5
del diritto del lavoro sanciti dalla Costituzione e dalle precisazioni 
della Corte Costituzionale. 
I presupposti del contratto di lavoro ripartito, in particolare, 
sono da rinvenire soprattutto in una maggiore elasticità del rapporto di 
lavoro, capace da un lato di aumentare la competitività delle imprese, 
e dall’altro di permettere al lavoratore una gestione individualizzata 
dei tempi di lavoro. 
L’analisi che segue è innanzitutto un tentativo di delineare la 
fattispecie in esame attraverso le ricostruzioni operate dalla dottrina in 
assenza di spunti legislativi, ricostruzioni che iniziano già nel lontano 
1980 ad opera di Loy (ma la sua non è una vera e propria analisi, 
limitandosi l’autore semplicemente a riportare un’esperienza 
d’oltralpe). L’analisi prosegue poi attraverso lo studio di Pietro Ichino 
(le cui conclusioni del lontano 1985 sono ancora attuali) e, passando 
attraverso un provvedimento amministrativo del Ministero del Lavoro 
del 1998 (di ben 13 anni più tardi, paragonato alle prime ricostruzioni 
di Ichino), giunge infine all’intervento del Legislatore del 2003 
(dapprima con legge delega, e infine con decreto legislativo). 
Al termine dell’analisi, come peraltro di ogni analisi, si tenterà, 
infine, di dare una lettura unitaria dell’intero sistema così delineato, 
cercando di capire, anche attraverso quelle che sono state le reazioni 
delle parti sociali, la prospettiva più corretta secondo la quale 
 6
interpretare la disciplina del contratto di lavoro ripartito, altrimenti 
detto, con terminologia anglosassone, “job sharing”. 
 7
 
Capitolo primo: il lavoro ripartito nel silenzio del 
Legislatore. 
1.1 Il lavoro ripartito nel silenzio del Legislatore. 
Per comprendere appieno la portata della riforma per quanto 
riguarda il particolare contratto di lavoro ripartito, meglio noto come 
“job sharing”, secondo una terminologia importata dagli Stati Uniti, 
dove l’istituto ha visto la sua prima apparizione, occorre muovere 
dalle prime proposte legislative e dalle considerazioni critiche della 
dottrina al riguardo. 
Secondo la definizione che ne dà il D.lgs. 10 settembre 2003, n. 
276 all’articolo 41, “il contratto di lavoro ripartito è uno speciale 
contratto ci lavoro mediante il quale due lavoratori assumono in solido 
l’adempimento di una unica e identica obbligazione lavorativa”. 
Tale previsione agevola notevolmente chi si avvicina oggi allo 
studio della fattispecie, ma prima della Riforma del mercato del lavoro 
le difficoltà erano notevoli. 
In assenza di una nozione legislativa, l’unico riferimento 
normativo era contenuto in un solo provvedimento amministrativo, la 
Circolare ministeriale del 7 aprile 1998, n. 43, con la quale il 
Ministero del lavoro forniva chiarimenti sull’ammissibilità, la 
 8
funzione, la disciplina del cosiddetto rapporto di “lavoro a coppia” o 
“job sharing”,e sulle caratteristiche che lo distinguono dal contratto di 
lavoro part-time
1
. 
Prima di tale data, quindi, dell’argomento si era occupata solo la 
dottrina. 
                                                 
1
 “Job sharing”: i chiarimenti ministeriali, in DPL, 1998, n. 22, 1423ss. 
 9
 
1.2 Prime ricostruzioni della dottrina. 
Precursore in tale ambito appare Ichino
2
, che propone un’analisi 
alquanto dettagliata del problema, che non era stato ancora affrontato 
dalla dottrina giuslavoristica italiana, anche se a partire dal 1980 erano 
iniziati a comparire brevi accenni al job sharing in trattazioni relative 
al part-time
3
.  
Il primo accenno a tale tipo di contratto è di Loy
4
, che usa il 
termine francese “partage des emplois”. Questi nel suo studio 
ammette la possibilità di utilizzare un tale sistema, definito come “un 
tipo speciale di part-time
5
”. In base alla ricostruzione di tale contratto, 
un solo posto di lavoro è diviso tra due lavoratori, che possono 
organizzare in piena libertà i propri turni di lavoro all’interno 
dell’orario di lavoro. Non si rilevano limiti all’articolazione del 
rapporto, ma rimane come punto fermo la garanzia dell’adempimento 
della prestazione. Loy definisce, inoltre, tale forma di lavoro col 
termine “gemellato
6
”, rilevando una sua diffusione sia (e soprattutto) 
                                                 
2
 P. ICHINO , Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, vol. II: Estensione temporale della prestazione 
lavorativa subordinata e relative forme speciale di organizzazione, Milano, 1985. 
3
 G. LOY, La disciplina giuridica del rapporto di lavoro a tempo parziale, in Riv. Giur. Lav., I, 1980, 367-368; G.IO 
BRANCA, Problemi attuali e prospettive future del lavoro a tempo parziale,  in AA.VV. Il rapporto di lavoro a tempo 
parziale, atti del convegno di palermo, 2-3 maggio 1981, Milano, 1981, 43; A. VITTORE, Part time e mercato del 
lavoro: un confronto a livello comunitario,  in Contrattazione, 3, 1982, 26; O. CHELLINI, C. TOMMASINI, Orario di 
lavoro, Milano, 1981, 85-88; M. MANICASTRI, A. RICCI, Il part time,  Roma, 1984, 33-34. 
4
 G. LOY, La disciplina giuridica del rapporto di lavoro a tempo parziale, cit., 367-368 
5
 G. LOY, La disciplina giuridica del rapporto di lavoro a tempo parziale, cit., 367 
6
 “Twinning” secondo la terminologia inglese: G. LOY, La disciplina giuridica del rapporto di lavoro a tempo parziale, 
cit., 368. 
 10
negli Stati Uniti, sia in Europa, ad esempio in Svezia, nel settore del 
commercio e dell’industria automobilistica, ed in Gran Bretagna, nel 
settore delle banche. Vengono infine evidenziati tutti i vantaggi di un 
simile rapporto di lavoro, sia per il datore di lavoro, grazie ad una 
maggiore elasticità dell’orario ed alla diminuzione dell’assenteismo, 
sia per il lavoratore, che ha la possibilità di gestire meglio il suo tempo 
e di “praticare la riduzione di orario all’interno di un rapporto 
qualificato che per lo più può procedere normalmente anche in termini 
di promozioni ed avanzamenti di carriera
7
”. 
Altri autori che compiono un’analisi in proposito, usando anche 
essi il termine francese “partage des emplois”, sono Chellini e 
Tommasini
8
. Questi distinguono innanzitutto il “partage des emplois” 
dal “partage del lavoro
9
” in quanto il primo è una forma di lavoro a 
tempo parziale volontario e permanente, utilizzato al fine di ridurre in 
misura sensibile l’orario di lavoro del lavoratore, essenzialmente per 
rispondere alle sue necessità. Inoltre il “partage des emplois” da un 
lato mira alla riorganizzazione di attività con alta qualificazione, 
                                                 
7
 G. LOY, La disciplina giuridica del rapporto di lavoro a tempo parziale, cit., 368. 
8
 O. CHELLINI, C. TOMMASINI., Orario di lavoro, cit., 85-88; M. MANICASTRI, A. RICCI, Il part time, cit., 33-34. 
9
 Nella loro analisi distinguono anche il “partage du travail”, definito come “risposta immediata di un’impresa ad una 
congiuntura sfavorevole”, e tendente “a ripartire il minor volume di lavoro tra la manodopera presente in azienda”, al 
fine di “conservare i livelli di occupazione” e con la previsione di utilizzare i lavoratori di nuovo a tempo pieno non 
appena la situazione sia migliorata. 
 11
offrendo la possibilità di carriera, mentre dall’altra presuppone spesso 
una collaborazione e stretti contatti tra gli interessati
10
. 
A tale forma di lavoro si avvicinano coloro i quali, per motivi di 
famiglia, studio, salute, incarichi pubblici, esigenza di tempo libero o 
per ipotizzare un periodo di transizione prima del definitivo 
pensionamento, hanno necessità di tempo al di fuori della propria 
attività professionale. L’esperienza pratica del periodo si ha 
principalmente nel settore pubblico all’interno degli Stati Uniti, ma 
non mancano esperienze nel settore privato, come per esempio 
Hewlett-Patkard e Control Data, ma a tale settore non è data rilevanza 
in quanto il lavoratore può operare in regime di “partage” solo a 
seguito di accordo individuale
11
. 
Pur mancando una codificazione al riguardo, sono tracciati gli 
elementi essenziali, che consistono nell’individuazione dei lavoratori 
ed il modo in cui possono essere intergrati tra loro, la divisione del 
lavoro, delle mansioni e della remunerazione
12
. 
Nel momento della ripartizione dell’orario di lavoro si deve 
tener conto delle esigenze dei lavoratori, e la settimana può essere 
divisa nei modi più vari, partendo da ripartizioni del lavoro giornaliero 
fino ad arrivare all’avvicendamento mensile. Per quanto riguarda la 
                                                 
10
 O. CHELLINI, C. TOMMASINI., Orario di lavoro, cit., 85. 
11
 O. CHELLINI, C. TOMMASINI., Orario di lavoro, cit., 86. 
12
 O. CHELLINI, C. TOMMASINI., Orario di lavoro, cit., 86. 
 12
remunerazione, questa deve essere calcolata tenendo conto anche delle 
differenze di esperienza e di qualifica dei lavoratori, quindi, 
prendendo per esempio il campo dell’insegnamento, qualora il posto 
di lavoro è diviso tra un professore anziano ed uno alle prime armi, la 
retribuzione è proporzionale agli anni di insegnamento
13
. 
Per quanto riguarda la reazione degli imprenditori, questi 
guardano con non troppo favore a tale nuova forma contrattuale, un 
po’ per la paura di vedere un aumento fittizio dell’occupazione, un po’ 
per paura di doversi accollare spese fisse ulteriori senza ricevere 
d’altro canto nessun vantaggio concreto. L’esperienza concreta ha 
però messo in evidenza alcuni vantaggi: 
a) per esempio si è assistito ad una maggiore elasticità nella 
distribuzione dei carichi di lavoro, in modo che gli imprenditori 
possono organizzare gli orari in modo che entrambi i gruppi siano 
presenti quando il volume di lavoro aumenti; 
b) la possibilità di disporre di ottimo personale. Spesso infatti 
lavoratori qualificati, per le esigenze già viste, non potendo optare per 
un contratto di lavoro a tempo ridotto, preferiscono rinunciare 
all’incarico, costringendo in tal modo il proprio datore a sostenere 
costi per la ricerca, assunzione e qualificazione professionale di nuovi 
lavoratori 
                                                 
13
 O. CHELLINI, C. TOMMASINI., Orario di lavoro, cit., 86-87. 
 13
c) si è assistito ad una diminuzione di assenteismo in quanto 
coloro che sono riusciti ad ottenere un tale tipo di contratto, 
consapevoli che le possibilità di lavorare ad orario ridotto non sono 
numerose, tengono conto delle difficoltà cui andrebbero incontro a 
ritrovare un impiego a condizioni analoghe. 
In definitiva i due autori sono propensi all’adozione sia di tale 
tipo di contratto, sia alla creazione di nuove forme contrattuali che 
permettano una maggiore elasticità e flessibilità del rapporto di lavoro, 
per permettere, nell’interesse del lavoratore, “un migliore equilibrio 
tra il lavoro ed il tempo libero”
 14
. 
                                                 
14
 O. CHELLINI, C. TOMMASINI., Orario di lavoro, cit., 87.