto europeo. Per overqualification s’intende la 
situazione in cui si è sovra-istruiti e/o il possedere competenze professionali 
maggiori rispetto a quelle necessarie per svolgere un determinato lavoro. Si 
tratta di un fenomeno di missmatch fra domanda e offerta di lavoro in cui i 
lavoratori finiscono per accettare occupazioni a mansioni inferiori che non 
valorizzano a pieno le loro capacità produttive, spesso frutto di sforzi e 
investimenti, in tempo e denaro, per il periodo di formazione. 
L’overqualification può assumere dimensioni diverse (e riguardare tipologie 
differenti di lavoratori) da paese a paese. Esso, infatti, risulta fortemente 
legato alla struttura interna del mercato del lavoro, al sistema produttivo e al 
cosiddetto ‘assetto di welfare’.  
Un’analisi dell’Eurostat
1
 nell’ambito della Labour force survey fornisce gli 
indicatori di overqualification per tutti i 27 paesi europei, permettendoci di 
illustrare sinteticamente la peculiarità del caso italiano. 
 
 
Tabella 1.  Overqualification rate by groups of country of citizenship, age groups and sex, 2010 (%) 
 Total population Foreigners Of which 
EU citizens extraUE 
 
age 
20-64 
of which age 
20-64 
of which age 
20-64 
of which Age 
20-64 
of which 
25-54 55-64 25-54 55-64 25-54 55-64 25-54 55-64 
EU27 21 21 16 38 38 31 29 29 22 46 46 41 
EU uomo 20 20 16 33 33 25 24 24 17 42 42 35 
EU donna 22 21 17 43 42 38 34 34 29 51 51 48 
IT 17 18 8 61 61 62 34 34 29u 77 77 79 
IT uomo 14 15 6 61 63 33u 31 31 : 76 78 49u 
IT donna 20 21 10 61 59 81 36 36 : 78 76 95 
 
Fonte: Eurostat, Labour force survey, 2010 
  
 
                                                
1
Scaricabile dalla pagina web: 
http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/employment_social_policy_equality/migrant_integration/indicators
5 
Rispetto alla media europea, l’Italia è l’unico grande paese che presenta un 
indice inferiore per il totale della popolazione e uno superiore (e di molto) 
per gli stranieri, in particolare se cittadini extra-comunitari. Nel Sud Europa, 
l’overqualification si mantiene sopra la media sia per gli stranieri, sia la 
popolazione totale. L’Europa continentale si assesta attorno alla media 
mentre i paesi scandinavi rimangono sempre sotto. Peculiare è il Regno 
Unito che si posiziona sopra la media per i lavoratori in totale (25) e sotto 
per gli stranieri (32), significa che il mercato discrimina meno questi ultimi 
(il gap è di soli 7 punti) nella ricerca di un’occupazione corrispondente alle 
proprie competenze. 
I lavoratori stranieri in Italia, invece, hanno un indice di overqualification di 
ben 44 punti superiore rispetto ai lavoratori italiani e che, a differenza del 
dato medio europeo, non diminuisce in maniera sostanziale con l’aumentare 
dell’età; anzi le donne extra-comunitarie over-55 risultano particolarmente 
colpite dal fenomeno. 
Come spiega Reyneri (Reynieri E. 2005), in Italia questa tendenza è 
relativamente recente e colpisce in particolare gli stranieri, specie se di 
provenienza extra-comunitaria, dando origine a un vero e proprio spreco di 
capitale umano (o brain waste). L’assetto familistico di welfare e un sistema 
produttivo poco votato all’innovazione creano le condizioni per una forte 
richiesta di domanda di lavoro poco qualificato che gli italiani ormai 
tendono a rifiutare, mentre gli immigrati, spesso in condizioni di forte 
debolezza economica, sono disposti ad accettare. Inoltre, le posizioni più 
ambite sono praticamente impossibili da ottenere per i nuovi arrivati che 
non vantano consolidate reti di conoscenze. Diventa, così, facilmente 
intuibile perché la stragrande maggioranza degli immigrati occupa i livelli 
più bassi della scala delle professioni, nonostante molti siano possessori di 
un titolo di studio elevato anche grazie ai crescenti livelli d’istruzione dei 
paesi meno sviluppati. 
Questo studio ha come obiettivo quello di osservare e analizzare in termini 
quantitativi e a un livello di micro-analisi il difficile accesso degli stranieri a 
occupazioni di tipo non manuale, nonché di misurare il loro svantaggio in 
termini di salario. I dati statistici presi in considerazione fanno riferimento
6 
al primo trimestre del 2012 della Rilevazione sulle forze lavoro effettuata 
dall’Istat. Li tratteremo attraverso il software SPSS.20. 
La nostra analisi è incentrata sulla propensione degli stranieri (distinti fra 
cittadini europei ed extracomunitari) a occupare qualifiche professionali 
medio - basse nonché a svolgere lavori manuali rispetto ai cittadini italiani; 
si analizza inoltre il differenziale salariale medio fra le categorie di cittadini. 
Operativamente, costruiamo dei modelli di regressione logistica per 
l’indagine sulle qualifiche e di regressione lineare per quella sui salari, 
controllando gli effetti della cittadinanza per sesso, età e istruzione. 
Osserveremo che entrambi i gruppi di stranieri presentano a parità di 
qualifica uno svantaggio salariale simile, mentre gli extracomunitari 
vengono occupati in basse qualifiche con una probabilità maggiore rispetto 
agli europei. Considerando il livello d’istruzione degli stranieri (piuttosto 
simile a quello degli italiani), confermeremo l’esistenza e l’estensione del 
fenomeno di overqualification fra i lavoratori immigrati in Italia, nonché lo 
spreco di capitale umano che ne consegue.  
Nella prima parte del nostro lavoro analizzeremo le caratteristiche principali 
del fenomeno migratorio in Italia (passato negli anni da paese di emigranti a 
metà d’immigrazione), le caratteristiche degli individui che lo compongono, 
i paesi di provenienza, le condizioni di lavoro a cui sono sottoposti e la loro 
particolare relazione con il mercato del lavoro italiano.  
Nella seconda parte ci concentreremo nel dettaglio sul fenomeno descritto 
sopra, la cd. overqualification, e vedremo la sua incidenza nel contesto 
italiano rispetto ad altri paesi. 
Nella terza parte verrà introdotta la parte operativa del nostro lavoro 
attraverso la descrizione dettagliata dei dati in nostro possesso utilizzati per 
la ricerca e una breve descrizione dell’indagine da cui provengono: la 
rilevazione continua sulle forze lavoro svolta trimestralmente dall’Istat. 
Infine illustreremo i risultati della nostra analisi e cercheremo di rispondere 
alle principali domande di ricerca che hanno dato origine a questo lavoro:
7 
1. Esiste una propensione superiore degli stranieri ad occupare mansioni 
a bassa qualifica (prevalentemente manuali) a parità di livello di 
istruzione? 
2. Assumendo che ciò sia vero (come dimostreremo), quanto è forte la loro 
penalizzazione salariale? 
3. Esiste una relazione tra durata del soggiorno e miglioramento della 
qualità del lavoro svolto (principalmente in termini di qualifica e 
salario)?
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PARTE PRIMA
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PARTE PRIMA 
Capitolo 1 
 
Breve storia del fenomeno migratorio in Italia e composizione dei 
recenti flussi. 
 
In questa prima parte cercheremo di dare fisionomia al fenomeno 
migratorio in Italia. Cominceremo con una breve rassegna storica sul 
fenomeno migratorio in questo paese e sulle caratteristiche che ha assunto 
nel tempo. Nel Capitolo 2 ci occuperemo, invece, degli immigrati in Italia e 
sulla loro incidenza nel mercato del lavoro italiano attraverso alcune 
ricerche e dati sulla letteratura in materia. Quali sono i settori in cui sono 
maggiormente occupati? Esiste discriminazione? Quali sono le principali 
caratteristiche del lavoro straniero in Italia? 
Cercheremo di dare risposta a questi quesiti attraverso la letteratura 
presente in materia e le ricerche svolte in questi anni.  
 
 
 1.1 L’Italia da paese di emigrazione a paese d’immigrazione 
 
Si afferma solitamente che l’Italia dopo una secolare esperienza di 
emigrazione sia ora diventata paese d’immigrazione. L’affermazione, 
tuttavia, non rispecchia completamente un fenomeno complesso e in 
continuo divenire come quello migratorio. Se da una parte è vero che l’Italia 
negli ultimi anni è divenuto un importante paese d’immigrazione, meta di 
milioni di cittadini provenienti da diversi paesi, dall’altra, bisogna ricordare 
che l’emigrazione italiana non è certo un fenomeno che riguarda 
esclusivamente il passato di questo paese, bensì una realtà sostanziale che 
riguarda anche la stretta attualità (anche se ovviamente con numeri 
totalmente diversi dalle antiche migrazioni di massa). In estrema sintesi, 
potremmo rappresentare la realtà italiana attuale come un crocevia 
migratorio (Pugliese 2011) in cui sempre più lavoratori stranieri 
affluiscono verso il paese (anche se come vedremo la tendenza sembra 
essersi arrestata), consolidando la loro presenza tramite i ricongiungimenti
10 
familiari; mentre una minor consistente fetta di cittadini italiani, per la 
maggior parte giovani, lasciano l’Italia verso altri paesi, prevalentemente 
europei. 
Cercheremo di dare una forma al concetto di crocevia migratorio nei 
prossimi paragrafi, analizzando brevemente la storia dei flussi sia in entrata 
sia in uscita e dando uno sguardo alle attuali tendenze.  
 
 
1.2 Crocevia migratorio 
 
Fin da prima dell’Unità, l’Italia ha svolto il ruolo di crocevia per partenze e 
arrivi da e verso tutti i punti del globo. Inizia tutto negli ultimi decenni 
dell’Ottocento, gli anni della grande ondata migratoria verso i paesi 
transoceanici, in particolare quelli del continente americano. Il processo ha 
inizio nelle regioni del Nord per poi estendersi progressivamente alle 
regioni del Mezzogiorno. Il periodo a cavallo tra Ottocento viene definito 
come quello della Grande emigrazione, esodo di proporzioni talmente alte 
da portare alla diminuzione della popolazione in valori assoluti, nonostante i 
forti tassi di natalità dell’epoca. Questo grande flusso si riduce 
progressivamente a partir dagli anni venti del Novecento fino a esaurirsi 
completamente con la Seconda guerra mondiale. A determinare questo esito 
contribuisce sia prima la politica restrittiva degli Stati Uniti che instaurano, 
con il Johnson Act, una politica restrittiva e discriminatoria nei confronti dei 
paesi dell’Europa mediterranea, sia la politica anti-migratoria del fascismo, 
sia infine la grande depressione degli anni Trenta che riduce l’attrazione 
verso quella che fino a quel momento era stata la meta più ambita, gli Stati 
Uniti (Livi Bacci 2010). 
A partire dalla seconda guerra mondiale il flusso migratorio cambia 
direzione e si rivolge prevalentemente ai paesi dell’Europa centro-
settentrionale. Questa nuova ondata migratoria viene alimentata da una forte 
domanda di lavoro dei paesi di arrivo.  Germania, Francia, Belgio e altri 
paesi organizzavano centri di reclutamento per i lavoratori stranieri, 
destinati a rientrare in patria allo scadere del contratto di lavoro. E’ proprio 
questa la caratteristica che rende diversa l’emigrazione italiana di quegli
11 
anni, i lavoratori, prevalentemente senza famiglia al seguito, partono con 
l’idea di tornare in patria una volta raggiunto il loro scopo primario (a 
differenza delle prime emigrazioni che avevano come fine quello di 
stabilirsi nel paese di arrivo). 
Questa stagione chiuderà definitivamente il periodo delle cd. Grandi 
emigrazioni. Nel 1974 i paesi dell’Europa centro-settentrionale chiuderanno 
le frontiere e i flussi migratori si arresteranno pesantemente fino alla 
seconda metà degli anni Ottanta. La novità di questo periodo è che si tratterà 
per la prima volta di flussi in entrata.  L’Italia passa da paese di emigrazione 
a paese d’immigrazione (Pugliese 2011). 
 In seguito, dall’inizio degli anni 2000 (in particolare il periodo 2001-2008) 
il nuovo fenomeno dei flussi in entrata crescerà a ritmi elevatissimi, tali da 
avvicinare l’Italia a paesi di vecchia immigrazione come la Francia o la 
Germania.  
 
 
1.3 Le caratteristiche del fenomeno migratorio in Italia 
 
Gli stranieri in Italia 
 
Dopo la Spagna, l’Italia è il paese europeo che ha ricevuto il maggior 
numero d’immigrati negli ultimi venticinque anni. La presenza di cittadini 
stranieri è diventata rilevante, come detto in precedenza, dalla seconda metà 
degli anni Ottanta ed è cresciuta a ritmi elevatissimi dal 2001 al 2008 
(Rapporto Ismu 2012).  Nel 2010 i cittadini stranieri superano i quattro 
milioni, circa il 7% della popolazione totale, senza considerare coloro non 
iscritti all’anagrafe e gli immigrati non autorizzati a soggiornare nel 
territorio italiano (si stima che il loro numero sia tra i 300 e 500 mila). 
In pochissimi anni quindi l’Italia riesce a raggiungere livelli di paesi con 
una storia di immigrazione ben più lunga e di conseguenza più attrezzati a 
gestire i flussi in entrata. Buona parte dei problemi legati all’integrazione 
lavorativa e sociale dei cittadini stranieri può essere ricondotta alla velocità 
con cui i flussi in entrata sono cresciuti in questi anni.